Un nuovo whistleblower si è fatto avanti a sorpresa, venendo ad aggiungere un importante tassello nel grande puzzle, ancora incompleto, dell’11 settembre.
Si tratta di una soldatessa che nel giorno degli attentati si trovava nella base militare di Fort Meade, sede congiunta di un ospedale militare e del centro di comando della NSA (National Security Agency), il cui racconto sembra confermare quanto segue:
1 - Il primo schianto fu ripreso da un circuito TV riservato, di tipo militare.
2 – Il volo United 93 fu abbattuto in volo.
3 - I militari che diedero l’ordine di abbatterlo non sembravano coinvolti in alcun modo nel presunto inside-job.
4 – L’ “aereo bianco” visto su Manhattan serviva da ponte di comunicazione.
Niente di sconvolgente, in realtà, per chi già conosca bene la questione 11 settembre, ma certamente una conferma importante a favore della tesi della totale “compartimentazione”, l’unica che riesca a spiegare come la complessità di un attentato di questo tipo non ne abbia causato una prematura scoperta da parte di chi non ne facesse già parte. In questo caso addirittura si sarebbe riusciti a tenere separati i progettisti del piano da alcuni suoi diretti esecutori materiali.
La soldatessa “Elizabeth Nelson” – non è il suo vero nome, ovviamente - è stata intervistata da Bill Ryan, uno dei curatori del Project Camelot, che si occupa di raccogliere le testimonianze degli ex-militari che sono stati coinvolti a diversi livelli nelle oscure vicende degli UFO. Talmente vasta è questa realtà nascosta, che già in passato alcune di queste testimonianze erano arrivate a lambire l’undici settembre. La testimonianza di Elizabeth invece è incentrata esclusivamente sui fatti di quel giorno, e apporta dettagli tutt’altro che insignificanti.
Secondo il suo racconto, ad un certo punto Elizabeth vide un soldato uscire agitato nel corridoio, annunciando di aver appena visto un aereo schiantarsi contro una delle Torri Gemelle. Tornati con lui al televisore, ...
Stucchevole. Ributtante. Inaccettabile. E l'unico modo per definire l'atteggiamento pietistico a reti unificate con cui i media nazionali hanno presentato la notizia del terremoto di ieri.
Con il funereo volto di circostanza, il commentatore TV introduce immediatamente il filtro generalizzato del fatalismo escatologico, di profonda matrice cristiana, nel quale la "volontà divina" porta ad annullare qualunque approccio analitico dell'evento, accettandolo già in partenza nella sua ineluttabilità complessiva.
Sia chiaro, nessuno dice che un terremoto si possa evitare, nè di certo si suggerisce che HAARP stia a preoccuparsi del destino dei nostri paesini abruzzesi (per fortuna).
Si vuole solo sottolineare come il fatalismo elevato a chiave di lettura generalizzata porti a convogliare automaticamente ogni pensiero nel grande imbuto emotivo, allontanandolo così dal terreno dell'analisi razionale.
Una volta che abbia prevalso l'aspetto emotivo, infatti, ogni pensiero di genere analitico dovrà compiere un percorso molto più lungo e difficile per risalire in superficie.
Questo significa, ad esempio, che di fronte alla notizia di un padre che abbia perso l'intera famiglia nel crollo della sua casa, prevalga la compassione - peraltro giustificata e doverosa - verso di lui, su qualunque parallelo che possa sorgere a livello razionale con le dozzine di padri palestinesi a cui accade la stessa identica cosa ogni giorno dell'anno.
Oppure significa che l'eventuale esistenza di un conflitto precedente, ...
di Marco Cedolin
Ormai da qualche mese, un giorno sul sito web di Repubblica, l’altro su quello del Corriere Della Sera, l’altro ancora su quello di La Stampa, continuano a susseguirsi articoli di carattere promozionale che esaltano le virtù velocistiche del nuovo TAV Frecciarossa, regolarmente presentato dal pennivendolo di turno come l’ultima frontiera dell’innovazione tecnologica nel campo dei trasporti, in grado di competere con successo in velocità perfino con l’aereo.
Dopo la “marchetta” del buon Gian Antonio Stella a favore della costruzione dei rigassificatori è così arrivata anche quella di Sergio Rizzo, sotto forma di un lungo promo a favore dell’alta velocità dal titolo “il treno vola e sfida l’aereo” comparso sul Corriere della Sera.
Per amore della verità occorre sottolineare come il buon Rizzo non abbia lesinato affatto le forze, impegnandosi a fondo nel produrre con cura uno spot infarcito di citazioni dotte e richiami storici. Come quello attraverso il quale ha introdotto l’argomento, proponendo un ardito parallelismo fra le sfide che intercorrevano fra diligenze e locomotive nella selvaggia America del 1830 e quelle che, nell’immaginario di Rizzo, sarebbero le contese del terzo millennio, fra il Tav di Moretti e gli aerei della Cai di Colaninno, nell’Italia della recessione selvaggia del 2009. Introduzione senza dubbio spassosa, che ha il merito d’indurre al proseguimento della lettura, per comprendere quanto lontano sarà in grado di correre la fervida fantasia dell’autore.
Dopo alcune riflessioni di carattere generale sulla nuova Alitalia e altre osservazioni riguardo al “tradimento” di Berlusconi che ha dismesso di recente la divisa da aviatore per indossare quella da capotreno, Rizzo inizia a proporre il confronto fra i tempi di percorrenza del Frecciarossa (il treno) e del Frecciaverde (l’aereo), partendo da una simulazione di Alitalia che vedrebbe il velivolo vincente, impiegando 3 ore e quaranta contro le 4,30 del locomotore. Simulazione criticata dal buon Rizzo non in quanto priva di qualunque valenza, ...
Purtroppo le persone che avevano sollevato lo storico polverone sulla legalizzazione della prostituzione si sono rivelate incapaci di argomentare con efficacia la loro posizione contraria. Qui non si tratta di voler avere ragione per forza, ma di volere con forza che prevalga la ragione.
Le argomentazioni di tipo emotivo non devono mai avere la meglio sul ragionamento vero e proprio, e chiunque sia portato a scegliere quella strada deve sapere che alla fine rischia solo di danneggiare la causa stessa che vorrebbe difendere.
Si tratta infatti di persone che discutono in totale buona fede, ma che per qualche motivo partono dal presupposto di conoscere la verità meglio di tutti gli altri, sentendosi così autorizzate ad imporre il proprio punto di vista senza doverlo argomentare fino in fondo.
Finchè si tratti di un esperto del settore, gli si può riconoscere al massimo un certo diritto ad impostare la questione nel modo che ritiene più corretto, ...
Mentre passava in mondovisione l’immagine dei leader del G20 riuniti per la foto di gruppo, mia moglie mi ha fatto notare che Berlusconi stranamente non c’era. Istintivamente ci siamo messi a guardare fra le gambe di quelli in prima fila, preoccupati che magari qualcuno l’avesse calpestato, ma abbiamo dovuto dedurre che l’unico posto in cui poteva trovarsi il nostro glorioso Premier era sotto le gonne di re saudita, dove probabilmente sorrideva e salutava felice, in attesa che accendessero le luci. Nel frattempo non ci eravamo accorti del vuoto enorme che troneggiava proprio al centro della composizione, indicando che quello spazio fosse chiaramente riservato per lui. Berlusconi meritava giustamente di entrare in scena dopo tutti gli altri, come il vero regista che sia rimasto dietro alle quinte fino all’ultimo, per dirigere al meglio il grande spettacolo della politica mondiale di cui lui stesso ha concepito e manda avanti ormai da anni con sapienza magistrale.
Per quanto ami restare nell’ ombra, non si può non accorgersi dell’importanza che rappresenti a livello internazionale quest’uomo così umile e riservato. Non c’è guerra d’invasione che si possa fare senza che lui sia invitato a partecipare, e non c’è una solo momento dello spettacolo che faccia spanciare dalle risate senza che lui ne sia il protagonista. Dalla scena del kapò alle avances al premier finlandese, dalla storica “mano sul pacco” di sapore scaramantico, al modo discreto con cui ha accolto ieri il suo nuovo acquisto per il Milan, Berlusconi occupa nelle vicende internazionali il posto di assoluta superstar. E non lasci ingannare la reazione scomposta della Regina d’Inghilterra, che è arriva a sbracciarsi come un camionista sotto gli occhi delle telecamere, solo per sottolineare la sua entrata in scena così perfetta e inappuntabile.
In confronto alla volgarità della Regina, la raffinatezza di Berlusconi è talmente evidente che esistono addirittura delle barzellette …
E’ possibile oggi pubblicare una notizia falsa in Internet? Non stiamo parlando di una notizia vera solo in parte (lo sono quasi tutte), e nemmeno di una piccola bugia nascosta in una grande verità. Stiamo parlando di inventarsi un fatto di sana pianta, dall’A alla Z, e poi immetterlo in rete perchè ci rimanga, senza che nessuno se ne accorga mai.
Confesso che ci ho provato – la notizia del “pesce d’aprile” del New York Times è a sua volta un pesce d’aprile, completamente inventato – ma vi confermo che la cosa non è affatto facile, ed è concepibile solo in condizioni estreme come questa.
Ormai in rete la possibilità di fare riscontri incrociati - grazie ai motori di ricerca - permette a chiunque di stabilire in pochi minuti se la notizia sia stata riportata anche altrove, o se appaia solo sul sito che la presenta. Se altri siti ne parlano, indicando fonti esterne, vuol dire che qualcun altro l'ha messa in rete. Questo non garantisce che la notizia sia vera, ovviamente, ma esclude almeno che l’inganno nasca dalla pagina che abbiamo di fronte.
Il problema infatti, per chi voglia provarci, è di superare lo scoglio delle prime 24 ore, senza che nessuno si accorga che sei l'unico a riportare quella notizia. Vi garantisco che si tratta di una solitudine terrificante: ti senti nudo e vulnerabile, sapendo che nel mare infinito di internet non c'è assoluamente nulla in grado di supportare quello che hai scritto ...
Rompendo una tradizione consolidata, che ha sempre visto i quotidiani più “seri” astenersi dal fare “pesci d’Aprile” ai propri lettori, ieri il New York Times ha pubblicato la notizia (solo nella versione on-line) del sorprendente passaggio di John McCain alle fila del partito democratico. Ecco la “cattura” della homepage del New York Times alle 5 del pomeriggio. (Qui la pagina originale in cache).
Sotto la scritta “BREAKING NEWS” (“Edizione straordinaria”) campeggia il titolo :“McCain passa ai Democratici”. Il testo dice: Un terremoto politico sta scuotendo la capitale dopo che John McCain ha annunciato ufficialmente il suo passaggio al partito democratico. In un breve comunicato stampa rilasciato oggi il senatore dell’Arizona dichiara: “Sono giunto a questa importante decisione dopo che i miei sforzi per raggiungere un consenso politico all’interno del mio partito sono ripetutamente falliti. Ritengo peraltro che molte delle posizioni che hanno caratterizzato la mia intera carriera politica sino riflesse anche dall’ala moderata del partito democratico. Voglio esprimere la mia profonda gratitudine ai leader repubblicani che mi hanno offerto un sopporto incondizionato durante gli eventi che hanno portato alla mia decisione finale” .
Sembra però che ci siano cascati in pochi (anchè perchè la data del 1° aprile sta in bella vista proprio sopra il titolo), mentre molti lettori si sarebbero lamentati per una caduta di stile così infantile e fuori luogo. Sta di fatto che entro le sette di sera il New York Times aveva già ritirato l’articolo, come se nulla fosse successo.
Quando ho chiamato per avere chiarimenti, ...
di Marco Cedolin
La crisi economica mondiale sta producendo una recessione che diviene ogni giorno più profonda. Stando alle stime dell’Ocse il Pil italiano scenderà del 4,3% (il calo medio previsto per l’area euro è del 4,1%) nel corso del 2009. La produzione industriale nel mese di marzo è diminuita del 20,1% rispetto a marzo 2008. Il tasso di disoccupazione è previsto in crescita nell’anno in corso dal 6,8 al 9,2%, per arrivare al 10,7% nel 2010. Perfino l’ottimismo modello Unieuro di Silvio Berlusconi sembra venire meno, di fronte al fatto che durante il G8 di Roma è stata ventilata la perdita di 20 milioni di posti di lavoro a livello mondiale entro il 2010.
Consumi che si contraggono notevolmente, fabbriche che chiudono o delocalizzano la produzione nei paesi a basso costo di manodopera, opportunità di lavoro che si riducono drasticamente, tenore di vita di molte famiglie in caduta libera, insofferenza sociale che in alcuni paesi (non l’Italia) sta iniziando a raggiungere il livello critico, sono tutti elementi di una nuova realtà, per molti versi antitetica rispetto a quella degli ultimi decenni del secolo scorso, vissuti all’insegna della crescita e dello sviluppo.
Alcuni elementi di questa nuova realtà, la diminuzione del Pil e della produzione su tutti, potrebbero indurre a credere che la profonda recessione (parola sdoganata solo di recente) in cui siamo entrati, somigli in fondo molto da vicino alla società della decrescita, ...
Molti indizi suggeriscono che sia ormai iniziata la terza fase nell’evoluzione della fondamentale figura del debunker nel dibattito in Internet. Dopo Arcadia e Medioevo, ora tocca al Rinascimento. La prima fase ha avuto luogo approssimatamente dal 2002 al 2004, la seconda dal 2005 al 2008, la terza è appena cominciata, con l'avvento del 2009. (A chi non avesse ben chiara la definizione di “debunker” consigliamo di riguardarla, prima di proseguire, nel suo stesso interesse. Si trova in coda all’articolo).
Per quanto Internet esistesse già da tempo (il cosiddeto Pleistocene), è stato indubbiamente l’11 settembre a trasformare la rete nel campo di battaglia globale che oggi conosciamo, dove si dibattono ormai tutti i più importanti argomenti che riguardano l’umanità. Falso terrorismo, scie chimiche, revisionismo storico, finanza internazionale, bugie mediatiche, poteri occulti, mafia medica, ecc. sono diventati tutti argomenti di scontro frontale fra chi trova ingiuste certe situazioni e chi invece vuole che restino immutate.
Nei primi anni, con l’insorgere di queste problematiche, il debunker visse un periodo relativamente sereno – detto appunto Arcadia – nel quale gli bastava bighellonare allegro per la rete, buttando ogni tanto quà e là un “ma non diciamo stupidaggini!”. (Corrisponde alla prima fase descritta da Schopenhauer nel comportamento della società di fronte a una scomoda novità: il dileggio).
Ma presto gli stessi debunker si resero conto che si trattava di problemi molto complessi e variegati, e dovettero organizzarsi seriamente per tenere a bada questo dilagare improvviso di ideologia destabilizzante.
Iniziarono così gli anni bui del medioevo, dove il sangue scorse a fiumi, le bestemmie coprirono le parole, ...
A prima vista la notizia pubblicata su Repubblica sembra sensazionale: "Hiv: ecco come ci attacca - Filmato per la prima volta il momento in cui il virus passa da una cellula malata a una sana."
Questo significherebbe, prima di tutto, poter chiudere definitivamente l’annosa polemica sull’esistenza stessa del virus che causa l’AIDS, nata dal fatto che era stata riscontrata una percentuale di malati di AIDS risultati negativi al test HIV.
Ora invece avremmo addirittura un filmato che lo vede in azione mentre contagia una cellula sana. Sarebbe come passare dalla favola romantica di Arsenio Lupin, tramandata oralmente da nonni a nipoti, alla sua irruzione effettiva in un reality show. Ecco il video presentato da Repubblica:
Leggendo meglio però scopriamo che “i ricercatori hanno creato un clone del virus dove hanno inserito una proteina che diventa verde con l'esposizione alla luce”.
Perchè mai – viene da chiedersi – avranno dovuto creare un clone, per fare l’esperimento? Non potevano iniettare la proteina direttamentre nell’originale? Forse l’originale non era colorabile di verde?
Perchè qui i casi sono due: o quello è davvero un clone - nel senso che è identico in tutto e per tutto – e allora non si capisce perchè non usare l’originale. Oppure quello non è un clone vero è proprio, …
Obama fa licenziare il capo della General Motors
La dura presa di posizione di Obama sugli aiuti federali per l’agonizzante industria automobilistica ha obbligato il direttore della General Motors, Rick Wagoner, a dare le dimissioni.
Un gesto più che altro simbolico (bastasse licenziare i direttori …), ma altamente significativo, perchè segna uno storico capovolgimento nei rapporti fra governo e settore privato in America. Nel tempio del capitalismo moderno un qualunque interferenza governativa nelle scelte del libero mercato equivale ad una bestemmia impronunciabile.
Fino a ieri infatti i boss delle tre grandi dell’automobile (Ford, Crysler e GM) erano riusciti ad ottenere gli aiuti federali ricattando la nazione con lo spettro di un disastroso effetto domino, che avrebbe colpito più o meno tutti se fossero affondati loro (in effetti, la produzione di auto supporta una notevole quantità di industrie minori, dalle quali a loro volta dipende un’infinità di piccole imprese private). Ma una volta incassato la prima tranche (ancora sotto Bush, ma con l’accordo dei democratici), i boss dell’auto hanno continuato serenamente a licenziare dipendenti, senza mostrare una particolare urgenza di ristrutturare le loro pachidermiche società e adeguare l’intero processo produttivo alle nuove esigenze di mercato. In tutto questo hanno anche mantenuto un atteggiamento sprezzante, presentandosi a Washington con i loro costosissimi jet privati, invece di usare normali aerei di linea.
Qualcuno ha cominciato a domandarsi come mai questi profeti del capitalismo debbano godere in maniera esclusiva di tutti i profitti industriali, ma siano poi così disponibili a condividere con l’intera popolazione il peso delle perdite. Ma loro hanno continuato impavidi a respingere le richieste della nuova amministrazione di introdurre precisi obblighi da parte loro, nella seconda tranche di finanziamento, mettendosi ad urlare “questo è socialismo” ...
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