Obama fa licenziare il capo della General Motors
La dura presa di posizione di Obama sugli aiuti federali per l’agonizzante industria automobilistica ha obbligato il direttore della General Motors, Rick Wagoner, a dare le dimissioni.
Un gesto più che altro simbolico (bastasse licenziare i direttori …), ma altamente significativo, perchè segna uno storico capovolgimento nei rapporti fra governo e settore privato in America. Nel tempio del capitalismo moderno un qualunque interferenza governativa nelle scelte del libero mercato equivale ad una bestemmia impronunciabile.
Fino a ieri infatti i boss delle tre grandi dell’automobile (Ford, Crysler e GM) erano riusciti ad ottenere gli aiuti federali ricattando la nazione con lo spettro di un disastroso effetto domino, che avrebbe colpito più o meno tutti se fossero affondati loro (in effetti, la produzione di auto supporta una notevole quantità di industrie minori, dalle quali a loro volta dipende un’infinità di piccole imprese private). Ma una volta incassato la prima tranche (ancora sotto Bush, ma con l’accordo dei democratici), i boss dell’auto hanno continuato serenamente a licenziare dipendenti, senza mostrare una particolare urgenza di ristrutturare le loro pachidermiche società e adeguare l’intero processo produttivo alle nuove esigenze di mercato. In tutto questo hanno anche mantenuto un atteggiamento sprezzante, presentandosi a Washington con i loro costosissimi jet privati, invece di usare normali aerei di linea.
Qualcuno ha cominciato a domandarsi come mai questi profeti del capitalismo debbano godere in maniera esclusiva di tutti i profitti industriali, ma siano poi così disponibili a condividere con l’intera popolazione il peso delle perdite. Ma loro hanno continuato impavidi a respingere le richieste della nuova amministrazione di introdurre precisi obblighi da parte loro, nella seconda tranche di finanziamento, mettendosi ad urlare “questo è socialismo” ... ... ogni volta che ne sentivano parlare. (Altri hanno parlato addirittura di “fascismo”, altri ancora di “dittatura”, ma sappiamo bene che da quelle parti sulla preparazione culturale bisogna un pò accontentarsi).
In ogni caso, le loro urla da principessa rapita hanno risvegliato nel popolo l’illusione di un capitalismo a ricchezza illimitata, e i repubblicani ne hanno subito approfittato per rispolverare il primo e unico comandamento del vero americano, “il dollaro è mio e me lo gestisco io”.
Ma è durata poco, poichè Obama ha fatto gentilmente notare che in questo caso il dollaro è del contribuente, per cui se volevano gestirlo i boss dell’auto a lui andava benissimo, ma dovevano farlo alle sue condizioni, visto che è lui è proprio la persona scelta dal contribuente per rappresentarlo.
Resisi conto che il ragionamento non era facile da confutare, i boss dell’auto hanno dovuto capitolare, mettendo finalmente la loro preziosa industria privata nelle mani del socialista dalla pelle di bronzo (e dalle palle d’acciaio, in questo caso).
Come dicevamo, è solo un gesto simbolico, e la situazione economica appare talmente intricata che nessuno di illude di vederla risolta in pochi mesi. Ma è un segno importante, poichè la salvezza degli americani passa soltanto dall’abbandono effettivo di una logica di competizione e di mercato controproducente oltre che obsoleta.
Obama nel frattempo continua a mandare messaggi confusi sulle sue vere intenzioni. Se da un lato si mostra responsabilmente impegnato a risollevare una economia sull’orlo del baratro, dall’altro la moglie semina l’orto della Casa Bianca come se si trovasse in un film di Walt Disney, mentre lui insiste per avere al più presto i finanziamenti per la parte più “idealistica” del suo programma (riforma scolastica e sanitaria), come se non vi fosse nulla di più urgente da risolvere. A volte appare centrato, lucido e responsabile, altre volte sembra vivere nel mondo dei sogni.
O forse lui sa qualcosa che noi non sappiamo ancora.
Massimo Mazzucco