Da un
articolo che voleva sottolineare gli aspetti positivi della legalizzazione della prostituzione è uscito un tale putiferio ideologico che impone di tornare sull’argomento - vista la sua importanza - per fare almeno un pò di chiarezza prima di lasciarlo definitivamente alle nostre spalle.
Tutto è nato dall’attributo di “civiltà”, riferito alla legalizzazione della prostituzione, che è stato percepito da alcuni come un assunto impostogli arbitrariamente, mentre a loro risultava tutt’altro che scontato.
Ne è scaturito un conflitto insanabile, che io ritengo vada attribuito ad una confusione iniziale fra due livelli completamente diversi della discussione: uno è quello del diritto individuale, l’altro è quello dei valori morali. Il livello del diritto è oggettivo, freddo e distaccato, ed è condivisible da chiunque, al di là delle opinioni di ciascuno. Caratteristica della legge infatti è proprio quella di essere “uguale per tutti” (almeno nelle intenzioni, si intende). Il livello morale invece è soggettivo, caldo ed emotivo, poichè comporta influenze di varia natura – culturale, psicologica, emotiva - che variano da persona a persona. I due livelli sono la testa e la pancia, la ragione e il sentimento, e quindi anche, per estensione, fatti e opinioni.
Sono due aspetti di fondamentale importanza nella vita umana, ma proprio per quello vanno tenuti rigorosamente separati nelle discussioni, poichè i valori morali, essendo soggettivi, finirebbero per togliere al processo analitico la caratteristica di oggettività che lo rende lo strumento, prezioso e insostituibile, che ci permette di vivere di comune accordo. Senza un parametro di riferimento oggettivo la mia opinione varrà sempre come la tua, e le nostre due varranno meno di niente. Non ci sarà quindi modo di derimere in modo soddisfacente una sola disputa che non comporti anche una valutazione soggettiva. Cioè praticamente tutte le dispute di questo mondo.
Nel nostro caso la confusione fra i due livelli è avvenuta nel momento in cui il termine “civiltà”, che era riferito ad un oggettivo passo avanti nella tutela del diritto individuale, è stato contestato in termini morali – cioè soggettivi – da chi percepisce la prostituzione con una particolare valenza negativa.
E poichè si trattava di un argomento che intacca svariati aspetti della nostra esistenza – sessualità, sfera affettiva, gratificazione personale, ... ... riconoscimento sociale, dignità dell’individuo - la confusione fra i due livelli non poteva che generare un pandemonio di pari estensione.
Da un certo punto in poi non solo è diventato impossibile capire chi avesse ragione, ma non si riusciva nemmeno più a capire “su che cosa” ciascuno cercasse di avere ragione. Tale è il danno che può fare ad un percorso logico l’inquinamento dei valori soggettivi, per quanto importanti e rispettabili possano essere.
Una cosa simile accade, in termini capovolti, quando ad esempio un articolo che critica l’invadenza della Chiesa nelle cose dello Stato (questione di diritto, oggettiva, qui con valenza negativa), viene contestato da qualcuno che la difende “perchè il cristianesimo è stato un elemento di grande importanza nella storia del nostro paese” (questione di giudizio, soggettiva, qui con valenza positiva). Il cristianesimo sarà stato tutto quello che si vuole, ma “di fondamentale importanza” rimane una opinione personale, mentre la frase “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” sta nella Costituzione, e questo è un fatto che nessuno può negare.
Bisogna riconoscere che nel caso della prostituzione c’è una forte attenuante per chi ha confuso i due livelli del problema, poichè è possibile vedere nella legalizzazione della prostituzione una forma di approvazione morale da parte della società, e quindi la rivalutazione di un fenomeno che rappresenta invece per molti - sottoscritto compreso - uno degli aspetti più vergognosi e degradanti.
Sembrerebbe quindi esistere una intersezione dei piani già nell’articolo stesso, che in questo modo obbligava il lettore ad estendere la valenza positiva del piano di diritto anche al piano morale, che per lui può invece essere negativa. Se così fosse, sarebbe assolutamente legittimo da parte di chiunque contestare l’articolo.
In realtà è solo una intersezione apparente, poichè “legalizzare” non significa affatto approvare in termini morali, ma semplicemente approvare in termini ... legali. Tant’è vero che in questi casi si parla anche di “decriminalizzazione”, e non certo di glorificazione.
Bisogna tenere presente che qualunque atto criminale è considerato tale solo perchè una precedente legislazione ha stabilito che lo fosse, ma nessun atto della natura si presenta già come “legittimo” o “illegittimo” di per sè. Lo decide l’umanità, nel corso del tempo, secondo criteri che mutano col procedere della sua evoluzione.
Quando si pose fine al proibizionismo, si “decriminalizzò” il consumo di certe bevande che fino ad allora erano considerate illegali, ma non per questo la società si mise ad applaudire la gente che si faceva scoppiare il fegato bevendo quattro bottiglie di wiskey al giorno.
Parimenti, la Nuova Zelanda non ha fatto una legislazione che preveda il parcheggio gratuito per i clienti più affezionati, nè ha stabilito incentivi economici per la prostituta che riesca a superare un certo numero di clienti nell’arco di 24 ore.
La Nuova Zelanda ha prodotto una legislazione con il chiaro intento di proteggere i diritti civili e l’integrità fisica della prostituta. Che poi approfitti della legalizzazione per incamerare qualche dollaro in più dalla prostituta è del tutto ininfluente, anche perchè si può sempre controbattere che quei dollari vengono sottratti proprio alla malavita che prima la controllava. Ma non si può comunque concludere che “lo stato prende il posto del magnaccia”, poichè legalizzando la sua professione lo stato ha semplicemente istituito con la prostituta lo stesso tipo di rapporto che ha già con tutti gli altri cittadini. (Mica lo stato si fa pagare le tasse solo da lei. Quindi, o prostitute lo siamo tutti – ma in senso reale, non solo figurato – oppure lei diventa un cittadino come tutti gli altri).
Restano quindi invariati i condizionamenti di tipo morale, sociale e culturale che potranno comunque portarla a scegliere di prostituirsi, invece di fare qualcos’altro, ma questo non cambia il fatto che le sia stato restituito il suo sacrosanto diritto alla libera scelta, tagliando alla radice il meccanismo che fino ad ora permetteva di imporle quella scelta ANCHE contro la sua volontà.
Non è poco, e non credo sia facile sostenere che il riconoscimento dei diritti civili dell’individuo - libertà di scelta e protezione dell'integrità fisica - non costituiscano un atto di “civiltà”. Nel caso, potremmo sempre chiedere di cambiare le definizioni nei vocabolari. Oppure ci si chiarisce prima sul senso dei termini più ambigui, in modo da non dover gettare alle ortiche l'intera discussione solo perchè c’era stato un malinteso di quel tipo.
Potrebbe accadere, ad esempio, che qualcuno ritenga il termine “civiltà” falsamente positivo, poichè la regolamentazione secondo lui è solo un modo diverso, sempre più subdolo e cinico, di prolungare all’infinito il processo di schiavizzazione dell’umanità. A quel punto basta fermarsi, chiarirsi bene sulla valenza da attribuire al termine, per poi reintrodurlo, con eventuali modifiche, nella proposizione originale, e non in una diversa. In questo caso, per la pace di tutti diremmo che:
La legalizzazione della prostituzione rappresenta un passo avanti nel rispetto e nella tutela dei diritti individuali, senza per questo garantire a chi ne beneficia un effettivo progresso nell’emancipazione di classe.
Ma non si può negare il progresso nel diritto civile solo perchè “comunque siamo tutti schiavi del sistema”.
Come già detto, “schiavo del sistema” è una opinione, che può variare da una persona all’altra, mentre il diritto di scelta acquisito dalla prostituta è un fatto oggettivo che nessuno può contestare.
In conclusione, per preservare la purezza del discorso logico bisogna cercare di restringere i termini ambigui fino ad eliminarli, e non aggiungerne altri, che finiscono solo per aumentare la confusione.
Una volta chiarita (al meglio delle mie capacità) la incompatibilità logica fra fatti e opinioni, si può passare a valutare le seconde, che sono fra l’altro molto più interessanti dei primi.
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Proprio perchè l’unione sessuale fra un uomo e una donna è un momento di fondamentale importanza per ogni essere umano – si tratta in realtà di una ri-unione, con la metà perduta a livello ancestrale, quando la funzione sessuale era ancora indifferenziata – è evidente che la sua bassa mercificazione, che nega l’aspetto spirituale dell’unione, e ne glorifica solo quello corporale, sia un segno di assoluta sconfitta per qualunque società che voglia definirsi “civile”.
A sua volta, la differenziazione sociale che ha relegato la donna in posizione di sudditanza ha radici antiche quanto quelle dell'umanità. Mentre esistono solo esempi fugaci di società matriarcali, il patriarcato è sempre stato la forma sociale prevalente nella storia, in tutte le epoche e a tutte le latitudini.
Chi vuole può avventurarsi fino alle radici della nostra evoluzione, per ritrovare già nello stadio animale la differenziazione originaria dei ruoli, fra maschio e femmina, che troviamo poi riflessa nello stadio più progredito. Ma differenziazione dei ruoli non significa supremazia di un genere sull’altro, ed è quindi evidente che un invisibile slittamento, da “diverso” a “inferiore”, debba essere stato operato in ambito prettamente umano (per fortuna ci stavamo “evolvendo”).
Di certo sappiamo che già la Bibbia rimarca lo status sociale inferiore della donna, mentre i Vangeli dei ”gentili” non hanno certo contribuito a migliorare la sua situazione.
In ogni caso, questo progressivo slittamento da “diverso” a “inferiore” ha obbligato la donna ad una costante rincorsa per riavere quello che nessuno avrebbe mai avuto il diritto di toglierle in primo luogo. E solo ultimamente si sono fatti passi di una certa consistenza in quella direzione.
Ma ancora negli anni ’70 mia madre rientrava a casa con le labbra viola e i piedi congelati, dopo aver passato 10 ore sotto la pioggia a raccogliere firme per la legalizzazione dell’aborto, con le compagne femministe, mentre si sentivano chiamare “puttane” e “zoccole” da dozzine di uomini di passaggio, senza che nessuno si sentisse in dovere di intervenire.
Si possono solo immaginare quindi le umiliazioni, l’indignazione e la frustrazione con cui abbia dovuto convivere la donna per secoli, prima di arrivare allo scontro frontale che le ha almeno restituito i più elementari diritti individuali.
Il caso dell’aborto, fra l’altro, viene utile per confermare quanto detto in precedenza sulla legalizzazione della prostituzione. Di fronte ad una realtà brutale quanto innegabile come quella dell’aborto clandestino, la sua decriminalizzazzione non è mai stata percepita come un plauso morale verso la donna che abortisce, nè di certo risulta aver incitato un maggiore ricorso ad un rimedio che rimane per la donna qualcosa di assolutamente contrario alla sua natura. Nel contempo 1) ha aumentato del mille per cento le sue probabilità di sopravvivenza (fra una sala operatoria sterile e un attaccapanni arrugginito c’è una certa differenza), 2) l’ha messa al riparo da qualunque persecuzione o ricatto di tipo legale, 3) le ha garantito un minimo di supporto psicologico in un momento così difficile (la donna che abortiva in passato veniva letteralmente abbandonata a se stessa, sia dai medici che molto spesso dai familiari), 4) l’ha tolta dalle grinfie di tutti coloro che approfittavano di questa situazione (falsi medici, levatrici improvvisate) per lucrarci sopra in modo vergognoso e ributtante.
Se quindi la legalizzazione dell’aborto non ha intaccato le radici culturali che normalmente portano la donna ad abortire in primo luogo (non potrebbe mai farlo in ogni caso, come vedremo fra poco), non credo esista una sola persona al mondo disposta a negare che abbia rappresentato un enorme passo avanti in termini di civiltà e di diritto individuale.
Non a caso scelsi di inaugurare questo sito proprio l’8 di marzo, in onore di mia madre e di tutte le battaglie che le donne avevano combattuto fino a quel giorno, in nome di tutte quelle che verranno dopo di loro. Lo feci però con un articolo che non si abbandonava alle facili retoriche di circostanza, ma che anzi metteva in guardia dall’inquinamento di tipo emotivo - false soddisfazioni, finalità distorte, rivincite futili - invitando a domandarsi se per caso il nemico della donna – che aveva appena subìto la più clamorosa sconfitta della storia – non avesse nel frattempo imparato a portare la gonna.
In altre parole, le stesse donne che negli ultimi tempi avevano preso la guida del movimento femminile – curiosamente, tutte donne “di partito” - sembravano averlo condotto su un binario morto, dove il vociare di tipo emotivo stava coprendo una lenta erosione sul campo di tutti i diritti da loro conquistati sulla carta.
Ecco quindi che una sana analisi oggettiva, protetta da qualunque inquinamento di tipo emotivo, avrebbe permesso di rilevare un eventuale meccanismo di ”gatekeeping” operato da infiltrate dello stesso sesso, che non sono rilevabili a livello emotivo. (Chi sospetterebbe mai che una donna sia contro un’altra donna, proprio sul terreno che le accomuna più intimamente? Se invece riesci a dimenticarti che ”è una femminista come te”, ed eviti che ti scoppi il cuore dall’orgoglio, magari riesci anche ad accorgertene).
Il percorso della donna continua, e la vasta diffusione della prostituzione nella nostra società indica che il traguardo sia ancora molto lontano da raggiungere. Ma non possiamo illuderci che siano le leggi a determinare, nel bene come nel male, una evoluzione sociale che ci porti più rapidamente a quel traguardo (sarebbe bello se bastasse proibire il furto perchè l’uomo smetta di rubare). La società si evolve per conto suo, con tempi e dinamiche sue, e le leggi possono solo cercare di adattarsi, riflettendo al meglio i suoi continui cambiamenti.
Le leggi seguono la storia, non la precedono. (Quante volte diciamo “quella ormai è una legge superata?” Ma anche quando diciamo “Ci vorrebbe una legge che…” significa solo che non è stata fatta quando bisognava farla, perchè gli eventi che la rendono necessaria sono già accaduti).
Oggi una certa crescita sociale, in un lontano paese del mondo, ha sentito il dovere di togliere almeno alla prostituta il suo fardello più ingombrante e doloroso: l’obbligo di prostituirsi in qualunque condizione, con chiunque e contro la sua stessa volontà.
Ora che è libera di scegliere, attendiamo che magari un giorno si renda conto di quanto contribuisca lei stessa allo squallore rappresentato dalla mercificazione di un atto di suprema importanza come l’unione sessuale, che svilisce in pari misura lei ed il suo cliente.
Se siamo tutti schiavi allo stesso modo, infatti, non è certo del potere in senso stretto – il banchiere vorace piuttosto che il massone satanico - ma di un meccanismo perverso che colpisce tutti nello stesso modo, avendo permesso al denaro di diventare, da un lato, la misura dell’accessibilità alle nostre aspirazioni più legittime, e dall'altro, la misura della violabilità dei nostri diritti più essenziali.
Abbiamo inventato di tutto ormai, meno il sentiero che porta alla nostra felicità.
Massimo Mazzucco
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