La Danimarca ha introdotto l’obbligo di utilizzare Bovaer, un additivo che dovrebbe diminuire le emissioni di gas metano nelle loro mucche da allevamento. Ascoltate cosa dice una allevatrice che ha iniziato a somministrare il Bovaer alle sue mucche.
(Cliccate sulla rotella per attivare la traduzione in italiano).
Ricordate Bill Gates? Quello che il cambiamento climatico sarà la più grande sfida dell’umanità di questo secolo? Quello che se non riduciamo drasticamente l’effetto serra siamo destinati a una catastrofe planetaria? Quello che l’aumento delle temperature porterà il mondo sull’orlo della distruzione? Quello che ha scritto addirittura un libro intitolato “Come evitare un disastro climatico”?
Ebbene, non è più così. Da ieri il cambiamento climatico non è più un problema grave. Lo ha detto lui, Bill Gates, in un lungo post intitolato “Tre dure verità sul clima: un modo nuovo di guardare il problema”.
“Mentre il cambiamento climatico continuerà a causare conseguenze – ha detto Gates – ciò non porterà alla scomparsa dell’umanità”. “La razza umana è molto resiliente, e comunque gli sforzi recenti per ridurre le emissioni hanno dato ottimi risultati”.
[Dai ragazzi, oggi facciamoci due risate]
Era glaciale in arrivo? L'allarme degli scienziati: il Nord Atlantico si sta raffreddando e la corrente del Golfo rischia il collasso
Un nuovo studio scientifico segnala un grave pericolo per l’equilibrio del pianeta: una delle correnti del Nord Atlantico, secondo gli esperti, si starebbe indebolendo progressivamente, con potenziali effetti catastrofici per l’equilibrio climatico. Come riporta Live Science, il collasso del complesso sistema di movimenti oceanici dell’Oceano Atlantico settentrionale potrebbe far precipitare il continente europeo in una nuova era glaciale.
Se c’è una regola che ormai ho adottato in modo permanente è questa: più la spiegazione per un evento anomalo è risibile, più è grossa la bugia che si vuole nascondere.
E quando sento dire che: "Secondo il gestore portoghese Ren (Rede Eletrica Nacional), a causa di variazioni estreme di temperatura nell'entroterra della Spagna, si sono verificate oscillazioni anomale nelle linee ad altissima tensione (400 kV), un fenomeno noto come 'vibrazione atmosferica indotta'" è chiaro che mi si drizzano le orecchie. Anche perchè di questo “noto fenomeno” su Google non c’è traccia. Le uniche citazioni che escono, cercando “vibrazione atmosferica indotta”, risalgono alle ultime 24 ore, ovvero si riferiscono alla notizia stessa circolata oggi, ma non esiste nulla in letteratura scientifica con quel nome.
In presenza di una spiegazione così improbabile, quindi, bisogna per forza fare ipotesi alternative.
Nei giorni scorsi ho visto diversi video, e letto svariati articoli, che suggeriscono come la rimozione sistematica delle vecchie dighe in Spagna abbia contribuito al disastro di Valencia.
Il concetto che sta alla base di questa accusa è molto semplice: qualunque invaso, artificiale o naturale che sia, può servire da “serbatoio” nel caso di pioggia eccessiva. E’ evidente che, quando su una vallata si riversano improvvisamente milioni di metri cubi di acqua, la presenza di uno o più invasi può servire a rallentare la discesa a valle di quest’acqua, almeno fino a quando non si siano riempiti del tutto.
Di certo è curioso che proprio la Spagna sia il “paese leader” in Europa nella rimozione delle dighe negli ultimi 20 anni.
[NOTA: Per “greenwashing” si intende “lavare tutto di verde”. Questa parola si ispira al termine “whitewashing”, che significa letteralmente 'sbianchettare', e che indica la grandi operazioni di insabbiamento mediatico].
di Costantino Rover
Negli ultimi anni, il greenwashing è diventato una pratica sempre più diffusa tra le aziende, che si appropriano del linguaggio della sostenibilità senza adottare azioni concrete per ridurre il proprio impatto ambientale. Sebbene il fenomeno sia noto, nuove inchieste e dati rivelano come questa strategia di marketing stia diventando sempre più sofisticata, inducendo in errore consumatori, investitori e regolatori. La tesi di Ilaria Nardo dell'Università di Padova sottolinea come il greenwashing non solo danneggi l’ambiente, ma distorca il mercato, creando un vantaggio competitivo per le aziende meno virtuose. Vediamo come questa dinamica si manifesta in settori chiave come la moda, la finanza, l’alimentare, l’elettronica e l’energia.
Abbiamo scelto questi esempi perché tra i maggiormente impattanti, ma il fenomeno del greenwashing è davvero trasversale e onnipresente.
Da parte del gruppo Comuni Contro Elettrosmog riceviamo questo articolo, con richiesta di pubblicazione.
Le onde elettromagnetiche e in particolare le 5G sono quel nemico subdolo che ti colpisce anche dietro un muro tanto sono penetranti e onnipervasive. E’ proprio per tale ragione che diversi cittadini ed associazioni si stanno battendo in Italia come in Europa e nel resto del mondo per esigere da governi scellerati e incuranti della salute dei loro popoli quantomeno una moratoria di almeno cinque anni prima dell’implementazione generale delle antenne trasmittenti le famigerate 5G, cosa che invece sta già avvenendo senza le previste autorizzazioni sanitarie.
Come annunciato dalla Associated Press, la Danimarca sarà il primo paese al mondo ad imporre ai suoi allevatori una tassa per le “emissioni di metano” dei loro animali (peti e rutti di mucche, pecore e maiali, sostanzialmente).
A partire dal 2030, gli allevatori danesi saranno tenuti a pagare una tassa di 300 corone (circa 40 euro) per tonnellata di anidride carbonica equivalente prodotta dai loro animali.
La misura naturalmente viene fatta passare sotto l’ombrello della “lotta al cambiamento climatico”, nel nome della quale ormai si può autorizzare praticamente qualunque cosa. Poco importa che la discussione scientifica sulle vere cause dell’aumento di CO2 sia tutt’altro che conclusa. Il mainstream ha già deciso che la colpa è del metano prodotto dalle mucche, e quindi si mettono nel mirino gli allevatori del settore.
Questo documentario spiega quanto siano discutibili le basi scientifiche che sostengono la tesi del “cambiamento climatico”, quanto sia forte la pressione dei media mondiali per far accettare questa tesi, e quanto sia difficile per certi scienziati mettersi contro la narrazione ufficiale.
di Maria Antonietta Pirrigheddu (attivista del Coordinamento Gallura contro la speculazione eolica e fotovoltaica)
Stavolta il solito ritornello “Ce lo chiede l’Europa” può andare a farsi benedire. L’Europa, infatti, ci chiede l’esatto contrario. Ma noi siamo italiani, facciamo a modo nostro e i ritornelli li usiamo quando ci conviene. Soprattutto se si tratta della Sardegna.
Già, la Sardegna, questa terra un tempo meravigliosa che nel giro di un paio d’anni probabilmente non esisterà più: l’intento è di trasformarla in un polo industriale, destinato a produrre energia elettrica da trasportare chissà dove.
Questi sono i programmi per noi, per il nostro sviluppo. E per salvare la terra dal cambiamento climatico. Eh sì, perché a quanto pare per salvare la terra è necessario smettere di coltivarla, togliercela e consegnarla alle multinazionali. Così il pianeta sarà salvo.
Per capire cosa sta accadendo dobbiamo partire dall’inizio, dalla cosiddetta Transizione energetica. Ovvero la necessità sacrosanta, che nessuno contesta, di smettere di utilizzare combustibili fossili come carbone e metano per la produzione di energia elettrica e transitare verso “fonti rinnovabili” come il sole, il vento e l’acqua.
Indipendentemente dalla reale entità del cosiddeto cambiamento climatico, resta il fatto che ad inquinare sono soprattutto i ricchi del famoso 1%. Articolo di Rinnovabili.it
In un anno, l’1% più ricco della popolazione mondiale, 77 milioni di persone, produce la stessa quantità di gas a effetto serra del 66% più povero, circa 5 miliardi di persone. Sono i numeri elaborati da Oxfam per dare forma alla disuguaglianza climatica e sottolineare quanto siamo ancora lontani da una transizione realmente equa e giusta per tutti.
L’ultimo rapporto dell’organizzazione no profit, “Climate Equality: A Planet for the 99%” si basa sui dati aggiornati al 2019 ed elaborati dallo Stockholm Environment Institute sulla produzione di emissioni globali a seconda della fascia di reddito. Da cui emerge un “divario netto” tra l’impronta di carbonio dei “super-ricchi” e quella del resto della popolazione mondiale.
Leggi tutto: Bovaer: l’allarme degli allevatori danesi