di Marco Cedolin
Tutte le volte che gli uomini politici di ogni risma e colore iniziano a suonare le grancasse dell’informazione, sostenendo attraverso l’uso di aggettivi roboanti la necessità di una nuova grande opera infrastrutturale che porterà sviluppo e benessere economico, sarebbe bene ricordare loro la triste vicenda del tunnel che collega Parigi e Londra correndo sotto la Manica.
L’Eurotunnel è il più lungo tunnel sottomarino del mondo, con i suoi 50 km dei quali 39 corrono sotto il fondale marino alla profondità media di 45 metri, la sua costruzione è durata 7 anni impegnando circa 15.000 lavoratori, con un tributo di 10 morti e 1300 feriti.
L’opera, inaugurata nel 1994, è costituita da tre gallerie parallele, due ferroviarie ed una di servizio nella quale possono circolare i mezzi su gomma preposti alla manutenzione e alle operazioni di soccorso.
La società Eurotunnel offre complessivamente quattro tipi di servizio: i treni passeggeri Eurostar ad alta velocità, i treni navetta per passeggeri, autoveicoli, camion e autobus con autisti a bordo, i treni navetta che trasportano camion su vagoni aperti senza gli autisti a bordo dei mezzi, i treni merci convenzionali che trasportano le merci in vagoni o container.
La vera ragione per cui Eurotunnel ha fatto e continua a fare parlare di sé non risiede però nelle sue misure da record o nell’audacia di un progetto avveniristico, ...
Con i “caucus” (le votazioni popolari) dell’Iowa, giovedì si aprono ufficialmente le primarie americane che ci daranno i due candidati per le presidenziali del prossimo autunno. Due candidati, e non tre, a meno che Ron Paul non decida all’ultimo momento di lasciare le fila dei repubblicani e di candidarsi come indipendente. Ma le probabilità in questo senso sono minime.
Sul fronte repubblicano sono emersi, nel corso delle ultime settimane, i due principali candidati che hanno messo fortemente in dubbio quella che sembrava una vittoria scontata per Rudy Giuliani. I due “rompiscatole” si chiamano Mitt Romney e Mike Huckabee: il primo è un mormone del Midwest che sembra uscito da “central casting” (l’agenzia di fotomodelli per le telenovelas), il secondo un “normale“ protestante dell'Arkansas che sembra uscito da un vecchio film di John Ford. In questi giorni stanno facendo a gara a chi è più bravo a citare la Bibbia, e nei sondaggi hanno talmente distanziato Giuliani – che probabilmente non l’ha mai nemmeno letta – che l’ex-sidaco di New York ha già smesso da tempo di spendere soldi nell’Iowa, per investire in altri stati il resto del suo budget elettorale.
Sul fronte democratico il panorama è altrettanto triste e insipido. Da una parte abbiamo una Clinton talmente controllata ormai in ogni sua minima espressione, vocale e facciale, da essere diventata un manichino prigioniero di se stesso. A contrastarla c’è un improbabile Barak Obama, ...
Siamo tutti “rivoluzionari”, siamo tutti più furbi degli altri, a noi non ce la racconta nessuno, i giornali e la TV manco più li guardiamo, e la storia abbiamo capito tutti che va riscritta da cima a fondo.
Ma quando arrivano le feste di fine anno ricadiamo tutti in un conformismo terrificante, e ci ritroviamo a scambiarci gli auguri come se vivessimo tutti all’interno di un numero speciale di “Famiglia Cristiana“.
Perché? Che cosa ci porta, dopo un anno vissuto all’insegna del più sano scetticismo autocritico, a ricadere in questo meccanismo “piccolo-borghese”, tanto logoro quanto apparentemente inevitabile?
Per riuscire a trovare una risposta, bisogna capire prima di tutto se pronunciando le fatidiche parole “Buon anno” ci auguriamo sinceramente che la persona che ci sta di fronte vada incontro ad un anno sereno e privo di sofferenze, oppure se in realtà del suo futuro non ce ne possa fregare di meno.
A giudicare dalla frequenza con cui ci interesseremo, nel corso dell’anno che viene, alle sue condizioni di vita, sembrerebbe sicuramente che la frase sia una pura e semplice formalità. Eppure, nel momento in cui la pronunciamo esiste - almeno nella grande maggioranza delle persone, mi sembra di capire - un sincero desiderio di bene rivolto all’altro. È chiaro che poi non si può passare il tempo a preoccuparsi di come stanno davvero tutte le persone a cui abbiamo augurato buon anno il 31 dicembre scorso, ma questo non toglie che nel momento di fare quegli auguri ...
LA STIRPE DEI RE
di Marco Pizzuti
Introduzione
L’origine della casta sacerdotale egizia e dei suoi faraoni rimane un enigma storico intricato da sciogliere poiché la sua formazione risale a tempi così remoti da non averci lasciato sufficiente memoria archeologica. I documenti di cui disponiamo infatti, sono solo quelli emersi dalla tradizione egizia, la quale rimanda l’instaurazione dell’elite dominante più antica d’Egitto ai c.d. "seguaci di Horus". Questi ultimi però, stando alla scuola di pensiero ortodossa, non sarebbero mai realmente esistiti, in quanto parte integrante della mitologia egizia. Questo non esclude però che si sia effettivamente trattato degli ultimi superstiti di un evoluto gruppo etnico proveniente dall’esterno, che avrebbe svolto il ruolo di civilizzatore degli altri popoli dopo l’ultima glaciazione.
Di certezze, quindi, ce ne sono poche, e la stessa genesi della prima aristocrazia egizia è rimasta da tempo confinata nell’enorme calderone delle congetture accademiche. Tuttavia, qualche punto fermo c’è, ed è possibile partire da questi per trarre qualche interessante conclusione.
Le migrazioni dei popoli nel processo di deglaciazione
In tempi assai remoti la sopravvivenza della civiltà umana è stata messa a dura prova dagli assestamenti climatici che seguirono l’era glaciale. La nostra specie quindi precipitò più volte nel caos, proprio come descritto dalle tradizioni che riportano la storia del c.d. diluvio universale. Pertanto è assai probabile che nel processo di "ricostruzione", l’etnia più avanzata abbia svolto un ruolo civilizzatore ...
Dopo essersi trovato più volte faccia a faccia con i pezzi grossi neocons (vedi filmato in coda), Ray McGovern ha scelto di rincarare la dose, schierandosi apertamente per l’impeachment (*) di Dick Cheney e George W. Bush.
Ray McGovern non è un “qualunque” agente della CIA che ha deciso di schierarsi contro l’amministrazione Bush: nella sua carriera quasi trentennale è stato a lungo incaricato dei “daily briefings“ presidenziali, sia per Ronald Reagan che per George H. Bush (padre di George W.). I “daily briefings” sono il rituale incontro, che avviene ogni mattina alle 8 alla Casa Bianca, nel quale alti personaggi della CIA e dell’FBI aggiornano il presidente sulle novità delle ultime 24 ore. E’ un compito delicatissimo e super-riservato, ovviamente, e coloro che ne sono responsabili hanno letteralmente in mano il futuro della nazione, in quanto controllano di fatto le informazioni di cui dispone – oppure “non” dispone – il presidente. Nei momenti cruciali i daily briefings vengono tenuti direttamente dagli stessi capi della CIA e dell’FBI.
Se c’è quindi un ex-agente CIA che sa bene di cosa parla è certamente Ray McGovern.
In una conferenza tenuta ieri alla Biblioteca Pubblica di Porthsmouth, McGovern ha sostenuto che ormai i capi d’accusa per dare inizio a un processo di impeachment contro l’attuale presidenza sono “overwhelming”, cioè “strabordanti”, sovrabbondanti, travolgenti.
In effetti, qualunque avvocatucolo fresco di laurea potrebbe oggi mettere insieme un quadro di accusa che comprenda i seguenti capi di imputazione:
1 - Aver violato il Charter delle Nazioni Unite, lanciando una guerra di aggressione illegittima contro l’Iraq, dopo aver ingannato il pubblico e il Parlamento con false motivazioni, e mettendo inutilmente a rischio l’incolumità dei propri militari.
2 - Aver violato leggi nazionali e internazionali autorizzando la tortura di migliaia di prigionieri, tenendo poi i medesimi nascosti ...
Se un inventore si presentasse in un centro di ricerca sul cancro con una specie di “raggio spaziale” fatto in casa, sostenendo che con questo aggeggio riesce a colpire i tumori e ucciderli dovunque essi siano, nella migliore delle ipotesi riceverebbe uno sputo in un occhio. Nella peggiore finirebbe invece sotto processo per tentata frode ai danni dei malati di cancro, poichè il suo metodo “non è scientificamente dimostrato”.
Se invece l’idea viene agli “scienziati” quelli veri, e se la macchina, invece di essere un alambicco fatto con quattro lattine di pelati e due fili del telefono, fosse un “acceleratore di protoni” dell’ultima generazione, allora gli ospedali di mezza America si getterebbero a capofitto per essere i primi a poterne disporre, e del fatto che il metodo “non sia scientificamente dimostrato” se ne batterebbero tutti sonoramente le ali.
Perchè questa differenza? In fondo, nessuno dei due metodi dà la minima garanzia di successo: perchè quindi scartare a priori che l’inventore possa essere il genio del millennio, e non presupporre che quelli dell’acceleratore stiano invece per prendere la millesima cantonata dell’ultimo secolo?
E’ molto semplice: perchè il baracchino artigianale è costato all’inventore ventidue dollari più le tasse, ...
Un servizio radiofonico della BBC da Gaza sintetizza forse al meglio quel desiderio inespresso di giustizia e di pace che tutti più o meno proviamo con l’avvicinarsi del Natale.
Con uno spietato accento inglese, il reporter racconta che si sta recando all’appuntamento per intervistare Padre Manuel Musallam, prete cattolico, leader e punto di riferimento della comunità cristiana all’interno di Gaza.
Ad un certo punto vede arrivare un’auto, che si ferma e viene immediatamente circondata da diversi mezzi della polizia, dai quali saltano fuori uomini armati che fanno subito cerchio attorno a Musallam.
Sono gli uomini di Hamas, i terribili “jihadisti” che controllano Gaza, e che dovrebbero – secondo la nostra dozzinale iconografia mediatica – passare il tempo a tagliare la testa ai cristiani, violentare le loro donne, e convertire i loro figli all’Islam sotto la minaccia della scimitarra.
Invece si accertano che nessuno tocchi Musallam, ...
Leggi tutto: Eurotunnel: un disastro economico caduto nell’oblìo