Brunettini, Corallo, Chiappara; Casamento, Simone, Di Salvo; Guglielmini, Lo Presti, Savoca (G.), Savoca (V.) e Lo Ve.
Non è la nuova formazione a tridente della Casertana, ma la lista dei mafiosi arrestati nella retata internazionale di ieri compasa sul
sito della BBC , e non soltanto. Sarebbero oltre 90 gli arrestati nella cosiddetta “Operation Old Bridge” (“Vecchio Ponte), un’azione congiunta di polizia americana e italiana tesa a distruggere un tentativo da parte di Cosa Nostra di rinverdire il periodo d’oro degli anni ’80, in cui la droga fluiva senza intoppi da Palermo a New York, sotto l’occhio vigile di John Gotti e della famiglia Gambino.
Si potrebbero perdere ore a fare illazioni sui veri motivi di una retata così volutamente clamorosa, e di certo suscita curiosità il fatto che Rudy Giuliani proprio di recente sia uscito dalla gara presidenziale, rimanendo così libero di tornare a “fare i conti” con quelli che gli avevano affondato l’amatissimo Bernard Kerick, e con lui probabilmente le speranze stesse di Rudy di diventare presidente. Non a caso ci sono andati di mezzo proprio i Gambino, nemici giurati di Rudy sin dai tempi in cui Gotti votò per far uccidere l’ex-sindaco di New York.
Ma c’è in altro aspetto della notizia che merita forse ancora più attenzione, ed è quella ingombrante patina di pregiudizio che sembra ormai traspirare dagli articoli internazionali, ... ... ogni volta che si parla di noi italiani.
Sarà infatti un caso, ma le ultime – e uniche - volte in cui si è parlato dell’Italia sulle prime pagine del mondo furono, in ordine di tempo, le assurde elezioni di due anni fa (qualcuno ci definì elettori “compulsive”, assuefatti alle urne), il V-day di Beppe Grillo, e la spazzatura di Napoli.
Cioè il ridicolo più evidente, il vaffanculo più rancoroso, e la vergogna più umiliante.
E prima di quelle, l’ultima volta che si era parlato di noi fu per l’exploit di Berlusconi a Strasburgo, dove il neo-eletto presidente del parlamento europeo non trovò di meglio che dare del “kapò” a un deputato tedesco che lo aveva criticato.
E ora, mafia e droga connection, il più classico dei classici da antologia.
Tutti sappiamo che nessuno al mondo è immacolato, nessuno può permettersi di scagliare la prima pietra, e se la CIA non traffica lei stessa in droga a livello planetario io sono Padre Pio travestito da Biancaneve. Ma per un motivo o per l’altro la pessima reputazione ce la portiamo stampata addosso sempre e soltanto noi. Perchè?
Quando Marlon Brando osò dire, da Larry King, che “l’industria cinematografica è interamente controllata dagli ebrei”, si scatenò un finimondo, e scesero in campo tutte le più importanti organizzazioni ebraiche, capitanate dall’ inossidabile Abe Foxman della ADL, per far ritirare a Brando quella insinuazione insolente e infondata.
Era così vero, infatti, che gli ebrei nel cinema non hanno potere, che il grande Marlon Brando - l’attore che aveva rifiutato sdegnoso un Oscar nel nome dei pellerossa trucidati, l’inarrivabile star che viveva seclusa su un’isola di sua proprietà, l’uomo che poteva permettersi di dire no a chiunque - fu costretto a porgere le più umili scuse nell’arco di sole 24 ore.
Mentre quando noi veniamo dipinti con il solito clicheè di “pizza, mandolino e lupara” (la variante, regalatami da un taxista di New York, è “Ahhh, Italian: the pope, pizza and Sophia Loren!”), nessuno batte ciglio, e nessuno si sente in dovere di ricordare al mondo alcuni “mafiosi” come Caravaggio, Leonardo e Michelangelo, oppure come Dante, Petrarca e Boccaccio (Tagnin-Guarneri-Picchi, Jair-Mazzola-Milani-Suarez-Corso, appunto).
Forse è la nostra stessa natura di guitti di palazzo, che ci ha portato nei secoli ad inchinarci ipocritamente ad ogni potente di passaggio, che impedisce ora ad un sano orgoglio nazionale di ribellarsi a questa immagine da decalcomania in cui viviamo confinati.
Forse siamo veramente dei servi per natura, più propensi a farci le scarpe l’uno con l’altro, pur di ottenere il favore del potente a discapito del nostro simile, invece di unirci e fottere lui come si meriterebbe, fino in fondo e una volta per tutte.
In fondo, siamo noi i buffoncelli senza spessore che hanno iniziato – unico caso nella storia, a quel che mi risulta – una guerra su un fronte e l’hanno finita su quello opposto. E che oggi continuano a pagare profumatamente per quell’onorevole gesto: è dal giorno del Piano Marshall che noi siamo gli sciuscà, i lustrascarpe dell’imperatore, quelli a cui puoi far fare quello che vuoi, quando vuoi e come vuoi.
Ci abbattono le funivie per divertimento, e noi dobbiamo stare zitti. Ci ammazzano Calipari “per errore”, e noi dobbiamo stare zitti. E persino la mafia deve adeguarsi a questo ruolo ambiguo e poco onorevole, mosso chiaramente dall’opportunismo più bieco: quando erano utili per organizzare un “tranquillo” sbarco in Sicilia, i mafiosi furono elevati addirittura a livello di “partner di guerra”, quando invece serve, per qualunque motivo, toglierseli momentaneamente dai piedi, ecco che in TV mandano “Il Padrino” venti volte di seguito, e gli arrestati finiscono alla pubblica gogna della stampa internazionale.
Massimo Mazzucco
[Nota: Per quanto lo ritenga superfluo, ricordo che quando dico “italiani” non mi riferisco a tutti i 60 milioni di nostri connazionali, ma a un generico modo di essere che ne ha caratterizzato, da sempre, una buona maggioranza. M.M.]
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