di Maurizio Blondet
Chi crede che esista una volontà pubblica di instillare la teoria del “gender” negli scolari è: “bigotto”, “sessuofobo”; uno che ha problemi di gestione della sua sessualità; uno che crede ai “Protocolli dei savi di Sion”, un “imbranato”, “cialtrone e infinitamente stupido”: con questi pacati e ragionevoli argomenti tal Nicoletti, su Radio 24, ha provato a combattere – con furia, violenza e malanimo sospetti – la preoccupazione dei genitori allarmati di ciò che verrà insegnato loro a scuola.
Intervista alla ministra Giannini, che ha minacciato di conseguenze penali di “diffonde la calunnia”; perché no, a scuola non si insegna la teoria del gender, ma solo la “sensibilizzazione alla parità dei sessi”; saranno lezioni “contro l’omofobia”; contro “la cultura della discriminazione”. Poi il Nico dà la parola al “sessuologo Emmanuele Iannini”, presentato sobriamente come ”uno dei sessuologi più conosciuti nel mondo, una delle nostre eccellenze scientifiche”.Sottinteso: non osate di criticarlo voi, ignoranti.
E così sono state dispiegate le due tenaglie con cui il potere riesce a schiacciare le idee e informazioni proibite: le Procure penali e la cosiddetta autorità scientistica. Lo fanno con chi prova a studiare l’Oloché, lo fanno con chi ha obiezioni sull’evoluzionismo darwinistico, e adesso, coi genitori che si vedono privati dallo Stato del loro diritto primario ad educare i propri figli secondo natura. Diritto che si limitano a delegare alloStato, e di cui invece lo Stato si appropria.
Il gioco è stato facile, ascoltatori al telefono non avevano dati precisi da portare, il Nicò li trattava da bigotti, sessuofobi e cialtroni, e ripeteva: “La teoria gender non esiste, non è mai esistita”. [...]
Lo sapete perchè la Merkel ha sentito un improvviso bisogno di far entrare i migranti in Germania? Per spirito umanitario? Ma non diciamo stupidaggini. Per un alto dovere morale? Ma nemmeno per sogno. Per dare il buon esempio al resto dell'Europa? Ma non facciamo ridere i polli.
Lo ha fatto per tornare a riempire i campi di concentramento.
Non è una battuta. La Grande Germania, che si è appena impegnata davanti al mondo ad investire 6 miliardi di euro per ospitare i rifugiati, non ha trovato di meglio che riaprire le porte di Buchenwald a 21 migranti richiedenti asilo.
L'alibi ovviamente esiste: "non sapevamo dove metterli", "la cosa naturalmente è provvisoria", e poi "non sono certo le stesse baracche che esistevano al tempo del nazismo". [...]
La pubblicazione della fotografia del bambino morto sulla spiaggia della Turchia ha provocato un vero e proprio cortocircuito mediatico, a livello mondiale, che dura ormai da oltre 24 ore.
Il cortocircuito inoltre ha messo sullo stesso piano due aspetti completamente diversi del problema: il primo riguarda il problema etico di pubblicare o meno in prima pagina una immagine come quella che tutti abbiamo visto. Il secondo aspetto riguarda le conseguenze che tale pubblicazione avrebbe causato a livello politico mondiale.
In altre parole, da una parte si discuteva se fosse giusto o meno pubblicare questa immagine, dall'altra si cercavano di decifrare le conseguenze che questa pubblicazione avrebbe portato nel mondo.
Questo pasticcio comunicativo ha generato situazioni in certi casi addirittura ridicole: ad esempio, al telegiornale de LA7 di ieri sera Enrico Mentana ha speso circa tre minuti per spiegare al pubblico perché loro avessero scelto di non mostrare quell'immagine: "Non aggiungerebbe nulla a ciò che già sappiamo -diceva Mentana - Il nostro scopo non è quello di provocare emozioni, ma di fare informazione".
Salvo essere smentito, un quarto d'ora dopo, sullo stesso canale dalla trasmissione "In onda", [...]
di Maurizio Blondet
Addio locomotiva dell’economia globale. La Cina cade in recessione. Ineluttabilmente. La sua leadership “potrà dirsi fortunata se riuscirà a ridurre la sua crisi ad una mera stagnazione con crescita zero o quasi nei prossimi dieci anni. Sarà un successo politico”: così il professor Zhiwu Chen della Yale University in una riunione del Council on Foreign Relations, ha proposto come modello quasi ideale – in confronto al peggio che può accadere a Pechino – il tristissimo “Decennio Perduto” del Giappone, con le banche zombificate tenute in vita col cannello dalla banca centrale.
Ciò farà rallentare la crescita globale a un 2%, che è di fatto, recessione.
“La sola cosa che può fermare la Cina sulla via della recessione è un grosso stimolo di bilancio inteso ad aumentare i consumi, finanziato dal governo centrale, preferibilmente monetizzato dalla Banca centrale cinese”. Questo, l’ha detto Willem Buiter, economista-capo di Citigroup, nella stessa riunione del CFR.
Ambrose Evans-Pritchard del Telegraph, che riporta le suddette dichiarazioni, nota: ciò equivale ad invocare che la Cina applichi la “Corbynomics”.
Corbynomics?
Jeremy Corbyn è il vecchio nuovo astro nascente della Sinistra britannica. Antico nemico di Tony Blair, sta scalando i sondaggi dando nuove speranze al Labour Party, con proposte economiche tipo: [...]
Fabio Mini: Generale di Corpo d’Armata, capo di Stato Maggiore della NATO, capo del Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani e comandante della missione in Kosovo.
di Enzo Pennetta
Gen. Mini, nel suo libro “La guerra spiegata a…” afferma che non esistono guerre limitate, o meglio che una potenza che si impegna in una guerra limitata ne prepara in realtà una totale. Nell’attuale situazione di conflittualità diffusa, che sembra seguire una specie di linea di faglia che va dall’Ucraina allo Yemen passando per Siria e Irak, dobbiamo quindi aspettarci lo scoppio di un conflitto totale?
La categoria delle guerre limitate, trattata dallo stesso Clausewitz, intendeva comprendere i conflitti dagli scopi limitati e quindi dalla limitazione degli strumenti e delle risorse da impiegare. Doveva essere il minimo per conseguire con la guerra degli scopi politici. E la guerra era una prosecuzione della politica. Erano comunque evidenti i rischi che il conflitto potesse degenerare ed ampliarsi sia in relazione alle reazioni dell’avversario sia in relazione agli appetiti bellici, che vengono sempre mangiando. Con un’accorta gestione delle alleanze e delle neutralità, un conflitto poteva essere limitato nella parte operativa e comunque avere un significato politico più ampio. Oggi la guerra limitata non è più possibile neppure in linea teorica: gli interessi politici ed economici di ogni conflitto, anche il più remoto e insignificante, coinvolgono sia tutte le maggiori potenze sia le tasche e le coscienze di tutti. La guerra è diventata un illecito del diritto internazionale e non è più la prosecuzione della politica, ma la sua negazione, il suo fallimento. Nonostante questo (o forse proprio per questo) lo scopo di una guerra non basta più a giustificarla e chi l’inizia, oltre a dimostrare insipienza politica, si assume la responsabilità di un conflitto del quale non conosce i fini e la fine. [...]
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