C'è una differenza abissale - forse incolmabile - fra quello che noi pensiamo che accada in Iraq, o in Afghanistan, e quello che davvero succede, giorno dopo giorno, su un teatro di guerra come quelli.
La nostra percezione della guerra subisce almeno tre filtri, prima di cristallizzarsi in qualche maniera nella nostra mente: il primo filtro è quello di colui che ci racconta le cose, il reporter "embedded" che probabilmente sceglie già in partenza in maniera da escludere tutto ciò che sarebbe inaccettabile ai nostri occhi. Poi c'è il filtro di chi le immagini le riceve, in America, e le rimette in onda per il mondo intero: direttori di telegiornale strapagati proprio perchè sanno a loro volta modulare, smussare, e confezionare per il proprio pubblico il messaggio comunque "crudo" che arriva dal fronte. Infine c'è il filtro dei nostri occhi e della nostra mente, che di fronte al televisore vogliono vedere e sapere soltanto quello va bene a ciascuno di noi di vedere e di sapere. Quasi sempre molto poco, se non nulla del tutto.
Solo in questo modo è possibile spiegare lo spiazzamento totale che ci coglie nell'osservare il breve filmato che segue (non ci sono immagini cruente). Anzi, questo filmato ci informa che c'è sicuramente un quarto filtro da tenere assolutamente in conto: quello che devono aver raccontato gli uomini di Rumsfeld a questi poveri soldati americani, per averli ridotti ad agire come agiscono. Si, ho scritto "poveri soldati americani", …
Quante volte avremo sentito dire "chissà quante persone bisogna coinvolgere per riuscire a tenere a terra un intero sistema di difesa come quello americano?"
La risposta pare essere sorprendente: una sola persona, in realtà.
Facciamo un piccolo passo indietro: nel giugno del 2001, nonostante da dieci anni non si fosse verificato un solo caso di dirottamento nei cieli americani, il nuovo Ministro della Difesa Donald Rumsfeld decide di cambiare certe procedure che riguardano proprio i dirottamenti nei cieli di casa propria.
(articolo riportato in testa - aggiunto video, segnalato da Massimo Gariano)
di Ashoka
Ad ascoltare le parole del nostro premier, Romano Prodi, sembra che ci sia piena sintonia tra governo italiano e quello israeliano.
Alla conferenza stampa congiunta con Olmert, nella cornice di Villa Madama, il leader dell'Unione ha tracciato il percorso per riprendere il processo di pace tra Israele e Palestina:
“Italia e Israele – ha detto Prodi, sono fortemente impegnati per la stabilità e la pace in tutta l'area, in conformità di alcuni principi essenziali, che sono i principi della Road Map, da cui né l'Italia né Israele si possono e si vogliono staccare”.
Un progressivo avvicinamento tra le parti ci potrà essere, sempre secondo Prodi, soltanto “attraverso la rinuncia alla violenza e secondo il principio del riconoscimento dello stato di Israele, del suo riconoscimento come stato ebraico”.
Riconoscimento di Israele come stato ebraico e rispetto dei principi espressi dal “Quartetto di Madrid” (Usa, Ue, Russia e Onu) ...
Un interessante sondaggio di Gallup ha voluto mettere a confronto il presidente Bush con i cinque presidenti che lo hanno preceduto - Bill Clinton, George H. Bush (il padre), Ronald Reagan, Jimmy Carter, e Jerry Ford - sotto l'interrogativo "come parlerà di loro la storia?" Evidentemente Gallup non se l'è sentita di porre la domanda rispetto al solo presidente in carica.
Per la palma d'oro assoluta - di quale dei cinque la storia parlerà meglio - Ronald Reagan l'ha spuntata di poco su Bill Clinton, 46% contro 44%. Sono sempre stati, d'altronde, le due star indiscusse del mausoleo repubblicano e democratico. Agli altri quattro presidenti sono rimaste solo le briciole: Jimmy Carter ha riportato comunque un elegante terzo posto (5%). Bush figlio (3%) ha sorprendentemente battuto il padre (1%), che condivide l'ultimo posto con il poco amato Gerry Ford (1%). Di lui dicevano, tanto per capirci, che non riuscisse a camminare e a masticare la gomma americana nello stesso momento (però l'assoluzione immediata per il detronizzato Nixon è riuscito a firmarla correttamente).
Il peggiore giudizio della storia pare invece riservato proprio al nostro "Dubia", che si porta a casa un bel 66% di voti negativi, …
La storia ogni tanto ci regala dei paradossi davvero sorprendenti. Chi avrebbe mai pensato che la Germania di Norimberga si sarebbe ritrovata, solo una sessantina di anni dopo, a difendere a spada tratta una "verità storica" che fino quel momento avrebbe tanto volentieri evitato di riconoscere?
Eppure ieri quella di Angela Merkel è stata una delle voci che maggiormente si è fatta sentire nell'esprimere la propria "indignazione" per le affermazioni sull'olocausto fatte dal presidente iraniano Ahmadinejad. Ma anche Blair non si è fatto pregare, definendo l'episodio "incredibilmente scioccante", mentre il nostro Massimo D'Alema ha preferito il grigio neutro di "una cosa inqualificabile". Grandiosa poi la Santa Sede, che ci ha fatto sapere che l'olocausto "è stata una immane tragedia, dinanzi la quale non si può restare indifferenti".
Ma in realtà questa ridicola sceneggiata che si sta svolgendo sul palcoscenico internazionale è costituita da tre grandi menzogne, che stanno perfettamente incastrate una nell'altra.
La prima menzogna sta nel modo in cui i media occidentali hanno riportato la notizia, mettendo l'accento soltanto sull'aspetto estremista e provocatorio del discorso di Ahmadinejad. Rileggendo le sue parole notiamo infatti …
di Marco Cedolin
E’ passato un anno da quando l’8 dicembre 2005 i valsusini e gli amici accorsi loro in aiuto da ogni angolo d’Italia, invasero a decine di migliaia, i prati di Venaus, travolgendo come un fiume in piena il cantiere dell’alta velocità e le forze dell’ordine che lo presidiavano. Quell’esercito di gente comune, di operai e impiegati, di studenti e anziani, di ragazzi dei centri sociali e di mamme con la carrozzina, non spazzò solo l’arroganza dei gruppi di potere del cemento e del tondino e la prevaricazione dei partiti politici che attraverso la militarizzazione della Valle e le manganellate intendevano imporre con la forza un progetto senza senso.
Le decine di migliaia di persone che l’8 dicembre scesero a Venaus per dire “Basta” dimostrarono che anche quando un futuro fatto di morte e devastazione viene imposto con la violenza da chi detiene il potere è possibile ribellarsi ...
«Signor Marks, in nome della sezione precrimine di Washington D.C. la dichiaro in arresto per il futuro omicidio di Sarah Marks e Donald Dubin che avrebbe dovuto avere luogo oggi 22 aprile alle ore 8 e 04 minuti.»
Così parlò Tom Cruise, alias agente John Anderton della sezione precrimine, in Minority Report, film di fantascienza del 2002, diretto da Steven Spielberg.
Fantascienza? No, è solo l'ultimo passo dello stato di polizia in Gran Bretagna.
Con la morte di Augusto Pinochet si chiude per il Cile - e in un certo senso per tutto il Sudamerica - il periodo storico delle dittature militari e dei cosiddetti "desaparecidos". Supportato apertamente da Kissinger (Nixon era già quasi sempre ubriaco, in quel periodo), il colpo di stato in Cile porta una data molto particolare, 11 settembre 1973, che condivide con un terzo giorno nero della storia moderna, quello del massacro di Sabra e Chatila (11 settembre 1982). Come si può vedere dai documenti desecretati che pubblichiamo, la preparazione del "golpe" era stata lunga e laboriosa, e risale ad ancora prima che Allende venisse ufficialmente proclamato presidente, dopo aver vinto di stretta misura le elezioni del 1970.
E' la CIA stessa a fornirci dettagli interessanti, dalla "ricostruzione" dei fatti naturalmente molto particolare che si trova sul loro sito ufficiale. Già la frase introduttiva è tutto un programma: "In the 1960s and the early 1970s, as part of the US Government policy to try to influence events in Chile, the CIA undertook specific covert action projects in Chile. The overwhelming objective—firmly rooted in the policy of the period—was to discredit Marxist-leaning political leaders, especially Dr. Salvador Allende, and to strengthen and encourage their civilian and military opponents to prevent them from assuming power.
L'episodio della mozione di impeachment che Cinthya McKinney ha lasciato "in eredità" ai suoi compagni di partito, prima di abbandonare un Parlamento che non l'ha più voluta sui suoi seggi, introduce l'eterna questione del conflitto fra gli ideali assoluti e la necessità di rinunciarvi in cambio di un qualche risultato pratico. Specularmente, la sua posizione ricorda quella di Micheal Moore con il suo film "Fahrenheit 911", da una parte elogiato per aver portato a conoscenza del vasto pubblico americano il problema 11 settembre, dall'altra criticato per avere detto soltanto mezza verità. Se avesse provato a dirla tutta - questo è il cuore del dilemma - il film sarebbe uscito lo stesso, o rischiava a quel punto di restare per sempre sugli scaffali del produttore? Moore ha preferito non rischiare, McKinney lo ha voluto fare.
Idealismo contro pragmatismo, quindi, ovvero ricerca del compromesso.
Cinthya McKinney è il deputato (uscente) della Georgia che negli ultimi anni ha continuamente messo i bastoni fra le ruote al processo collettivo di insabbiamento, a livello governativo, della questione 11 settembre. Mossa da principi innegabilmente cristallini, McKinney ha saputo farlo con estrema efficacia, ...
di Ashoka
Se c’è qualcuno che al Congresso degli Stati Uniti non ha mai creduto che l’attacco dell’11 Settembre sia stata “una completa sorpresa” per l’Amministrazione Bush e che anzi da sempre ha sostenuto che il governo americano fosse come minimo a conoscenza dell’attacco imminente ed abbia lasciato fare, quel qualcuno è sicuramente Cynthia Mckinney.
Eletta come rappresentante della Georgia per il Partito Democratico, si è dimostrata molto critica nei confronti della versione ufficiale del governo..
ed in questi anni...
di Andrea Franzoni
«Cosa giustifica questo accanimento? Che è una specie di accanimento opposto a quello terapeutico, e però ugualmente ingiusto e disumano. Un accanimento fatto di sbattere in prima pagina, di lanciare proclami. E’ tutto un assieparsi di gente interessata alla morte più che alla vita. Che la morte la invoca. Di fronte a un uomo che, disperato, non trova più motivi per vivere, si accaniscono, inventano manifestazioni clamorose, convocano commissioni di saggi per dire: muoia. Che strano accanimento, che circo nero. Che in nome della pietà invoca la morte. Invece che i motivi per la vita».
Il dibattito che ha come fulcro la vicenda dolorosa di Piergiorgio Welby sta diventando sempre più surreale e, come mostra il brano tratto dall’editoriale di Avvenire (1), quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, sempre più ideologico. In realtà la vicenda di Welby non richiede né alti struggimenti etici né dissertazioni teologiche: sono spesso più delicate e discutibili molte liti di condominio.
Perché, si chiede l’editorialista, tutta questa gente che sta attorno a Welby ...
Leggi tutto: Quando arriva la democrazia