di Marco Cedolin
E’ passato un anno da quando l’8 dicembre 2005 i valsusini e gli amici accorsi loro in aiuto da ogni angolo d’Italia, invasero a decine di migliaia, i prati di Venaus, travolgendo come un fiume in piena il cantiere dell’alta velocità e le forze dell’ordine che lo presidiavano. Quell’esercito di gente comune, di operai e impiegati, di studenti e anziani, di ragazzi dei centri sociali e di mamme con la carrozzina, non spazzò solo l’arroganza dei gruppi di potere del cemento e del tondino e la prevaricazione dei partiti politici che attraverso la militarizzazione della Valle e le manganellate intendevano imporre con la forza un progetto senza senso.
Le decine di migliaia di persone che l’8 dicembre scesero a Venaus per dire “Basta” dimostrarono che anche quando un futuro fatto di morte e devastazione viene imposto con la violenza da chi detiene il potere è possibile ribellarsi ... ... attraverso la mobilitazione popolare e vincere la propria battaglia prendendo consapevolezza che si può riuscirci.
Venaus un anno dopo sembra ancora la stessa, con i prati strapieni di gente, di colori, di bandiere NO TAV, con un presidio nuovo e più grande che ricorda gli chalet di montagna, con i piloni dell’autostrada che si ergono come giganti impettiti e la fallimentare centrale idroelettrica di Pont Ventoux che sta lì a dimostrare come non dovrebbero mai essere spesi i soldi del contribuente.
Ma le tantissime persone che affollano Venaus per questa tre giorni di festa, non sono qui solamente per celebrare una ricorrenza, bensì anche per continuare a costruire il futuro della mobilitazione popolare di un anno fa.
Un futuro che parla il linguaggio della solidarietà con gli altri comitati, reti movimenti che in tutta Italia stanno combattendo contro grandi e piccole nocività. A Venaus raccontano le realtà della propria lotta i ragazzi che combattono il Mose, la centrale a carbone di Civitavecchia, gli inceneritori, i rigassificatori, la privatizzazione delle acque, le più svariate forme di distruzione dell’ambiente e del territorio. A Venaus, dove il fragore della dinamite e il lavorio delle talpe meccaniche avrebbero dovuto far nascere un tunnel nel quale infilare il futuro di noi tutti, stanno invece nascendo la condivisione e la solidarietà fra le moltissime realtà che nel Paese hanno deciso di opporsi ad un modello di sviluppo violento, energivoro, nemico dell’ambiente e delle persone, in quanto unicamente finalizzato alla costruzione del profitto dei grandi gruppi di potere.
Si percepisce netta la sensazione che si tratterà di una lunga strada, lastricata oltre che da buone intenzioni anche da tranelli, agguati e lunghi tratti da percorrere in salita magari con il fiato corto, ma ritengo sia già incredibilmente importante avere intrapreso tutti insieme un percorso destinato a portare lontano.
La prossima tappa, probabilmente altrettanto viva e partecipata, sarà Venezia, dove la lobby del Mose (praticamente la stessa che sponsorizza il TAV) intende porre rimedio al fenomeno delle acque alte, violentando la laguna attraverso una “grande muraglia” di cemento armato che peserà come un macigno sulle spalle dei contribuenti, senza rimediare a nulla, se non ai buchi di bilancio delle grandi imprese di costruzione.
L’atmosfera di “festa” e genuina soddisfazione per i risultati conseguiti che si è respirata in questi giorni a Venaus non deve però trarre in inganno, inducendo a pensare che la battaglia contro il TAV sia ormai stata vinta o vada letta attraverso lenti permeate di ottimismo. Il neo Ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro ha già chiarito al di là di ogni ragionevole dubbio come il governo di centrosinistra intenda procedere alla costruzione dell’alta velocità Torino – Lione con la stessa risolutezza appartenuta alla maggioranza che l’ha preceduto.
La grande mobilitazione dell’8 dicembre dello scorso anno ha sicuramente dimostrato come fosse impossibile per qualunque governo, ed oltretutto controproducente al limite dell’autolesionismo, costruire un’opera infrastrutturale attraverso la militarizzazione di un territorio, lo scontro fisico, le manganellate, l’intimidazione.
L’approccio al problema è cambiato radicalmente, traslando da militare a politico, ma non è cambiato l’obiettivo che resta quello di costruire assolutamente il TAV in Val di Susa a prescindere dalla contrarietà degli abitanti e delle amministrazioni comunali coinvolte.
E’ stata scelta la strada delle mediazioni, dei tavoli, del falso confronto e dell’altrettanto falsa disponibilità ad ascoltare le varie realtà locali, con il palese intento di narcotizzare, spaccare, dimagrire il fronte del NO che si è sempre mostrato tanto composito quanto inossidabile agli attacchi esterni.
I blindati delle forze dell’ordine hanno lasciato spazio all’Osservatorio presieduto dall’architetto Mario Virano, personaggio tanto scaltro quanto melenso, assai più pericoloso di una carica dei celerini. I tranelli della polizia (che occupò il Seghino nottetempo con l’inganno) hanno lasciato il posto alle sabbie mobili della Conferenza dei Servizi, dove utilizzando come “carota” le deroghe alla legge obiettivo, si è tentato(fortunatamente senza successo in virtù della recente diserzione dei sindaci della Valle) di portare le amministrazioni locali a discutere sulla base di progetti esecutivi.
Gli insulti e le etichette (sfaccendati, montanari, teppisti, no global, luddisti, nemici del progresso) dispensati a piene mani in TV e sulle pagine dei giornali compiacenti nel tentativo di screditare un’intera valle, sono stati sostituiti dalla presentazione di un nuovo progetto alternativo che nelle parole di politici ed industriali, potrebbe risolvere ogni questione attraversando i comuni festanti della Val Sangone che verrebbero miracolati dal passaggio dell’alta velocità. Poco importa che il progetto vecchio di anni mostrasse più polvere che contenuti e che in Val Sangone in soli due mesi siano nati tanti Comitati NO TAV locali da far pensare che gli abitanti si manifestino assai poco propensi ai festeggiamenti. Ciò che conta è avere creato nell’immaginario collettivo una dimensione di dinamicità e di movimento.
Proprio sull’immaginario collettivo, Mario Virano (coadiuvato da tutta la schiera di pennivendoli asserviti, esperti compiacenti e uomini politici di ogni risma e colore che sempre lo contornano) sta conducendo la propria battaglia. Una battaglia “di fioretto” portata avanti con la ben nota arguzia che lo contraddistingue. Intona sonetti alla “bellezza delle infrastrutture” invitando a sogni aventi come oggetto il miracolo della tecnologia, Mario Virano, vaticina riguardo a un futuro denso di opportunità, di emozioni legate alle grandi opere che diverranno ben presto appetita meta turistica, nonché fonte d’ispirazione per gli artisti delle nuove generazioni. Non parla più di TAV, Mario Virano, ma caratterizza il progetto come quello di una Linea Moderna, tentando di sostituire il concetto velenoso di velocità con quello più accattivante e rassicurante di modernità.
Per dargli voce fioriscono i convegni (sempre blindati) e gli incontri con il pubblico, sempre ben selezionato. Mario Virano non insulta nessuno (se si eccettua l’intelligenza di chi lo ascolta) ma non potendo vincere la battaglia tecnica ed economica per assoluta mancanza di argomentazioni, sta tentando semplicemente di spostare il piano inclinato sul quale si svolge lo scontro, nel palese tentativo di barare indisturbato.
Sull’altro fronte il Ministro Di Pietro che del fioretto non conosce neppure la sagoma, è impegnato nel portare avanti una conferenza dei servizi ormai svuotata di ogni contenuto, però funzionale al perseguimento del suo obiettivo. Fra qualche mese affermerà che il confronto con le realtà locali si è concluso senza che si sia riscontrata una condivisione d’intenti e pertanto rimetterà la decisione definitiva nelle mani del governo.
Il Consiglio dei Ministri con tutta probabilità si pronuncerà come il 12 novembre ha fatto riguardo al Mose, verrà dato il benestare per l’opera e tutto ricomincerà daccapo, con le notti da passare ai presidi, la militarizzazione, i check point.
Marco Cedolin
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