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di Francesca de Villasmondo
In molte filiali in Australia, la Commonwealth Bank ha deciso di abolire prelievi e depositi in contante. Queste filiali di CommBank sono quindi diventate “senza contanti”. All'inizio di quest'anno, anche ANZ (Australia and New Zealand Banking Group) ha dichiarato di aver eliminato gradualmente il contante. Prelevare il proprio denaro sta diventando sempre più difficile in Australia
La Commonwealth Bank ha aperto una serie di filiali "senza contanti", con clienti che non possono più accedere al proprio denaro in contanti. Le transazioni in contanti allo sportello non sono disponibili presso queste filiali, incluso Commonwealth Bank Place, che si trova nel centro di Sydney. Stessa situazione a Brisbane e Melbourne. Queste filiali senza contanti sono chiamate “centri specializzati”.
Depositi e prelievi possono ancora essere effettuati tramite bancomat in loco, ma per coloro che non hanno la carta di credito a portata di mano, le cose si fanno molto più difficili. Sono disponibili prelievi "contanti senza carta" fino a $ 500 al giorno, utilizzando l'app CommBank, ma per coloro che hanno bisogno di più fondi o non hanno il telefono con sé, i loro contanti non sono accessibili.
Avete presenta la scenetta “Pdor, figlio di Kmer” di Aldo Giovanni e Giacomo? Quando alla fine Pdor dice a Giacomo “Tu, scricciolo d’uomo, partorirai con dolore”, e Giacomo risponde: “Non è tanto il dolore del parto, è l’accoppiamento che mi preoccupa!”
Ecco, a questa geniale scenetta da oggi possiamo aggiungere che anche gli uomini in futuro potranno allattare. Il problema è che questa non è più una scenetta comica, ma una triste realtà dell’epoca woke in cui stiamo vivendo.
Il CDC americano infatti ha appena pubblicato una pagina, intitolata “considerazioni di uguaglianza sanitaria”, dove difende il diritto di tutti ad una sanità senza discriminazioni.
E fra questi diritti, ovviamente, c’è anche quello di allattare. Per chiunque, uomini, donne, trans, e tutte le sfumature intermedie.
di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
Come si sa John Meynard Keynes non era un estimatore dell'Oro che considerava “un residuo barbarico”. In particolare questo per l'economista britannico valeva qualora venisse usato questo particolare elemento chimico come “moneta”. A tale proposito basta leggere la Teoria Generale dell'Occupazione, dell'Interesse e della Moneta per trovare giudizi sferzanti come questo: «Non si è mai concepito nella storia un metodo tanto efficace per porre i vantaggi di ciascun paese in contrasto con quelli dei suoi vicini quanto il gold standard internazionale». Un ragionamento che credo sia da considerare molto importante anche oggi: agganciare una moneta all'oro significa rendere molto più difficile “svalutare” la moneta del paese “creditore” nei rapporti commerciali internazionali con il paese “debitore” che invece avrebbe il massimo interesse a svalutare la propria moneta per dare fiato alla propria economia grazie all'export e conseguentemente risollevare i propri conti con l'estero.
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Andrea Purgatori non è mai stato un idolo per me: uno che ama definirsi giornalista d’inchiesta, ma evita accuratamente di affrontare seriamente una questione di fondamentale importanza come l’11 settembre non può essere considerato tale.
Gli vanno però riconosciute, nelle inchieste che ha condotto, una notevole perspicacia e determinazione nel cercare di mettere insieme tasselli di storie decisamente torbide e complicate, che rischiano di urtare la sensibilità dei potenti.
Prime fra tutte, ovviamente, la storia di Emanuela Orlandi. Ultimamente Purgatori sul caso Orlandi sembrava un mastino che ha annusato l’osso, e che non vuole più mollare finchè non riesce ad addentarlo.
Il paese che si scalda più velocemente di tutti è...
di Davide Malacaria
Il Partito della Guerra non trova gli appoggi sperati. “Nonostante i tutti gli sforzi di Biden per mostrare al mondo uno spettacolo felice, Vilnius sarà ricordata come il vertice della NATO in cui le tensioni sono scoppiate”. Così David Saks in un tweet che ricorda quanto avvenuto al summit.
un vertice caratterizzato dall’intemerata di Zelensky contro i leader dell’Alleanza Atlantica per non aver ammesso l’Ucraina; dalla rabbia dei suoi interlocutori, che gli hanno detto di darsi una calmata; e poi quella dei falchi, furiosi contro l’amministrazione Biden per tale decisione. Infine, l’incontro Zelensky-Biden alquanto mesto, tanto da essere passato quasi inosservato nonostante dovesse essere il clou dello spettacolo.
Cose note e riferite più o meno da tutti i media d’Occidente, al netto degli eufemismi del caso, necessari per non far crollare miseramente il teatrino che va in scena da un anno e mezzo.
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(puntata pre-registrata)
Negli Stati Uniti c’è un film che sta sbancando al botteghino, con grande sorpresa di tutti. Si intitola “Sound of Freedom”, è costato la miseria di 15 milioni di dollari, e nel solo week-end di apertura ne ha già incassati 40, battendo addirittura l’ultimo “Indiana Jones”.
“Sound of Freedom” è basato sulla vera storia di Tim Ballard, un agente della Homeland Security che ha dedicato la sua carriera alla lotta contro il traffico di minori in nord e sud America.
La forza del film sta tutta nello stile asciutto e senza fronzoli, simile ad un documentario, con immagini crude, spesso male illuminate, come se appunto stessimo assistendo ad un frammento di realtà, e non ad una fiction.
L’immagine di Zelensky, tutto solo fra i big della NATO, ricorda da vicino i classici imbucati alle feste altrui: riescono in qualche modo ad intrufolarsi fra gli ospiti, ma poi nessuno se li fila.
Con una differenza: l’imbucato sa di esserlo fin dall’inizio, e cerca di fare il disinvolto, mentre Zelensky sembra quasi sorpreso dal disinteresse che circonda la sua persona. “Ma come - sembra che dica - io sono al centro della questione mondiale, e nessuno mi caga?”
Leggi tutto: Commenti liberi 29 lug. 2023