Che significato può avere, di fronte al mondo, un processo supportato dalle Nazioni Unite contro un certo signor Kang Kek Ieu, di nazionalità cambogiana, per una “violazione dei diritti umani” avvenuta oltre 30 anni fa?
Kang Kek Ieu, meglio conosciuto come Duch, era un esponente di medio livello del gruppo di guerriglieri che presero il potere in Cambogia nel 1975, i “famigerati” Khmer Rossi, capeggiati dall’altrettanto famigerato Pol Pot. E’ stato il film “The killing fields” a raccontare al mondo la ferocia di questi guerriglieri, che sono accusati di aver massacrato due milioni di civili cambogiani – per la maggior parte intellettuali e borghesi delle grandi città – nel tentativo di instaurare una forma di “socialismo agricolo” in Cambogia.
Ma nel frattempo Pol Pot è morto, gli altri leader Khmer sono scomparsi nel nulla, e per portare alla sbarra Duch, che era il direttore di una prigione in cui sarebbero stati detenuti e torturati 17.000 civili cambogiani, ci sono voluti oltre sette anni.
Ora Duch è stato incriminato, e finirà probabilmente per pagare con una condanna esemplare per crimini che sicuramente ha commesso, ma la cui origine è da ricercare – come al solito - molto più in alto.
Gli Khmer infatti erano una creazione della Cina di Mao, che stava cercando di bilanciare il successo dei russi in Indocina, ...
Nella guerra in cui i ”contractors” – significa “imprese private”, ma si legge “mercenari”- hanno ormai sostituito i soldati regolari, non c’è più spazio nemmeno per la solidarietà fra commilitoni.
La dura legge del profitto offre paghe stratosferiche, ma il rischio è assoluto: mors tua, vita mea.
Questo è il video girato dall’interno di un camion che fa parte di un convoglio che subisce un agguato nell’attraversamento di un paesino iracheno.
Il forte accento del Sud dell’operatore – che è solo nel suo camion, senza nemmeno una pistola - non aiuta a capire cosa stia dicendo. La traduzione di alcune battute è ”a senso", altre sono incomprensibili del tutto.
Un recente articolo di Marco Ventura su La Stampa, intitolato “Alt ai negazionisti”, sta scatenando un piccolo temporale estivo attorno al caso Moffa e alla querelle sul negazionismo in genere.
Forse impaziente di andare in ferie, Ventura ha pensato bene di fare di ogni erba un fascio, collegando molto disinvoltamente chi critica la versione ufficiale dell’undici settembre ad un generico “negazionismo,” che egli collega altrettanto disinvoltamente al cosiddetto “antisemitismo”. Che Aristotele lo perdoni.
Il pezzo di Ventura, come ogni altro esempio di giornalismo dozzinale, andrebbe elegantemente ignorato, non fosse per le leggi vigenti, che trasformano le sue affermazioni in accuse di reato vero e proprio, e rendono quindi a loro volta ipotizzabile un reato di calunnia da parte sua.
E’ il caso del sottoscritto, che viene citato con nome e cognome nell’articolo, insieme a questo sito e agli amici di Faremondo:
“La galassia negazionista spazia dal marxismo filopalestinese antimperialista dell'africanista Moffa al marxismo bordighista di Cesare Saletta, dal leninismo dei seguaci del generale Pasti ai «giuristi democratici» castristi di Carbonelli, dal radicalismo pacifista della rivista Giano di Luigi Cortesi ai siti filo-iraniani come www.vho.org e al revisionismo dell'11 Settembre che lo attribuisce a una congiura di sionisti e Cia. È il caso del fotografo e regista Massimo Mazzucco animatore da Los Angeles di luogocomune.net, ma anche del gruppo Faremondo di Bologna e della piemontese non profit Scholè futuro per l'educazione alla «sostenibilità sociale e ambientale», ...
Nel mondo post-2001 accade un fatto strano: certe notizie fanno clamore, ma la loro smentita passa regolarmente nel più totale silenzio mediatico.
Se il Corriere aprisse un giorno a nove colonne, titolando: “Scalatore italiano conquista l’Everest in mutande”, e poi la cosa risultasse non vera, la sua smentita, e le conseguenze che essa comporta, avrebbero come minimo la stessa eco della notizia originale.
Invece ogni volta che qualcuno “collegato ad Al-Queda” viene arrestato, perchè magari progettava di buttare giù il Duomo di Milano con un tubetto di fondotinta mescolato alla Coca-Cola, il tam tam mediatico esplode assordante, ma se poi si scopre che in realtà era solo suo cugino ad aver incontrato in tram il cognato del portinaio del sosia di Al-Zawahiri – e che lui di colpe non ne aveva proprio - la cosa non interessa più a nessuno.
Ieri ad esempio l’Australia ha dovuto liberare il dottore indiano accusato di complicità nei falliti attacchi terroristici di Londra e Glasgow, perchè non aveva uno straccio di prova per sostenere l’accusa. Ma il fatto dei dottori “musulmani” implicati nei falliti attentati di Londra se lo ricordano tutti, mentre questa notizia oggi riesce a trovarla soltanto chi la cerca col lanternino.
E così Al-Queda continua a vivere, nell’immaginario collettivo, nonostante in realtà sia una bufala dalla trasparenza ormai plateale.
I nostri giornalisti diventano in questo modo doppiamente complici di questo “terrorismo sintetico” che cerca in tutti i modi di tenere in scacco il mondo: prima nel passare notizie che non stanno nè in cielo nè in terra, senza porsi il minimo dubbio, e poi nel dimenticarsi di sottolineare la loro smentita – dicendo magari “Eh, cacchio, mi pareva strano!” - ogni volta che questa avvenga.
E allora facciamolo noi, il loro lavoro: vogliamo provare, collettivamente, a buttare giù una lista di “arresti clamorosi”, ...
Con questa intuizione folgorante, “il mezzo è il messaggio”, Marshall McLuhan aveva catturato, più di 40 anni fa, la quintessenza del nascente mondo della comunicazione globale.
Un mondo, che noi ben conosciamo, nel quale una realtà parallela ci osserva e si fa osservare dallo schermo televisivo, con una tale persistenza e capacità di penetrazione da apparirci spesso più reale del mondo reale.
Naturalmente, la macchina televisiva ha continuamente bisogno di inventare storie da gettare nel grande tritacarne del telegiornale permanente. E così ieri a Phoenix, nell’ennesimo tentativo di costruire una notizia che di per sè non esisteva, due elicotteri della televisione si sono scontrati in aria, diventando notizia loro stessi.
Quella di seguire in diretta, dall’elicottero, una qualunque fuga da un qualunque negozio di un qualunqre rapinatore di caramelle, è diventata una moda sin dal giorno in cui O.J. Simpson fuggì sulla sua Bronco bianca, per non essere arrestato dopo l’omicidio della ex-moglie, di cui si scoprì poi essere il colpevole. Fu soprannominato lo “slow-motion chase”, “l’inseguimento al rallentatore”, perchè i poliziotti avevano l’ordine assoluto di non sparare, ...
Un recente thread ha messo in evidenza un fenomeno che già da tempo si manifestava su luogocomune, e che io ritengo meriti una seria riflessione da parte di tutti coloro che partecipano ai commenti. Chiamiamolo, per comodità di termini, “cristallizzazione delle idee”.
Altri lo chiamano dogmatismo.
Sempre più spesso si manifesta, specialmente negli utenti più anziani (per data di iscrizione, intendo), una forma di insofferenza verso gli argomenti “di grande respiro” che tornano, ciclicamente, nelle nostre discussioni. Non si può nominare Dio, senza che arrivi il “solito ateo” a stampigliare il thread in grassetto con le parole “Dio non esiste”. Non si può parlare di ciclo produzione-consumo, senza che arrivi il solito “economista” a spiegarci che è lo stato l’origine di tutti i mali. Non si può parlare di Satana, inteso come simbolo allegorico, senza che arrivi la solita orda di castigatori che vede la Massoneria nascosta persino fra le lenzuola del proprio letto. Non si può parlare di elezioni, senza che arrivi il solito “anarchico” a dire “coglioni tutti voi che avete votato”. Non si può parlare di “noi italiani”, senza che arrivi il solito “apolide” a ricordarci che lui non c’entra, che lui è più furbo degli altri, che lui vive in un eremo e non “nella comunità”, anche se alla fine prende il tram come tutti noi. Non si può nominare la medicina alternativa, senza che arrivi il solito “scientifico” a dirci che “l’omeopatia non funziona e basta”.
Ma il vero problema, in tutto questo, è che il riferimento a Dio non stava affatto in un articolo che parlava dell’esistenza di Dio, ma dello status mentale degli americani di oggi. Il riferimento al ciclo produzione-consumo non stava affatto in un articolo...
In una sconosciuta cittadina del Massachussets si sono riuniti 80 teologi, laici e preti di almeno 5 diverse denominazioni evangeliche, per trovare una risposta alla più antica domanda che ogni credente si pone di fronte alle umane tragedie: se Dio esiste, perchè il Male?
La loro ricerca è dettata dalla necessità di trovare a loro volta un rimedio al progressivo spopolarsi delle chiese, dovuto alla assoluta incapacità di queste ultime di offrire un conforto spirituale a chi si rivolge a loro sconcertato dai più recenti accadimenti mondiali.
Tragedie come quelle dell’undici settembre, o i massacri nelle scuole come Columbine e Virginia Tech, rappresentano per l’americano medio dei veri e propri traumi emotivi, per i quali non trova parametri di riferimento, e di cui fatica quindi a capacitarsi anche dopo lunghissimi mesi di tormento.
Non a caso la sera dell’undici settembre Bush disse – o meglio, qualcuno gli mise in bocca – “from tonight we are a nation awaken to danger”, da stasera siamo una nazione risvegliata al pericolo.
In quel “risvegliata” sta il cuore del problema. Il vero dilemma degli americani sta infatti nel doversi rendere conto ...
Che cosa possono avere in comune un oscuro medico palestinese, una elegante signora francese, un colonnello arabo un po’ incartapecorito, cinque anonime infermiere bulgare, e un ex-ministro degli esteri austriaco che dal cognome sembra un incrocio fra un cioccolatino e una merenda per bambini?
Sembrano i personaggi di una dozzinale novella di spionaggio, scelti apposta per non c’entrare nulla l’uno con l’altro, e dare così quell’aria di “intrigo internazionale” a storie che solitamente si reggono in piedi, appunto, solo nei libri di spionaggio.
Invece le persone sono tutte vere, e il palcoscenico è quello delle prime pagine europee di ieri.
Già l’antefatto era poco chiaro: otto anni fa, il medico palestinese e le infermiere bulgare vengono accusati della Libia di avere iniettato sangue infetto da virus HIV a oltre 400 bambini. I sei, che si trovano in Libia, vengono arrestati, processati, e condannati a morte, pena che verrà poi commutata nell’ergastolo. Si fa un po’ di baccano in tutta Europa, qualcuno si domanda perché mai delle infermiere bulgare ...
di Claudio Negrioli
Nei giorni scorsi Hillary Clinton si è sentita accusare dal sottosegretario alla difesa, Eric Edelmann, di “favorire la propaganda nemica", solo per aver osato chiedere lumi al Pentagono riguardo all'esistenza o meno di un piano organizzato per il ritiro dall'Iraq.
Non è una accusa da poco, e può portare direttamente al carcere qualunque cittadino, specialmente se vista sotto la luce del "Patriot Act" o del "Defense Autorization Act" del 30 settembre 2006, promulgato dallo stesso Bush, che in caso di “generico grave pericolo” avoca a sè tutti i poteri, rendendolo di fatto un dittatore con potere illimitato sulla nazione e sui suoi abitanti.
Autorevoli voci, come quella del repubblicano ex vice-ministro al tesoro nell'amministrazione Reagan, Paul Craig Roberts, si levano per denunciare all'opinione pubblica USA, indifferente e mezzo addormentata, il pericolo concreto che nel giro di un anno la grande democrazia si possa sbarazzare dell'ingombrante fiaccola della libertà, sostituendola con uno scudiscio per percuotere i sudditi nel nuovo stato di polizia in mano al plenipotenziario dittatore Bush.
Lo stesso P.C. Roberts ha inoltre avvertito - e non è il solo a dire queste cose - che per ottenere una accelerazione che porti allo stato dittatoriale sono più che probabili una o più "false flag" (operazioni terroristiche sotto falso nome, ovvero “per conto terzi”), intese a terrorizzare la popolazione ...
Questa breve notizia (ANSA) fa da ottima introduzione all’articolo che segue: ieri i soliti terroristi marocchini (questi senza le virgolette, in quanto realmente di quella nazionalità), sono stati pizzicati a giocare al Piccolo Chimico nel retrobottega della solita moschea, dove ormai si arruolano regolarmente le truppe di una Al-Queda che esiste soltanto – per chi ha ancora la forza di informarsi personalmente - sulle copertine dell’Espresso e di Panorama. Siamo alla banalità più nauseante, nel tentativo ormai fin troppo palese di celare in qualche modo quella che è chiaramente una guerra di religione – più ideologica che spirituale - sponsorizzata volentieri da istituzioni che non vedevano l’ora di trovare scuse supplementari per abusare di un potere del quale già dispongono in grande abbondanza. (M.M.)
La temperatura é alta di Giorgio Codazzi
Nel misurare la febbre della "cività moderna", sembra che ultimamente la colonnina del mercurio stia salendo con incedere quotidiano.
Dice Padre Zanotelli, commentando la situazione generata dalla crescente pressione sociale: "La temperatura é alta". Gli fa eco da altri palchi un altro prete in prima linea contro i poteri forti malavitosi: Don Luigi Ciotti, che ripete: "La temperatura é alta".
Ma di che temperatura stiamo parlando? Non di quella del pianeta, certamente, anche se forse quello rimarrà l'argomento più discusso dell’estate, assieme al “terribile” estremismo islamico che ormai ci perseguita ovunque andiamo.
E' una temperatura che ha iniziato a salire molto prima, diciamo attorno alla fine degli anni ottanta, con la sensazione piuttosto generalizzata che "qualcosa stava per cambiare", con le stragi di via d'Amelio e di Capaci, che incernierano i rapporti nuovi fra la politica e la malavita, la nascita di Forza Italia e le prime timide prove di sistema bipolare all'italiana - in un sistema in cui la polverizzazione dei partiti garantiva la distribuzione del potere e delle ricchezze statali un pò a tutti - e che segna la nascita di quella casta insofferente al rispetto delle leggi, preoccupata più che al bene del cittadino al portafoglio dei pochi e rispettabili privati collusi con la malavita organizzata.
Stiamo parlando della temperatura dell'intolleranza, della xenofobia, e della sensazione generale che vi sia un nemico strisciante tra noi, ...
Mentre siamo qui a trastullarci con ideologie utopiche di un futuro “senza stato”, nel quale l’individuo sappia comportarsi in maniera civile e rispettosa verso gli altri anche senza il rischio della galera, la Cassazione si è arrogata addirittura il diritto di attribuire una diversa valenza allo stesso termine, a seconda della persona a cui venga riferito. Non si fatica a vedere come questa specie di "classismo semantico" presto potrebbe evolversi in un vero e proprio darwinismo linguistico, da appaiare con grande nonchalance a quello sociale già imperante. Riportiamo per intero il breve articolo dell’ANSA di oggi:
“Dare del fascista ad un comune cittadino è "certamente offensivo. Al contrario se il destinatario del termine è un politico, allora è semplice esercizio di critica ideologica. La V Sezione Penale della Cassazione -sentenza 29433 - si è così espressa in merito ad un ricorso proposto da un consigliere comunale di Crotone contro la sentenza della Corte d'Appello di Catanzaro che lo condannava per ingiuria avendo dato al sindaco di Crotone del "fascista nel senso più deteriore della parola" durante un consiglio comunale. Il consigliere aveva fatto ricorso sostenendo che la sua non era stata un'offesa ma una critica politica. Gli ermellini hanno dato ragione al consigliere sostendendo che con il termine fascista "non si fa altro che richiamare un'ideologia ed una prassi politica che è stata in passato propria di molti italiani".
Sul piano politico, precisa la Corte, "si intende stigmatizzare, da parte degli avversari politici, un comportamento ritenuto arrogante e antidemocratico, improntato cioé a scarso rispetto nei confronti degli oppositori politici, oltre che reazionario nelle scelte di politica sociale. E' un termine, quindi, che consente sinteticamente ed efficacemente, di esprimere una valutazione sull'operato di un pubblico amministratore". Tuttavia i giudici precisano che nel caso di un 'comune cittadino' sentirsi dare del fascista è certamente offensivo perché "mira a dipingere lo stesso come arrogante e prevaricatore".
Curiosa davvero, questa interpretazione, in quanto non solo si arroga il diritto di un giudizio storico improntato a valori come "democratico" o "reazionario" che non starebbe alla Corte esprimere, ma introduce una variable non da poco nel nostro stesso linguaggio quotidiano: il destinatario, nel particolare aspetto del suo ruolo sociale.
Per fare il caso più banale di tutti, se quindi la signora Rossi di mestiere fa la prostituta, ...
Leggi tutto: Anche la Cambogia vuole la sua Norimberga