Se rubi una caramella, te la metti in tasca. Se rubi un libro, te lo porti a casa. Se rubi una bicicletta, magari la nascondi nel tuo garage.
Ma se rubi una nave dove la metti?
La nascondi in Somalia, ovviamente. Come tutti sanno, la Somalia è uno stato che si adatta alla perfezione per nascondere navi di ogni tipo e dimensione: lunghissimi fiordi con scogliere frastagliate a dirupo sul mare, fanno da nascondiglio ideale per le navi che sempre più spesso vengono catturate dai feroci pirati africani. Le nebbie del Nord, che calano ogni sera sulle gelide acque della Somalia, completano l’operazione di mascheramento, che rende impossibile il recupero dei natanti, ed impone alle compagnie di navigazione di scendere a patti con i terribili pirati.
Sono 14, secondo la BBC, le navi straniere attualmente in mano dei “pirati” somali, che attendono la liberazione assieme ai loro equipaggi. Ma non ci si illuda, questi non sono pirati ottocenteschi, con gli orecchini i pendagli d’oro ed la bandana in testa: questi sono pirati tecnologici, “armati di telefonino satellitare e GPS”, che “avvicinano la preda con veloci motoscafi”, e poi “lanciano le loro corde uncinate con appositi razzi”.
Ovvero, usano il GPS per localizzare la nave da catturare, ma poi le danno l’assalto come in un libro di Salgari, con il kriss malese fra i denti.
L’ultima vittima dei predoni del mare è la Sirius Star, una petroliera saudita lunga come una portaerei, ...
di Stefano Lorenzetto
Il professor Giuseppe Zora, all’epoca docente all’Istituto di clinica oncologica dell’Università di Messina, e la dottoressa Anna Tarantino, biologa nel medesimo istituto, formavano una delle coppie più promettenti nel campo della ricerca sui tumori, e non certo perché erano (sono) marito e moglie.
È che trent’anni fa, inoculando nei topi malati di cancro il Corynebacterium parvum, un batterio appartenente alla famiglia dell’agente patogeno che provoca la difterite, avevano constatato sorprendenti regressioni del male.
Ma poi, nel 1979, il professor Saverio D’Aquino, direttore dell’istituto, chiese loro di sperimentare in laboratorio un siero ottenuto dalle feci e dalle urine delle capre, che gli era stato portato da un veterinario di Agropoli (Salerno), il dottor Liborio Bonifacio.
«Scoprimmo che qualche effetto antitumorale sulle cavie malate lo aveva», racconta oggi il professor Zora. «L’anno dopo illustrai i risultati di quella ricerca in un convegno a Saturnia. Fu la fine. Tutto ciò che mia moglie e io avevamo fatto sino a quel momento non valeva più niente». Ciò che avrebbero fatto di lì in avanti sarebbe valso ancora meno.
Eppure il preparato, frutto delle loro ricerche, l’Imb (immunomodulante biologico), non ha niente a che fare col siero Bonifacio. È un prodotto che ha per principio attivo l’Lps, lipopolisaccaride estratto da batteri Gram-negativi, ampiamente studiato presso l’Università di Tours, ...
Se la sentenza di luglio, relativa alle violenze e torture compiute dalle forze dell’ordine nei confronti di centinaia di giovani inermi all’interno della caserma di Bolzaneto, durante il G8 del 2001 era sembrata un vero e proprio colpo di spugna, avendo portato alla condanna solamente15 dei 45 imputati a complessivi 24 anni di carcere, contro gli oltre 76 chiesti dai magistrati Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati, senza oltretutto contestare il reato di tortura dal momento che non esiste nel nostro ordinamento giuridico in spregio perfino alla convenzione ONU in materia di diritti dell’uomo, la sentenza di ieri riguardante la sanguinosa irruzione delle forze dell’ordine all’interno della scuola Diaz, sempre durante il G8 di Genova, riesce a fare perfino di peggio, assumendo il carattere di una vera e propria amnistia.
Nonostante nel corso del processo siano state dimostrate in maniera incontrovertibile le responsabilità degli agenti, sia per quanto riguarda le violenze gratuite nei confronti dei giovani che dormivano all’interno della scuola Diaz, sia in merito alla falsificazione delle prove consistenti in bombe molotov, picconi e spranghe portati sul posto dagli stessi poliziotti al fine di giustificare con l’inganno il proprio operato, la sentenza emessa dal prima sezione penale del Tribunale di Genova è di quelle da lasciare basito chiunque sia stato in grado di percepire la gravità degli accadimenti.
Tredici condanne e sedici assoluzioni (fra le quali tutti gli uomini appartenenti ai vertici della polizia) per un totale di 35 anni e sette mesi, ...
Capita a tutti di perdere il portafoglio, gli occhiali o le chiavi della macchina. A volte capita anche di perdere cose molto più importanti, come una valigia, la suocera, o persino il filmato del primo uomo sulla Luna (capitò alla NASA – ci dissero – qualche tempo fa).
Ma di perdere una bomba atomica non era ancora successo a nessuno.
Il fatto risale al 1968, ed ebbe luogo vicino alla base miliare americana di Thule in Groenlandia. Thule era l’avamposto americano di intercettazione di un eventuale attacco nucleare sovietico, e nella zona circolavano costantemente bombardieri armati di testate atomiche, pronti a colpire la Russia in caso di emergenza.
Nel gennaio del 1968 si verificò un incendio a bordo di uno di questi aerei, che trasportava 4 bombe atomiche, e l’equipaggio fu costretto a lanciarsi con il paracadute, prima che l’aereo si schiantasse sulla superficie ghiacciata della baia sottostante.
Fortunatamente le bombe non erano innescate, per cui si verificò solo lo scoppio del normale esplosivo che sta intorno al cuore dell’ordigno, ...
di Marco Cedolin
Ci sono note di colore che meglio di qualsiasi altro accadimento riescono a fotografare perfettamente lo stato di profondo degrado nel quale ormai giacciono sia l’informazione che la politica all’interno di questo disgraziato Paese. Note di colore che sembrerebbero rubate ai cartoni dei Simpson o a qualche commedia del filone demenziale, ed invece appartengono drammaticamente al lemmario dei nostri TG e dei mestieranti della politica che proprio davanti alle telecamere giorno dopo giorno costruiscono la propria immagine, cambiando opinione alla bisogna, così come fanno con gli abiti le modelle durante un defilè.
Ormai da un paio d’anni, senza che nessun politico o giornalista abbia avuto a dolersene più di tanto, sul Monte Musinè, praticamente all’ingresso della Valle di Susa, campeggia un’enorme scritta “NO TAV” non dipinta con la vernice, bensì realizzata pazientemente con teli e reti da cantiere da un nutrito gruppo di valsusini.
Qualche giorno fa un ugualmente nutrito gruppo di NO TAV si è recato sul Musinè alla luce del sole e, dopo che le guardie forestali avevano proceduto all’identificazione di ogni singolo partecipante, ha provveduto a risistemare la scritta originaria danneggiata dalle intemperie, ...
Leggi tutto: Quando i soldati piangono