Con i due principali partiti, Likud e Kadima, che reclamano la vittoria, il paese si ritrova nettamente diviso in due – falchi e colombe - e decisamente incapace di procedere in un senso come nell’altro.
Se Peres affiderà l’incarico a Livni, i moderati sconteranno l’ingloriosa sconfitta del laburista Barak, e metteranno insieme una maggioranza talmente risicata da non potersi certo permettere di implementare con efficacia il processo di restituzione delle terre – il cosiddetto
“land for peace” - che il Kadima ha voluto mettere al centro della sua piattaforma elettorale.
Se invece Peres affiderà l’incarico alla destra, la “sacra alleanza” fra Netaniahu e l’estremista Lieberman non sarà sufficiente a regalare ai sionisti la maggioranza di cui necessitano per procedere con disinvoltura all’epurazione programmata del popolo palestinese.
Un pò come in Italia, ambedue gli schieramenti dovranno fare spazio ai piccoli partiti di impostazione religiosa, che stanno solitamente appostati al centro, ... ... e che finiscono come sempre per dettare le condizioni, sia su un fronte che sull’altro.
Ma il risultato, in ogni caso, non permetterà di sbloccare l’attuale situazione, rimandando al resto del mondo - Stati Uniti in testa - il compito di mettere in moto quel processo interno di disgregazione che porti finalmente il popolo di Israele ad un nuovo stato di consapevolezza rispetto alla situazione reale: non siamo più ai tempi di Arafat e Shamir, con la prima intifada, nè a quelli di Arafat e Sharon, con la seconda. Fatah ha perso molto del suo potere, Hamas non lo ha mai conquistato davvero, e la frammentazione territoriale dei palestinesi è ormai talmente avanzata che oggi l’unica paura che gli israeliani provano non viene più da fuori, ma da dentro di loro.
Quando gli israeliani si domanderanno come mai i palestinesi, nonostante le perdite, i danni e le sofferenze milioni di volte superiori, siano apparentemente molto più sereni e tranquilli di loro, capiranno che i loro cugini arabi sono perfettamente a posto con la loro coscienza, mentre gli israeliani dovranno inevitabilmente fare i conti con la propria, prima o poi.
E’ questo che li atterrisce davvero, e che li porta ad abbaiare come cani rabbiosi, pur di non doversi fermare e ritrovarsi soli, isolati dal mondo, ad osservare con occhio distaccato l’orrore che sono riusciti a creare in tutti questi anni.
Avevano fatto i conti sul tempo, impiantando le colonie per trasformarle, negli anni, in un dato di fatto irreversibile, e ormai ci sono riusciti. Il piano di colonizzazione selvaggia, ideato negli anni ’60 da un giovane ministro dell’agricoltura chiamato Ariel Sharon, ha funzionato alla perfezione: oggi il territorio palestinese è un groviera talmente fragile e impraticabile che la protezione di Israele è ormai garantita.
Ma, come scopriranno prima o poi gli israeliani, non era quella la vera sicurezza che andavano cercando. E solo a quel punto il tempo avrà fatto davvero il proprio lavoro.
Massimo Mazzucco