Faccio molta fatica a condividere la diffusa idea – spinta oggi in ogni angolo del mainstream - che l’arresto di Messina Denaro sia stata una “vittoria dello stato”.
Non voglio in alcun modo minimizzare il lavoro dei Carabinieri, della Polizia e dei ROS, che rischiano veramente la vita ogni giorno combattendo contro la mafia.
Resta il fatto che la cattura di un mafioso dopo 30 anni di latitanza, quando si scopre che viveva nella sua città, ha il sapore amaro di una sconfitta. E questo non è il primo caso: anche Totò Riina venne arrestato, dopo 25 anni di “latitanza” nei dintorni di casa sua. E così accadde per Bernardo Provenzano, l’altro boss “imprendibile” che passò 30 anni nei dintorni del capoluogo siciliano, senza che nessuno riuscisse ad individuarlo. Questo significa che le connivenze con il potere politico sono tali da impedire che le indagini vadano a buon fine in tempi ragionevoli.
E questa non è una "buona notizia" per lo stato.
Quello che si chiude il 31 dicembre non è il solito anno di 12 mesi, ma un periodo di tempo, compatto e unito, durato ben tre anni. Per la precisione, dal gennaio 2020 (data di “arrivo” del covid nel mondo) ad oggi.
Sono stati tre anni estremamente difficili, e solo le menti più forti ed equilibrate sono riuscite a non perdere del tutto il senso dell’orientamento.
Grazie al panico che è stato creato, sono stati ottenuti risultati che solo 10 anni fa sarebbero stati impensabili:
1 - Sono state obbligate centinaia di milioni di persone ad introdurre nel proprio corpo una sostanza sperimentale, seducendole, da una parte, con l’illusione di una immunità che non c’è mai stata, e ricattandole, dall'altra, con la privazione del diritto al lavoro.
2 – Questi milioni di persone sono state obbligate ad accettare questo ricatto senza che vi fosse una qualunque entità responsabile per eventuali effetti avversi: non sono responsabili le farmaceutiche che producono la sostanza sperimentale, non sono responsabili le agenzie del farmaco che la autorizzano, e non sono certo responsabili i medici che la iniettano. In compenso - colmo della perversione - il cittadino DEVE anche firmare un foglio con il quale si assume, in prima persona, le eventuali responsabilità per il danno subito.
Stupisce lo stupore con cui è stata accolta dai media la notizia dello “scandalo” di Bruxelles. “Ohibò, proprio nella sede dei diritti comuni – strillano scandalizzati i nostri pennivendoli – là dove dovrebbe regnare la democrazia più cristallina, ecco che si palesano invece storture e corruzione a livello sudamericano” .
Ed ecco partire la solita operazione di “damage control” mediatico, nella quale si cerca immediatamente di archiviare il problema con la solita scappatoia delle “mele marce”.
Quando scoppiò lo scandalo di Abu Grahib, il Pentagono fu velocissimo ad additare “alcune mele marce”, evitando così al mondo di scoprire che invece si trattava di un sistema vero e proprio, basato sulla violenza e la sopraffazione, che era stato addirittura codificato nero su bianco dal ministro della difesa Rumsfeld, nel famigerato documento Copper Green.
di Rita Rapisardi
Dalla contestazione, alla protesta, a forme di esternazione non istituzionali, quella del rave è la maggiore. E forse l’ultima rimasta. In un mondo che vuole regolare tutto, incorniciare emozioni, dirci cosa pensare, odiare e amare, limitarci in spostamenti e azioni, imporci il confine, il documento come accredito, per accedere o restar fuori, il rave è puro nel suo essere così onesto. Un impianto per “far andare bene” il mondo deve esserci, nei secoli si sono studiate le più varie forme di governo, il diritto è venuto incontro alla necessità di giustizia. Il mondo dei rave, ha una sua giurisdizione, si può riassumere nel senso di libertà: free party, sono chiamati nel giro, free perché gratuiti, non c’è lucro. Free, non vuol dire assenza di regole o sregolatezza, come piace pensare a chi è al di là del muro di casse. è una libertà interiore, di assenza di barriere, mistica. Qualcuno penserà che queste siano parole mitizzanti o deliranti, ma fa comodo pensarla al contrario. I bias non aiutano e nemmeno non l’aver vissuto l’esperienza. In fondo il rave dall’esterno è una di quelle cose facili, per cui tutti, anche superficialmente, ci sentiamo in dovere di esprimerci, smuove impulsi voyeuristici e aiuta chi è in cerca di un capro espiatorio.
Ai rave c’è la droga, esclusivamente al singolare, perché di droghe, al plurale, in Italia non si parla. Sono tutte sullo stesso piano, fanno tutte male allo stesso modo. i danni del proibizionismo, dell’approccio San Patrignano e di leggi come la Fini-Giovanardi hanno plasmato un pensiero comune che uniforma tutte le droghe: per cui lo spinello è come una striscia di cocaina, che è come una spada di eroina. Pensiamo al rave, pensiamo alla droga, a uno spazio composto da zombi strafatti di droga. Non interessa capire di più, non serve. Fa comodo alle coscienze pensare che esista un posto così, lontano dagli occhi in cui si consumano atrocità che delineano la nostra identità: “io non sono come loro”, inconcludenti, falliti, irrealizzati.
Il fallimento dei referendum era nell’aria. Da un lato gli argomenti poco interessanti per la gente, dall’altro la mancanza di chiarezza nel modo stesso in cui erano posti i quesiti referendari, hanno portato al voto sì e no un 20% degli aventi diritto.
Ma c’è qualcosa di più, a mio parere, che ha causato questo flop mastodontico: è la sempre più diffusa convinzione che votare non solo serva a poco, ma che sia diventato addirittura una presa per i fondelli. Quando una nazione ha votato, nel 2018, due partiti “antisistema” come Lega e Cinque Stelle, e poi si ritrova al governo uno come Mario Draghi, è chiaro che anche il meno attento capisce che il suo voto è servito soltanto a legittimare la presenza in parlamento di alcune centinaia di mangiapane a tradimento.
A conferma di questo diffuso sentimento, c’è anche il fatto al voto amministrativo si sia recato solo il 51% degli aventi diritto, mentre in Francia la percentuale dei votanti è stata addirittura di meno della metà: solo il 48% degli aventi diritto ha votato per il rinnovo del Parlamento francese.
In queste situazioni, c’è sempre chi ripropone la solita citazione di Mark Twain “Se votare servisse a qualcosa non ce lo lascerebbero fare”. Ma la cosa non è così semplice, non è una questione di bianco o nero. Il voto può servire a qualcosa quando è bene utilizzato, ma chiaramente serve a poco se lo si utilizza in modo sbagliato.
Ormai sono tanti i paralleli che sono stato fatti fra quanto successo con il covid e quello che sta succedendo con l’Ucraina, a livello mediatico.
Parallelo #1: I BUONI E I CATTIVI
Il primo, e più eclatante, è stato la rigorosa divisione fra “cittadini buoni” e “cittadini cattivi”, a seconda che si fosse favorevoli o meno ai vaccini. Il pro-vax veniva santificato in tutte le trasmissioni, e portato in palmo di mano come “colui che si fida della scienza”, mentre il cosiddetto “no-vax” (in realtà free-vax) veniva additato come paria della società, come umanoide antiquato, come elemento anomalo, al massimo da tollerare se non da escludere del tutto dall’ambito sociale.
La stessa cosa è successa con l’Ucraina, dove i cittadini buoni e quelli cattivi vengono rigorosamente selezionati a seconda della loro posizione sulla guerra in corso: se si sposa la narrativa della NATO, si può andare in giro vantando coccarde gialle-e-blu appese dappertutto, e si avrà automaticamente l’applauso benevolo del conduttore di turno, che ha capito fin dall’inizio che il bene sta tutto da una parte (la nostra) e il male sta tutto dall’altra (la loro). Se invece si osa anche solo mettere in dubbio questa narrativa, allora si diventa “filo-Putin”, e quindi automaticamente nemici della libertà, del progresso e della democrazia.
Ieri doveva essere il d-day, con la convergenza su Roma di decine di migliaia di italiani, che grazie alla loro presenza in piazza avrebbero dato la spallata finale alle restrizioni rappresentate dal greenpass.
Invece si sono viste si e no duecento persone che si guardavano intorno, infreddolite, domandandosi se per caso avessero sbagliato indirizzo. Oppure se avessero sbagliato giorno.
Invece l’indirizzo e il giorno erano giusti: hanno solo sbagliato nazione. Nel senso che evidentemente erano convinte di far parte di un popolo che sa riconoscere i problemi collettivi, e capisce quando è il momento di darsi una mossa tutti insieme, prima che questi problemi diventino permanenti. Faceva male vedere due pensionati del nord, che dicevano “abbiamo fatto mille chilometri per venire fin qui, ma non c’è nessuno”.
E' come se si avvertisse un sadico piacere nella decisione del Governo Draghi di rendere illimitata la durata del green pass, ma solo per chi ha fatto tre dosi di farmaco. Lo abbiamo detto, non vi è nulla di scientifico, nè sanitario che sottende a tale decisione. Lo dimostra in modo plastico che questa durata sine die del lasciapassare non viene concessa ai guariti che non si sono fatti inoculare il prodotto Pfizer o Moderna, J&J o Astrazeneca almeno due volte. A loro no, perchè il braccio non la hanno porto.
Ed è questo sadismo, questa ferocia accolta con giubilo da una fetta di popolazione che fa paura. Il concetto è chiaro: 'noi abbiamo rischiato' (perchè molti al di là della tanto sbandierata sicurezza del farmaco anti Covid ragionano così) e 'adesso devi rischiare anche tu, altrimenti non è giusto'.
Un ragionamento che rispecchia il Male di una società. La giustizia ora non sta nel fare scelte personali che si ritengono sagge, ma nell'imporre a tutti le stesse scelte, una sorta di 'mal comune mezzo gaudio' rispolverato in salsa sanitaria.
Un Paese così fa paura, sì.
Mettiamoci nei panni di chi gestisce dall’alto l’ “emergenza covid”, ovvero di coloro che vogliono sfruttare il covid per arrivare ad instaurare il greenpass permanente, come sistema universale di controllo della popolazione.
Ebbene, dal loro punto di vista, sta per presentarsi un problema non da poco: con la “pandemia” destinata inevitabilmente ad affievolirsi, diventerà sempre più difficile trovare delle scuse per mantenere attivo il greenpass.
Inoltre, il fatto che i greenpass stessi andranno man mano a scadere, significa che sempre più persone, con il passare del tempo, rifiuteranno di rinnovare l’ennesima vaccinazione, e quindi diventerà sempre più difficile mantenere il greenpass come misura permanente.
E senza quello strumento, come sappiamo, il Grande Reset va a farsi benedire.
I soldi delle tasse servono anche a finanziare i mezzi pubblici: autobus, tram, treni, traghetti. Perchè un cittadino a cui è impedito di usare i mezzi pubblici dovrebbe pagare quella porzione di tasse?
I soldi delle tasse servono anche a pagare lo stipendio dei parlamentari. Perchè un cittadino dovrebbe pagare lo stipendio a dei parlamentari che gli impediscono di andare a lavorare, violando l’articolo 4 della costituzione?
I soldi delle tasse servono anche a finanziare la RAI, che dovrebbe svolgere il compito di servizio pubblico pluralistico. Perchè un cittadino la cui voce non è rappresentata dal servizio pubblico dovrebbe continuare a pagare le tasse per finanziare la RAI?
I soldi delle tasse servono anche a finanziare lo spettacolo. Perchè il cittadino dovrebbe pagare le tasse, se non ha il diritto di andare al cinema o a teatro?
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