di Pietro Ratto
Ill.mo Presidente del Consiglio Giuseppe Conte,
a pochi giorni dal 75° anniversario della Liberazione, il Suo popolo si trova a vivere, ormai da quasi due mesi, un’emergenza senza precedenti. Un’emergenza che costringe gli italiani a una reclusione forzata tanto più opprimente quanto più ci si concentra proprio sull’imminente ricorrenza di questo nuovo 25 aprile.
Da quel 1945 ad oggi, infatti, mai come quest’anno il Suo popolo ha avvertito, in tutta la sua dirompenza, il forte anelito alla Libertà. Una Libertà fisica – che è possibilità indiscriminata di movimento, di circolazione, di ritorno alla vita di tutti i giorni e di ricongiungimento sociale – ma anche, e soprattutto, una Libertà morale e intellettuale, che si traduce in un inestinguibile desiderio di confronto, di dialogo e di comprensione profonda, anche e soprattutto in riferimento a quanto ci sta capitando.
Il sacrificio che, da molte settimane, Lei sta chiedendo e imponendo al Suo popolo, Signor Presidente, non può quindi non venir ricambiato da un Suo preciso impegno nei confronti di questa esigenza di chiarezza che, da molte parti ormai, si sta facendo prepotentemente strada. Un’esigenza, come dicevo, intimamente connessa con quel desiderio di Libertà che le sue inestirpabili radici affonda nella Costituzione, nelle istituzioni democratiche e, ancor più, nella nostra più intima e irrinunciabile Natura. Siamo Uomini, Presidente. E, come tali, vogliamo capire.
A nome di tutti coloro che vorranno condividere, in tutti i modi possibili, questa mia istanza, Le chiedo quindi di approfittare della ricorrenza che ci attende, per far luce – in nome di quella Libertà e di quella Democrazia a cui, in quanto italiani e soprattutto uomini, mai rinunceremo – sulle seguenti questioni:
Oggi ho ricevuto questa mail, fra le tante. La pubblico con il consenso della scrivente, dopo aver rimosso il suo nome. Sono certo che gli utenti del sito avranno parole utili per lei. Non siamo soli, nessuno di noi lo è.
Gentile sig. Mazzucco, le scrivo perchè sento la necessità di parlare con qualcuno che mi ispiri e dopo il suo servizio a proposito della censura ho pensato a lei.
Intanto complimenti per il lavoro che sta facendo, alcune mie colleghe, amiche ed io la sosteniamo nel nostro piccolo inoltrando il video e parlandone con chi ci sembra fornito di mente elastica e disposto quindi a mettersi in gioco (purtroppo solo una piccola minoranza!). Ora vorrei raccontarmi a lei sperando di avere risposte o comunque motivazioni per non abbattermi maggiormente.
di Stefano Re
Come alcuni tra i miei lettori sanno bene, in anni passati mi sono occupato di tecniche di interrogatorio. Le ho studiate, ne ho elaborate, ne ho applicate e ne ho insegnate. Una delle fasi più importanti di un interrogatorio consiste nella preparazione del soggetto all’interrogatorio vero e proprio, che è a tutti gli effetti un processo di seduzione. Ci sono interrogatori assai simili ad uno stupro e altri assai simili a un dolce corteggiamento, ma il finale consiste comunque nello stesso atto: fottere l’interrogato. Nel cervello, ovviamente, non necessariamente nel corpo, anche se c’è chi si prende anche quel genere di libertà.
di Stefano Re
Dopo quasi cent’anni di democrazia, finalmente ci siamo accorti che alla maggioranza delle persone non importa affatto essere libera. Anzi, quel che desiderano è esattamente il contrario.
Desiderano che qualcuno gli dica che cosa fare e come farlo. E che obblighi chiunque a farlo. Desiderano che qualcuno gli venga presentato come “esperto” per potergli ubbidire sentendo di stare facendo “la cosa giusta”. E istintivamente indirizzano le proprie frustrazioni ed angosce contro chiunque non si allinei, contro chiunque dissenta o metta in discussione gli ordini dell’esperto cui essi vogliono obbedire.
Poco importa se l’esperto non ne sappia in effetti più di loro: la sua funzione non è realmente quella di aiutare ad analizzare, affrontare o persino risolvere un problema, bensì soltanto quella di scrollare di dosso alla massa la responsabilità di decidere. Fornire ai molti l’alibi per ubbidire, sentendosi anche tanto, tanto intelligenti. E soprattutto, sentendosi “liberi”.
di Ernesto Melappioni
Si è vero, ci è stata tolta la libertà. Non possiamo uscire più del dovuto e dobbiamo rispettare delle regole ferree. In pochi giorni è cambiato radicalmente lo stile di vita di milioni di italiani.
Ma aldilà di tutto, aldilà delle teorie del complotto, aldilà di questi governi di usurai e malfattori, aldilà degli assalti ai treni e ai supermercati. Aldilà di questo cazzo di coronavirus vero o falso che sia...
Fermatevi un attimo. Chiudete gli occhi e fate un bel respiro. E rispondete dentro di voi a questa domanda: ma quale libertà c'è stata tolta?
Quella di correre ogni giorno verso il nulla senza fermarci un attimo. Senza avere una singola goccia di tempo a disposizione per chiederci chi siamo veramente.
Traffico, mezzi pubblici, smog lavoro stressante. Immersi in rumori meccanici logoranti dalla mattina alla sera, anche durante la notte se nel weekend si ha voglia di distrarci tuffandoci nella movida o dentro un cinema o ristorante che sia.
Distrarci da cosa poi?
Perfavore, spiegatemi Sanremo. Ma non ditemi che “Sanremo rappresenta la linea mediana dell’Italietta provinciale”, perchè non è sufficiente come spiegazione. Io voglio capire come si riesca a convincere più della metà dei telespettatori (share 52%) a sintonizzarsi su un programma che non offre niente di particolare, se non la celebrazione di sè stesso.
E’ un pò come Paris Hilton, oppure Kim Kardashian, che sono personaggi noti solo per essere noti, pur non avendo mai fatto nulla di particolare nella vita. E così è diventato Sanremo: una autocelebrazione del nulla all’ennesima potenza.
Sanremo è importante perchè è Sanremo, e non per quei quattro cretini che si alternano sul palcoscenico facendo finta di cantare. Sanremo è la vittoria finale del contenitore sul contenuto. Un contenuto vuoto, che sta a sua volta dentro un contenitore vuoto, che è il televisore. Dobbiamo quindi dedurre che la massa italica di pecore è stata ridotta ai minimi termini, in quanto a capacità critica, oppure c’è qualcosa che mi sfugge?
Massimo Mazzucco
Conte aveva detto che sarebbe stato “un anno meraviglioso”. Forse lo è stato per lui, che è riuscito a diventare primo ministro per due volte nell'arco di pochi mesi. Ma per il resto, si fatica veramente a vedere qualcosa di positivo nell’anno che è appena trascorso.
A livello nazionale, il fatto più eclatante è stato certamente la caduta verticale del Movimento Cinque Stelle. Non è questa la sede per mettersi ad analizzare le colpe specifiche e le responsabilità di un disastro così spaventoso, ma resta il fatto che il partito di Di Maio e Beppe Grillo è riuscito a dissipare nell’arco di soli 18 mesi un capitale elettorale prezioso, in una situazione sicuramente irripetibile. Io non so dire con certezza se questa caduta verticale sia stata voluta da qualcuno in particolare, oppure sia stata semplicemente il risultato di una pessima gestione ai vertici del movimento. Ma resta il fatto che una marea enorme di elettori - la cosiddetta base grillina - è rimasta profondamente e irreversibilmente delusa da questo disastro.
di Pietro Agriesti
Lo Stato sin dalla sua nascita si è posto il problema di fare i cittadini e la società, e man mano si è impegnato a fare la lingua, la storia, la religione, la cultura, la famiglia, l’economia, la moneta, la sessualità, ecc.
Tutte queste cose si sono sviluppate prima e a prescindere dallo Stato contemporaneo, come istituzioni spontanee, rispondenti a delle esigenze che precedono gli Stati. Hanno avuto una loro naturale evoluzione, cambiando moltissimo secondo i tempi e i luoghi.
Tutte queste cose sono state poste dallo Stato sotto il suo dominio. E il suo impegno è stato quello di cambiarle secondo le sue esigenze. Ma le esigenze di uno Stato non sono quelle dell’insieme delle persone che vivono e usano queste cose. In genere quando ci si riferisce al libero mercato e alla pianificazione statale si pensa immediatamente all’economia. A questo proposito scrivevo tempo fa che:
“Il libero mercato risponde ai bisogni e ai desideri delle persone che ne fanno parte semplicemente perché ognuno è libero di esercitarli quotidianamente; il che è esattamente ciò che la pianificazione economica e l’intervento statale contrastano. In un’economia libera ogni persona è libera di scegliere se e cosa studiare, che lavoro fare, come spendere i propri soldi, come investire i propri risparmi, dove abitare, come organizzare la propria vita. Ogni persona è libera di lavorare o non lavorare, di assumere e di licenziare, di cambiare lavoro, di cercare di mettersi in proprio, di costituire una società, di consumare o risparmiare, di investire o meno, di donare tutto ciò che vuole a chi le pare, di prestare e di prendere a prestito, e così via. La libertà di tutti gli attori coinvolti fa sì che il sistema risponda ai bisogni e ai desideri delle persone che ne fanno parte, ma è ovviamente in contraddizione con la pianificazione e con l’esercizio del potere politico.”
di Federico Giovannini
Molto spesso alle conferenze di coloro che cercano di darci una visione (aimè sovente sconfortante) del mondo, nei luoghi anche virtuali dove si dibatte dei problemi del nostro sociale, rivolgiamo sempre la solita domanda: Cosa fare? (in questo scenario, in questa situazione, ecc.).
Attualmente una delle risposte più sensate è quella della difesa del proprio territorio. Giulietto Chiesa prendeva come emblematica la difesa dei valsusini del loro territorio contro quell’opera devastante per loro terra che è la TAV. Man mano, grazie anche ai contribuiti di altri autori, si è capito che “il territorio” deve essere considerato in senso allargato e quindi il territorio diventa un concetto più esteso rispetto alla semplice idea di luogo fisico e si parla quindi della difesa della salute, la difesa dei propri pensieri (e quindi dell’istruzione) e della difesa anche di quella che è la nostra esistenza in uno spazio tutto nuovo e privo ancora di regole minimamente eque e democratiche che è il cyberspazio.
Solo per definire quello che è un concetto ancora poco messo a fuoco: il fatto che passiamo buona parte del nostro tempo a scrivere, mandare foto, relazionarci, lavorare sulla rete internet automaticamente rende tale “luogo” un posto da difendere dagli attacchi ormai sempre meno sottili e sempre più brutali del “sistema” (spesso viene definito così questa dittatura dell’élite dominanti che ormai domina incontrastata il mondo).
La difesa del territorio tuttavia, anche in senso lato, non è sufficiente a delineare con chiarezza la linea di condotta necessaria, occorre approfondire il “perché” e il “come”, in quanto non sono affatto cose scontate.
Cosa significa esattamente “difendere” il proprio territorio reale o virtuale che sia? Difendere la propria salute? Difendere i propri pensieri?
Le proteste di strada divampano ovunque nel mondo. In Francia i Gilet Gialli continuano imperterriti a distruggere tutto quello che trovano. A Hong-Kong i manifestanti continuano a combattere armati di arco e frecce, contro i proiettili della polizia sparati anche ad altezza uomo. In Iran la gente scende in strada e protesta per il caro-prezzi. In Cile continuano le manifestazioni di piazza contro il governo. La stessa cosa accade il Libano. In Bolivia i sostenitori di Morales scendono in strada contro il colpo di stato.
Ma c’è una cosa che accomuna tutte queste situazioni: la totale sordità dei rispettivi governi alle proteste popolari.
In fondo, se il suo popolo protesta, un buon governante dovrebbe prendere atto dei problemi che vengono denunciati, e cercare di porvi rimedio. Invece sembra che ci sia quasi una forma di cinismo di fronte a queste manifestazioni di piazza: è come se i governanti si limitassero a dire “lasciamoli sfogare, prima o poi si stancheranno e torneranno a casa”.
di Federico Giovannini
Samuel Langhorne Clemens è considerato uno dei più grandi umoristi di tutti i tempi. Romanziere di grandissimo successo secondo alcuni, dai suoi scritti, deriva la narrativa moderna americana.
Più noto con il suo pseudonimo Mark Twain, ci lasciò diversi aforismi, uno dei quali descrive con tinte ironiche quello che succede quando proviamo a svegliare qualcuno dal sonno della ragione:
"E' più facile ingannare la gente piuttosto che convincerla di essere stata ingannata."
In qualche modo il suo aforisma condensa quella che è l'essenza del mito della caverna di Platone.
C'è chi si affanna ad avere un eloquio più convincente o argomenti più inoppugnabili. Chi si appella alla Scienza o elabora ragionamenti con logiche stringenti. Ma nonostante tutto il più delle volte non funziona, si fa una fatica sfibrante e la persona rimane nella sua caverna, spesso reagendo anche violentemente; ma perché?
Leggi tutto: Lettera aperta al Presidente del Consiglio