Perfavore, spiegatemi Sanremo. Ma non ditemi che “Sanremo rappresenta la linea mediana dell’Italietta provinciale”, perchè non è sufficiente come spiegazione. Io voglio capire come si riesca a convincere più della metà dei telespettatori (share 52%) a sintonizzarsi su un programma che non offre niente di particolare, se non la celebrazione di sè stesso.
E’ un pò come Paris Hilton, oppure Kim Kardashian, che sono personaggi noti solo per essere noti, pur non avendo mai fatto nulla di particolare nella vita. E così è diventato Sanremo: una autocelebrazione del nulla all’ennesima potenza.
Sanremo è importante perchè è Sanremo, e non per quei quattro cretini che si alternano sul palcoscenico facendo finta di cantare. Sanremo è la vittoria finale del contenitore sul contenuto. Un contenuto vuoto, che sta a sua volta dentro un contenitore vuoto, che è il televisore. Dobbiamo quindi dedurre che la massa italica di pecore è stata ridotta ai minimi termini, in quanto a capacità critica, oppure c’è qualcosa che mi sfugge?
Massimo Mazzucco
Conte aveva detto che sarebbe stato “un anno meraviglioso”. Forse lo è stato per lui, che è riuscito a diventare primo ministro per due volte nell'arco di pochi mesi. Ma per il resto, si fatica veramente a vedere qualcosa di positivo nell’anno che è appena trascorso.
A livello nazionale, il fatto più eclatante è stato certamente la caduta verticale del Movimento Cinque Stelle. Non è questa la sede per mettersi ad analizzare le colpe specifiche e le responsabilità di un disastro così spaventoso, ma resta il fatto che il partito di Di Maio e Beppe Grillo è riuscito a dissipare nell’arco di soli 18 mesi un capitale elettorale prezioso, in una situazione sicuramente irripetibile. Io non so dire con certezza se questa caduta verticale sia stata voluta da qualcuno in particolare, oppure sia stata semplicemente il risultato di una pessima gestione ai vertici del movimento. Ma resta il fatto che una marea enorme di elettori - la cosiddetta base grillina - è rimasta profondamente e irreversibilmente delusa da questo disastro.
di Pietro Agriesti
Lo Stato sin dalla sua nascita si è posto il problema di fare i cittadini e la società, e man mano si è impegnato a fare la lingua, la storia, la religione, la cultura, la famiglia, l’economia, la moneta, la sessualità, ecc.
Tutte queste cose si sono sviluppate prima e a prescindere dallo Stato contemporaneo, come istituzioni spontanee, rispondenti a delle esigenze che precedono gli Stati. Hanno avuto una loro naturale evoluzione, cambiando moltissimo secondo i tempi e i luoghi.
Tutte queste cose sono state poste dallo Stato sotto il suo dominio. E il suo impegno è stato quello di cambiarle secondo le sue esigenze. Ma le esigenze di uno Stato non sono quelle dell’insieme delle persone che vivono e usano queste cose. In genere quando ci si riferisce al libero mercato e alla pianificazione statale si pensa immediatamente all’economia. A questo proposito scrivevo tempo fa che:
“Il libero mercato risponde ai bisogni e ai desideri delle persone che ne fanno parte semplicemente perché ognuno è libero di esercitarli quotidianamente; il che è esattamente ciò che la pianificazione economica e l’intervento statale contrastano. In un’economia libera ogni persona è libera di scegliere se e cosa studiare, che lavoro fare, come spendere i propri soldi, come investire i propri risparmi, dove abitare, come organizzare la propria vita. Ogni persona è libera di lavorare o non lavorare, di assumere e di licenziare, di cambiare lavoro, di cercare di mettersi in proprio, di costituire una società, di consumare o risparmiare, di investire o meno, di donare tutto ciò che vuole a chi le pare, di prestare e di prendere a prestito, e così via. La libertà di tutti gli attori coinvolti fa sì che il sistema risponda ai bisogni e ai desideri delle persone che ne fanno parte, ma è ovviamente in contraddizione con la pianificazione e con l’esercizio del potere politico.”
di Federico Giovannini
Molto spesso alle conferenze di coloro che cercano di darci una visione (aimè sovente sconfortante) del mondo, nei luoghi anche virtuali dove si dibatte dei problemi del nostro sociale, rivolgiamo sempre la solita domanda: Cosa fare? (in questo scenario, in questa situazione, ecc.).
Attualmente una delle risposte più sensate è quella della difesa del proprio territorio. Giulietto Chiesa prendeva come emblematica la difesa dei valsusini del loro territorio contro quell’opera devastante per loro terra che è la TAV. Man mano, grazie anche ai contribuiti di altri autori, si è capito che “il territorio” deve essere considerato in senso allargato e quindi il territorio diventa un concetto più esteso rispetto alla semplice idea di luogo fisico e si parla quindi della difesa della salute, la difesa dei propri pensieri (e quindi dell’istruzione) e della difesa anche di quella che è la nostra esistenza in uno spazio tutto nuovo e privo ancora di regole minimamente eque e democratiche che è il cyberspazio.
Solo per definire quello che è un concetto ancora poco messo a fuoco: il fatto che passiamo buona parte del nostro tempo a scrivere, mandare foto, relazionarci, lavorare sulla rete internet automaticamente rende tale “luogo” un posto da difendere dagli attacchi ormai sempre meno sottili e sempre più brutali del “sistema” (spesso viene definito così questa dittatura dell’élite dominanti che ormai domina incontrastata il mondo).
La difesa del territorio tuttavia, anche in senso lato, non è sufficiente a delineare con chiarezza la linea di condotta necessaria, occorre approfondire il “perché” e il “come”, in quanto non sono affatto cose scontate.
Cosa significa esattamente “difendere” il proprio territorio reale o virtuale che sia? Difendere la propria salute? Difendere i propri pensieri?
Le proteste di strada divampano ovunque nel mondo. In Francia i Gilet Gialli continuano imperterriti a distruggere tutto quello che trovano. A Hong-Kong i manifestanti continuano a combattere armati di arco e frecce, contro i proiettili della polizia sparati anche ad altezza uomo. In Iran la gente scende in strada e protesta per il caro-prezzi. In Cile continuano le manifestazioni di piazza contro il governo. La stessa cosa accade il Libano. In Bolivia i sostenitori di Morales scendono in strada contro il colpo di stato.
Ma c’è una cosa che accomuna tutte queste situazioni: la totale sordità dei rispettivi governi alle proteste popolari.
In fondo, se il suo popolo protesta, un buon governante dovrebbe prendere atto dei problemi che vengono denunciati, e cercare di porvi rimedio. Invece sembra che ci sia quasi una forma di cinismo di fronte a queste manifestazioni di piazza: è come se i governanti si limitassero a dire “lasciamoli sfogare, prima o poi si stancheranno e torneranno a casa”.
di Federico Giovannini
Samuel Langhorne Clemens è considerato uno dei più grandi umoristi di tutti i tempi. Romanziere di grandissimo successo secondo alcuni, dai suoi scritti, deriva la narrativa moderna americana.
Più noto con il suo pseudonimo Mark Twain, ci lasciò diversi aforismi, uno dei quali descrive con tinte ironiche quello che succede quando proviamo a svegliare qualcuno dal sonno della ragione:
"E' più facile ingannare la gente piuttosto che convincerla di essere stata ingannata."
In qualche modo il suo aforisma condensa quella che è l'essenza del mito della caverna di Platone.
C'è chi si affanna ad avere un eloquio più convincente o argomenti più inoppugnabili. Chi si appella alla Scienza o elabora ragionamenti con logiche stringenti. Ma nonostante tutto il più delle volte non funziona, si fa una fatica sfibrante e la persona rimane nella sua caverna, spesso reagendo anche violentemente; ma perché?
di Zlatorog
Stiamo assistendo ad una continua creazione di nuovi "diritti", a volte i più strampalati e del tutto superflui.
Mi ritornano alla mente ad esempio le coniugazioni al femminile di alcuni ruoli e professioni come sindacA, ministrA, ma anche altre inutili e demagogiche stronzate di boldriniana memoria.
Non so quanti ci abbiano fatto caso, ma insieme all'acquisizione di nuovi diritti ci stanno venendo sottratti quelli vecchi...che guarda caso sono ben più importanti.
Così di fronte ai nuovi diritti delle donne, quali i nomi al femminile delle professioni, il diritto a non essere corteggiate, il diritto a non vedere mercificata l'immagine del loro corpo, c'è la perdita di altri diritti ben più importanti, ad esempio quello di poter avere un lavoro dignitoso (quante sono le donne anche in occidente che per poter vivere finiscono a fare il porno mercificandolo molto di più?), il diritto a poter fare una famiglia (vedi punizioni e/o licenziamenti o accordi contrattuali nei confronti delle donne che desiderano avere figli).
di Federico Giovannini
Per la comprensione di un fenomeno, la cosa più difficile, per l’osservatore, è mettere da parte le nozioni fino a quel momento date per scontate. Se non si ha questa accortezza non si acquisiranno mai nuove visioni del mondo, più complete e aderenti alla realtà di quelle precedenti.
Se non si procede in questo modo si farà caso solo a quello che si è convinti di dover vedere.
Oggi, ci troviamo indiscutibilmente di fronte all’ostacolo più grande che l’umanità si sia mai trovata davanti: il nostro sviluppo ha assunto aspetti così estremi che sta diventando un impedimento per la vita stessa delle generazioni presenti e future. Parallelamente allo sviluppo sono aumentati gli scarti e i rifiuti, in breve l’inquinamento ambientale è diventato un aspetto emergenziale.
Socialmente parlando, mai come negli ultimi anni le disuguaglianze sono arrivate a livelli così paradossali tanto da creare disagio anche ai più “fortunati”. Persone da una parte del mondo soffrono la fame e dall’altra l’eccesso di alimentazione provoca patologie di ogni tipo.
I conflitti tra i popoli, lungi dall’essere risolti pacificamente, si esacerbano e diventano via via più cruenti e l’unica cosa che si riesce a fare è cambiargli nome e invece di usare il termine “guerre” sono chiamati: ”missioni di pace”.
Occorre, il prima possibile, cambiare rotta ed invertire i processi che stanno rendendo il mondo sempre meno a misura d’uomo e sempre più un incubo generato da noi stessi.
Durante i commenti all’articolo su Greta Thunberg, un utente ha scritto: “Pensi che Massimo [Mazzucco] lo lascerebbero parlare alle Nazioni Unite?”
Domanda retorica, ovviamente, che però mi ha fatto pensare: “Se io davvero avessi un palcoscenico del genere, per pochi minuti, come lo utilizzerei per trarne il massimo vantaggio?”
E a questo punto giro la domanda a voi: se aveste tre minuti in diretta mondiale, sul palcoscenico delle Nazione Unite, che discorso fareste?
Vi invito nei commenti a pubblicare ciascuno il discorso che farebbe in diretta mondiale alle Nazioni Unite, se ne avesse la possibilità. (Se esce qualcosa di buono lo mandiamo a Guterres, a magari lui vi invita. In fondo, se ci è riuscita Greta, perchè non dovrebbe riuscirci ciascuno di noi?)
di Uhura
Non posso crederci. Leggo la notizia che mi lascia senza parole. E’ accaduto ancora. Catania, una giornata di fine estate ancora molto calda: un papà ha dimenticato il suo bambino nel parcheggio del posto di lavoro e solo all’ora di pranzo, allertato da una telefonata della moglie, si rende conto di ciò che è accaduto. Si precipita verso il parcheggio per constatare che il suo bambino è lì, privo di conoscenza : guida come un forsennato fino all’ospedale ma per il suo piccolo non c’è più nulla da fare. Muore così l’ennesimo bambino dimenticato per ore, in macchina , sotto il sole ed inizia così una ennesima tragedia per due genitori che nulla di male hanno fatto se non vivere in un’ epoca folle che ci sta annientando tutti. Questo bambino ha pagato con la vita una disattenzione che non mi sento – in tutta franchezza – di attribuire esclusivamente ad una “imperdonabile distrazione” (come vorrebbero certuni) di un povero padre distrutto dalla tragedia e da un inevitabile senso di colpa.
Sono fatti che accadono sempre più spesso e credo sia venuto il momento di provare a dargli un’interpretazione altra da quella comunemente offerta. Gli psicologi ( che non sono sociologi) hanno il compito di fornire una spiegazione che rimane confinata sul piano individuale e che si fa interprete di meccanismi nei quali può incorrere una persona stressata; il compito dello psicologo si esaurisce quindi nell’analisi del fenomeno sul fronte individuale. Tuttavia, il singolo individuo è inserito in un contesto sociale che sovente detta regole anche impietose.
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