di Riccardo Pizzirani (Sertes)
Ricordate il Beppe Grillo degli albori? Quello che ci spiegava che è il cittadino, avendo eletto un suo rappresentante, che aveva l'onere di controllare il suo operato? Quello che voleva portare le telecamere nelle stanze del potere? Sì, quello che come provocazione proponeva pure il Politometro, uno strumento per verificare lo stato patrimoniale di un politico sia prima che dopo il suo mandato, per verificare che non si fosse arricchito mentre doveva invece servire il popolo. Convinceva. Gli argomenti, quantomeno, erano convincenti. Poi, invece, con le azioni andò in "leggera controtendenza", come piaceva dire a lui: anno dopo anno il M5S si è trasformato nella peggiore stampella dei poteri sovranazionali, firmando le norme più restrittive mai avute nel dopoguerra, avvallando censura e discriminazione, proibizione di manifestare, e scelte così libere che se sceglievi diversamente da come non pareva a loro, ti veniva proibito pure di lavorare! E il bel concetto dei "cittadini che controllano il potere" è stato rovesciato nel modo più completo.
E’ già da diversi giorni che si parla dell’autonomia differenziata. La nuova legge è già stata approvata dal Senato, e non si prevedono difficoltà per il passaggio alla Camera. Io purtroppo non ho avuto tempo di approfondire la faccenda, per cui chiedo a chi fosse più informato di me: in cosa consiste esattamente l’autonomia differenziata? Che cosa prevede di diverso da oggi? Quali conseguenze ci saranno nelle regioni del nord rispetto a quelle del sud?
Grazie a chi vorrà contribuire.
In una recente puntata di “100 Giorni da Leone” avevo lamentato l’assenza di un supporto da parte dei portuali delle altre città ai loro colleghi di Trieste, durante il caldo autunno dell’imposizione del greenpass. Un portuale di Genova mi ha mandato questa lettera, pregandomi di omettere il suo nome, per ovvii motivi.
Caro Massimo, pochi giorni fa, sul canale di Rocchesso, ho ascoltato la tua analisi sul "fallimento" dei movimenti portuali "no green pass", imputabile al mancato seguito, da parte di altri porti italiani, alle iniziative di lotta intraprese dai ragazzi del porto di Trieste.
Credo che sia interessante per te conoscere il resoconto di chi ha organizzato e vissuto quei giorni sulla propria pelle, lontano dai riflettori.
Tra i portuali di Genova, come immagino in molte altre realtà italiane, esisteva già da tempo un piccolo gruppo di pecore nere, tanto emarginate quanto agguerrite, sulla cui formazione anche i tuoi contenuti hanno avuto un ruolo importante.
di Francesco Santoianni
Morta prima del nascere la Commissione parlamentare d'inchiesta sulla gestione dell'emergenza Covid che ora, stravolgendo la stesura già approvata dalla Camera, in quella approvata l’8 novembre dal Senato, non potrà più indagare su "eventuali obblighi e restrizioni carenti di giustificazione in base ai criteri della ragionevolezza, della proporzionalità e dell'efficacia, contraddittori o contrastanti con i princìpi costituzionali" né sulla “legittimità della dichiarazione dello stato di emergenza e delle relative proroghe”, né “sull'utilizzo dello strumento della decretazione d'urgenza". In più ora la Commissione non avrà la possibilità di esaminare documenti secretati né di indagare sulle responsabilità e decisioni prese dalle autorità regionali.
E dire che il partito della Meloni, con tanto di cartelli contro il Green Pass, il 21 luglio 2021, aveva occupato la Camera dei deputati. Su questo stravolgimento di una Commissione che aveva suscitato tante speranze abbiamo intervistato il prof. Giulio Tarro.
Dovete andare su youtube per vederlo. Il video è anche disponibile sul mio canale telegram, su facebook e su Odysee
di Andrea Zhok
Telecom Italia, con l'assenso del governo Meloni, ha deliberato la vendita per 19 miliardi di euro della rete fissa italiana, al gruppo finanziario statunitense KKR (Kohlberg Kravis Roberts).
Il gruppo KKR non è solamente un grande gruppo americano, ma, per comprenderne l'autonomia rispetto al comparto militare-industriale, ha come presidente l'ex generale americano David Petraeus.
L'infrastruttura delle telecomunicazioni è oggi la più importante infrastruttura che definisce le capacità operative di una nazione nel mondo moderno.
La paura come sistema di governo e una pianificazione dell’emergenza finalizzata solo a tutelare chi dovrà dirigerla si stanno rivelando in tutta la loro gravità in questi giorni nei Campi flegrei e a Napoli dove, da decenni, si pretende di affrontare una emergenza (quale bradisismo e conseguenti terremoti che prefigurano una situazione di elevata indeterminatezza) esclusivamente con uno (sgangherato) Piano di evacuazione. Il risultato è un continuo stato di ansia (che potrebbe determinare, come è stato nell’emergenza bradisismo 1983, l’insorgere di numerose malattie psicosomatiche) e produrre lo scatenamento del panico, come quello verificatosi lo scorso 2 ottobre, che per mera fortuna non ha determinato morti e feriti gravi. Ma potrebbe esserci una pianificazione e gestione dell’emergenza diversa da quella attuale? Una pianificazione e gestione simile a quella di non pochi paesi caratterizzati da rischio vulcanico. Che sia vicina agli interessi della gente e non serva soltanto ad incensare istituzioni quali Dipartimento alla protezione civile, INGV, Regione Campania... Che non serva soltanto ad alimentare un fiume di inutili consulenze. Nel testo che segue un lungo documento redatto da Francesco Santoianni che ha lavorato per quarant’anni nella protezione civile (occupandosi di Pianificazione dell’emergenza e comunicazione alla popolazione in situazioni di crisi) e che dal 1996 sta chiedendo per l’area vesuviana e per i Campi flegrei un piano di emergenza degno di questo nome.
di Francesco Santoianni
“Un milione di morti se si sveglia il Vesuvio!”, “Campi Flegrei: una imminente catastrofe?”, “Napoli: nella morsa di due vulcani”… sono questi i titoli che periodicamente troneggiano sui giornali e TV per denunciare un rischio che non ha eguali al mondo. Nonostante ciò, da 23 anni (ventitre anni!) un reale (ma su questo termine ci ritorniamo) Piano di Protezione civile per l’area vesuviana e per l’area flegrea attende ancora di essere redatto, mentre per quello per l’isola di Ischia, siamo ancora all’Anno Zero.
Quello che sta succedendo in questo giorni sul fronte immigrazione è inaccettabile. Che ci sia o meno dietro la regia del PD – come sostiene Salvini – è evidente il disegno di mettere l’Italia in difficoltà quando c’è un governo di destra.
Inoltre, lo schiaffo palese di Germania e Francia, che chiudono le frontiere invece di aiutarci, sommato alle parole derisorie della Von der Leyen, che ci racconta che “stiamo tutti lavorando per una soluzione comune”, dimostrano una volta per tutte che il termine “Unione Europea” è solo una formula di comodo, che serve a controllare economicamente le varie nazioni. Ma di “unione” in questa formula c’è ben poco.
Io, come italiano, mi sento profondamente preso in giro dall’attuale situazione, e non credo di essere l’unico.
di Riccardo Merendi
Che in nome di una discutibile emergenza un governo decida di costruire opere costosissime, pericolose e forse inutili può far parte del gioco economico-politico a cui, poco alla volta, i cittadini si sono assuefatti subendo una disinformazione di sempre più alto livello (per chi la conosce, è la storia della rana di Chomski). Che per giustificare la "discutibile emergenza" si ricorra a una guerra -che non si sa se contribuisca alla democrazia ma di certo procura utili favolosi ai produttori di armi- può far parte della ben nota tattica di nascondere biechi interessi dietro "alti ideali".
Ma che un politico rampante si vanti di aver "approvato in quattro mesi ciò che di solito richiede dai cinque ai dieci anni" quando il decreto che ha firmato fa acqua da tutte le parti sembra azzardato se non suicida!
E quasi ce l'aveva fatta grazie alla tattica, anche questa ben nota, di una trasparenza talmente trasparente da rendere impossibile vederci qualcosa: oltre mille documenti dei quali solo il decreto conclusivo di oltre mille pagine! Chi mai leggerebbe quella mole abnorme di documenti? E a che scopo, sapendo come vanno le cose?
Ma come succede in certi film, e qualche rare volte nella realtà, sfogliando i documenti del progetto un ingegnere meccanico di Ravenna, il sottoscritto, si è accorto che la procedura di collaudo del gasdotto non solo non era conforme alle norme, ma era addirittura impossibile da superare!
di Enrico Pietra
Cinque anni. Cinque anni dal crollo della pila 9 del Ponte Morandi a Genova, avvenuto la piovosa mattina del 14 agosto 2018, in circa 15 secondi. Furono 43 le vittime. Quella del Morandi a Genova, la più devastante tragedia che ha colpito la città della Lanterna dal secondo dopoguerra, è ormai una vicenda che prima di essere giudiziaria e di cronaca, è divenuta nel tempo surreale.
Perché surreale? Perché sin dalle prime ore, tutti sapevano tutto. Tutti i media, le istituzioni, i giornali e le radio parlavano con cognizione di causa di un ponte “marcio”, crollato per il distacco di uno “strallo”. E tutti sapevano che la responsabilità di quanto avvenuto fosse da imputare ad ASPI e alla sua politica di lesina su monitoraggi e manutenzioni.
Non che la storia di questi quasi cinque anni trascorsi non abbia confermato le prime supposizioni, per lo meno per quanto riguarda lo stato precomatoso di quel ponte, soprattutto dei trefoli d’acciaio dei tiranti, annegati nel calcestruzzo, e delle viscere dell’impalcato, sopra cui ogni giorno passavano migliaia di mezzi e autoarticolati. Ricordo, però, che il ponte è crollato scarico: qualche decina di automobili e due o tre bilici. Sarebbe potuta andare molto, molto peggio. Eppure, siamo ancora qui a discutere, la giustizia non ha completato il suo corso, anzi gli imputati verranno auditi solo a partire dall’autunno prossimo. Malgrado le assolute certezze iniziali, più volte ribadite, nessuna decisione è stata presa, nessuna condanna è stata ancora emessa.
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