In un solo giorno, il regime di Tel Aviv si è macchiato di una violazione massima delle Convenzioni di Vienna che rappresenta un vero e proprio atto di guerra - il bombardamento del consolato dell'Iran sul territorio sovrano siriano - e poi ha colpito il convoglio dove viaggiavano gli operatori umanitari di un'associazione, la World Central Kitchen, impegnata a fornire aiuto ad una popolazione allo stremo. Per chi non conoscesse lo stato della popolazione di Gaza in questo momento, le valutazioni dell’ICP (classificazione integrata delle fasi di sicurezza alimentare), ha recentemente rilevato "come il 70% degli abitanti di Gaza nel nord (circa 210.000 persone) si trovano ad affrontare la Fase 5 dell’insicurezza alimentare, cioè la catastrofe.
Ieri tutto il mondo si è ritrovato ad applaudire la risoluzione dell’ONU che finalmente – grazie alla “sorprendente” astensione degli USA - impone un cessate il fuoco a Gaza. Israele ovviamente si è detto “inorridito” da questo voto.
Peccato che la risoluzione di ieri – pur essendo del consiglio di sicurezza, e quindi vincolante – a Netanyahu faccia un baffo. Come d’altronde ad Israele hanno fatto un baffo TUTTE le risoluzioni dell’ONU che, dal 1967 in poi, imponevano allo stato sionista di restituire i territori occupati.
Israele se ne fotte delle risoluzioni ONU, questo ormai lo sanno anche i sassi.
Quindi, a cosa è servito il voto di ieri, con la “strategica astensione” degli Stati Uniti?
Dopo che l’Università di Torino ha ritirato la propria partecipazione al bando del Ministero degli Esteri per una cooperazione con Israele, La Stampa di oggi titola: “Torino, Università senza pace. L’allarme del governo: preoccupa il clima antisemita”.
A Susanna Terracini – unico membro del senato universitario ad essersi opposto a questa decisione – viene concesso l’articolo di spalla, intitolato “Sbagliato interrompere i rapporti con Israele”. Nell’articolo accanto, Salvaggiulo scrive che “Frange estremiste hanno egemonizzato le studentesse che da Torino hanno rotto il velo su prevaricazioni e molestie all’università”. Ed ecco che già si mescolano, nella mente del lettore, antisemitismo e molestie sessuali.
Mentre il buon Galimberti – il nostro sociologo per tutte le stagioni – ci ricorda che “la tolleranza è possibile solo se ascolto l’avversario. Se credo che possa allargare la mia visione del mondo”.
Diversi dipendenti palestinesi della UNRWA, rilasciati dopo una detenzione da parte di Israele, hanno raccontato di essere stato obbligati a mentire sulle presunte complicità dell’agenzia dell’ONU con Hamas, negli attacchi del 7 ottobre.
Come tutti ricorderanno, l’accusa di complicità negli attentati da parte di Israele era costata all’UNRWA la sospensione dei finanziamenti da parte di molti governi occidentali. Ebbene, non solo Israele non ha mai saputo fornire le prove di questa complicità, ma ora si scopre che alcuni suoi dipendenti, durante la prigionia, sono stati torturati, ricattati e obbligati a mentire su questo fatto.
Dall’articolo della Reuters leggiamo:
La cosa più ributtante nella politica sionista non è vedere il massacro sistematico dei palestinesi, ma il continuo rifugiarsi in giustificazioni fasulle ed ipocrite per coprire in qualche modo le loro azioni criminali. Non solo ammazzano a piacimento, ma poi non hanno nemmeno il coraggio delle proprie azioni.
Ieri più di cento palestinesi sono stati massacrati sulla spiaggia di Gaza, mentre cercavano di procurarsi del cibo portato dai camion di aiuti umanitari. Dozzine di testimoni hanno visto i soldati israeliani sparare sulla folla inerme, scatenando il panico ed un fuggi-fuggi generale. Ma secondo l’IDF l’azione è stata giustificata, e la colpa della “maggioranza dei morti” è comunque da attribuirsi ai palestinesi, che si sono “calpestati” fra di loro mentre scappavano (“Most Deaths Caused by Stampede” - Haaretz).
Naturalmente, che cosa abbia causato la “stampede” (il fuggi-fuggi) nessuno lo dice.
Gideon Levy è l’unico giornalista israeliano che abbia sempre avuto – e tuttora ha – il coraggio di criticare apertamente la politica di Israele verso i palestinesi. Questo suo articolo è uscito su Haaretz tre giorni fa.
di Gideon Levy
L’opinione pubblica israeliana deve svegliarsi, e con essa l’amministrazione Biden. Questa emergenza è più grave di qualsiasi altra durante questa guerra
L’unica cosa che possiamo fare ora è chiedere, implorare, piangere: non entrate a Rafah. Un raid israeliano su Rafah costituirebbe un attacco al campo profughi più grande del mondo. Trascinerà l’esercito israeliano a commettere crimini di guerra di una gravità che nemmeno lui stesso ha ancora raggiunto. In questo momento è impossibile invadere Rafah senza commettere crimini di guerra. Se le Forze di Difesa Israeliane (IDF) invadessero Rafah, la città diventerà un’impresa di pompe funebri.
UNRWA sta per United Nations Relief and Works Agency. E’ l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di distribuire gli aiuti umanitari per il palestinesi dei campi profughi, sia a Gaza e Cisgiordania, sia nei vicini Libano, Siria e Giordania. La UNRWA nacque nel 1948, a seguito della pulizia etnica operata da Israele durante la breve guerra che portò alla nascita dello stato ebraico, e alla rimozione forzata di circa 750.000 palestinesi dai territori in cui abitavano (Nakba).
La scorsa settimana Israele ha accusato alcuni operatori della UNRWA di “essere stati coinvolti” nell’attacco del 7 ottobre. Israele non ha chiarito in cosa sarebbe consistito questo “coinvolgimento”, ma la semplice accusa – rilanciata curiosamente da tutti i media mondiali proprio nel giorno del verdetto della Corta Internazionale contro Israele – è bastata a scatenare una “ondata di sdegno” (telecomandato?) in tutto l’occidente.
La notizia rimbalzata nelle cancellerie mondiali oggi è che Netanyahu aveva offerto due mesi di tregua in cambio della liberazione di tutti gli ostaggi e Hamas l’ha rifiutata. In realtà, la mossa del premier israeliano era, al solito, scaltra.
Infatti, in base a negoziati intrecciati tra Qatar, Egitto, Stati Uniti e Israele si era trovata una base di accordo per arrivare alla liberazione di tutti gli ostaggi in cambio della liberazione di detenuti palestinesi, il ritiro graduale dell’esercito israeliano da Gaza e un cessate il fuoco duraturo (che in queste latitudini equivale a una pace).
Per smarcarsi dalle pressioni internazionali, volte a ottenere il cessate il fuoco, e interne, per liberare gli ostaggi, Netanyahu ha prima rifiutato la proposta di pace per poi avanzare una proposta che sapeva essere inaccettabile dalla controparte, dal momento che Hamas ha chiarito da tempo che non libererà gli ostaggi se non avrà rassicurazioni sulla fine delle ostilità, che una tregua, pur prolungata, non prevede.
In tal modo, il premier israeliano può ostentare ai suoi interlocutori interni e internazionali la sua disponibilità a trattare e accusare Hamas di non volere accordi. In realtà, come spiega al Jazeera, questo è stato solo l’ultimo rifiuto di Netanyahu, che ha già rigettato diverse offerte di Hamas.
Video prodotto da Massimo Del Genio (MaxDG). Attenzione: il video contiene immagini forti.
Esiste una discussione aperta, fra storici e giuristi internazionali, sulla legalità dell’esistenza dello stato di Israele. Alcuni sostengono che la fondazione di Israele sia pienamente legittimata dal diritto internazionale, altri ritengono di no.
I passaggi fondamentali della costituzione giuridica di Israele sono quattro: la Dichiarazione Balfour (1917), il Trattato di Sanremo (1920), la risoluzione 181 delle Nazioni Unite (1947) e la Dichiarazione di Indipendenza di Israele (1948).
LA DICHIARAZIONE BALFOUR
Nel novembre 1917, Lord Arthur Balfour, ministro degli esteri inglese, scrive una lettera a nome del proprio governo, indirizzata a Sir Lionel Rothschild, con la preghiera di trasmetterla alla Federazione Sionista. La lettera recitava testualmente: “Il governo di sua Maestà vede con favore la creazione in Palestina di una casa nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà al meglio delle sue possibilità per facilitare il raggiungimento di questo obbietivo, con la chiara intesa che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche già esistenti in Palestina, nè i diritti o lo status politico di cui godono gli ebrei in qualunque altra nazione.”
Dopo una breve pausa nei combattimenti nella Striscia di Gaza, il 4 dicembre è ripresa con vigore la guerra condotta dal governo israeliano contro Hamas.
Utilizzando come pretesto l'eliminazione definitiva della "minaccia terroristica", l'esercito israeliano sta dimostrando ancora una volta di non avere alcun rispetto per la popolazione civile palestinese.
È evidente a qualsiasi osservatore obiettivo che non si tratta più di protezione, ma di un attacco mirato - un attacco che accetta volentieri la distruzione di decine di migliaia di vittime innocenti, tra cui migliaia di bambini.
Quali sono le ragioni dietro questa mostruosa disumanità? Cosa si cela dietro di essa e, soprattutto, chi ne è responsabile? Alcuni eventi di fondamentale importanza, spesso ignorati dai media tradizionali, potrebbero rivelare la verità e avere un impatto significativo sullo sviluppo futuro del conflitto.
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