Sembra proprio che non ci sia modo di uscire dal sistema Europa. Non c'è riuscita la Grecia, che è stata ricattata con la chiusura delle banche pur di evitare che prendesse la propria strada.
Sta faticando molto a farlo la Gran Bretagna, nonostante non fosse legata dall'euro già in partenza.
E stiamo assistendo in questi giorni alla tragicommedia della "indipendenza catalana", che ormai rischia di arrivare a sfiorare il ridicolo.
In America c'è un'espressione comune, che dice: "Non prendere degli ostaggi, se poi non sei disposto ad ammazzarli".
Ed è proprio l'errore che sembra aver commesso Puidgemont. È partito in quarta con il referendum, facendo intendere che la valanga secessionista non sarebbe stata fermata da nessuno, e poi lentamente ha dovuto fare marcia indietro: prima esitando in modo imbarazzante sulla dichiarazione di indipendenza, e poi, ora che finalmente l'ha fatta, contemplando addirittura di chiedere l'asilo politico in Belgio.
di Massimo Fini
Nel lontano 1991 sul New York Times il giornalista americano William Safire scriveva: “Svendere i curdi…è una specialità del Dipartimento di Stato americano”. Sono passati quasi trent’anni e nulla è cambiato anche se oggi “svendere” i curdi non è più solo una specialità degli Stati Uniti ma anche di molte altre potenze regionali.
I curdi con i famosi peshmerga, grandi guerrieri, sono stati determinanti per la sconfitta del Califfato non solo a Mosul e a Raqqa, dove erano direttamente interessati perché si trovano in un territorio che si chiama Kurdistan, ma anche a Sirte in Libia. Ma, come avevo avvertito in vari articoli del Fatto, non solo non raccoglieranno i frutti della loro vittoria ma verranno penalizzati. E’ appena caduta Raqqa che già ce ne sono le prime avvisaglie. L’altro giorno a Kirkuk dieci peshmerga sono stati decapitati, probabilmente dalle forze della Turchia che ha sempre combattuto in modo sanguinario l’indipendentismo curdo. In un bel reportage Adriano Sofri, che è sul posto, riferisce che truppe appoggiate dagli americani e alla cui guida c’è il comandante dei pasdaran iraniani si sono impadronite di Kirkuk, importante città petrolifera che fa parte della regione autonoma curda in Iraq. Insomma la regione autonoma curda viene riportata ai confini del 2003 quando in Iraq regnava ancora Saddam Hussein.
Riyad sta per diventare l’ago della bilancia del destino del dollaro e in generale del riequilibrio delle potenze su scala globale. Se la recente visita di Re Salman a Mosca ha messo in discussione la supremazia diplomatica americana nel Golfo, ora è il petrolio di Riyad a minacciare Washington.
Lo yuan cinese sostituirà i petroldollari
Secondo Carl Weinberg economista e direttore dell’High Frequency Economics (istituto di ricerca e statistiche economiche mondiali) il dollaro sarà presto sostituito nelle transazioni dell’oro nero. “Credo che lo yuan cinese diverrà presto principale strumento di pagamento del greggio, almeno appena i sauditi lo accetteranno, o i cinesi li costringeranno. In seguito tutto il resto del mercato petrolifero si muoverà con loro”.
Secondo l’autorevole economista è dunque solo questione di tempo per la capitolazione finale della moneta stampata dalla Federal Reserve. Il monopolio del dollaro nel mercato dell’oro nero venne inaugurato nel 1974 in seguito ad un accordo tra Richard Nixon e il Re Faisal, rispettivi massimi esponenti politici di Stati Uniti e Arabia Saudita. Da quel momento Riyad si è impegnata con Washington a quotare il petrolio solamente nella moneta corrente americana. Una scelta rispettata fino ai nostri giorni, tanto da arrivare a coniare il neologismo “petroldollari”.
Dalla Casa Bianca Donald Trump ha lanciato il seguente appello: "Il mondo si unisca agli Usa per fermare Teheran". Il riferimento è all'accordo sul nucleare iraniano, firmato da Obama durante il suo mandato, che Trump vorrebbe stracciare perchè lo ritiene "un pessimo accordo". Naturalmente, Trump non ha mancato di infiorare il suo discorso con frasi ad effetto, dicendo che "il suo nuovo approccio mira a contrastare l'effetto destabilizzante dell'Iran nella regione, ed in particolare al suo supporto per il terrorismno e i suoi militanti".
Questo, detto dal capo della nazione che più di ogni altra passa il suo tempo a destabilizzare il resto del mondo, non è male.
Ma il vero problema è che in questo caso si tratta di uno strappo palesemente unilaterale. Infatti, sia la Mogherini (a nome dell'Europa), sia il portavoce della Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, hanno appena confermato che l'Iran sta rispettando rigorosamente i termini dell'accordo.
All'alba del 16º anniversario dell'invasione dell'Afghanistan da parte degli Stati Uniti, Russia Today ha intervistato lo storico e giornalista americano Gareth Porter, chiedendogli quali possano essere il futuro e la finalità ultima della presenza americana in Afghanistan.
RT: Quanto diversa è oggi la situazione dei militari americani in Afghanistan, rispetto al vistoso incremento di truppe spedite da Obama alcuni anni fa? Sembra quasi che gli Stati Uniti non siano in grado di imparare dai propri errori.
GP: Chiaramente non riescono a imparare niente dal proprio passato. Ma vorrei spingermi oltre, dicendo che è il sistema stesso che produce la nostra politica estera e la nostra sicurezza nazionale ad essere impostato in modo da non imparare nulla dal passato. Non è affatto nell'interesse di queste istituzioni di imparare dai propri errori, poiché se questi sistemi burocratici imparassero davvero dal passato, finirebbero sostanzialmente per diventare disoccupati. Questo avverrebbe perché noi ci renderemmo conto che le loro strategie in politica estera sono talmente ridicole da non essere veramente utili agli Stati Uniti e ai loro interessi.
I giornalisti italiani ormai sono senza vergogna. Sentite questo articolo de "La Stampa", intitolato : "Mosca ha fatto operazioni di disinformazione anche in Catalogna".
Mamma mia, a leggere il titolo ti vengono i brividi. Che cosa avranno fatto mai i russi cattivi, questa volta? Si saranno infiltrati fra le fila dei nazionalisti, dicendo loro che se votavano "no" sarebbero stati espulsi dalla regione catalana? Oppure si sono infiltrati fra quelle dei secessionisti, dicendo loro che avrebbero avuto la nazionalità russa se avessero votato "sì"?
Nulla di tutto questo, a quanto pare: il peccato più grave commesso da Sputnik News e di RT, secondo la ricerca di DFRLab citata dall'articolo, sarebbe stato quello di distorcere il significato di una frase di Juncker: il presidente della UE ha detto "rispetteremo l'opinione dei catalani", mentre i russi maledetti hanno tradotto "rispetteremo la scelta dei catalani".
di Attilio Folliero
Il 15 settembre 2017 Venezuela ha cominciato a segnalare il prezzo di vendita del proprio petrolio in Yuan cinese, la cui sigla internazionale è CNY. Il Ministero dell’Energia e Petrolio del Venezuela nella sua pagina web ha riportato il prezzo medio di vendita settimanale del proprio petrolio in 306,26 Yuan, in aumento rispetto alla settimana scorsa quando era stato in media 300,91 Yuan.
Prezzi del petrolio nella pagina web del Ministero dell'Energia e Petrolio del Venezuela
Per la prima volta nella sua storia il prezzo del petrolio venezuelano non è più indicato in dollari. Nella stessa pagina web, però si riporta anche il cambio Dollaro/Yuan. Per un dollaro la settimana scorsa (all’8 settembre) occorrevano 6,52 yuan, alla data odierna per un dollaro occorrono 6,55 yuan.
Decisamente, Kim Jong Un non scherza.
Quelle che fino a qualche mese fa sembravano delle semplici sbruffonate da bar, si stanno rivelando minacce reali e concrete. Prima Kim Jong Un ha dimostrato di possedere razzi in grado di raggiungere gli Stati Uniti, e poi (ieri) ha fatto vedere al mondo di possedere testate all'idrogeno, che possono essere trasportate da quei razzi.
Da oggi quindi, teoricamente, Kim Jong Un potrebbe lanciare sugli Stati Uniti una o più bombe decine di volte più potenti e devastanti di quella che colpì Nagasaki nel 1945. E gli Stati Uniti hanno già ammesso che il loro sistema di difesa ha soltanto un 60% di probabilità di intercettare ed abbattere un tale missile lanciato dalla Corea del Nord.
A sua volta, Donald Trump aveva fatto la voce grossa, qualche mese fa, quando diceva che qualunque atto ostile contro gli Stati Uniti sarebbe stato seguito da un "fuoco e furia mai visto fino ad oggi" contro la Corea del Nord.
Nel dichiarare che la guerra in Afghanistan "continuerà finché avremo raggiunto la vittoria finale", il presidente Trump ha affermato insieme una grande verità e una grande bugia.
La grande verità è che i presidenti americani in politica estera non contano praticamente nulla. Già Obama era entrato alla Casa Bianca dichiarando di voler mettere fine all'invasione dell'Afghanistan, ma dopo pochi mesi si era trovato a fare marcia indietro, mandando invece altri 30.000 soldati proprio in quel territorio.
Anche Donald Trump aveva, fra le sue promesse elettorali, quella di "mettere fine all' invasione inutile e costosissima dell'Afghanistan", ma dopo pochi mesi ha invece dovuto dichiarare, appunto, che la guerra continua fino a nuovo ordine.
Evidentemente c'è qualcosa che il neo presidenti non sanno, e che vengono ad apprendere soltanto dopo essere entrati nell'ufficio ovale.
I cosiddetti "difensori della democrazia" venezuelani - così vengono definiti dai media occidentali gli oppositori di Maduro - ricordano molto da vicino i famosi "ribelli moderati" finanziati dalla CIA per abbattere Assad in Siria. Quelli che si mangiavano il cuore degli avversari appena uccisi in battaglia, tanto per capirci.
Nel video, Orlando Figuera viene prima linciato e poi bruciato vivo dagli avversari di Maduro [IMMAGINI FORTI, ANCHE ALL'INTERNO].
di Attilio Folliero
Aveva finito la giornata di lavoro, tornava a casa, era di pelle oscura, un afro-venezuelano. Orlando Figuera cercava una stazione del metro. Dimentico di trovarsi nella zona chic di Altamira e Chacao, quella dei più benestanti e reazionari di Caracas. Lì vivono soprattutto i discendenti dei migranti Europei. Arrivarono con valigie di cartone e pantaloni rattoppati, ora vedono come un pericolo tutto il resto dei venezuelani, vale a dire il 95% della popolazione.
Quella dell'imperialismo è una brutta malattia. Una volta che ne vieni contagiato, diventa difficile liberarsi dal morbo.
In questo senso vanno le dichiarazioni di Al-Maliki, l'attuale presidente dell'Iraq, il quale accusa gli Stati Uniti di volersi prendere il merito per la sconfitta dell'ISIS a Mosul, "mentre sono stati loro che hanno contribuito a creare questa organizzazione".
In una serie di dichiarazioni senza peli sulla lingua, riportate da RT, Al-Maliki ha detto che "la riconquista di Mosul è stata un successo del popolo iracheno, mentre ora gli Stati Uniti cercano di impadronirsene sostenendo di essere stati loro a guidare quella guerra".
"Certamente - ha aggiunto Al-Maliki - loro ci hanno aiutato con l'aviazione, ma il merito maggiore va ai soldati iracheni e alla milizia popolare. E questa vittoria ci è costata molto cara, con circa 20.000 soldati e poliziotti iracheni che sono morti o sono rimasti feriti nei combattimenti".
Leggi tutto: La sconfitta della Catalogna