Nei commenti sulla trasmissione di TGCOM24 qualcuno ha scritto: "Guardando questo video si ha l'impressione di un marziano (Massimo) che parla con una contadina del Medioevo... E' sempre più grande il baratro fra le persone che vogliono informarsi e i 'poveri'." Altri hanno fatto commenti simili, sottolineando la distanza abissale che separava i diversi punti di vista presenti nella trasmissione.
Stiamo parlando del digital divide, che significa "barriera digitale". Con questo termine si intende la linea ideale di demarcazione che separa le persone che accedono regolarmente all'informazione in rete (informazione "digitale", appunto) da quelle che non lo fanno.
Fin dagli esordi di Internet (anni '90) ha cominciato a notarsi questa forte differenza, nel momento in cui i "non-utenti" continuavano a ricevere informazioni da un unico punto di vista - quello istituzionale - mentre gli utenti della rete scoprivano che molte questioni importanti, come ad esempio la guerra del Kosovo, potevano anche essere viste dal lato opposto - quello del popolo serbo, in quel caso - cambiando completamente di colore.
Chi guardava la televisione, o leggeva la stampa mainstream, sentiva un'unica voce a reti unificate: "I ribelli serbi seminano il terrore nei villaggi albanesi, ammazzando donne e bambini senza pietà". Chi invece andava in rete scopriva, ad esempio, che "i ribelli serbi" erano stati addestrati, finanziati ed armati segretamente dagli americani. Dopodichè poteva trarre le sue conclusioni.
Il salto di qualità fu immediato, e fin dai primi anni di Internet ...
Una volta c'era Jack lo Squartatore, oggi c'è "John il Jihadista". I tempi cambiano, ma la psicologia di massa rimane sempre la stessa.
"Svolta nel caso Foley - ha titolato l'ANSA - identificato jihadista John."
"Svolta nella caccia al boia - gli fa eco La Stampa - un rapper londinese principale sospettato."
Sempre dall'ANSA leggiamo: "Il Regno Unito si prepara a moltiplicare i ricorsi alla cosiddetta 'prerogativa reale' che permette al governo di ritirare il passaporto a chi intende uscire dal Paese per partecipare ad attività terroristiche". Theresa May, ministro degli interni britannico, ha detto: "Dobbiamo fermarli. Dobbiamo impedire che continuino a partire da qui per combattere in Siria e Iraq''.
Ve la vedete la scena all'aeroporto:
- Lei dove va, scusi?
- Vado in Siria, perchè? [...]
L'altro giorno, durante l'Angelus, Papa Bergoglio ha denunciato la guerra che gli estremisti musulmani stanno conducendo nel nord dell'Iraq. Il Papa ha parlato di innocenti, donne e bambini uccisi e massacrati, ed ha ammonito con tono severo: "Non si fa la guerra in nome di Dio".
E' un ammonimento perlomeno curioso, da parte del capo di una organizzazione che si è resa responsabile, nel corso dei secoli, per la morte di decine di milioni di innocenti, donne e bambini, che venivano massacrati dai soldati cristiani proprio "in nome di Dio".
La cosiddetta "civiltà cristiana occidentale" - quella in cui viviamo oggi - nacque nel giorno in cui i leader di una nascente religione si resero conto di avere un potente dio, ma non una spada con cui portare il suo verbo per il mondo, mentre l'imperatore di Roma si rese conto di avere un'altrettanto potente spada, ma non un ideale superiore al quale legarla. Fu così che una notte Costantino "sognò" un angelo, il quale gli mostrò una croce e gli disse "In hoc signo vinces". E il Sacro Impero Romano fu nato.
Mentre i primi 300 anni del nostro calendario avevano visto i cristiani nascondersi nelle catacombe, di colpo la storia del cristianesimo divenne anche la storia di infinite persecuzioni da parte loro, ai danni delle altre religioni.
Nei secoli che seguirono furono innanzitutto perseguitati tutti i culti pagani che erano sopravvissuti, i loro seguaci furono sterminati e i loro templi furono completamente distrutti dalle armate romane, spesso guidate dagli stessi vescovi locali.
Vescovi come Marco di Aretusa, o Cirillo di Eliopoli, passarono alla storia come "distruttori di templi", ...
di Riccardo Pizzirani
In questo articolo cercheremo di fare luce su uno degli aspetti più complessi dell’undici settembre: gli effetti che gli attentati hanno avuto sul mondo della grande finanza. Per fare ciò occorrerà introdurre un paio di concetti, semplici quanto micidiali, che fanno parte del magico mondo dei derivati: Put Option, Naked Put, Call Option.
Put Option
La Put Option è uno strumento finanziario derivato che permette al suo detentore la possibilità (ma non l’obbligo) di vendere alla controparte una determinata azione ad un determinato prezzo entro una data futura prefissata. Tipicamente le Put Option sono utilizzate come assicurazioni contro il crollo improvviso di un titolo. Facciamo un esempio concreto: se sono il possessore di una cartiera è perfettamente normale e logico che io faccia un’assicurazione contro gli incendi; se la mia cartiera è anche una società per azioni, allora posso voler assicurarmi non solo contro l’incendio, ma anche contro tutta una serie di eventi nefasti che possono colpire la mia azienda, tutelandomi con una assicurazione del titolo azionario. Ad esempio, potrebbe aprire un’altra cartiera più grande che mi ruba il mercato, oppure quegli odiosi verdi potrebbero convincere il governo a mettere una tassa sul taglio delle foreste, e il prezzo della mia materia prima potrebbe schizzare verso l’alto, erodendo i miei guadagni e quindi il valore del mio titolo azionario. In tutti questi casi una Put Option acquisita anzitempo mi protegge come e meglio di una assicurazione.
In questo modo, se le azioni della mia cartiera valgono 30$ ciascuna, posso sottoscrivere una Put Option a 25$, e questo mi costa (diciamo) 2$ ad azione. Se la mia azione scende di quotazione, ed arriva a valere meno di 25$ posso limitare il danno, e venderla comunque a 25$. [...]
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