La storia nascosta

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8 Anni 8 Mesi fa #2167 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta

incredulo ha scritto:
In realtà nel primo link c'è scritto che: "Le persecuzioni che devastarono la maggior parte delle comunità ebraiche di Castiglia e di Aragona ebbero inizio nel 1391. Le conversioni si contarono a decine di migliaia, migliaia di ebrei scelsero invece di morire per il Qiddush haShem, la santificazione del Nome. Il vento dell’apostasia riprese a soffiare forte negli anni 1413-14, in occasione della disputa di Tortosa."

Per cui le persecuzioni cominciano ben prima delle espulsioni a cui ti riferisci, può quindi essere possibile che qualche famiglia ebrea o araba, se ne sia andata prima dell'inizio del 1400.


In realtà hai ragione, sono stato un po' frettoloso. Per dirla tutta, però, ancora mi sfugge il nesso tra la cacciata e l' essere ridotti in schiavitù.

Poi considera che la famiglia di Leonardo era una famiglia importante, la sua nascita fuori dal matrimonio non è dovuto ad un "utero in affitto" come scrivi tu, bensì ad una trombata extra del padre che ha portato alla sua nascita.


Ho voluto essere leggermente provocatorio, a mezza via tra la buona fede e non.
Ho letto che la moglie del padre di Lionardo non poteva avere figli e (credo sbagliando) ho ipotizzato che Caterina, la madre di L., la schiava, la contadina, l' araba, l' ebrea, o quello che era, potesse essere stata "usata" come una specie di Zilpa o Bila per Giacobbe, come Agar per Abramo, senza mettere in conto la possibilità che lei ser Piero abbiano consumato col solo obiettivo di consumare.

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8 Anni 8 Mesi fa #2169 da incredulo
Risposta da incredulo al topic La storia nascosta
Giano

In realtà hai ragione, sono stato un po' frettoloso. Per dirla tutta, però, ancora mi sfugge il nesso tra la cacciata e l' essere ridotti in schiavitù.


Possiamo solo fare delle ipotesi, non essendoci riferimenti certi.

Però non è impossibile pensare alla possibilità che famiglie arabe od ebraiche siano emigrate in Italia per evitare le persecuzioni in atto nella penisola iberica.

La schiavitù allora era una condizione diffusissima, molto più di quello che riusciamo ad immaginare noi oggi.

Tra le famiglie benestanti era consuetudine usare "schiavi" per espletare le faccende domestiche, quindi nascevano comunque rapporti umani di ogni tipo fra i componenti del nucleo familiare, un nucleo familiare che era assimilabile ad un tribù piuttosto che al concetto moderno di famiglia composta da pochi membri.

Inoltre era una consuetudine ridurre in schiavitù le persone, anche per i debiti non pagati dai genitori, debiti che costringevano i figli a lavorare gratis per i creditori.

In un tessuto sociale di questo tipo può essersi sviluppata la dinamica che ha portato alla nascita di Leonardo, un figlio illegittimo di una famiglia importante.

Per ora bisogna destreggiarsi fra ipotesi e certezze, ma ciò che resta chiaro, è comunque il fatto che Leonardo fu iniziato fin da giovanissimo ai misteri della Sophia detenuti dall'elìte e che lui stesso ne faceva parte.

Leonardo era invitato in tutte le corti reali dell'epoca come ospite illustre e di grande rilievo.

Anche oggi, come allora, illustri figli illegittimi occupano posizioni di rilievo nella società, il mondo segue sempre le stesse logiche.

Gesù Cristo è Verità. Io sono la Via, la Verità, la Vita
I seguenti utenti hanno detto grazie : Giano

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8 Anni 8 Mesi fa #2173 da Pyter
Risposta da Pyter al topic La storia nascosta
Luciana Littizzetto potrebbe essere figlia di Eugenio Scalfari.

Come può l'acqua memoria serbare se dalle nuvole cade? (poeta del dugento)
Ci sposiamo sessiamo insieme sessista bene perché no (progetto anti gender 2016)

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8 Anni 8 Mesi fa #2186 da Maksi
Risposta da Maksi al topic La storia nascosta
Haha... ogni tanto riappare la storia di Hitler ebreo. :sos:

In realta' l'aplogruppo Y E1b1b non e' ebreo, ma e' persente anche fra ebrei. La componente determinante e' la clade di appartenenza. La clade piu' scarsa in Europa e' E-M123:



Questa e' invece la clade piu' presente in Europa, la E-V13:



E' un discorso abastanza lungo. Sta di fatto che parliamo delle origini di piu' 15.000 anni fa, che non c'entrano assolutamente con la composizione demogarfica odierna di quelle regione. Per dire anche in Nigeria si trova l'aplogruppo indoeuropeo occidentale R1b, ma non significa che i Nigeriani siano indoeuropei. Il cromosoma Y e' solo un'impronta genetica, che e' molto utile per elaborare la storia delle popolazioni. Sempre poi, che abbiano fatto dei test seri sulla genealogia di Hitler. Riguardo al personaggio, dubito anche di questo.

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8 Anni 8 Mesi fa - 8 Anni 8 Mesi fa #2192 da Mrexani
Risposta da Mrexani al topic La storia nascosta
Incredulo
In riguardo allo studio dei due ''ricercatori''.
In pratica gli unici discendenti eventualmente affidabili per risalire al DNA del Fuhrer sarebbero i tre nipoti del fratellastro (stesso padre) di Adolf, tal Alois Hitler Junior morto nel '59, che aveva un figlio emigrato in America , padre dei ''fratelli Stuart-Houston''. Ciò naturalmente presupponendo che Hitler non fosse figlio di relazione clandestina.
Tutti gli altri sarebbero stati scovati sui monti Austriaci, e da quel che ho capito, sarebbero parenti di Adolf solo nel caso in cui anche il padre di Adolf non fosse figlio di relazione clandestina.

In conclusione, sempre secondo i due ricercatori, Adolf sarebbe E1b1b ma non bastardo. :stuckup:

gialli.it/scovati-i-discendenti-di-hitler
maurosuttora.blogspot.it/2010/04/il-nipote-di-hitler.html
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8 Anni 8 Mesi fa - 8 Anni 8 Mesi fa #2296 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
Storia antica nonche' nascosta, i crimini dei papi nei secoli,un articolo tratto dal sito "tutti gli scandali del vaticano" che tratta sia dei motivi controversi che portarono ad uno dei piu famosi sacchi di Roma ad opera dei lanzichenecchi,sia del concilio di trento dove si decise la scelta immobile e fissa del vaticano rispetto all'evolversi della storia.

I PAPI: LA VIA CRIMINALE A DIO. IL SACCO DI ROMA E IL CONCILIO DI TRENTO


1527 IL SACCO DI ROMA

PRIMA PARTE

Gregorovius commenta nel modo seguente l'uscita di scena di Leone X:
Il clamore degli adulatori e dei cortigiani — né mai altro papa ne ebbe tanti e tanto facondi — non può più trarre in inganno l'opinione dei posteri, che devono dissociarsi da queste esaltazioni di Leone X e rifiutarsi di collocarlo tra i grandi uomini della storia. Egli ereditò il papato così come lo avevano forgiato e tramandato i Borgìa e i Della Rovere e vi aggiunse quella perfetta arte diplomatica medicea nella quale era maestro. Questo sistema dell'intrigo larvato, dell'ipocrisia e della ambiguità politica, lo lasciò poi a sua volta ai suoi successori facendone quasi un patrimonio dogmatico della Santa Sede nel suo aspetto temporale. Il gesuitismo entrò allora per la prima volta a far parte della politica ecclesiastica. Leone tenne saldamente il papato al centro dei rapporti europei e gli conferì senza dubbio la supremazia in Italia. Accrebbe inoltre il prestigio spirituale della Santa Sede, alla quale rese soggetta anche la Francia; ma in Germania lo stesso tentativo non gli riuscì. Si dice solitamente che egli coltivò idee grandiose, quali la cacciata degli stranieri dall'Italia, l'unificazione di questo paese sotto la signoria pontificia, la restaurazione della pace e dell'equilibrio in Europa e la guerra contro l'Oriente; tuttavia, nelle sue azioni, queste idee appaiono così pallide e frammentarie, oppure così male architettate, che attribuirgli il merito di tanto grandi disegni appare veramente artificioso.
Quanto alla Chiesa, Leone X la lasciò nell'abisso della rovina. Immerso in piani di splendore e di magnificenza, in abbandoni estetici, egli non mostrò neppure la più superficiale comprensione per la crisi della Chiesa. Inebriato dalla sua magnificenza, godette in lei tutta la grandezza e la pienezza della potenza spirituale come una felicità abbracciante il mondo: il papato era immerso nel suo godimento come l'impero di Roma. Egli immerse questo papato nella pompa del paganesimo neolatino. Non comprese il suo dovere cristiano, perché, come tutti i papi della Rinascenza, egli confuse la grandezza dei papato con quella della Chiesa, e questa falsificazione romana dell'ideale cristiano, il più lungo e il più terribile degli errori dei papi, generò la Riforma tedesca.
        Alla sua morte, con la Chiesa ridotta in così male che Baldassar Castiglione ebbe a dire che a descriverla come era nessuno vi avrebbe creduto, ci si rese conto che le finanze erano disastrose e che Leone si era venduto tutto, le tiare, le mitre, gli arazzi, i gioielli, i preziosi e financo le posate d'argento. Situazione drammatica che rendeva l'elezione del nuovo pontefice molto complessa per il ruolo impegnativo del nuovo Papa soprattutto per far fronte a sopravvenuti impegni di politica estera.
        La situazione europea vedeva tre grandi potenze in contrasto tra loro che è utile situare nelle linee generali.
        Da una parte vi era Enrico VIII d'Inghilterra, già incontrato nell'articolo precedente, che  premeva perché fosse eletto il suo candidato, il cardinale inglese Wolsey che era stato il principale consigliere di Enrico a partire dal 1511. Enrico VIII era salito al trono d'Inghilterra nel 1509 (aveva 18 anni) e nove settimane dopo aveva contratto matrimonio con Caterina d'Aragona, quinta figlia dei Re Cattolici di Spagna (Ferdinando II d'Aragona e Isabella di Castiglia) e vedova del fratello Arturo che aveva sposato nel 1501 e che era subito morto prima che si consumasse il matrimonio, seguendo la volontà del padre, Enrico VII, che voleva creare una forte alleanza tra Inghilterra e Spagna. La celebrazione di tale matrimonio, la cui promessa risaliva alla morte di Arturo, aveva fatto esprimere dei dubbi sulla sua validità da parte del Papa Giulio II e dell'arcivescovo di Canterbury. Solo le insistenze di Isabella con il Papa, che si protrassero fino alla sua morte nel 1504, avevano prodotto una Bolla in cui il matrimonio veniva ammesso come legittimo con una dispensa. Ancora nel 1511 Enrico, con l'Imperatore Massimiliano del Sacro Romano Impero, con la Repubblica di Venezia e con il Re Ferdinando di Spagna aveva aderito alla Lega Santa fortemente voluta dal Papa Giulio II contro le mire egemoniche della Francia di Luigi XII. Alla morte di Giulio II (1513) Venezia abbandonò la Lega, alleandosi con i Francesi. Stessa cosa fece anche l'Inghilterra nel 1514 e queste defezioni portarono la Lega alla sconfitta di Marignano del 1515. Con l'avvento del nuovo Papa Leone X nel 1513 (prima dell'abbandono dell'Inghilterra della Lega Santa), Enrico aveva mostrato profonda ripulsa per le azioni scissioniste di Lutero tanto che il Papa gli aveva dato il titolo di Defensor Fidei. Intanto Enrico aveva il grave problema dell'erede al trono che doveva essere maschio perché gli inglesi ritenevano disastroso avere una don a al potere. Con Caterina i figli si succedevano (fino a sei) ma o morivano prematuramente o erano femmine. Alla fine sopravvisse una sola femmina, Maria Tudor, e questa situazione creò moltissimi problemi. Intanto era morto Ferdinando d'Aragona (1516) al quale successe suo nipote Carlo V d'Asburgo. Cerchiamo di mettere ordine. Tra i figli dei Re Cattolici vi era, oltre Caterina d'Aragona, anche Giovanna d'Aragona detta la Pazza(1). Costei, all'età di 17 anni (1496), aveva sposato l'arciduca Filippo d'Asburgo detto il Bello, figlio di Massimiliano d'Asburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero. Carlo V d'Asburgo fu il primo erede maschio della coppia con pieno diritto di successione. Nel 1506 scomparve anche Filippo, padre di Carlo, per cui, quest'ultimo, all'età di soli sei anni, si trovò ad essere il potenziale erede non solo dei beni di Castiglia comprendenti anche le Americhe, ma anche di quelli d'Austria, del Sacro Romano Impero e di Borgogna; questi ultimi in quanto il nonno Massimiliano d'Asburgo aveva sposato Maria Bianca di Borgogna, ultima erede dei Duchi di Borgogna. Si profilava un sovrano che aveva davanti un potere ed un territorio enormi tanto che sul suo impero non tramontava mai il Sole, e ciò si realizzò nel 1516, quando aveva solo 16 anni, con la morte del nonno Ferdinando II d'Aragona (in realtà era la madre Giovanna l'erede del trono di Spagna ma a seguito dei suoi problemi mentali(1) la gestione del potere fu di Carlo che sostituì la madre fino alla sua morte nel 1555). Da notare che uno tra gli istitutori di Carlo V (in seguito anche consigliere insieme ad Erasmo da Rotterdam) era Adriaan Florensz di Utrecht, che sarebbe poi diventato Papa Adriano VI. E Carlo V aveva anche Caterina d'Aragona, sposa di Enrico VIII, come zia. Queste parentele con le corna annesse rappresentarono la politica europea per secoli con le continue benedizioni della Chiesa che di potenti se ne intendeva mentre manteneva la popolazione nella più infima ignoranza.
        D'altra parte vi era Francesco I Re di Francia che, scomparso Luigi XII nel 1515, ne aveva ereditata la corona. Il nuovo Re aveva ereditato dal predecessore anche le mire espansioniste sull'Europa e, essendo sposato con una Visconti, credette di avere diritti su Milano tanto che, appena eletto al trono, iniziò (alleato con Venezia) con una discesa in Italia dove scorrazzò per molto tempo provocando lutti e distruzioni fino ad impadronirsi del Ducato di Milano (1515). Ma Francesco puntava molto più in alto, al posto di Imperatore del Sacro Romano Impero, che si era liberato con la morte di Massimiliano I d'Asburgo (il nonno di Carlo V). I Principi Elettori si riunirono a Francoforte nel giugno del 1519 e, con l'imponente sostegno dei banchieri Fugger (quelli che gestivano le indulgenze di Leone X) che corruppero molti principi, elessero Carlo V (egli andava bene ai principi perché, dovendo operare anche in Spagna, sarebbe stato lontano dall'Europa centrale lasciando loro molta maggiore possibilità di manovre). E così Carlo V fu incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero nel 1520 nella Cattedrale di Aquisgrana. Lo smacco fu duro da digerire per Francesco che tentò subito di ampliare le sue alleanze con l'Inghilterra di Enrico VIII anche tramite gli uffici del cardinale Wosley che era diventato primo ministro del Re d'Inghilterra. Francesco mirava ad un matrimonio di suo figlio Francesco di Valois, erede al trono, con la figlia di Enrico VIII e Caterina d'Aragona, Maria Tudor. I piani non andarono a buon fine. Nessun matrimonio e nessuna alleanza. Anzi, Enrico VIII si alleò con Carlo V. Francesco si sentì sempre più accerchiato da un sovrano, Carlo V, che ormai dominava l'Europa. Ciò dette inizio ad una serie di scontri armati che si conclusero con la dura sconfitta francese nella Battaglia di Pavia nel 1525, battaglia nella quale lo stesso Francesco fu fatto prigioniero, condotto a Madrid e liberato un anno dopo dietro il pagamento di un forte riscatto e dietro la firma di un impegno (Trattato di Madrid) a rinunciare a determinati possedimenti. In garanzia di quest'ultimo impegno lasciò due figli a Madrid in ostaggio. Ma, una volta libero, Francesco denunciò tali accordi facendosi forte di un'altra alleanza, la Lega di Cognac (alla quale avevano aderito la monarchia inglese, la monarchia francese, Venezia, Genova, Firenze e Milano contro il potenziale pericolo di Carlo V), promossa da un altro Papa (1526), in questo caso Clemente VII, che era nel frattempo andato in rotta di collisione con Carlo V. Vi assicuro che è estremamente difficile seguire e riassumere queste vicende non marginali della storia di Europa.
        Serviva avere questo quadro di riferimento che situa le due fazioni nel conclave del 1522 che doveva eleggere il successore di Leone X. Nel parlare dei due principali contendenti di quel conclave abbiamo anche parlato di Carlo V fino alla vigilia dello scontro con la Chiesa che avverrà nel 1527.
        Quindi nel conclave vi erano almeno tre fazioni che si contendevano il Papa. Le due correnti prevalenti erano quelle che facevano capo a Carlo V e a Francesco I. Vi era poi Edoardo VIII. Quest'ultimo, come già detto, puntava sul suo primo ministro, il cardinale Wolsey. Carlo V aveva come preferito il cardinale Giulio de' Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico (perché figlio del fratello Giuliano) e quindi cugino del papa Leone X. Sembrava questa la strada che sarebbe stata seguita dal conclave ma Francesco I inviò una lettera a tutti i cardinali del conclave per avvertirli che, se avessero votato per Giulio de' Medici, egli avrebbe provocato uno scisma nella Chiesa. La situazione sembrò paralizzarsi finché non fu risolta dallo stesso Medici che si tirò indietro proponendo l'elezione di un cardinale non conosciuto al conclave e neppure presente, Adriaan Florensz di Utrecht. La mediazione fu accettata perché quasi nessuno era a conoscenza del fatto che questo candidato era stato istitutore di Carlo V e ne era attualmente consigliere. Insomma con l'intervento del Medici aveva vinto ancora Carlo V. Ma l'incertezza restava grande in una situazione in cui, per la prima volta che si sappia, chiunque poteva aspirare ad essere pontefice se l'ambasciatore di Venezia aveva contato ben 18 candidati su 39 cardinali. Il cardinale Adriaan Florensz fu eletto ed assunse il nome di Papa Adriano VI (1522-1523). Il nuovo Papa era persona colta ed integra tanto che, oltre a Francesco I e Enrico VIII, anche lo stesso Carlo V tentò di accattivarselo con invito alla sua corte.  Adriano non volle saper nulla essendo anche preoccupato per il ruolo che avrebbe assunto in una Chiesa allo sfacelo in uno Stato Pontificio in lotte perenni tra vari potentati e pieno di corruzione ad ogni livello ma anche perché i suoi compiti avrebbero previsto: riportare la pace in Italia; mettere d'accordo le grandi potenze;  risolvere il problema della Crociata contro i Turchi (che avevano già occupato Belgrado ed assediavano Rodi); estirpare l'eresia luterana che si diffondeva rapidamente in Germania ed in Svizzera; riformare la Chiesa per non portarla all'autodistruzione. Dalla Spagna dove si trovava Adriano arrivò a Roma in agosto, sette mesi dopo l'elezione ed entrò a Roma da Civitavecchia, incurante della peste che infieriva colpendo ancora la città. Appena giunto seppe che si stava organizzando la costruzione di un arco trionfale in suo onore. Rifiutò l'onore perché l'onere risultava molto elevato. Ciò gli restituì il favore del popolo che invece aveva protestato e rumoreggiato (anche con lancio di sassi sul Ponte di Castel Sant'Angelo ai cardinali che uscivano dal conclave) al sapere che era stato eletto uno straniero.SEGUE.....

NO FAITHS NO PAIN
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8 Anni 8 Mesi fa #2378 da Starburst
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I PAPI: LA VIA CRIMINALE A DIO. IL SACCO DI ROMA E IL CONCILIO DI TRENTO


1527 IL SACCO DI ROMA

SECONDA PARTE:

La gioia però durò poco perché Adriano impose una vita morigerata a tutti, a cominciare dal taglio delle spese folli della Curia per arrivare ad impedire elargizioni di denaro a fini clientelari di molti cardinali (abolì molte rendite derivanti da privilegi ecclesiastici venduti e pagati a caro prezzo che ora creavano aspettative di lauti guadagni, tanto che alcuni, sentendosi rovinati, pensarono di attentare alla vita del Papa. Qualcun altro scrisse: In verità Roma non è più Roma. Usciti da una peste siamo entrati in una maggiore. Questo pontefice non conosce nessuno, non si vedono Grazie). Per Adriano la vita di corte doveva diventare consona  ad un ambiente ecclesiastico e quindi decise di togliersi di torno tutti i portaborse, i parassiti e postulanti, oltreché le donne, le cortigiane, i buffoni ed i poeti. Ma il clima di Roma e più che mai i costumi della corte papale, la sua moralità inesistente, fiaccarono i buoni propositi di Adriano. Non aveva persone di cui fidarsi e da solo non riusciva a fare nulla in un ambiente che, privato di benefici secolari, delle sue cortigiane, dei suoi fasti, dei suoi sodomiti, era diventato inesistente e quindi nemico acerrimo. Tutti qui personaggi che si aggiravano nella corte del papa e che erano ecclesiastici a qualsiasi titolo, avevano in massima parte scelto quella strada per quelle note uscite di benessere, lussi, vizi ed impunità (come del resto accade oggi in cui non vi è mondo migliore per un pedofilo entrare in un seminario e proseguire con la cura dei bambini in asili e parrocchie). Adriano capì che massima parte del potere papale derivava proprio da tutta quella congerie di privilegi, di favori, di indulgenze, di simonia, di corruzione, di sodomia, di peccato nel senso più lato del termine (ed ancora oggi in Italia abbiamo ereditato tutto questo, che non riusciamo a toglierci di dosso, da secoli di papato criminale). I consiglieri curiali, che erano stati di leone X, spiegavano al pontefice tutto questo che iniziò ad essere vittima di dubbi su dubbi. Mentre la corte dei cardinali lo disprezzava ed ironizzava sulla sua pedanteria. Ma la cosa li toccava marginalmente perché, lor signori, continuavano imperterriti a spassarsela con prostitute, sodomiti, banchetti (anche di 75 portate con ognuna di esse costituita da tre pietanze diverse, il tutto in bellissimi argenti ed in gran quantità, mentre provetti musici allietavano degustazione e digestione), sollazzi, battute di caccia (con preziosi cavalli andalusi), gioco (con vincite e perdite di intere fortune ed il passaggio di intere cittadine da un cardinale ad un altro). Sempre per maggior gloria di Gesù, con Adriano che sembrava lo scemo della comitiva, per di più insultato e disapprovato in ogni sua piccola scelta intenzionalmente moralizzatrice ed anche politica. Quando per la Crociata contro i Turchi non volle ricorrere ad indulgenze ma propose di aumentare di poco le tasse, vi fu una specie di ribellione. In questo clima anche la sua azione tesa a fermare la Riforma in terra tedesca non ebbe la forza necessaria. A ciò si aggiunga che nel marzo del 1523 venne scoperta una corrispondenza del cardinale Soderini nella quale risultava il tentativo di Francesco I di impadronirsi del Regno di Napoli. Soderini fu arrestato e Francesco I ruppe le relazioni con la Chiesa. Adriano reagì con l'adesione ad una lega antifrancese costituita con Carlo V, Enrico VIII e Venezia. A ciò seguiva l'invasione dell'Italia settentrionale da parte di Francesco I. Proprio quando Adriano moriva improvvisamente nella felicità, neppure repressa, della Curia romana con cortigiane, prostitute e buffoni.
        Il terreno era stato preparato all'elezione di qualcuno che avesse ripristinato i costumi del passato. Il Papato non avrebbe potuto sopravvivere con l'andare avanti della moralizzazione di Adriano. Non importavano le beghe con i Turchi o con chiunque altro. La prima osa da difendere era il dispiegarsi completo di ogni vizio e corruzione senza censure e benpensanti.
        Il conclave che seguì fu molto combattuto tra Giulio de' Medici sempre sostenuto da Carlo V, ancora da Francesco I che sosteneva il cardinale Alessandro Farnese e tra i voti disponibili al miglior offerente controllati da Pompeo Colonna. Dopo la solita simonia fu eletto Giulio de' Medici che scelse il nome di Papa Clemente VII (1523-1534), un'altra tragedia di crimine e corruzione.
        L'inizio sembrò eccellente con la proclamazione della pace universale tra Francia, Spagna ed Inghilterra. Ma fu un fallimento completo con Francesco I che invase l'Italia e con il Papa che si convinse (1525) che era quello il migliore alleato (insieme a Venezia), lasciando da parte il sodalizio, che lo aveva portato al trono di Pietro, con l'Imperatore Carlo V. La Chiesa ebbe dei vantaggi immediati come la cessione da parte francese delle città di Parma e Piacenza dovendo cedere il passo all'esercito di Francesco I verso la conquista di Napoli. Il tutto finì con varie giravolte papali: come già accennato Francesco I fu sconfitto a Pavia e fatto prigioniero e Clemente si sentì perso anche se le risorse di un Papa sono quasi infinite. Egli, mentre celebrava come se nulla fosse il Giubileo del 1525 con ancora irrisolto il problema delle indulgenze, cambiò alleanze addirittura schierandosi con il vicerè di Napoli al fine di tutelare lo Stato Pontificio e la signoria dei Medici a Firenze, ma ammettendo che gli spagnoli potessero puntare su Milano. Gli eventi portarono alla citata Lega di Cognac contro Carlo V nella quale il Papa si trovò alleato a Francesco I e Venezia. Da tutto ciò venne fuori che Carlo V non riuscì più a fidarsi di un personaggio come Clemente, vago e mutevole soprattutto in un momento in cui egli doveva tenere a bada l'avanzata del comandante turco Solimano e non poteva distrarre truppe. Tentò comunque un riavvicinamento nel giugno del 1526 che nella sua incapacità Clemente non seppe cogliere rispondendo a Carlo in modo che risultò offensivo. Carlo rispose in modo molto duro screditando completamente la natura pastorale di Clemente e minacciando un Concilio ecumenico che discutesse addirittura le ragioni di Lutero. Carlo scrisse anche ai cardinali dicendo loro che avrebbero dovuto bandire un Concilio perché in caso contrario non si sarebbe più potuto frenare il movimento luterano con il rischio che la Germania si sarebbe staccata dalla Chiesa di Roma. Si deve osservare con Gregorovius quanto fosse avventata e stupida la politica papale se commisurata con gli interessi della Chiesa. L'alleanza con la Francia, di fatto, aveva indotto Carlo V ad allearsi con i luterani che, contrariamente alla Chiesa cattolica, lo riconoscevano come Imperatore
        In seno alla Curia vi fu il tentativo del Cardinale Pompeo Colonna, con i metodi soliti dei Colonna (violenze e saccheggi), di riportare il papa all'alleanza con Carlo V. Clemente VII, assediato a Roma dalle soldataglie dei Colonna fu costretto a chiedere aiuto all'Imperatore con la promessa di cedere in cambio la propria alleanza ai danni del Re di Francia, rompendo la Lega di Cogna. Pompeo Colonna si ritirò allora verso Napoli. Clemente VII, senza più la pressione di Colonna non mantenne il patto e chiamò in suo aiuto l'unica forza che poteva difenderlo, ancora il Re di Francia. Non vi fu nulla da fare ed alla fine di questo tentativo Clemente si trovò ad essere un ferreo alleato della Francia contro l'Impero di Carlo V. A questo punto Carlo V ordinò alle sue truppe di marciare su Roma. Il 12 novembre del 1526 partì da Trento un contingente di Lanzichenecchi comandati da un generale francese in rotta con Francesco I, Carlo III di Borbone-Montpensier e le truppe sul campo di battaglia avevano come diretto comandante Georg von Frundsberg (qui vi sono giustificazioni storiche che raccontano di quest'ultimo che, ammalatosi, dovette tornare in Germania prima dell'attacco a Roma). Ad essi si unirono gli spagnoli provenienti da Milano e molti italiani provenienti da vari statarelli dominati dalla Chiesa in modo da formare un contingente di 35 mila uomini. La città di Roma che era in totale decadenza (aveva circa 50 mila abitanti contro il milione di era imperiale) e che aveva una difesa di circa 5000 uomini tra cui un contingente svizzero, con il Papa nascostosi nella fortezza di Castel Sant'Angelo, fu attaccata (6 maggio) ed espugnata il 6 giugno del 1527. Fino a febbraio del 1528 fu messa al sacco da parte dell'esercito imperiale e subì infiniti danni al suo patrimonio artistico. In una relazione dell’epoca si legge: gli imperiali hanno preso le teste di San Giovanni, di San Pietro e di San Paolo; hanno rubato l’involucro d’oro e d’argento e hanno buttato le teste nelle vie per giocare a palla; di tutte la reliquie di santi che hanno trovato, hanno fatto oggetto di divertimento. Carovane di carri cariche di ogni genere di ricchezze lasciavano la città. Erano i beni della nobiltà e del clero. Gli occupanti quando si ritirarono lo fecero perché colpiti e decimati da varie malattie che erano diventate endemiche nella città per la mancanza di ogni cura igienica da 1500 anni, da quando era dominio della Chiesa. Il raddoppio della popolazione per circa un anno, quello del sacco, a fronte delle stesse fogne fatiscenti e della malaria regnante, ridusse gli abitanti di Roma a circa 20 mila. Nell'attacco il comandante francese fu ferito a morte da Benvenuto Cellini che difendeva la città. Il Papa si salvò chiudendosi in Castel Sant'Angelo dove riuscì ad uscire dopo patteggiamenti e la promessa del pagamento di un riscatto che lo portò per sette mesi in una prigione nell'attuale quartiere Prati. Da questa con la compiacenza di alcuni ufficiali, riuscì a fuggire travestito da povero ortolano, prima ad Orvieto quindi a Viterbo. Così fu senza che si pagasse quel riscatto ma dovendo pagare profumatamente gli ufficiali che lo fecero evadere e per corrompere e pagare qua e là. Intanto le truppe tedesche continuavano a dilagare su Roma distruggendo tutto, saccheggiando la città a fondo, uccidendo, violentando e stuprando con la distruzione della Roma rinascimentale e di molte opere d'arte (le ragioni che indussero i mercenari germanici ad abbandonarsi ad un saccheggio così efferato e per così lungo tempo risiedono, soprattutto, nell'acceso odio che la maggior parte di essi, luterani, nutrivano per la Chiesa che consideravano come la Babilonia corruttrice guidata da un Papa che era l'Anticristo). Scriveva Guicciardini nella sua Storia d'Italia:
«Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de' santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de' loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de' soldati (che furno le cose più vili) tolseno poi i villani de' Colonnesi, che vennero dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dì seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari oro argento e gioie, fusse asceso il sacco a più di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore».
Ed il Gregorovius fornisce maggiori dettagli che io riporto in minima parte, quella relativa ai primi giorni del Sacco:
[...] lo spettacolo che Roma offriva di sé era più orribile di quanto si possa immaginare: le strade ingombre di rovine, di cadaveri e di moribondi; case e chiese divorate dal fuoco dalle quali uscivano grida e lamenti; un orribile trambusto di gente che rubava e che fuggiva; lanzichenecchi ubriachi, carichi di bottino o che si trascinava dietro prigionieri. Diritto di guerra a quel tempo significava licenza di saccheggiare una città conquistata ma anche facoltà di considerare tutta la popolazione vinta niente altro che carne da macello. Nessun lanzichenecco avrebbe capito che era disumano trattare dei cittadini inermi come degli schiavi di guerra. Chi aveva cara la vita doveva riscattarla. Con la più rozza ingenuità il cavaliere Schertlin scriveva nelle sue Memorie: «Il 6 maggio prendemmo d'assalto Roma; gli uccisi furono più di seimila, tutta la città fu saccheggiata, nelle chiese e sopra terra prendemmo tutto ciò che trovammo e una buona parte della città fu incendiata».
Niente e nessuno fu risparmiato. Le case degli spagnoli e dei tedeschi furono saccheggiate come quelle dei romani. In molti palazzi che appartenevano a partigiani dell'imperatore si erano rifugiate persone di ogni ceto, a centinaia; gli spagnoli vi irruppero depredando e incendiando. Così accadde la prima notte sia nella casa del marchese di Mantova che in quella dell'ambasciatore portoghese, dove i lanzichenecchi avrebbero fatto un bottino di 500.000 ducati. Alcune centinaia di persone trovarono scampo nel grande palazzo del cardinal Andrea della Valle che evitò il saccheggio consegnando a Fabrizio Maramaldo parecchie migliaia di ducati. Come sempre accadeva in casi del genere, con un atto notarile le persone ospitate si impegnavano a restituire al proprietario del palazzo somme di denaro adeguate alla taglia di ciascuno.
Più sventurata fu la fine degli edifici che osarono opporre resistenza. Furono fatti saltare in aria con mine, e una torre del Campidoglio andò così distrutta. A Campo-marzio il palazzo Lomellina resisteva: i lanzichenecchi lo presero d'assalto, e a colpi di fucile uccisero la padrona di casa che tentava di fuggire calandosi nel cortile con una corda. Ricchissimo bottino fornirono le chiese e i conventi, dove gli imperiali rubarono anche gli oggetti preziosi che i cittadini vi avevano custodito. Il saccheggio fu generale: non furono risparmiate né S. Maria dell'Anima, chiesa nazionale dei tedeschi, né la chiesa nazionale degli spagnoli, S. Giacomo in piazza Navona dove giaceva la salma del Borbone. S. Maria del Popolo fu spogliata in un baleno di tutto quanto vi si trovava e i frati furono tutti trucidati. Le monache dei conventi di S. Maria in Campomarzio, di S. Silvestro e di Montecitorio furono vittime di indescrivibili atrocità. Quando i conventi in cui irrompevano si rivelavano poveri, i soldati sfogavano la loro delusione abbandonandosi ad atti di ferocia inaudita.
E' necessario aver presente la grande quantità di oggetti preziosi custoditi nelle sacrestie di Roma per immaginare quale immenso bottino fruisse nelle mani degli imperiali. Tutto fu rubato, distrutto, profanato. Lo stesso destino subirono le teste degli apostoli, quella di Andrea a S. Pietro e quella di Giovanni a S. Silvestro. Un soldato tedesco fissò all'estremità della sua picca la punta della cosiddetta lancia santa. Il sudario di S. Veronica passò di mano in mano per tutte le taverne di Roma. La grande croce di Costantino, strappata da S. Pietro, fu trascinata per il Borgo e andò perduta. A ricordo di questa impresa, i tedeschi conservarono parecchie reliquie, ma il bottino più ridicolo fu la corda, piuttosto spessa e lunga dodici piedi, con la quale si sarebbe impiccato Giuda. Lo Schertlin la rubò a S. Pietro e la portò con sé in patria. Anche la cappella Sancta Sanctorum, la più venerata di Roma, fu saccheggiata.
Neppure al tempo dei Saraceni S. Pietro era stata devastata tanto ferocemente. Gli spagnoli vollero frugare anche nei sepolcri, persino in quello di Pietro, come un tempo avevano fatto i Mori. Fu spogliato il cadavere di Giulio II, che era sepolto in un sarcofago, e la salma di Sisto IV non fu profanata solo grazie alla pesantezza della sua tomba di bronzo. I soldati giocarono a dadi sugli altari sbevazzando nei sacri calici in compagnia di laide prostitute. Nelle navate e nelle cappelle, così come nel palazzo Vaticano, furono approntate stalle per i cavalli ma al posto della paglia furono usate le bolle e i manoscritti che un tempo i papi umanisti avevano raccolto con tanta passione. Quanto alla biblioteca Vaticana, solo a fatica l'Orange poté salvarla dalla distruzione, fissandovi la propria dimora. Nelle strade tuttavia si vedevano sparsi brandelli di scritti e di registri pontifici. Molti archivi di conventi e di palazzi, infatti, andarono distrutti e la storia del Medioevo di Roma ne subì perdite irreparabili. Quel saccheggio spiega anche la penuria di documenti dell'archivio Capitolino.
Anche molte opere d'arte andarono perdute. I tappeti fiamminghi di Raffaello furono rubati e venduti, mentre le magnifiche pitture su vetro di Guglielmo di Marcillat furono fatte a pezzi. Più tardi un insensato odio nazionale ha attribuito ai lanzichenecchi distruzioni che essi non compirono mai. Non è affatto vero, ad esempio, che con il fuoco delle loro fiaccole essi annerissero gli affreschi di Raffaello, ed è assolutamente infondata l'odiosa accusa che i tedeschi abbiano premeditatamente fatto a pezzi le statue più belle, dato che i più grandi capolavori dell'antichità e del Rinascimento sono giunti intatti sino a noi. Dopo i primi tre giorni il principe di Orange ordinò che il saccheggio fosse sospeso e che le truppe si ritirassero nel Borgo e a Trastevere. Nessuno gli obbedì. I soldati continuarono a far prigionieri e a saccheggiare tutte le case, comprese le modestissime abitazioni dei portatori di acqua. Vennero in città, dai fondi dei Colonna, anche i contadini, i quali seguirono le orme degli assalitori spigolando dove essi avevano mietuto. Avidamente accorse lo stesso Pierluigi Farnese, vero epigono di Cesare Borgia e abominevole bastardo del cardinale che, divenuto successivamente papa, lo avrebbe reso potente. Per puro e semplice desiderio di rubare egli si era unito al partito imperiale e si allontanò da Roma per nascondere in un castello del Patrimonio appartenente alla propria famiglia un bottino valutato ventìcinquemila ducati. Per strada, la carovana del Farnese fu però assalita e derubata dal popolo del Gallese.
Per otto giorno i palazzi dei cardinali Valle, Cesarini, Enkevoirt e Siena furono risparmiati sia perché avevano ospitato i capitani spagnoli sia perché i loro proprietari avevano pagato più di trentacinque mila ducati. Senonché, quando i lanzichenecchi videro che gli spagnoli si impadronivano delle case migliori montarono su tutte le furie. Assalirono per quattro ore il palazzo di Siena, lo saccheggiarono, presero tutto quello che vi si trovava e trascinarono nel Borgo, prigioniero, il cardinal Piccolomini. Allora anche gli altri cardinali si rifugiarono nel palazzo di Pompeo, aprendo in tal modo ai lanzichenecchi la via del saccheggio delle loro case. Il bottino di casa Valle dovette ammontare a duecentomila ducati; non inferiore fu quello fatto a palazzo Cesarini, mentre da casa Enkevoirt furono prelevare ricchezze per centocinquantamila ducati. Si aggiunsero poi, le taglie imposte ai prigionieri. Isabella Gonzaga uscì fortunatamente incolume da quelle atrocità. Il 5 novembre aveva comprato dal papa il cappello cardinalizio per suo figlio Ercole e Clemente glielo mandò a palazzo Colonna, dove ella abitava dopo aver lasciato la dimora di palazzo Urbino, vicino a S. Maria in via Lata. Messa in guardia da tempo dal secondogenito don Ferrante, generale della cavalleria nell'esercito del Borbone, la marchesa aveva provvisto questo palazzo di vettovaglie e di armi, lo aveva fatto rafforzare di mura e vi aveva ospitato tremila fuggiaschi, tra i quali Domenico Massimo. Nella sua casa si salvarono anche quattro ambasciatori italiani, Francesco Gonzaga, i rappresentanti dì Ferrara e di Urbino e il rappresentante di Venezia, Domenico Venier il quale non aveva fatto in tempo a raggiungere Castel S. Angelo. Fin da quella orribile prima notte di saccheggio vi si erano recati il conte Alessandro di Nuvolara, la cui bellissima sorella Camilla si trovava già presso la marchesa, e un parente del duca di Sessa, don Alonso de Cordoba, cui il Borbone aveva raccomandato di provvedere alla difesa della principessa. Questi capitani, fatti salire nel palazzo mediante una fune, chiesero cinquantamila fiorini d'oro: diecimila dovevano essere versati dai fuggiaschi veneziani e diecimila da don Ferrante. Questi accorse verso le due di notte lasciando la guardia di Castel S. Angelo che gli era stata affidata e il Nuvolara e don Alonso si rifiutarono di farlo entrare finché egli non promise che nessuno, oltre alla propria madre, sarebbe stato esentato dal riscatto. Più tardi, scrivendo al fratello che si trovava a Mantova, don Ferrante diceva quanto fosse difficile assicurare protezione alla marchesa, poiché nel campo correva voce che in quel palazzo si trovassero due milioni e che, a causa della generosità della signora, vi avessero trovato rifugio più di milleduecento gentildonne e mille uomini. Tutti gli altri prigionieri dovettero riscattarsi con sessantamila ducati. Il Venier, che si era consegnato al Nuvolara, ne diede cinquemila e diecimila furono versati da Marcantonio Giustiniani. Come convenuto, un distaccamento di spagnoli fu messo a guardia del palazzo, ma i lanzichenecchi minacciarono di assalirlo e l'Orange e il conte di Lodrone durarono fatica a trattenerli. Allora spaventata, il 13 maggio Isabella lasciava il palazzo insieme con la propria corte e con gli ambasciatori italiani. Mediante una barca, suo figlio la accompagnò a Ostia e di lì' i fuggiaschi, tra i quali era anche il Venier travestito da facchino, proseguirono a cavallo per Civitavecchia.
Ad Ostia il Venier trovò altri fuggitivi, il Caraffa e il Thiene con i teatini. Dopo molti maltrattamenti subiti, prima nel loro convento al Pincio poi come prigionieri, anch'essi erano fuggiti per il Tevere. L'ambasciatore li convinse a imbarcarsi su una nave della repubblica veneta e così i teatini trovarono asilo a Venezia. A Civitavecchia fuggirono anche Domenico de Cupis, cardinale di Trani, e i figli di donna Felice Orsini che avevano dovuto pagare un forte riscatto nella casa dell'Enkevoirt. Essi percorsero molte miglia a piedi per raggiungere il porto che le navi del Doria difendevano da ogni pericolo. SEGUE.......

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8 Anni 8 Mesi fa - 8 Anni 8 Mesi fa #2489 da Starburst
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I PAPI: LA VIA CRIMINALE A DIO. IL SACCO DI ROMA E IL CONCILIO DI TRENTO


1527 IL SACCO DI ROMA

TERZA ED ULTIMA PARTE:

Vi si trovava anche il cardinale Scaramuccia Trivulzio che poco prima della catastrofe aveva lasciato Roma alla volta di Verona. Era presente anche il Machiavelli inviato ad Andrea Doria dal Guicciardini.
Lo stesso cardinal Gaetano, che ad Augusta aveva trattato Luterò con tanta alterigia, fu trascinato per Roma dai lanzichenecchi spinto a percosse e a calci e portato in giro con berretto da facchino in testa. Così gli imperiali lo trascinarono da banchieri e amici perché col loro denaro potesse raccogliere la somma necessaria al suo riscatto. Il papa pianse quando seppe dei maltrattamenti subiti dal cardinale e fece pregare i tedeschi affinché «non spegnessero la lampada della Chiesa». Anche l'anziano cardinale Ponzetta di S. Pancrazio, sebbene partigiano dell'imperatore, fu derubato di ventimila ducati che aveva tentato di nascondere e poi fu trascinato per Roma con le mani legate dietro la schiena. Quattro mesi dopo moriva in miseria, nella sua casa rimasta completamente spoglia. Cristoforo Numalio, cardinale francescano, fu strappato dal suo letto, posto su una bara e portato in processione dai lanzichenecchi che, con delle candele accese in mano, gli cantavano grotteschi inni funebri. Giunti all'Aracoeli, i soldati deposero a terra il feretro, pronunciarono un'orazione funebre dopo di che, scoperchiata una tomba, minacciarono il cardinale di seppellirlo là dentro se non avesse pagato la somma richiesta. Il prelato offrì tutti i suoi averi ma i suoi tormentatori, insoddisfatti, lo riportarono nella sua casa per poi trascinarlo nuovamente nelle abitazioni di tutti coloro dai quali poteva sperare di ricevere denaro.
Di fronte alle atrocità commesse dall'esercito di Carlo V, si può dire che i saccheggi di Roma avvenuti ai tempi di Alarico e di Genserico non furono privi di moderazione e di umanità. Vi fu pure il trionfo della religione cristiana in mezzo al caos di Roma saccheggiata dai Goti; mentre nessun episodio del genere introdusse una nota di pietà negli orrori del 1527. Allora, infatti, la città non offrì altro spettacolo che quello di bacchiche comitive di lanzichenecchi i quali, in compagnia di etere seminude, si recavano a cavallo in Vaticano per brindare alla morte o alla prigionia del papa. Luterani, spagnoli e italiani si divertivano a scimmiottare le cerimonie religiose. Si vedevano lanzichenecchi che a dorso di somari imitavano i cardinali mentre in mezzo a loro un soldato travestito faceva la parte del papa. Così camuffati si spinsero più volte davanti a Castel S. Angelo dove gridarono che, d'ora in poi, avrebbero scelto come papi e cardinali solo persone pie, obbedienti all'imperatore, e tali che non intraprendessero più guerre, e dove proclamarono Lutero papa. Alcuni soldati ubriachi bardarono un asino con paramenti sacri e costrinsero un sacerdote a dare la comunione all'animale che avevano fatto inginocchiare. Lo sventurato prete inghiottì uno dopo l'alta tutte le ostie finché i suoi aguzzini non lo tormentarono a morte. Ad altri sacerdoti fu estorta con orribili torture la confessione di delitti veri o presunti.
Le condizioni di Roma nella prima settimana di assedio avrebbe forse impietosito le pietre ma lasciarono del tutto indifferente quell'esercito efferato. Il francese Grolier, che si era salvato nella casa del vescovo spagnolo Cassador, ha espresso in queste parole ciò che udì e vide dal tetto del palazzo : «Dappertutto grida, frastuono d'armi, lamenti di donne e di fanciulli, crepitio di fiamme, fragore di case che crollavano; noi rimanevamo paralizzati dalla paura e tendevamo l'orecchio come se fossimo gli unici risparmiati dal destino per assistere alla rovina della patria». Ora, vestito di sacco e col capo cosparso di cenere come Giobbe, Clemente avrebbe potuto tendere le mani al cielo dall'alto di Castel S. Angelo e chiedere piangendo perché un giudizio così tremendo aveva colpito il papato caduto tanto in basso da idolatrare se stesso. Di lì egli vide le fiamme avvolgere la sua bella villa di monte Mario alla quale il cardinal Pompeo aveva appiccato fuoco per vendicare i propri castelli distrutti. Che cosa erano mai quelle fiamme in confronto alle colonne di fuoco che si alzavano in tutta la città?
Per difendersi dalle artiglierie di Castel S. Angelo, da torre di Nona, davanti a ponte S. Angelo, fino a palazzo Altoviti gli imperiali avevano scavato una trincea dalla quale facevano fuoco incessantemente. In quei giorni il castello era teatro di una confusione indescrivibile: tremila cittadini, il papa e tredici cardinali. Sulla sua sommità sventolava, accanto all'angelo di pace, la rossa bandiera dì guerra, e ogni ora i colpi di cannone che venivano sparati lo avvolgevano di fumo. Novanta svizzeri e quattrocento italiani ne costituivano la guarnigione; il comando dell'artiglieria era stato affidato al romano Antonio S. Croce e sotto di lui serviva come bombardiere Benvenuto Cellini. Mancavano i viveri; la carne di asino era diventata una leccornia per i cardinali e per i vescovi. Gli spagnoli tagliavano i rifornimenti da qualunque parte venissero. A colpi di archibugio uccisero alcuni bambini che dalla fossa del castello facevano salire delle erbe, agli affamati, e un capitano impiccò di propria mano una vecchia che portava un po' di insalata per il papa. [...]
        Tutta l'Europa cristiana si indignò per la barbarie delle distruzioni e lo stesso Carlo V risultò isolato da tutti i sovrani. Fu allora che si giustificò con i soldati restati senza comandante che agirono di loro iniziativa. Il Papa ritornò a Roma solo nell'autunno del 1528 per vedere con i suoi occhi quel flagello che il popolo aveva interpretato come punizione per i peccati indicibili ed esecrabili della Chiesa. Nel 1529 si addivenne alla Pace di Barcellona con la quale si siglava una tregua tra Francesco I e Carlo V, Firenze tornava ai Medici, lo Stato Pontificio riprendeva possesso di varie terre perse nelle azioni lanzichenecche. Naturalmente veniva anche sancita la pace tra l'Impero e la Chiesa anche attraverso uno dei matrimoni risolutori di controversie, quello tra la figlia bastarda di Carlo V, Margherita, ed il figlio bastardo di Ludovico Duca di Urbino, Alessandro de' Medici (che era noto a tutti come il figlio del Papa). E fu proprio ad Alessandro che venne consegnato il governo di Firenze, a quell'Alessandro che immediatamente abrogò la costituzione repubblicana della città (1532). L'accordo prevedeva anche l'incoronazione di Carlo V come sovrano del Sacro Romano Impero, incoronazione che fece Clemente a Bologna il 22 febbraio del 1530 (ultima incoronazione). A questo punto il Papa dovette anche accettare la convocazione di un Concilio che discutesse della Riforma di Lutero (questa era la politica ufficiale, ma il sottobosco degli intrallazzi tentava di evitare l'evento aborrito dal Papa)  anche perché i luterani si organizzavano rapidamente e avevano trovato il loro punto di massima forza nella formazione della Lega di Smalcalda nel 1531. I raffinati preti che consigliavano Clemente trovarono una formula: il Concilio si farà quando tutti gli Stati cristiani saranno in pace. E l'alleato di Clemente VII, il Re di Francia Francesco I, naturalmente non era d'accordo con la pace e, senza di essa, la politica del papa aveva il sopravvento. Intanto, dopo il Sacco e la peste, come altro segno divino, il 7 ottobre del 1530 Roma subì una delle più gravi inondazioni della sua storia. Centinaia di case e ponti furono distrutti dalle acque del Tevere e moltissimi furono i cadaveri che il fiume si portò a mare. Quando le acque si ritirarono le centinaia di cadaveri insepolti originarono una nuova esplosione della peste. Ludovico Muratori scriveva allora che non fece caso a tali avvisi il pontefice, che fece piangere chi voleva, mentre egli si preoccupava di sempre maggiore ingrandimento e lustro i Casa sua.
        E davvero Clemente fu incapace di gestire la politica estera della Chiesa. Non riusciva proprio a capire l'importanza di un Concilio che non avrebbe solo avuto una valenza religiosa ma anche politica con il sostegno a Carlo V che si dibatteva, da cattolico, nella crescita imponente del movimento luterano da una parte e dalle pressioni militari dei Turchi di Solimano dall'altra. Francesco I era con il Papa in questo poiché il Concilio avrebbe favorito l'unità dell'Impero. La cosa straordinaria era che il Papa vedeva con favore sia il movimento luterano che i Turchi come strumenti per indebolire Carlo V. Ma poi un Concilio poteva nascere con alcuni argomenti da trattare e passare poi attraverso tutte le bestialità papali dal nepotismo, alla rovina di Roma, alla perdita di libertà di Firenze. Occorreva però mostrare a Carlo che vi era un qualche impegno per convocare il Concilio e Clemente usò quanto sostenuto già in passato, e cioè che il Concilio si sarebbe fatto quando vi fosse stata la pace tra tutti i Paesi cattolici, per andare di nuovo ad incontrare Francesco I. Visto il fine Carlo non poté protestare. Fu così che Clemente si recò a Marsiglia in Francia dove, secondo i suoi parametri politici, realizzò il suo capolavoro: celebrò di persona il matrimonio di sua nipote Caterina de' Medici con il secondogenito, Enrico, di Francesco I e sua moglie la regina Eleonora che era sorella di Carlo V (il matrimonio di Caterina ed Enrico ci farà discutere fra trentotto anni, quando parleremo della Strage degli Ugonotti nella Notte di San Bartolomeo). Sfarzi, lussi e banchetti che andarono avanti per molti giorni al posto del Concilio. Naturalmente Clemente intrecciò di nuovo e segretamente patti con Francesco, patti che riguardavano il dominio su vari territori in Italia.
        Intanto in Inghilterra, dove Enrico VIII aveva goduto per un certo periodo delle lotte tra Francesco I e Carlo V, perché aveva potuto porsi come ago della bilancia, non si era ancora risolto il problema dell'erede maschio al trono. Vi era solo quella femmina, Maria, che non avrebbe mai garantito la continuità del trono d'Inghilterra. Enrico capì che con Caterina d'Aragona non avrebbe mi potuto avere il desiderato maschio e, a partire dal 1526, iniziò ad avere rapporti con un'amante, Anna Bolena. Ma l'erede non poteva discendere da un more extraconiugale e Edoardo iniziò a pensare al divorzio da Caterina. Indagini riservate su tal possibilità furono fatte dal cardinale Wolsey e dall'Arcivescovo di Canterbury, William Warham. Risultò che quel matrimonio era difficilmente impugnabile sul piano del diritto. Intanto Edoardo, senza chiedere consiglio a Wolsey, si rivolse direttamente a Clemente VII per chiedere una dispensa che gli permettesse di sposare Anna Bolena. Clemente, non era favorevole all'annullamento del matrimonio, ma concesse ugualmente la dispensa voluta, probabilmente pensando che tale concessione non sarebbe servita a nulla finché Enrico fosse rimasto sposato a Caterina. A questo punto entrarono in gioco forti pressioni politiche da parte delle diverse potenze. La Spagna cattolica non avrebbe potuto accettare il ripudio di Caterina d'Aragona e una tale mancanza di rispetto verso Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero, che era figlio della sorella di Caterina, Giovanna. Stessa posizione era quella di Carlo V. Il Papa che già aveva subito il Sacco della città da parte di quest'ultimo, non voleva irritarlo ulteriormente e tergiversò allungando i tempi in vane trattative. Nel 1531, quando l'irritazione era cresciuta per 4 anni, Enrico VIII fece votare dal Parlamento un atto di supremazia in cui egli proclamava se stesso Capo della Chiesa d'Inghilterra. La parte più dura per la Chiesa, allora come ora, venne nel 1532, quando stabilì che i tributi non dovevano essere più pagati alla Chiesa ma direttamente alla corona. Finalmente nel 1533 Enrico VIII sposò Anna Bolena (Elisabetta I d'Inghilterra era nata da questo matrimonio), dalla quale già aspettava un figlio, facendosi sciogliere dal precedente vincolo dal suo rappresentante presso la Chiesa inglese, Thomas Cranmer. Nel luglio 1534, due mesi prima di morire, Clemente VII scomunicò il Re, la moglie ed il rappresentante Cranmer (interdisse pure l'Inghilterra ma della cosa non si accorse nessuno). Il problema venne preso in mano da Paolo III, successore al soglio pontificio di Clemente, quando già Enrico VIII, nel novembre dello stesso anno aveva decretato, oltre alla chiusura dei monasteri ed al sequestro di ogni bene ecclesiastico:


Un ulteriore atto di supremazia (il re era il Capo Supremo sulla Terra della Chiesa di Inghilterra) con il diritto di reprimere le eresie e di scomunicare;
L'obbligo per tutti gli inglesi di giurare solamente davanti al re, e non davanti a qualche autorità straniera come era la Chiesa;
La condanna per tradimento per chi osasse sostenere che il re fosse eretico, tiranno o scismatico.
        Nasceva così la Chiesa Anglicana che era un'altra pezzo che si aggiungeva allo scisma di Lutero ed a quello che sarebbe seguito di Calvino. Solo due persone si opposero: l'umanista autore de l'Utopia Thomas More ed ex Lord Cancelliere e l'ex confessore di Caterina, il vescovo di Rochester John Fisher. Ambedue furono decapitati.
        Sembrava che Clemente avesse avuto grandi successi ma in realtà aveva seminato solo disastri, che si misureranno negli anni a venire. Anche i nipoti da lui graziati per affari di nepotismo morirono molto presto (uno, Ippolito, da lui fatto cardinale, avvelenato nel 1535 e l'altro, Alessandro, da lui imposto al governo di Firenze, assassinato nel 1537) mentre molti avvenimenti nefasti si accumulavano sulle sorti della Chiesa. Ma Clemente VII (2) morì nel 1534 prima di poter assistere a tutti i disastri che la sua politica aveva provocato.
 

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1545 - 1563 IL CONCILIO DI TRENTO

PRIMA PARTE:

Nel 1534, come visto, Clemente VII lasciava questa valle di lacrime e saliva al trono di Pietro il Papa Paolo III Farnese (1534-1549) che si disse subito disposto alla convocazione del Concilio tra l'incredulità generale. Eppure il nuovo Papa  costituì subito una commissione che si occupasse di riforma della Chiesa che arrivò nel 1537 a pubblicare un importante documento: Consilium ad emendanda Ecclesia. Intanto Paolo III riconosceva la Compagnia di Gesù, le truppe di élìte del Papa, a difesa dell'ortodossia della Chiesa di Roma che egli utilizzerà appunto come utile strumento al servizio dell'Inquisizione. I gesuiti erano e sono teorici, in base ai dettami del loro fondatore, dell'uso ed abuso fino alla paranoia, dell'esame di coscienza. Nel loro emblema incombe minacciosa la croce-spada ad indicare una giustizia intransigente e temibile. Condussero una campagna contro i diversi che "infestavano" città e contadi, tra cui eretici, stranieri, ebrei ma anche donne, magari già emarginate dal consorzio sociale (ad es. ragazze madri cacciate di casa) che conducevano vita dura vendendo filtri terapeutici o ritenuti capaci di far innamorare chi li bevesse (pocula amatoria) od anche di far impazzire se non addirittura di uccidere).
        Il nuovo Papa, che aveva 66 anni al momento dell'elezione, si era rapidamente imposto nel conclave per la sua equidistanza tra le due fazioni ancora esistenti ed agguerrite (Francesco I e Carlo V) e perché aveva ben 40 anni di esperienza curiale. Era stato fatto cardinale da Alessandro VI per una cortesia verso la bella sorella Giulia Farnese che era sua amante favorita. Anch'egli era un libertino dissoluto che ebbe molti figli dei quali solo tre riconosciuti, Pier Luigi, Paolo e Costanza. Questo suo passato garantiva alla Curia la possibilità di seguire con dissolutezze, orge e libagioni. Infatti non mancarono durante il suo pontificato, pur in una Roma distrutta ed in completa miseria, balli in maschera, banchetti, buffoni di corte, spettacoli licenziosi ai quali il papa si divertiva un mondo. Ma garantiva anche il suo sfrenato nepotismo che lo spingeva a voler rendere la famiglia Farnese tra le più potenti d'Italia. Iniziò con il fare cardinali sia Alessandro, il quindicenne figlio di Pier Luigi, sia Ascanio, il sedicenne figlio di Costanza che con gli anni risultarono essere dei mecenati. Passò quindi a fare cardinali il fratello minore di Alessandro, Ranuzio, ed il fratellastro di Costanza fermo restando che il prediletto (come dice Rendina, il Cesare Borgia del Papa Farnese) rimaneva il primogenito Pier Luigi. Fu riempito di onori e di possedimenti. Fu fatto Confaloniere dello Stato Pontificio e comandante delle truppe del Papa. Per lui creò un ducato vicino Roma con capitale Castro. A lui assegnò varie cittadine nei dintorni di Roma (Nepi, Ronciglione, Caprarola). Per lui separò due città dallo Stato Pontificio, Parma e Piacenza, per assegnargliele come ducato (1545) che resterà poi ai Farnese per circa 200 anni. Pier Luigi n on fu in grado di mantenere tutto questo tentando di farlo con la tirannia. Ciò fece ribellare i suoi sudditi che dettero lo spunto ad una congiura capitanata da Ferdinando Gonzaga ed appoggiata da Carlo V (in quanto Pier Luigi risultava essere filofrancese) che portò al suo assassinio nel 1547 (fu riempito di coltellate e gettato dalla finestra). Gonzaga si impadronì per breve tempo del ducato che fu però liberato da Ottavio, figlio di Pier Luigi, accorso da Roma. Anche Ottavio Farnese fu nelle grazie del nonno, il Papa. A soli 14 anni fu fatto sposare con Margherita d'Austria la diciannovenne vedova di Alessandro de' Medici, che ebbe in odio tale matrimonio d'interesse (il Papa si recò spesso a parlare con Margherita e da qui nacquero dicerie sugli amori senili di Paolo III con la giovane Margherita).
        Nonostante fosse occupato da tante ambasce familiari, il pover'uomo pensò anche ad alcune opere memorabili in Roma come la sistemazione della piazza del Campidoglio fatta da Michelangelo con la statua di Marco Aurelio al centro  e come il completamento della Cappella Sistina, sempre ad opera di Michelangelo con il Giudizio Universale. Ebbe tempo anche per questioni religiose come quel famoso Concilio, tanto atteso. che finalmente fu convocato il 2 giugno 1536. Si sarebbe dovuto tenere a Mantova (città in cui vi erano molti sostenitori di Carlo V) a partire dal 23 maggio 1537. Sembrava proprio che la Chiesa avesse deciso di riformarsi. Intanto Lutero pubblicava tradotto in Germania il Consilium arricchito da commenti sarcastici e ridanciani. La Curia di Roma che non voleva sentir parlare di riforme si oppose ad ogni seppur minima intenzione di cambiamento con il buon argomento che se avessero fatto qualcosa avrebbero dato motivi agli avversari che Lutero aveva ragione. Quel Consilium fu nascosto e dimenticato ed anche il Concilio fu rimandato perché Francesco I non lo voleva. Si tentò ancora per ben 5 volte di fissare data e luogo ma niente. Si tentarono accordi sotterranei con i luterani per cercare di capire cosa fare nel Concilio per riunificare la Chiesa. Vari incontri furono organizzati e niente si riuscì ad organizzare. Un prestigioso mediatore, il patrizio veneziano Gaspare Contarini, che stava conseguendo dei risultati fu cacciato da Roma con l'accusa di essere luterano. La fazione romana della Curia era la più forte ed essa vedeva un Concilio solo addomesticato in cui si riformasse molto poco ma in modo tale da far apparire ciò come grande concessione, senza comunque toccare l'autorità del Papa e la struttura gerarchica di Roma, ed in cui si condannassero con durezza le tesi luterane. Fu questa la strada che si scelse alla quale, come evidente, si accompagnò una dura repressione di ogni dissenso. Ora era chiara la strada che un Concilio avrebbe dovuto percorrere e fu così che venne convocato a Trento da Paolo III il 22 maggio del 1542 con la bolla Initio nostri huius pontificati. Fu necessaria una seconda bolla del novembre 1544, Laetare Jerusalem, per fissare al 15 marzo 1545 l'inizio dei lavori (che poi slittarono al 13 dicembre 1545 per la vigorosa iniziativa politica e militare di Carlo V). Le 25 sessioni generali del Concilio si svolsero nella Cattedrale di San Vigilio ed interessarono, dopo il Papa Paolo III, Giulio III, Marcello II, Paolo IV, Pio IV; i lavori terminarono il  4 dicembre 1563. Il Papa Pio IV con la Bolla Benedictus Deus del 30 giugno 1564 approvò integralmente i decreti conciliari e nominò una commissione per vigilare sulla corretta interpretazione e attuazione degli stessi. Tornerò su questo quando arriverò a trattare Pio IV. Per ora basti dire che il Concilio nasceva con il fine di sanare gli Scismi di Lutero e della Chiesa Anglicana oltre, come sempre, di trovare una unità tra Paesi cristiani contro i Turchi. Alla fine del Concilio niente di quanto ci si proponeva fu conseguito ma se possibile, il Concilio stabilì definitivamente la rottura con gli scismatici.

IL CONCILIO DI TRENTO
       
Nel primo periodo di Concilio, quello che si svolse sotto Papa Paolo III, si stabilirono alcune cose: le Scritture dovevano essere interpretate dalla Chiesa e non erano ammesse loro libere letture come teorizzavano i luterani; si definirono i concetti di grazia divina e libertà umana; si fissarono i sacramenti proclamando quelli del battesimo e della cresima; si regolò l'accesso all'episcopato e quello ai benefici. Sembrava si procedesse sulla buona strada quando Carlo V, convintosi del fatto che mai i protestanti avrebbero accettato le conclusioni del Concilio, decise di risolvere il problema dello scisma con la guerra. L'Imperatore dichiarò che la Lega di Smalcalda che, come accennato, era stata organizzata con fini difensivi dai principi protestanti, era ribelle e mobilitò l'esercito. I partecipanti al Concilio ebbero paura vedendo movimenti di truppe. Il Papa pensò di spostare l'assemblea in una città dello Stato Pontificio come Bologna, abbandonando la città imperiale di Trento. Contrari a questa soluzione erano i filoimperiali, i vescovi e cardinali di Napoli e spagnoli. Vinsero coloro che auspicavano lo spostamento a Bologna anche per lo scoppio di un'epidemia di tifo che uccise uno di loro. Dopo varie tergiversazioni nel marzo del 1547 fu deciso lo spostamento del Concilio. La prima sessione a Bologna iniziò ad aprile del 1547 e durò poco più di un anno. Si discusse di: eucarestia, contrizione, confessione, estrema unzione e consacrazione sacerdotale. Tra i teologi si aprirono ampie discussioni sulle indulgenze e sul Purgatorio. In tema di riforma della Chiesa furono affrontati i problemi derivanti dal cumulo di benefici, della poca preparazione dei confessori e dei dilaganti abusi del clero. La successiva sessione, su forte spinta di Carlo V, riprese di nuovo a Trento nel 1551. Come osserva Rendina, lo spostamento del Concilio a Bologna "fu un grave errore che compromise in maniera determinante una riforma generale a cui aderissero anche i luterani aumentando al contrario i termini già netti dello scisma". Vi fu contrarietà da parte di Carlo V che credeva di risolvere tutto con le armi ma, di fatto, i luterani non sarebbero mai intervenuti in un'assemblea convocata nello Stato Pontificio. Paolo III aveva il problema della morte del figlio Pier Luigi e la cosa lo interessava poco. Sospese il Concilio nel 1548 e lo sciolse definitivamente l'anno seguente. Finiva la possibilità di una Riforma cattolica e, alla ripresa dei lavori, il Concilio divenne un'assemblea che avviò la Controriforma. Questa scelta non era comunque improvvisa perché maturava già in chi aveva istituito la Santa Romana e Universale Inquisizione. L'Inquisizione Romana era stata pensata prima che il Concilio si aprisse, tanto per mostrare l'apertura con cui la Chiesa si apprestava a riconciliarsi. Il 21 luglio 1542, Papa Paolo III emanò la bolla Licet ab initio con la quale creava l' Inquisizione Romana o Sant'Uffizio(2) sotto la guida di Giovanni Pietro Carafa che (dal 1555) sarà il futuro Papa Paolo IV. Si trattava della riorganizzazione della vecchia Inquisizione Medioevale che, pur non avendo mai smesso di funzionare, non aveva ora strumenti culturali e materiali per intervenire contro le nuove eresie e contro quel grave male che era la cultura in espansione. Era un problema di efficienza della struttura repressiva che aveva fatto pensare ad una commissione permanente di cardinali e alti prelati diretta dal medesimo Papa che doveva mantenere e difendere l'integrità della fede, esaminare e proscrivere gli errori e le false dottrine. Il Carafa, lasciata al Papa la sola possibilità di concedere la grazia, dette tutto se stesso per rendere la nuova Inquisizione uno strumento repressivo di somma efficacia. Prima requisì un edificio romano e lo dotò di una prigione, quindi emanò 4 norme di procedura  per gli inquisitori: punire anche solo per sospetto; non avere alcun riguardo per i potenti; essere intransigente con chiunque avesse trovato rifugio da un potente; nessuna accondiscendenza con i calvinisti. Il futuro Paolo IV era convinto che l'azione sarebbe stata più efficace quanti più potenti si colpivano perché la salvezza delle classi inferiori dipende dalla punizione dei grandi. Inoltre, ma non lo disse, quanti più potenti si colpivano, meno avversari avrebbe avuto. In ogni caso si dette il via ad un'epurazione massiccia in ogni istituzione, ecclesiastica o laica. Ma il crudele maniaco Carafa vedeva con rabbia quella possibilità di grazia che aveva il Papa e riuscì ad arrivare al pieno della sua crudeltà, inaugurando roghi di ebrei convertiti ad Ancona e di eretici a Roma, solo quando divenne egli stesso Papa imponendo come Grande Inquisitore Michele Ghislieri che alla sua morte, come no!, divenne a sua volta Papa, l'altro criminale chiamato Pio V (e per questo santificato). Una festa di inquisitori che diventano Papi.
        Prima di concludere con questo Papa è utile riportare una sua posizione analoga a quella di Leone X sulla Favola di Cristo. Secondo una testimonianza di Diego de Mendoza, ambasciatore di Spagna presso il Vaticano, Paolo III “osava spingere la sua irriverenza verso Cristo fino al punto di affermare che non era altri che il sole, adorato dalla setta mitraica, e Giove Ammone rappresentato nel paganesimo sotto forma di montone o di agnello. Egli spiegava le allegorie della sua incarnazione e della sua resurrezione mettendolo in parallelo con Mitra. Diceva ancora che l’adorazione dei Magi non era altro che la cerimonia nella quale i preti di Zaratustra offrivano a Mitra oro, incenso e Mirra, le tre cose attribuite all’astro della luce. Egli sosteneva che la costellazione della Vergine o, meglio, della dea Iside che corrisponde al solstizio in cui avvenne la nascita di Mitra (25 dicembre), erano state prese come allegorie per determinare la nascita di Cristo, per cui Mitra e Gesù erano lo stesso dio. Egli affermava che non c’era nessun documento valido per dimostrare l’esistenza di Cristo per cui la sua convinzione era che non era mai esistito”.
        In linea teorica l'azione della nuova Inquisizione riguardava tutta la cristianità (meno il Papa) ma, nella pratica, proprio per quella territorialità che la Chiesa individuava nell'Italia, il suo operato fu quasi esclusivamente in questo Paese. Si può ben capire, comunque, come suonasse la finalità del Sant'Uffizio alle orecchie luterane alla vigilia dell'apertura del Concilio di Trento. L'iniziativa trovò subito dei ferventi sostenitori e tra essi, oltre il citato Carafa, i Gesuiti con Ignazio di Loyola.

IN ATTESA DELLA NUOVA SESSIONE DEL CONCILIO

        Il conclave per eleggere il successore di Paolo III fu un vero e proprio mercimonio principalmente tra le due eterne fazioni, quella francese e quella imperiale. Ma si verificò anche che non si ebbe a che fare con un vero e proprio conclave perché quella elezione fu fatta con le porte aperte, con i cardinali cioè che potevano muoversi liberamente per la città di Roma con lo spettacolo eccellente di trattative a cielo aperto. Dopo oltre due mesi di estenuanti trattative risultò eletto il romano Giovanni Maria Ciocchi del Monte che assunse il nome di Papa Giulio III (1550-1555). Il fatto che dopo oltre 100 anni di nuovo si aveva un pontefice romano scatenò la gioia della città che festeggiò compatibilmente con le povere disponibilità. Furono comunque feste pagane, tra cui l'uccisione di vari tori in Piazza San Pietro, molto gradite dal nuovo Papa che ebbe inoltre l'occasione di intersecarle con il nuovo Giubileo del 1550.
        Ed i banchetti in feste di lusso furono una costante del suo pontificato. Erano allietati da buffoni di corte che divertivano con licenze piccanti molto gradite, così come il teatro piccante, al Papa. Amava lusso e bella vita e per questo si fece costruire la imponente Villa Giulia, con un parco gigantesco, fuori Porta del Popolo. Naturalmente fu un nepotista accanito: ogni parente del Papa ebbe un incarico estremamente redditizio negli affari vaticani sia a Roma che nello Stato Pontificio. Anche il suo supposto figlio, Innocenzo del Monte, che passò da quindicenne depravato e guardiano di scimmie alla porpora cardinalizia ed alla responsabilità della Segreteria di Stato (era nominale perché il piccolo selvaggio era assolutamente incapace di assolvere quel compito).
        Unica parte di rilievo nell'operato di questo inutile fu la riconvocazione del Concilio di Trento proprio a Trento per il 1° maggio 1551. Ad esso invitò i principi tedeschi che già si erano espressi in favore di Lutero. Si discusse di eucarestia, confessione ed estrema unzione. Quando però intervennero i protestanti saltò ogni possibilità di accordo con le posizioni dogmatiche della Chiesa. Il Concilio fu sospeso nell'aprile del 1552 e non fu riconvocato per circa 2 anni. A lato delle divergenze insanabili in sede di Concilio era iniziata una nuova controversia tra Carlo V ed il Papa. Si trattava del ducato di Parma alla cui testa vi era, come si ricorderà, Ottavio Farnese. Carlo voleva riprendere a sé la città di Piacenza. Ottavio chiese l'aiuto del nuovo Re di Francia, Enrico II. Il Papa prima accondiscese alle richieste di Carlo V, quindi, dopo le minacce di Enrico II, accondiscese alle sue richieste. Niente di nuovo rispetto a giravolte già note che screditavano sempre più lo Stato Pontificio. Vi fu comunque un avvenimento che sembrò andare nel senso degli interessi della Chiesa. In Inghilterra l'unica figlia di Enrico VIII con Caterina d'Aragona, Maria (nata nel 1516) era stata reinserita nella linea di successione di Enrico VIII da una legge del Parlamento del 1544. Prima di lei vi era Edoardo troppo piccolo per poter governare, quindi vi era lei e, dopo di lei, quella che sarà Elisabetta I. Edoardo ereditò ufficialmente la corona e divenne Edoardo VI. Ma aveva nove anni. A norma della legge citata del 1544 e secondo le volontà di Enrico VIII, a Edoardo (in mancanza di una sua discendenza) sarebbe succeduta Maria. Se Maria non avesse avuto figli, la corona sarebbe passata alla figlia avuta da Anna Bolena, Elisabetta. E se anche Elisabetta non avesse avuto figli, la successione sarebbe tornata ai discendenti della sorella defunta di Enrico VIII, Maria Tudor. Edoardo morì nel 1553 e, anche se vi furono manovre per non rispettare la legge del Parlamento  (Edoardo prima di morire aveva indicato in un'altra persona, Lady Jane, l'erede al trono ma senza che il Parlamento avesse legiferato in proposito) Maria salì al trono d'Inghilterra come Maria I d'Inghilterra. Sembrava quindi che fosse possibile, con Maria I, riportare la Chiesa inglese nell'alveo di quella di Roma. Il Papa morì nel 1555 e non fece in tempo a vedere come andarono le cose: Maria morì nel 1558 ed in base alla legge del 1544 fu Elisabetta I a divenire Regina d'Inghilterra (anche qui con intrighi, condanne a morte ed anche questioni religiose che avevano fatto maturare l'idea che in Inghilterra non vi fosse più posto per sovrani cattolici).
        A questo ennesimo campione di Santa Romana Chiesa seguì un Papa che, per le sue doti di rigore ed onestà, riconosciute da tutti, fu scelto per portare avanti la Riforma.  Aveva presieduto il Concilio di Trento con la sua spiritualità ed illibatezza. Era il cardinale Marcello Cervini che, quando fu eletto, non cambiò il nome per mostrare che non cambiava di costumi. Assunse quindi il nome di Papa Marcello II (1555). Era un antinepotista che addirittura vietò ai suoi parenti di venire a Roma. Sembrava un vero miracolo, anche il vasellame prezioso fece togliere dalla tavola e sembrava che finalmente vi fosse un rappresentante evangelico. Ma i veri riformisti riuscirono a sperare in lui solo 20 giorni, dal 10 aprile al 1° maggio. Poi morì. Evidentemente Dio doveva essere quello malvagio del Vecchio Testamento: ogni volta che sembrava annunciarsi un Papa evangelico Egli lo ammazzava (era già successo con Pio III ed Adriano VI). E proprio per rendere ragione al Dio malvagio del Vecchio Testamento il successore fu quell'indegna figura del cardinale Gian Piero Carafa, già incontrato nella fondazione dell'Inquisizione Romana e notoriamente avverso a Carlo V, che assunse il nome di Papa Paolo IV (1555-1559). Anche qui i riformatori furono contenti per questa scelta ed a noi resta da chiedersi come sia stato possibile festeggiare l'elezione di Marcello II e un mese dopo quella di Paolo IV.
        I riformatori capirono presto che questo Papa non aveva interesse per l'unità dei cristiani e che tese tutte le sue energia alla politica, bieca e profondamente reazionaria (di lui i romani dicevano che se sua madre avesse previsto il suo futuro lo avrebbe strangolato nella culla). L'elezione vide il ritorno dei riti sfarzosi, degli ori e degli argenti, perché, come egli argomentava, occorreva incutere timore e rispetto agli altri e particolarmente ai sovrani in visita che avrebbero dovuto ascoltarlo a bocca aperta ed in ginocchio. Scrive in proposito Rendina: "Il papa-re emergeva nella figura di chi oltretutto non può sbagliare, col tono di superbia e sicumera di chi si ostentava a «duce» mentre «vagheggiava un ideale grande e nobile: liberare l'Italia ed il papato dalla opprimente preponderanza spagnola» come scriveva il Castiglioni durante il ventennio fascista su questo Papa, sottolineando con orgoglio come egli «mirava a stringere in un fascio (sic!) tutti i principi d'Italia contro la Spagna» e ricordando che, di fronte al venir meno della sognata coalizione patriottica dei sovrani italiani, «con fierezza d'animo protestava, senza perdersi d'animo quel pontefice nazionalista [...]»". Finalmente uno storico, il Castiglioni, che aveva capito tutto e confondeva allegramente Italia con Stato Pontificio.....Segue....

NO FAITHS NO PAIN
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I PAPI: LA VIA CRIMINALE A DIO. IL SACCO DI ROMA E IL CONCILIO DI TRENTO

1545 - 1563 IL CONCILIO DI TRENTO

SECONDA E ULTIMA PARTE :


Dato il discredito del papato e l'ormai obsoleta dipendenza dalle incoronazioni e dalle autorizzazioni papali, Carlo V aveva firmato il 25 settembre 1555 la Pace di Augusta, senza appunto farne partecipe la Chiesa. Era una pace religiosa tra tutti i principi tedeschi secondo la quale era possibile nei territori del Sacro Romano Impero scegliere tra cattolicesimo e luteranesimo (e basta). Inoltre la popolazione doveva aderire alla religione del principe di quel territorio oppure doveva cambiare regione. Infine i beni ecclesiastici passavano nella disponibilità dei vescovi che passavano al luteranesimo senza che il principato potesse incamerarli. Contestualmente a ciò Carlo V abdicò a favore di suo figlio Felipe II in Spagna e di suo fratello Ferdinando I d'Asburgo come successore imperiale. Il Papa era furioso perché veniva decretata la sua marginalità oltre alla presa d'atto dello scisma luterano che, alla fin fine, rendeva superfluo il Concilio per una qualche pace religiosa tanto più che Ferdinando aveva accettato tutto il contenuto della Pace di Augusta. Tentò mosse tanto disperate quanto stupide: decretò in un concistoro che l'atto di abdicazione di Carlo non era valido e quindi che Ferdinando non era legittimato al trono dell'Impero. Per portare avanti questa crociata non si servì dei vari uomini della Chiesa ma solo dei suoi parenti. Un «duce» agisce così, per Giove ! Il fatto è che il poveretto non capiva nulla di politica ed era guidato solo dal suo egocentrismo che si coniugava con uno sfrenato nepotismo (i parenti non offuscano il padre padrone). Anche qui Rendina coglie bene la situazione: "Appare gratuito giustificare questo nepotismo di Paolo IV, adducendo motivi di stampo patriottico [come aveva fatto quello storico fai da te, ndr], perché il fatto che egli abbia costituito possedimenti per i nipoti con territori ecclesiastici, che abbia innalzato un soldato alla direzione degli affari religiosi, che abbia compiuto atti di guerra e versato del sangue è pur sempre lontano dallo spirito puro del cristianesimo. L'etichetta patriottica è una maschera che nasconde ragioni ecclesiastico-personali".
        Rendina, quando parla del soldato elevato alla direzione degli affari ecclesiastici, si riferisce al nipote (siamo certi ?) Carlo Carafa, suo preferito. Era uno sregolato capitano di ventura, spregiudicato e di malaffare, che lo zio fece subito cardinale (assolvendolo a priori dei mali che aveva fatto e avrebbe potuto fare) per passarlo poi a Segretario di Stato (Primo Ministro) del Vaticano. ERa un abile personaggio che seppe tenere in pugno Paolo trattandolo da marionetta. Le gestioni fallimentari dei rapporti di Felipe II con Ferdinando I furono opera sua. Riuscì a creare un incidente nel porto di Civitavecchia, invischiando con alcune lettere, che avrebbe scritto a Ferdinando I, il cardinale Ascanio Colonna che mise l'uno contro l'altro i due eredi di Carlo V e condì il tutto con un'alleanza dello Stato Pontificio con la Francia (fine del 1555), che s'impegnava a difendere lo Stato Pontificio, anche se il Papa aveva un pessimo giudizio sia di spagnoli che di francesi con i quali ultimi avrebbe, secondo lui, regolato le cose a suo tempo. Ed anche se mostrò di avere una memoria cortissima che gli aveva fatto dimenticare il Sacco di Roma. L'utile immediato fu la confisca delle terre dei cardinali legati all'Impero, terre che passavano al nipote.
         La Spagna colse l'imbroglio della politica casereccia del Papa e da Napoli fece partire un esercito, guidato dal Duca d'Alba, verso Roma. Le truppe francesi dovettero ritirarsi per impegni su altri fronti (battaglia di San Quintino). Di nuovo Roma era potenzialmente in balìa di un esercito invasore per colpa di alcuni imbecilli che operavano per maggior gloria di Gesù. Per una provvidenziale mediazione di Venezia l'esercito spagnolo si fermò sotto le mura della città ma il Papa dovette riconoscere Felipe II come buon sovrano cattolico e dovette rinunciare all'alleanza con la Francia dichiarandosi neutrale (Pace di Cave del settembre 1557).
        Altra bestialità la fece Paolo IV con l'Inghilterra. Nel 1559 l'ambasciatore inglese Edward Carne lo informò che Elisabetta I Tudor aveva seguito Maria I sul trono d'Inghilterra. Paolo che odiava tutte le donne, ritenendole come Tommaso d'Aquino uomini "abortiti", e che aveva avuto un debole per Maria, perché  aveva riesumato e bruciato il cadavere del padre in quanto eretico, ed operando con il rogo con i protestanti. Paolo chiese all'ambasciatore se Elisabetta si rendeva conto che l'Inghilterra era una proprietà della Santa Sede fino dall'epoca di Re Giovanni? Sapeva che un illegittima non può ereditare? Non aveva letto la sua ultima Bolla? Capiva che era pura audacia la sua di pretendere di governare l'Inghilterra, che apparteneva di diritto al papa? No, non poteva permetterle di continuare. Forse se la bastarda, l'usurpatrice, l'eretica avesse rinunciato alle sue ridicole pretese e si fosse presentata immediatamente a lui per chiedere perdono.... Elisabetta, due mesi dopo, ruppe le relazioni diplomatiche con Roma.
        Intanto Carlo Carafa, il cardinale condottiero ed imbroglione, spopolava in Curia e la sua omosessualità era divenuta intollerabile scandalo denunciato a più riprese dal cardinale di Lorena(3). Questo fatto (e non altri !) fece cambiare atteggiamento a Paolo che nel concistoro del gennaio 1559 condannò pubblicamente il comportamento dei nipoti e riprese i propositi di Riforma sia dello Stato che della Chiesa. E come fece il ducetto a riformare ? Non certo riprendo le sessioni del Concilio ma affidandosi ad un potenziamento ed inasprimento feroce dell'Inquisizione Romana ed ad uno dei peggiori crimini contro l'umanità, l'introduzione dell'Indice dei Libri Proibiti.
        Una delle prime iniziative dell'Inquisizione Romana sotto la direzione di Paolo IV, insieme al problema del catechismo(4) e della riforma dei libri liturgici, riguardò la redazione dell'Index librorum prohibitorum(5) (noto come Indice Paolino) il primo dei quali venne pubblicato nel 1559. Ad esso seguirono nel 1564 quello realizzato da Pio IV e nel 1596 quello di Clemente VIII (l'Indice clementino), il Papa antisemita che fece assassinare Giordano Bruno. Per completezza devo dire che un Indice era richiesto anche da insospettabili come quel Francesco Maurolico, matematico e meccanico, che ebbe a che fare con la formazione di Galileo. Questi proponeva non solo l'eliminazione di tutti i libri di autori sospetti ma anche l'auspicio che da Roma si portasse avanti l'edizione di opere di autori ortodossi perché in Italia si era diffusa la peste degli scritti luterani, eretici ed antropophagi tedeschi. Ma di Indici ve ne erano stati dei precedenti pubblicati a Roma (Cathalogus librorum Haereticorum con libri luterani ed anche con i Commentari di Pio II al Concilio di Basilea), Venezia (1549), Milano, Parigi e Lovanio nel 1554 (ma anche altri in epoca precedente e successiva comunque antecedente al 1559). Questi Indici avevano comunque validità locale molto limitata e non si avevano pene come quelle previste per l'indice del 1559.
        L'operazione era perfettamente in linea con l'avanzare inarrestabile della cultura, della conoscenza che son0o sempre state le peggiori nemiche della Chiesa che vive in un'abissale ignoranza del gregge. Occorreva stroncare le fonti e l'Index serviva a questo(6). I decreti che definivano l'Index contenevano, tra le altre cose, il divieto di stampare, leggere e possedere versioni della Bibbia in lingua volgare senza previa autorizzazione personale e scritta del vescovo, dell'inquisitore o addirittura dell'autorità papale (nel primo indice venivano vietate 45 versioni della Bibbia e del Nuovo Testamento in lingua volgare; tale divieto resterà fino al 1758 quando fu abrogato da Papa Benedetto XIV). Come conseguenza di questo provvedimento la produzione di Bibbie in italiano subì un brusco arresto. E' utile avere un qualche riferimento degli autori che comparivano nel primo Index: Luciano di Samosata, Dante, Petrarca, Boccaccio, Ockham, Machiavelli, Erasmo, Rabelais. Più in generale erano all'Indice tutti gli autori non cattolici, 126 testi di 117 autori cattolici, 322 opere anonime, tutte le opere di astrologia e magia. La Bibbia si poteva leggere solo su permesso scritto di qualche prelato ed il permesso era concesso ai soli uomini che conoscessero il latino. Nel 1564, dopo la chiusura del Concilio, l'Indice viene aggiornato e diventa Indice Tridentino. La novità qui consisteva nella possibilità di togliere dai libri i passi ritenuti offensivi alla fede cattolica. Ciò comportò un altro elenco di libri da affiancare a quello dei libri proibiti, quello dei libri da espurgare, l'Index Librorum Expurgatorius, con la conseguenza che molti libri così ritagliati risultavano incomprensibili e contraddittori. Si e avanzavano qualche teoria in disaccordo con l'Aristotele della Scolastica, quello di Tommaso d'Aquino che, proprio in quegli anni (1567), veniva da Pio V nominato Dottore della Chiesa. Un'altra bolla del 1564 si inseriva in una questione estremamente delicata, il controllo di coloro i quali iniziavano ad alfabetizzarsi attraverso il controllo degli insegnanti da parte di esami del vescovo, dei luoghi in cui si svolgeva e dei testi che utilizzavano (la Chiesa, come accennavo, è sempre stata contraria all'alfabetizzazione di massa ritenuta un grave pericolo).
        La costruzione di un Indice non era però cosa facile che potesse fare qualcuno di sua iniziativa. Fu necessario istituire un gruppo di persone che fosse in grado di decidere cosa proibire o espurgare. Nel 1571 Papa Pio V, il Papa che vietò la pubblicazione di opere nelle lingue volgari (1567), che abrogò il carnevale, che con una bolla fece chiudere tutte le sinagoghe di Roma, che fece convocare il Veronese perché desse spiegazioni sul suo dipinto Cena in casa di Levi obbligandolo alla modifica e che espulse gli ebrei dai territori dello Stato della Chiesa, organizzò ed istituì la  Congregazione per l’Indice, costituita da alcuni cardinali e vari consultori esterni, con lo scopo di tenere aggiornato l'Indice e di diffonderlo in ogni luogo della cristianità attraverso gli inquisitori locali (tanto per mostrare la valenza dell'Indice). Per parte sua il Sant'Uffizio, che aveva preso il posto dell'Inquisizione, voleva gestire in proprio la scelta dei libri da porre all'Indice. Riuscirà nel suo scopo solo nel 1916 quando la Congregazione verrà abolita con il Sant'Uffizio ancora vivo e vegeto (con un cambiamento di nome nel 1965, Congregazione per la Dottrina della Fede.
        Questo Papa ebbe molto di più da fare contro gli ebrei, gli assassini [loro ! ndr] di Gesù.  Il 12 luglio del 1555 emise la Bolla Cum nimis absurdum che istituiva la creazione del Ghetto di Roma, il serraglio degli ebrei; gli ebrei vennero quindi costretti a vivere reclusi in una specifica zona del rione Sant'Angelo. Anche in altre città dello stato pontificio gli ebrei furono rinchiusi in ghetti e obbligati a portare un copricapo giallo (glauci coloris), per essere immediatamente individuati. Agli ebrei veniva  proibito di esercitare qualunque commercio ad eccezione di quello degli stracci e dei vestiti usati. Inizialmente erano previste due porte che venivano chiuse al tramonto e riaperte all'alba.
Paolo IV fu un acceso antisemita che impose conversioni forzate, in alternativa all'espulsione, battesimi di bimbi ebrei e altre infamità. Aveva addirittura mandato ad Ancona due commissari straordinari per arrestare e processare gli ebrei apostati che dal 1540 erano fuggiti dal Portogallo e si erano stabiliti in città. Nel 1556 furono impiccati e bruciati al rogo 24 marrani che si erano rifiutati di convertirsi alla religione cattolica. Per maggiore gloria di Gesù.
        Queste erano le armi che Paolo IV voleva utilizzare per la Riforma che però, in tal modo, divenne solo una Controriforma che volle imporre il credo (non quello religioso) della Chiesa a tutta l'umanità e chi non si adattava doveva essere affidato all'Inquisizione come eretico. L'operazione sarebbe servita forse a rafforzare la Chiesa al suo interno ma certamente ad escludere più che ad unire.
        Ancora in cose di Chiesa nel 1558 fece un ripetitivo ed inutile intervento. Con la bolla Cum secundum Apostolorum tentò di evitare che la scelta di un pontefice avvenisse al di fuori del Conclave evitando in sommo grado la simonia.
        E da ubriacone qual era diventato lasciò questa valle di lacrime.
Di più vuoi tu saperne? Fu papa e tanto basta, Fece posto ad un candidato di compromesso mite e schivo, infatti il conclave che seguì, durato 4 mesi, elesse al Soglio Pontificio Giovan Angelo de' Medici che assunse il nome di Pio IV (1559-1565). Va subito detto che questo Papa non aveva nulla a che fare con la famiglia Medici di Firenze che aveva dato prove tanto disastrose nel papato. Egli proveniva da umile famiglia milanese che aveva raggiunto un certo grado di agiatezza grazie all'abilità ed al lavoro del fratello maggiore che si era distinto in una brillante carriera militare fino a diventare marchese e sposare una Orsini, cognata del cardinale Farnese. Ma i romani, sentito che l'eletto era un Medici, pensarono di tornare alle vacche grasse di Leone X e si scatenarono in riti sacrileghi per le strade. Appena eletto, il nuovo Papa, da persona comprensiva qual era, perdonò gli eccessi e, fatto molto più importante, criticò l'operato dell'Inquisizione riportandola all'ambito originale e moderò le iniziative dell'Indice. Egli era un assertore della Riforma da fare con il Concilio, che fece riaprire e che sotto il suo pontificato si concluse, e non con i metodi dell'Inquisizione.

IL CONCILIO SI CONCLUDE

        Pio IV iniziò a muoversi con vero spirito ecumenico. Non ebbe da rivendicare nulla con i sovrani cattolici. Li riconobbe tutti come entità esistenti indipendentemente dalla volontà della Chiesa e con loro iniziò a cercare accordi per riprendere le sessioni del Concilio di Trento. Dopo aver contattato Ferdinando I e Felipe II ed avere preso atto che tra Asburgo (corona imperiale) e Valois (corona francese) si era stabilita la pace tra cristiani sottoscritta nel 1559 nel Trattato di Cateau-Cambrésis, alla fine di novembre del 1560 annunciò con una Bolla la riapertura del Concilio di Trento per la Pasqua del 1561 anche se poi di fatto riaprì solo a gennaio del 1562. Uno dei motivi che spinsero Pio alla convocazione rapida della terza sessione del Concilio fu la nascita del movimento calvinista in Svizzera che stava dilagando anche in Francia. Nei colloqui tra Felipe II e Pio IV era nata la preoccupazione che in Francia si sarebbe potuto convocare un Concilio Nazionale per sanare i contrasti che dividevano lo Stato e ciò avrebbe potuto significare una nuova lacerazione nella Chiesa (quel Concilio Nazionale fu poi convocato a Poissy nel 1561 ma i vescovi francesi non furono d'accordo con il Re nel riformare la Chiesa in Francia in modo da trovare accordi con i calvinisti). Insomma vi erano contagi in tutta Europa ma Pio confidava di mantenere l'integrità di Italia e Spagna. E la Francia si accodò mandando suoi rappresentanti a Trento. Vi furono infinite dispute iniziali anche relative all'accettazione o meno di quanto già deciso. Ci volle molto tempo, con un paio di presidenti del Concilio (Ercole Gonzaga e Seripando), che morirono essendo fisicamente esausti, prima di incanalare, con la presidenza del cardinale Morone, il Concilio su una strada fruttifera. Servì una trattativa con i sovrani dei maggiori Paesi cattolici per stabilire che gli argomenti all'ordine del giorno erano di competenza autonoma della Chiesa e non emanazione di cardinali al servizio di quei Paesi. Dopo estenuanti incontri e scontri di lavoro nelle diverse commissioni religiose e teologiche, che evidenziarono l grande divisione tra la Curia ed i Vescovi, il Concilio arrivò a conclusione, sotto la spinta di Morone anche per voci che davano il Papa in fin di vita.
        Tra i vari possibili temi vennero affrontatati quelli: del sacrificio della Messa come "ripresentazione" del sacrificio di Gesù, condannando con ciò le idee luterane e calviniste della Messa come semplice "ricordo" dell'ultima cena e del sacrificio di Cristo; della Chiesa come gerarchia che discende da Pietro, con il Papa vicario di Cristo e con i vescovi successori degli apostoli; dell'indissolubilità del matrimonio e del celibato degli ecclesiastici; della natura del Purgatorio; del culto dei santi, delle reliquie e delle immagini sacre; delle indulgenze. Altre questioni non trattate per mancanza di tempo, tra cui quella dell'Indice, furono demandate alla Curia.
        A giugno del 1564 il Concilio fu dato per concluso con la Bolla Benedictus Deus, e Pio IV approvò tutti i decreti conciliari incaricando una commissione di vigilare sulla corretta interpretazione e attuazione degli stessi.
        Tutto era andato secondo i voleri della Curia romana che aveva vinto sui vescovi. Riforme marginali (ma in ben 250 punti rispetto ai vari diritti precedentemente in vigore), rafforzamento dell'ortodossia e della centralizzazione di ogni minima decisione a Roma e dura condanna del protestantesimo. Seppur vi fosse stato un qualche cambiamento nel senso dell'apertura e della riconciliazione, venne fagocitato dal Papa che, con il solito metodo pretesco, di fronte a chi interpretava alcuni dettami conciliari in senso vicino a chi voleva cambiare e chi in senso vicino alla curia romana, decise salomonicamente che ogni interpretazione poteva essere solo demandata a LUI. Ed un primo risultato si ebbe subito: gli atti del Concilio furono bloccati alla pubblicazione e si seppe di loro solo alla fine del XIX secolo (!). Ciò permise al Papa completa discrezione anche perché quella commissione che doveva vigilare sulla corretta interpretazione e attuazione dei decreti conciliari, era fatta da cardinali e personale della curia romana e chi avesse voluto protestare per la non applicazione di qualche decreto, non poteva farlo perché non lo conosceva. In ogni caso la fine del Concilio di Trento segnava la data d'inizio della Controriforma (o Riforma Cattolica). Il Concilio comunque riformulò e ribadì la dottrina cattolica riguardo ai punti che erano stati posti in discussione: la giustificazione (ossia i mezzi per la salvezza dell'anima), l'interpretazione delle Sacre scritture da parte della chiesa, i sacramenti (in particolare, si riaffermò la transustanziazione, secondo cui nell'Eucarestia si ha la presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nel pane e nel vino consacrati), la liturgia, il culto dei santi e della Madonna, l'uso delle indulgenze e l'obbedienza alla chiesa e al pontefice. E fece qualcosa di gravissimo, equiparò le Sacre Scritture alla tradizione della Chiesa elevando quest'ultima ad una Sacra Scrittura, con cioè una medesima autorità.

Dalla Germania venne subito nel 1565 una risposta con l'Examen Concilii Tridentini del luterano Martin Chemnitz. Era una totale stroncatura del Concilio, che ebbe profonda influenza per secoli, che, in più, con citazioni teologiche molto dotte entrava in polemiche dottrinali sui sacramenti divaricando sempre più il solco tra le due Chiese. I difensori dell'ortodossia cattolica (domenicani e gesuiti) non sapevano bene cosa rispondere perché non conoscevano i decreti conciliari ... che non potevano conoscere perché non potevano accedervi. Intanto gli anni passavano ed anche gli anziani testimoni conciliari sparivano con la conseguenza che ogni memoria del Concilio spariva. Intanto i luterani, a cui si associarono i calvinisti, già del 1562 negarono ogni validità al Concilio il cui scopo era perfettamente raggiunto, la divisione tra le Chiese era definitiva e sempre più incarognita. Ed anche l'Impero, Sacro e Romano, con Ferdinando I, per la prima volta non accettò il responso di una istituzione ecclesiastica.
E non sembri che tutto marciava con dispute, magari violente, ma solo con manifestazioni verbali. Le guerre, soprattutto se di religione, sono le peggiori e chi ha forza e mezzi li usa. E la seconda metà del Cinquecento fu un terreno fertile per farne. Nel 1562 i cattolici massacrarono la comunità protestante di Vassy in Francia; nel 1572 ancora i cattolici massacrarono i protestanti Ugonotti (erano i francesi protestanti di tendenza calvinista) nella Notte di S. Bartolomeo (sette guerre fossero necessarie prima che terminasse in Francia la contesa tra cattolici e ugonotti); nel 1587 la protestante Elisabetta I di Inghilterra fece uccidere la cattolica Maria Stuart per problemi di successione al trono. Oltre a questo compito molto importante anche se fallimentare per l' unità della Chiesa (e non per colpa di Pio IV) vi sono altre vicende di questo Papa che meritano attenzione.
Durante la sede vacante che portò all'elezione di Pio IV, Giovanni Carafa, fratello del più volte citato Carlo, ambedue nipoti di Paolo IV, aveva ammazzato personalmente il presunto amante di sua moglie che aveva avuto uguale sorte essendo stata fatta strangolare. Pio IV volle dare una punizione esemplare ai nipoti, più delinquenti che sregolati, del suo predecessore. Li fece arrestare tutti con l'accordo di tutti i cardinali meno uno, Ghisleri, che era stato l'Inquisitore Generale con Paolo IV. Vennero tutti condannati a morte con il sequestro di ogni loro bene e solo il più giovane, il cardinale Alfonso, ottenne la grazia (anticipo solo che Ghisleri sarà il successore di Pio IV con il nome di Pio V e che rivedrà il processo annullando la sentenza e, soprattutto, restituendo i beni ai Carafa). Non era comunque un processo al nepotismo perché, quando ho parlato bene di questo Papa, non ho detto che fosse contrario al nepotismo. Anzi ! Egli fu nepotista come gli altri estendendo il nepotismo non solo alla sua famiglia m anche a quelle in qualche modo legate alla sua: i Serbelloni, gli Hohenems ed i Borromeo. Sull'ultima famiglia in particolare andarono moltissimi favori ed in modo rilevante a Carlo Borromeo, fatto cardinale e fiduciario di Pio IV (fu Borromeo che spinse nel senso della Restaurazione cattolica). Anche Roma ebbe qualche beneficio, ancora con l'opera di Michelangelo, che dalle Terme di Diocleziano ricavò la Basilica di Santa Maria degli Angeli (anche Borgo Pio, il quartiere che lega Castel Sant'Angelo con la Basilica di San Pietro, sorse sotto il suo pontificato).Amava il lusso e lo sfarzo ma si sa che donò ai poveri e morì senza arricchimenti personali. successore sarà un altro criminale ed incallito assassino, l'Inquisitore Generale sotto Paolo IV, il cardinale domenicano Michele Ghisleri.

NO FAITHS NO PAIN

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8 Anni 8 Mesi fa #2651 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
10 Marzo 1208, con bolla papale, Innocenzo III indice la crociata contro gli Albigesi (catari).

Il 21 Luglio dell' anno successivo, nel 1209, si compì quello che viene ricordato come "il massacro di Béziers"; copio da wiki:

"[...]Dopo aver circondato la città, i crociati chiesero che i càtari venissero banditi oltre le mura cittadine, ma ricevettero un deciso rifiuto. La città cadde il giorno successivo, quando un fallito tentativo di sortita da parte degli assediati permise alle truppe crociate di penetrare nella città. Sebbene Béziers non contasse una cifra superiore alle 500 persone appartenenti alla religione càtara, molti abitanti vennero massacrati (Lo stesso Amaury scrisse che i morti furono circa ventimila, ma le ricostruzioni sono contrastanti e diversi storici ritengono difficilmente plausibile tale cifra).
È divenuta leggendaria la risposta che in quell'occasione Arnaud Amaury avrebbe rivolto a un soldato che gli chiedeva come poter distinguere nell'azione gli eretici dagli altri: "uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi". L'autenticità di tale frase, però, è messa in dubbio in quanto non risulta in nessuna delle pur numerose cronache degli eventi; si trova invece in forma leggermente diversa («Cedite eos. Novit enim Deus qui ejus sunt» e cioè "Uccideteli. Dio infatti conosce coloro che sono suoi") e introdotta da un prudenziale ”«fertur dixisse» ("si dice") nel Dialogus Miraculorum, il Libro dei Miracoli, scritto circa sessanta anni dopo gli avvenimenti dal monaco tedesco Cesario di Hesisterbach
. [...]"


Su questi fragili resoconti pochi anni fa c'è stata una breve disputa tra il Vaticanista Vittorio Messori (già colto in fallo a sminuire i crimini della chiesa, ad es. negando o minimizzando le stragi durante la conquista del sud America) e Francesco Zambon, filologo e accademico tra l' altro esperto dell' "eresia catara".
Si parte con l' articolo di Messori seguito da tre repliche.
Buon divertimento (garantito dalla richiesta di creare una lega anti calunnia! )



di Vittorio Messori, Corriere della sera, 31 gennaio 2007
"Sostengo da tempo che i cattolici, ridotti ormai a minoranza (almeno sul piano culturale) dovrebbero seguire l’esempio di un’altra minoranza, quella ebraica . Dovrebbero, cioè, creare anch’essi un’Anti Defamation League che intervenga sui media a ristabilire le verità storiche deformate,  senza peraltro   pretendere alcuna   censura o   privilegio , bensì  soltanto la possibilità di rettifiche basate sui dati esatti e sui  documenti autentici.

La lotta ai catari fu la lotta contro l’oscurantismo
Prendiamo, ad esempio, quei Càtari (Albigesi, in Francia) di moda anche perché hanno gran parte nel Codice da Vinci e che si vorrebbero rivalutare, dimenticando che erano seguaci di una cupa, feroce,  sanguinosa setta di origine  asiatica.  Paul Sabatier - storico del Medio Evo e insospettabile in quanto pastore calvinista – ha scritto: «Il papato non è stato sempre dalla parte della reazione e dell’oscurantismo: quando sbaragliò i càtari la sua vittoria fu quella della civiltà e della ragione».
E un altro protestante, radicalmente anticattolico e celebre  studioso delle crociate, l’americano Henry C. Lea: «Una vittoria dei càtari avrebbe riportato l’Europa ai tempi selvaggi primitivi».

La presa di Beziers
Della campagna cattolica contro quei settari (appoggiati dai nobili del Midi francese non per motivi religiosi, ma perchè volevano mettere le mani sulle terre della Chiesa) è ricordato soprattutto l’assedio e la presa di Béziers, nel luglio del 1209. Vedo ora, su il Messaggero,  che un divulgatore di storia come Roberto Gervaso non esita a dare per buona la replica di dom Arnaldo Amalrico, abate di Citeaux  e  “assistente spirituale“ dei Crociati, ai baroni che gli chiedevano che cosa fare della città conquistata. La risposta è stata resa famosa dagli innumerevoli ripetitori: «Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi». Ne seguì un massacro che, stando a Gervaso – seguace, anche qui, della vulgata corrente – avrebbe fatto fino a quarantamila morti. Il divulgatore è comunque in sorprendente compagnia: persino uno specialista vero del Medio Evo come Umberto Eco, ne Il nome della Rosa, accredita la frase terribile dell’abate e il numero spropositato delle vittime.
Ebbene: si dà il caso che possediamo molte cronache contemporanee della caduta di Béziers , ma in nessuna di esse vi è traccia di quell‘ “uccideteli tutti“. La realtà è che più di sessant’anni dopo, un monaco, Cesario di Heisterbach, che viveva in un’abbazia del Nord della Germania da cui mai si era mosso, scrisse un centone fantasioso conosciuto come Dialogus Miracolorum. Tra i “miracoli“ pensò di inventare anche questo: mentre i crociati facevano strage a Béziers (che fra’ Cesario neppure sapeva dove fosse) Dio aveva “riconosciuto i suoi”, permettendo a coloro che non erano càtari di sfuggire alla mattanza.
Insomma, la frase attribuita a dom Arnaldo ha la stessa credibilità dell’ «Eppure si muove!» che sarebbe stato  pronunciato fieramente da Galileo Galilei davanti ai suoi giudici  e che fu invece inventato a Londra, nel 1757, quasi un secolo e mezzo dopo, da uno dei padri del giornalismo, Giuseppe Baretti.

I cattolici non volevano la strage
In realtà, a Béziers, in quel 1209 i cattolici volevano così poco una strage che inviarono ambasciatori agli assediati perchè si arrendessero, avendo salva la vita e i beni. Del resto, dopo una lunga tolleranza, il papa Innocenzo III si era deciso alla guerra solo quando i Càtari, l’anno prima, avevano assassinato il suo legato che proponeva un accordo e una pace. Erano falliti pure i tentativi pacifici di grandi santi come Bernardo e Domenico.

Ai catari fu fatale lo scontro con i Ribaldi
Anche a Béziers, i Càtari replicarono con la violenza del loro fanatismo all’offerta di negoziare: tentarono, infatti, una sortita improvvisa ma, per loro sventura, i primi che incontrarono furono les Ribauds, i Ribaldi, il cui nome ha assunto il significato inquietante che sappiamo. Erano, infatti, compagnie di mercenari e di avventurieri dalla pessima fama. Questa masnada di irregolari, non solo respinse gli assalitori ma li inseguì sin dentro la città. Quando i comandanti cattolici accorsero con le truppe regolari, il massacro era già iniziato e non ci fu modo di fermare quei “ribaldi“ inferociti.
Venti, addirittura quarantamila morti? La strage ci fu, comprensibile con la mentalità di allora (lo storico vero non giudica il passato con le categorie del suo tempo) ed è spiegabile con l’esasperazione provocata dalla crudeltà dei càtari. Comunque, l’eccidio principale ebbe luogo tra coloro che si erano rifugiati nella chiesa della Maddalena, nella quale non potevano affollarsi più di mille persone. Béziers spopolata e diroccata? Non sembra proprio, visto che la città si organizzò poco dopo per ulteriori resistenze e occorse un nuovo assedio.
Insomma: un episodio, tra mille altri, di manipolazione ideologica. Una “Lega anticalunnia“ non gioverebbe solo ai cattolici, ma a un giudizio equo e attendibile sul passato di un’Europa forgiata per tanti secoli anche dalla Chiesa
."
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8 Anni 8 Mesi fa #2652 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
Replica Francesco Zambon:
Il vero massacro dei Catari
di Francesco Zambon - 08/02/2007

-Assurde enormità su una setta antica
"Sul Corriere della Sera di mercoledì 31 gennaio, Vittorio Messori propone la costituzione di una "Lega anticalunnia" in difesa dei cattolici, allo scopo di rettificare - basandosi «sui dati esatti e sui documenti autentici» - alcune verità storiche che sarebbero deformate da "falsi miti".
Il "falso mito" che Messori prende di mira nell´articolo è lo sterminio dei catari, con particolare riferimento a un episodio della Crociata scatenata da papa Innocenzo III per debellare l´eresia catara nel Mezzogiorno francese, la presa e il sacco di Béziers (1209). Ma altro che dati esatti e documenti autentici! Gran parte di quelle che ammannisce Messori sono delle vere enormità dal punto di vista storico. Sorvoliamo su pure invenzioni a scopo di calunnia (queste sì!), come il fatto che i catari sarebbero stati seguaci di una «cupa, feroce, sanguinaria setta di origine asiatica». È ben noto da innumerevoli fonti, per lo più cattoliche, che essi praticavano la forma più rigorosa di non violenza, astenendosi dall´uccisione sia degli uomini sia degli animali. Alcuni contadini impiccati a Goslar nel 1051, fra le prime vittime della repressione cattolica, furono accusati di eresia e condannati solo per aver rifiutato di un uccidere un pollo!

Ma veniamo alla strage perpetrata dai crociati a Béziers il 22 luglio 1209, all´inizio della Crociata albigese. Messori afferma che se eccidio ci fu, esso fu giustificato «dall´esasperazione provocata dalla crudeltà dei càtari, che non solo a Béziers da anni perseguitavano i cattolici».
Ora, a parte il paradosso di presentare come persecutori coloro che furono perseguitati per oltre un secolo in tutta Europa, proprio il caso di Béziers mostra esattamente il contrario di quanto vorrebbe farci credere Messori: i cattolici erano così poco esasperati dai catari, che la ragione per cui la città fu attaccata e distrutta fu il rifiuto da parte dei suoi abitanti, fedeli alla propria autonomia municipale e ai propri princìpi di tolleranza, di consegnare ai crociati i circa duecento sospetti di eresia (tanti erano) di cui il vescovo Renaud de Montpeyroux aveva provveduto a stilare la lista.

Ma tutta la ricostruzione del sacco di Béziers proposta nell´articolo è pura deformazione storica, costellata di clamorosi errori e falsificazioni.
In particolare per quanto riguarda la frase che avrebbe pronunciato il legato pontificio Arnaldo Amalrico, allora alla guida dei crociati, in risposta ai suoi uomini che gli chiedevano che cosa fare della popolazione, in maggioranza cattolica: «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi», avrebbe risposto.
Messori nega l´autenticità di questa frase, che è riportata da un autore tedesco, il monaco cistercense Cesario di Heisterbach, nel suo Dialogus miraculorum. Per svalutarne l´attendibilità, egli afferma che l´opera di Cesario sarebbe stata scritta sessant´anni dopo i fatti. Peccato che a quest´epoca Cesario fosse già morto da quasi trent´anni. In realtà il Dialogus fu scritto fra il 1219 e il 1223, appena una decina d´anni dopo il sacco di Béziers.
Certo, l´autenticità della frase attribuita ad Arnaldo è stata molto discussa dagli storici; ma oggi si tende a ritenerla del tutto plausibile, essendo stata dimostrata la molteplicità e attendibilità delle fonti dirette di cui disponeva Cesario. Comunque, autentica o no, la frase (che in realtà suona così nel testo di Cesario: «Massacrateli tutti, perché il Signore conosce i suoi», con una riconoscibile citazione della Seconda lettera a Timoteo di san Paolo), corrisponde esattamente a ciò che avvenne e, contrariamente a quanto sostiene Messori, trova riscontro in numerose altre fonti contemporanee. La più sconvolgente è proprio la lettera ufficiale che Arnaldo in persona, insieme all´altro legato pontificio Milone, scrisse al papa per riferirgli l´accaduto e che si può leggere nel volume 216 della Patrologia latina: «La città di Béziers fu presa e, poiché i nostri non guardarono a dignità, né a sesso, né a età, quasi ventimila uomini morirono di spada. Fatta così una grandissima strage di uomini, la città fu saccheggiata e bruciata: in questo modo la colpì il mirabile castigo divino».

I nostri, dice Arnaldo: siano stati tutti gli assalitori a compiere la strage o solo i cosiddetti "ribaldi" (ossia i mercenari al seguito dell´esercito crociato), Arnaldo se ne assume pienamente e trionfalmente la responsabilità, parlando di "mirabile castigo divino". Il numero di morti di cui si vanta è sicuramente esagerato, come lo è quello fornito da altri testimoni e cronisti (qualcuno parlò addirittura di centomila): si voleva indicare solo una mattanza straordinaria, che restò a lungo nella memoria della gente. Ciò che avvenne fu proprio quel che lascia intendere la frase attribuita ad Arnaldo: fu compiuto uno sterminio indiscriminato degli abitanti di Béziers, cattolici ed eretici, uomini e donne, vecchi e bambini.

Se gli argomenti della "Lega anticalunnia" che Messori propone di costituire sono quelli addotti nel suo articolo, temo che per essa non si aprano grandi prospettive. E credo che la Chiesa non abbia davvero bisogno di questa nuova e goffa forma di "negazionismo" per difendere i propri valori e propri princìpi
."
www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=8553



Controreplica di Messori:
-La disputa sul massacro dei Catari
"Vedo la replica di Francesco Zambon al mio articolo per il Corriere della Sera sulla crociata contro gli Albigesi e la presa di Béziers. E vedo la riproposta di una " mitezza " catara che dimentica come la loro causa fosse militarmente sostenuta dai Signori del Midi, i quali si abbandonarono a massacri non inferiori a quelli dei Baroni del Nord, che miravano alla conquista della Linguadoca. Tanto che, già all' inizio del 1213, il papa Innocenzo III scriveva all' arcivescovo di Narbonne che, essendo oramai conseguiti i fini religiosi, la crociata doveva terminare. Se la guerra durò ancora 16 anni, ciò fu contro le intenzioni della Santa Sede e fu condotta per fini politici ed economici. In quel periodo la Chiesa fu scavalcata e si verificarono gli episodi peggiori, mancando l' opera moderatrice dei religiosi.

Quanto al sacco di Béziers e al malfamato "Tuez-les tous" dell' abate di Ciateaux: assediata dalla polemica della Terza Repubblica anticlericale, la Chiesa di Francia mise al lavoro i suoi storici migliori e la questione fu chiarita in modo che sembra definitivo, almeno nelle linee portanti, già all' inizio del XX secolo. In particolare, fondamentali furono i contributi di Jean Baptiste Guiraud, cattedratico di storia medievale all' università di Besancon e, come nativo di Carcassonne, specialista proprio della vicenda catara. Nel primo volume della sua solida, scientifica Histoire partiale, histoire vraie (ristampata di recente dalle Edtons Saint Rémi) , Guiraud dedica due densi capitoli agli albigesi e a Béziers che concordano con quanto da me scritto.
Tra gli altri, è da citare Amand Rastoul, paleografo degli Archivi Nazionali di Parigi che (in Revue d' apologétique, 1905) propone la mia stessa lettura dei fatti. Studi sospetti perché di parte credente? In realtà, studi basati su una documentazione che gli storici avversi non hanno potuto smentire e che confermano la necessita di una "Lega anticalunnia" cattolica. Grazie dell' ospitalità.
"
VITTORIO MESSORI


-Controcontroreplica di Zambon:
"Nel mio articolo non ho presentato interpretazioni, ma documenti; e molti altri se ne sarebbero potuti aggiungere. A questi Messori non ha di meglio da contrapporre che alcuni studi dei primi anni del Novecento: una rivelatrice nota bibliografica al suo articolo. Peccato che poi ci sia stato un secolo di ricerca storica, che egli sembra ignorare del tutto, con centinaia di lavori fondamentali che hanno rinnovato completamente la nostra conoscenza del catarismo e della Crociata albigese. Quanto alle ragioni e alle fasi della Crociata stessa, ci sarebbe molto da discutere. Comunque, il sacco di Béziers (con un massacro indiscriminato - ripetiamolo: è lo stesso legato pontificio che se ne vanta nella sua lettera al papa - di migliaia di persone) è precedente il 1213: quali "episodi peggiori" vi furono dopo?" FRANCESCO ZAMBON
ricerca.repubblica.it/repubblica/archivi...acro-dei-catari.html
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8 Anni 8 Mesi fa #2658 da Pyter
Risposta da Pyter al topic La storia nascosta
Interessante disputa tra Messori e Zambon sui Càtari, veramente intensa e
portata avanti a colpi di documenti alla mano.
A proposito, ma i documenti quali sarebbero e, soprattutto, dove sono?

Come può l'acqua memoria serbare se dalle nuvole cade? (poeta del dugento)
Ci sposiamo sessiamo insieme sessista bene perché no (progetto anti gender 2016)

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8 Anni 8 Mesi fa #2659 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta

Pyter ha scritto: Interessante disputa tra Messori e Zambon sui Càtari, veramente intensa e
portata avanti a colpi di documenti alla mano.
A proposito, ma i documenti quali sarebbero e, soprattutto, dove sono?



Mi fa piacere che l' abbia trovata "interessante, veramente intensa e portata avanti a colpi di documenti" io l' avevo presentata come "una breve disputa"...:hatchet:

Ma valeva la pena leggerla anche solo per venire a conoscenza della "lega anticalunnia". :poke:

P.S.
Ho quasi finito di leggere Magnani, mi sono dovuto fermare per alcuni giorni.

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8 Anni 8 Mesi fa - 8 Anni 8 Mesi fa #2803 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
Quale e' stata la risposta della chiesa cattolica alla massoneria? I gesuiti, che scindendosi in due parti formarono la parte sudamericana nettamente favorevole alla teologia della liberazione,seppellita dal papa polacco quando visito' il sudamerica benedicendo anche il macellaio pinochet, e la parte europea e statunitense che fondo' l'opus dei, con tutti i crismi della massoneria reazionaria,ebbene per ramificare l'ideologia gesuitica,furono fondate scuole sopratutto per la cosidetta classe dirigente,in questo articolo vengono svelati i nomi di alcuni di questi rampolli che formeranno e formano la nostra ahime' classe dirigente...buona lettura.

DAL SITO TUTTI GLI SCANDALI DEL VATICANO

I GESUITI CHE IN ITALIA ALLEVANO LA CLASSE DIRIGENTE, COMPRESO MARIO DRAGHI


"Frequentare il Massimo vuol dire entrare in contatto con le scuole dei Gesuiti presenti in Italia (a Milano, Torino, Napoli, Palermo e Messina), in Europa e in tutto il mondo, con le quali i nostri ragazzi ogni anno vivono esperienze di confronto didattico, di scambio culturale, di competizione sportiva e di iniziative umanitarie in comune."

Dal sito dell' Istituto Massimiliano Massimo.
Mario Draghi fu un allievo dei Gesuiti, e con lui molta della classe dirigente italiana, come Luca Cordero di Montezemolo, Luigi Abete, Gianni de Gennaro, Francesco Rutelli, compreso anche direttori di giornali "alternativi" come Piero Sansonetti, direttore di Liberazione. Non sono le solite idee "complottiste", è la pura realtà dei fatti, guardate voi stessi l'intervista allo stesso Draghi e leggete l'articolo del Corriere della Sera "Quelli del Massimo: si trova all’ Eur la scuola dei campioni È l’ istituto che ha allevato la futura classe dirigente". L’Istituto Massimiliano Massimo è una scuola privata cattolica della Compagnia di Gesù, sita a Roma, che si ispira ai principi pedagogici di Ignazio di Loyola. E' da qui che sono nati molti dei nomi di spicco che oggi detengono le leve del potere in Italia e non solo, compreso lo stesso Draghi, che ricordiamo essere "Governatore della Banca d'Italia.
Il 24 giugno 2011 è stata formalizzata la sua investitura alla Presidenza della Banca Centrale Europea a partire dal 1º novembre 2011". Noi di questo blog abbiamo da tempo portato avanti un'analisi del potere dei Gesuiti, analisi che riscontriamo in ben pochi altri siti e blog che denunciano i mali del Nuovo Ordine Mondiale. Questa carenza di analisi ci appare molto sospetta, tanto più che viviamo in un paese, l'Italia, che appare essere il centro mondiale del potere Vaticano-Gesuiti. Le notizie sull'istituto di formazione dei gesuiti che trovate sotto, prese da un giornale di rilievo nazionale come il corriere della sera, quando vengono divulgate da codesti organi di propaganda, sono inquadrate nel contesto che è caro a chi detiene le leve del potere; cioè, si dice che i Gesuiti hanno formato la classe dirigente italiana ma, attenti, nessun complotto, solo un metodo di lavoro che è caratteristico delle scuole dei Gesuiti, che sarebbe:

«La persona che esce da questa scuola dovrebbe essere non solo competente, ma anche una persona che ama, che si prende cura di sé, degli altri, del mondo, che si impegna per la giustizia, che ha fede...Un uomo o una donna per gli altri e con gli altri»
Leggiamo la missione dell'Istituto Massimo dal loro stesso sito:

"Aspiriamo all’eccellenza accademica e umana per formare donne e uomini non solo competenti, ma anche coscienziosi, compassionevoli e testimoni della propria fede vissuta nella giustizia, nel servizio e nel rispetto del creato.
Ricercare il rigore negli studi, valorizzare le ricchezze della tradizione pedagogica di Sant’Ignazio di Loyola, innovare nei metodi e nei linguaggi, aprire il cuore alle nuove frontiere, basare l’educazione sulla centralità della persone e delle relazioni, promuovere la creatività; tutto ciò costituisce il Nostro Modo di Procedere per imparare a saper essere per gli altri e con gli altri."
E noi dovremmo credere a queste panzane!
Quindi, se non si conosce la storia dei Gesuiti, le loro Istruzioni Segrete, il loro controllo delle istituzioni globaliste, la loro immensa ricchezza, il loro controllo dell'opposizione al nuovo ordine mondiale ecc. non si potranno mai inquadrare nella giusta angolazione ne gli articoli ne il video sotto riportati. Il nostro suggerimento è quello invece di connettere i puntini e trarne le giuste conclusioni, individuando il vero obiettivo degli istituti di formazione dei gesuiti, come il Massimiliano Massimo, cioè l'aspirazione al potere mondiale. Sotto vi riporto un passo tratto dalle Istruzioni Segrete della Compagnia di Gesù tanto per rinfrescarvi la memoria:

"Tuttavia la setta dei Gesuiti venne collocata da Loyola sotto un governo dispotico e rigorosamente militare. In effetti, il vecchio soldato ferito prese le sue leggi e la disciplina dalla sua esperienza militare. Come un capo militare, il loro generale veniva scelto per la vita. Ad ogni suo membro veniva fatto prestare giuramento sulla croce, per ottenere la sua implicita obbedienza. Come soldato, il Gesuita concedeva il suo corpo, la sua anima, i suoi desideri e le sue volontà al suo generale. Egli non aveva alcun diritto di consultare un amico o di esercitare addirittura il proprio giudizio. La volontà del generale era la sua volontà; egli doveva andare ovunque il suo capo, residente a Roma, avrebbe ordinato - Asia o Africa, o qualsiasi parte del globo. Egli non faceva nessuna domanda; non chiedeva nessuna ragione. Il generale era il suo dio sovrano. Egli navigava con ordini sigillati. Egli doveva insegnare, ma non quello che credeva essere giusto. Egli non aveva nessuna scelta nella sua fede, doveva credere nel suo cuore, nella sua anima e nella sua coscienza, quello che il suo generale ordinava. Egli doveva compiere qualsiasi atto a lui ingiunto, senza fare domande. Egli non doveva rifuggire da qualsiasi atto di sangue. Se il generale lo ingiungeva, egli doveva inviare la Armada Spagnola a rovesciare l'Inghilterra; doveva far saltare in aria il Parlamento Inglese con la polvere da sparo; doveva assassinare il Re Enrico di Francia, o sparare al Principe d'Orange; o avvelenare il Papa Ganganelli; o ingiungere a Carlo IX di perpetrare il massacro di San Bartolomeo; o a Luigi XIV di revocare l'editto di Nantes, e coprire l'onesta Francia di sangue e caos, e riempire le nazioni con i lamenti del loro miserabile esilio! Se essi fallivano, ritentavano più e più volte."
E adesso buona visione e buona lettura


Da Mario Draghi a Montezemolo, da Franco Coppi a De Rita.Quelli del Massimo: si trova all'Eur la scuola dei campioni.È l' istituto che ha allevato la futura classe dirigente.

«Negli anni Sessanta c' era un gruppo di ragazzi che andavano tutti a scuola insieme, avevano la stessa età e facevano la stessa classe. Prima le medie, poi il ginnasio e il liceo...». Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, il quotidiano di Rifondazione comunista, ha raccontato ieri nel suo editoriale questa storia: «Uno si chiamava Luca (Cordero di cognome), un altro si chiamava Mario (Draghi di cognome), un altro ancora Gianni (di cognome faceva De Gennaro)...Poi Luca da grande fece il presidente della Fiat, Gianni il capo della polizia e Mario, forse, il governatore centrale». Sembra una favola: Montezemolo, De Gennaro, Draghi. La scuola - lo ricorda Sansonetti, anche lui ex alunno - era una delle più prestigiose di Roma: l' istituto Massimiliano Massimo, retto dai padri gesuiti. Stava all' Eur. È ancora lì. Ma la storia, volendo, potrebbe continuare: perchè tra gli ex alunni del Massimo sono molti quelli che nella vita hanno avuto fortuna. Banchieri e industriali, da Luigi Abete (Bnl) a Rudy Peroni (dell' omonima birra), principi del foro (Franco Coppi), diplomatici e ambasciatori (Staffan de Mistura, Giovanni Dominedò, Silvio Fagiolo). E poi il presidente del Censis Giuseppe De Rita, l' ex presidente della Corte Costituzionale Riccardo Chieppa, il vicepresidente della Federcalcio Giancarlo Abete. Potere politico e potere economico. Una classe dirigente quasi al completo. «Non pensate a una lobby, però, vi sbagliereste - avverte il presidente degli ex alunni, Paolo Gaudenzi, 44 anni, professore ordinario alla Scuola di ingegneria aerospaziale dell' università La Sapienza - Se Mario Draghi arriverà a sedersi sulla poltrona di Governatore di Bankitalia, lo dovrà solo al suo valore eccezionale. Nessuna azione lobbistica lo porterà mai a palazzo Koch, nessuno di noi si sta muovendo in tal senso. Il segreto del Massimo è un altro: c' è dietro un metodo di lavoro...». Quale? Nel sito internet ( www.istitutomassimo.it ) viene spiegato chiaramente: «La persona che esce da questa scuola dovrebbe essere non solo competente, ma anche una persona che ama, che si prende cura di sé, degli altri, del mondo, che si impegna per la giustizia, che ha fede...Un uomo o una donna per gli altri e con gli altri». È il metodo ignaziano, la scuola dei gesuiti. Etica e studio, libri e morale. Dall' asilo al liceo. «Ma i valori cristiani qua si propongono, non si impongono mica», chiosa convinto l' ingegner Gaudenzi. Scuola cattolica, privata, esclusiva. «La numero uno di Roma», sentenzia orgoglioso Giulio Viola, 67 anni, ex Pirelli, Italcable, Telecom, oggi consulente economico internazionale, presidente uscente degli ex alunni. Professori mitici: «Nella classe di Draghi, De Gennaro e Montezemolo c' era Padre Chemeri - racconta Sansonetti - Un latinista fine e un personaggio molto carismatico coi giovani». Ma Franco Coppi, che vi studiò quando ancora la sede era quella di Palazzo Massimo alle Terme (Stazione Termini), ricorda sopra tutto la figura di Giovanni Faure, professore (laico) di Scienze. «Un fuoriclasse - dice Coppi - Arrivava alle 5 del mattino col suo sigaro in bocca e riempiva la lavagna di classificazioni: protozoi, metazoi... Ero affascinato. Sinceramente avrei voluto seguire i suoi passi. Ma poi, più per motivi contingenti che per vocazione, scelsi il diritto e quando andai a dirglielo s' infuriò. Mi schiaffeggiò in mezzo al corridoio e da quel giorno non mi rivolse più la parola». Quelli del Massimo non saranno una lobby, ma certo dopo la scuola rimangono molto amici. Giusto stasera il professor Coppi sarà a cena con gli ambasciatori Silvio Fagiolo e Giovanni Dominedò. Sono passati gli anni, ma non la voglia di raccontarseli.

Fabrizio Caccia Pagina 9 (22 dicembre 2005) - Corriere della Sera

I compagni di classe, da Montezemolo a Magalli: «Snider il più bravo, ma Mario ci faceva copiare»
ROMA - Uno scherzo che già rivelava un destino da showman (aggiunto alla bocciatura in prima liceo) costò a Giancarlo Magalli l' espulsione dall' Istituto Massimiliano Massimo, severa scuola retta dai gesuiti, erede di quel Collegio Romano espropriato dal Regno d' Italia ai padri di sant' Ignazio nel 1870 e trasformato nel laico «Visconti». Racconta Magalli, allora compagno di classe di Mario Draghi (e non solo): «C' era non so che ingrato compito in classe. Passai la notte a comporre un cartello: "Comune di Roma-Aula chiusa per disinfestazione". Perfetto, avrebbe ingannato chiunque. Durante la messa del mattino, il corridoio era deserto. Sigillai la porta della classe col nastro adesivo, appesi la scritta. Successe il finimondo, qualche professore ci credette. Poi mi beccarono. E addio. Mario, che spesso ci passava i compiti in pullman, sicuramente se la ricorderà, quella mattinata...». Il Massimo di quegli anni produsse una manciata di sezioni piene di future personalità. Fino al V ginnasio Draghi studiò in classe con Luca Cordero di Montezemolo e Cristiano Rattazzi: «Poi Luca e Cristiano traslocarono al Morosini di Venezia. Luca non resistette moltissimo, sospetto per via della disciplina. Restammo sempre in contatto. Soprattutto dopo. Con Mario e Luca è sempre saldo un legame formidabile», racconta Paolo Vigevano, fondatore di Radio Radicale e ora capo delle relazioni istituzionali di Cos-Finsiel, licenza liceale classica nel 1966 (Draghi, invece, nel 1965). Ancora Vigevano: «Un altro collante era la squadra di pallacanestro dell' Istituto. Ci giocavamo Mario, io e Giovanni De Gennaro, oggi capo della polizia, che era in classe con me. Mario aveva un bel tiro, il suo modello era Bill Bradley, gran campione e poi senatore Usa». Nella terza sezione B del classico, maturità 1965, c' era Giuseppe Petochi, raffinato orafo romano (lavoro di famiglia dal 1884): «Il primo della classe era Francesco Snider, ora professore di chirurgia vascolare alla Cattolica. Però anche Mario era molto bravo in latino e in matematica. Diciamo uno di quelli che, quando sei in difficoltà, ti aiuta». A passare i compiti? «Piuttosto a capire». Non un secchione, giura Francesco Lovatelli, ingegnere, manager di aziende informatiche: «Era molto preciso, anche nell' abbigliamento, ma non ossessionato dallo studio. Era sportivissimo, mi pare che la corsa fosse la sua specialità». Altri nomi dalle altre sezioni (ma alla fine fu tutto un gruppone, concordano gli amici). Nella A Staffan de Mistura, uomo-chiave dell' Onu in Iraq, e Giuseppe Sangiorgi, ex direttore del «Popolo» ed ex membro dell' Autorità delle Telecomunicazioni. Nella C Luigi Abete, presidente di Bnl, e Giovanni Lelli, direttore generale dell' Enea. E nella B di Draghi anche Ezio Bussoletti, consulente del ministero dell' Ambiente, e Alberto Francesconi, presidente dell' Agis. Invece con Vigevano e De Gennaro studiò fino al II liceo Pippo Pepe, capo ufficio stampa del ministero delle Comunicazioni. Nella maturità 1966, Vigevano-De Gennaro, appare anche il nome di Antonio Mennini, ora monsignore e rappresentante della Santa Sede a Mosca. E le donne? Domanda non da poco, in un liceo allora rigorosamente maschile. Magalli: «Le donne? Ovviamente non si parlava d' altro. Ma purtroppo ci si limitava a quello e non si passava, ahimè, all' atto pratico. Erano tempi durissimi, da quel punto di vista». Anche Paolo Vigevano ricorda la tipica ansia da festa del sabato sera: «Ce le cercavamo come tutti. Si finiva nel solito giro. Fatalmente si gravitava intorno ai Parioli». Chi era il più bravo a concludere? «Ma nessuno, allora.

La verità era che eravamo una massa di imbranati. Chiunque avrebbe diffidato di un nugolo di maschietti in azione». Altre tipiche mete erano le uscite di due scuole femminili vicine all' Eur, dal 1960 sede del Massimo: ovvero le Suore di Nevers e l' Istituto Maria Adelaide, magari col pericolo di incappare in legioni di sorelle e cugine. Bisognava aspettare l' università per sottrarsi al corto-circuito e finalmente affrancarsi. In quanto al calcio, rammenta Petochi, il più bravo era sicuramente Piero Paoloni, poi diventato medico, scomparso tempo fa. Accanto alle donne (sognate) l' altro chiodo fisso era lo studio (una dura realtà). Le memorie collettive ricostruiscono un parco insegnanti composto quasi esclusivamente da gesuiti: Franco Rozzi, preside del liceo classico, ai tempi temutissimo custode della disciplina, ancora oggi attivo confessore nella chiesa del Gesù. Poi Paolo Taggi, formidabile grecista, allievo di quel Lorenzo Rocci (ovviamente gesuita) autore del dizionario italiano-greco.
Giuseppe Giannella, italianista, storico dell' arte, appassionato musicista. Il rettore Sabino Maffeo, astrofisico, che dopo il Massimo diresse a lungo la specola vaticana di Castel Gandolfo dove tuttora vive. Interrogazioni serrate, compiti in classe a sorpresa, inclusi quelli di matematica «col botto» del professor Eraldo Tani che ossessionò generazioni di massimini (incluso quindi Draghi) con quel suo ritmare i cinque minuti residui per la consegna con una canna di legno sbattuta sulla cattedra. Ancora Francesco Lovatelli: «Allora era un autentico incubo. Ma ci allenò, a ben pensarci, a mantenere saldi i nervi nella vita». E adesso, con la nomina alla Banca d' Italia di Mario Draghi (già premiato nel 1995 con il riconoscimento annuale dell' istituto) ci sarà una rimpatriata di ex? Magalli sorride: «Non lo so. Io forse gli manderò un biglietto di auguri. Tanto non posso essere sospettato di piaggeria. Lui non è diventato direttore generale della Rai. E io non guido una banca né ho Ope da progettare. A proposito: si dice Ope? Chissà. Devo chiederlo a Mario.» Paolo Conti


Conti Paolo

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8 Anni 8 Mesi fa - 8 Anni 8 Mesi fa #2962 da Starburst
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IL GOLPE BORGHESE

Nel topic sul sequestro Moro si e' accennato ad uno dei piu' famosi tentativi di colpo di stato o golpe o come dicono gli spagnoli intentona, il personaggio in questione e' stato uno degli esponenti di spicco prima della repubblica sociale di mussolini e poi agente al soldo di intelligence straniere,salvato dal carcere nel secondo dopoguerra da un agente dell'oss divenuto poi cia,( sottolineo ancora una volta come in questo blog si tenti di mistificare la storia criticando gli atlantisti occidentali , sapendo benissimo che certi personaggi nazi-fascisti furono salvati proprio da loro)
Come leggeremo in seguito fu uno dei tentativi di golpe meglio organizzato,nel tempo poi si demoli' anche quella caricatura comica che venne affibiata a detto tentativo, non ci fu nulla da ridere,anzi parecchi protagonisti della vicenda scamparono ancora una volta al carcere rifugiandosi come borghese nel paese "amico"spagnolo,retto da una dittatura fascista.
Facciamo un salto indietro nel tempo per spiegare i principi di fondazione del fronte nazionale,una delle tante sigle che costellarono l'universo dell'eversione nera in questo caso , ma sempre funzionale alle intelligence nazionali ed internazionali.

Tratto da un documento di Aldo Pietro Domenico Daghetta

LA FONDAZIONE DEL FRONTE NAZIONALE

Nel 1967 Junio Valerio Borghese fondo' il Fronte Nazionale con i soci del Circolo dei Selvattici (Roma Via dell'Anima 55). Il circolo era stato sino allora la copertura culturale del Fronte Grigioverde un'associazione che comprendeva, come ancora oggi il Fronte Nazionale, ex ufficiali della Decima Mas, della Monterosa e della Etnea, piu' altri, in pensione e in servizio, di armi e corpi diversi.
Il programma politico del Fronte Nazionale: "I partiti non devono piu' essere protagonisti attivi della politica, essi vanno esclusi da ogni partecipazione di governo". "Costituzione di uno stato forte...liberta' dei cittadini intesa come osservanza assoluta e immediata delle leggi...critica concessa se qualificata ed espressa nel quadro degli interessi nazionali". "Assemblea legislativa nazionale formata dai rappresentanti di categoria... ..nonche' da cittadini chiamati a tale funzione per meriti eccezionali.
Valerio Borghese non amava la propaganda politica esplicita e ha sempre cercato di crearsi una fama di uomo al di sopra della mischia, evitando la grossolana apologia del fascismo e di rimanere invischiato nelle beghe che tradizionalmente dilaniavano il MSI e i vari gruppi di estrema destra. Questa riservatezza del "principe nero" aveva degli scopi ben precisi. Ad essa si adeguarono anche i principali sostenitori del Fronte Nazionale, molti dei quali ancora oggi non sono conosciuti.
Tra quelli noti ci sono Benito Guadagni industriale, ex repubblichino, segretario del Fronte Nazionale e finanziatore del bollettino interno che, in dicembre, qualche giorno dopo gli attentati, litigo' violentemente con Borghese, e, almeno ufficialmente, abbandono' l'associazione facendo cessare la pubblicazione del bollettino; l'aiutante di campo di Borghese, Arillo, il comandante Bianchini e il vice comandante Santino Viaggio (i due che avvicinarono Evelino Loi proponendogli di compiere delle "azioni"). Nella seconda meta' di dicembre anche Viaggio abbandono' il Fronte Nazionale, o almeno cosi' dichiaro'. Poi c'era il comandante Marzi, ex repubblichino, residente a Milano: l'11 dicembre si reco' a Roma e' ci rimase sino alla sera del giorno dopo. E c'era, infine, anche Armando Calzolari, l'uomo scomparso la mattina di Natale e ritrovato un mese dopo, cadavere, in fondo a un pozzo della periferia romana.

CHI ERA JUNO VALERIO BORGHESE

Neofascisti, fascisti, paracadutisti, ex repubblichini, destra parlamentaree extraparlamentare, campeggi paramilitari, squadre d'azione, attentati, complotti in Valtellina, armi, finanziamenti industrialli, rapporti con le forze armate, coi servizi segreti italiani e stranieri, coi fascisti greci, riunioni riservate alla vigilia delle bombe del 12 dicembre, un uomo che scompare qualche giorno dopo (Armando Calzolari).
Se c'era una persona in Italia che, silenziosa, spettrale, muovendosi discretamente dietro le quinte, sembrava tenere in mano i fili della complessa ragnatela che collegava i vari punti di forza e d'azione della destra, questa persona era Junio Valerio Borghese, il principe nero, presidente del Fronte Nazionale.
Pluridecorato per le azioni svolte contro la flotta inglese ad Alessandria, Malta e Gibilterra durante l'ultima guerra, nei diciotto mesi della Repubblica Sociale e' stato il comandante della Decima Mas (rastrellamenti, massacri di partigiani e popolazione civile, fianco a fianco con le SS: 800 omicidi secondo la sentenza pronunciata nel 1949 dalla Corte Speciale d'Assise) condannato come criminale di guerra nel 1946 rimesso in liberta'dall'amnistia il 18 febbraio 1949. Fu reclutato dall'allora agente dell'oss poi divenuto cia, James Angleton in prospettiva Nato.
Uno dei primi presidenti onorari dell'MSI. Al tempo della crisi di Trieste raduno' un migliaio dei suoi ex maro' nei pressi di Treviso armati e pronti a marciare per l'"azione Fiumana".
Borghese ha sempre cercato di dimostrare che i suoi rapporti con il Movimento Sociale erano autonomi anche se, nella campagna elettorale del 1958, quando la FNCRI (Federazione Nazionalle Combattenti Repubblica Sociale Italiana) invito' i suoi aderenti a votare scheda bianca per polemica contro il MSI che giudicava "borghese e reazionario", egli accorse in aiuto di Arturo Michelini fondando la UNCRSI (Unione Nazionale Combattenti Repubblica Sociale Italiana) su posizioni ortodosse rispetto al partito....Segue

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8 Anni 8 Mesi fa - 8 Anni 8 Mesi fa #3082 da Starburst
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IL GOLPE BORGHESE

CHI ERA JUNO VALERIO BORGHESE :


Junio VAlerio Borghese era proprietario di una tenuta in Calabria, di un castello ad Artena, nel Lazio, di una villa a Nettuno e di alcuni immobili a Roma, oltre che di una famosa collezione di quadri. Ma non risulta che egli attingesse al suo patrimonio, per altro non solidissimo per finanziare il Fronte Nazionale. In compenso aveva rapporti molto stretti con alcuni grossi nomi della finanza e dell'industria americana e inglese e, in Italia, con ambienti industriali di Milano, Genova, La Spezia, Livorno e, tramite il principe Filippo Orsini ex assistente del soglio pontificio, con il Vaticano.

Tra la fine del '68 e la primavera-estate del '69 fece un lungo giro nelle citta' italiane. A La Spezia prese contatti con alcuni esponenti dell'unione industriale, come a Milano.

Il 12 aprile '69 a Genova, tenne una riunione alla quale presero partei figli di un grosso armatore, un dirigente dell'IMI, tale Fedelini, e altri esponenti del'industria.

Ai primi di maggio, seconda riunione genovese (Borghese alloggio' al Jolly Hotel assieme alla guardia del corpo composta da quattro fedelissimi. e il 9 gigno la terza. Questa volta erano presenti anche l'armatore Roberto Cao di San Marco e un importante petroliere della Val Polcevera. Qualcosa comunque non deve aver funzionato nel corso di questo "raid" perche' qualche anno dopo alcuni industriali di La Spezia denunciarono per truffa (sembra 50 milioni) due esponenti del Fronte Nazionale.

Junio Valerio Borghese riusci' ad allacciare buoni rapporti con le forze armate, in questo favorito dalla sua fama di "valoroso" ex combattente. Vi sono almeno due episodi che testimoniano la popolarita' che godeva tra i soldati.

Il 26 settembre 1966, a una manifestazione del Comitato Tricolore indetta aRoma dall'MSIe dalla Nuova Repubblica di Randolfo Pacciardi, Borghese pronuncio' un discorso per denunciare il "trradimento del governo sulla questione dell' Alto Adige", ricevendo un entusiastico consenso non solo dai dirigenti delle associazioni combattentistiche ma anche da parte dei molti ufficiali in servizio che erano presenti.

Il 23 ottobre 1969, alla celebrazione della battaglia di El Alamein, in Piazza Venezia a Roma, fu letto un messaggio di Borghese tra i grandi applausi non solo degli ex paracadutisti ma anche di numerori alti ufficiali della repubblica italiana.

Inotre Borghese aveva collegamenti con l'AUCA (Associazione Ufficiali Combattentistici Attivi denunciata nel luglio '69 dal sindaco di Bologna per un documento che incitava al colpo di stato militare, rivolgendosi anche a "chi ha militato nel campo opposto" e con la Comunita' dei Ragazzi del 3° Corso di Modena un'altra associazione di militari in servizio.

Quando manca il contatto diretto, viene usato questo sistema per stabilire contatti con gli ufficiali: i sottoufficiali reclutati dal Fronte Nazionale segnalarono, con rapporti periodici, tutti quegli elementi - discorsi, letture, telefonate ecc. - utili a stabilire la predisposizione "sicuramente anticomunista" del possibile candidato. Se il soggetto alla fine era giudicato idoneo veniva avvicinato da un aderente del Fronte Nazionale suo pari grado.

Uno dei punti di maggiore forza di Valerio Borghese restava naturalmente la Marina. A La Spezia dove egli era particolarmente introdotto esiste una grossa officina di riparazione di carri armati. i carri guasti in giacenza sono molti e tutti forniti di regolare "bassa" ma sembra che per la maggior parte sarebbe sufficiente la rapida sostituzione di qualche pezzo e sarebbero in grado di funzionare.

Nonostante l'apparente distacco il Fronte Nazionale era strettamente collegato a quasi tutte le forze di estrema destra a partire dall'MSI. Borghese infatti fu uno dei finanziatori del suo organo ufficiale "Il Secolo d'Italia", ed era legato personalmente ad alcuni personaggi come Luigi Turchi (figlio di Franz, direttore della "Piazza d'Italia" Grande elettore del presidente Nixon in favore del quale ha compiuto un viaggio di propaganda tra gli immigrati degli stati uniti) e Giulio Caradonna organizzatore dello squadrismo romano.

Turchi e Caradonna erano tra gli uomini di fiducia dei colonnelli greci, cosi' come lo stesso Borghese che risultava aver avuto rapporti con Costantino Plevris, l'uomo del KYP incaricato della "questione italiana".

Oltre all'aspetto "aristocratico" della sua figura che gli permetteva di stabilire contatti ad alto livello, Borghese utilizzava anche la fama di uomo d'azione per rscuotere la fiducia di tutti i gruppi di estrema destra extraparlamentare. Il gioco gli riusci' quasi sempre , specie con Ordine Nuovo di Pino Rauti il giornalista amico di Costantino Plevris che fu indicato come il "signor P." citato nel rapporto inviato al Ministero degli Esteri greco al suo ambasciatore a Roma.

Buoni i rapporti con Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie i cui aderenti hanno frequentato per molto tempo il Circolo dei Selvatici di Via dell'Anima.

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8 Anni 8 Mesi fa #3145 da Starburst
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IL GOLPE BORGHESE

Con golpe Borghese (o golpe dei forestali o golpe dell'Immacolata) si indica un tentativo di colpo di Stato avvenuto in Italia nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 (chiamata anche notte di Tora Tora, in ricordo dell'attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941) ed organizzato da Junio Valerio Borghese, sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto rapporto con Avanguardia Nazionale.

IL PIANO

Il golpe era stato progettato da diversi anni nei minimi particolari: dal 1969 erano stati formati gruppi clandestini armati con stretti rapporti con le Forze Armate. In accordo con diversi vertici militari e membri dei Ministeri, il golpe prevedeva l'occupazione del Ministero dell'Interno, del Ministero della Difesa, delle sedi RAI e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento.

Nei piani c'erano anche il rapimento del capo dello stato Giuseppe Saragat e l'assassinio del capo della polizia Angelo Vicari. A tutto questo sarebbe stato accompagnato un proclama ufficiale alla nazione, che Borghese stesso avrebbe letto dagli studi RAI occupati:

« Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo [...]. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo economico e morale ha cessato di esistere. Le forze armate, le forze dell'ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per intendersi, volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi [...]. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso tricolore, vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d'amore: Italia, Italia, Viva Italia! »

(Proclama dittatoriale - in forma breve)

ATTUAZIONE E ANNULLAMENTO

Il piano cominciò ad essere attuato tra il 7 e l'8 dicembre 1970, con il concentramento nella Capitale di diverse centinaia di congiurati, con azioni simili in diverse città italiane, tra cui Milano( Sesto S. Giovanni).

All'interno del Ministero degli Interni iniziò anche la distribuzione di armi e munizioni ai cospiratori; il generale dell'Aeronautica militare italiana Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio presero posizione al Ministero della Difesa, mentre un gruppo armato della Guardia Forestale, di 187 uomini, guidato dal maggiore Luciano Berti si appostò non lontano dalle sedi televisive della RAI. A Milano, invece, si organizzò l'occupazione di Sesto San Giovanni tramite un reparto al comando del colonnello dell'esercito Amos Spiazzi.

Il golpe era in fase di avanzata esecuzione quando, improvvisamente, Valerio Borghese ne ordinò l'immediato annullamento.

Le motivazioni di Borghese per questo improvviso ordine a poche ore dall'attuazione effettiva del piano non sono ancora certe ed esenti da una possibile smentita.

Secondo la testimonianza di Amos Spiazzi[1], il golpe sarebbe stato in realtà fittizio: immediatamente represso dalle forze governative, sarebbe stato ideato come scusa per consentire al governo democristiano di emanare leggi speciali, secondo un piano che sarebbe stato chiamato Esigenza Triangolo.

Borghese, tuttavia, si sarebbe reso conto (o sarebbe stato avvertito) della trappola e si sarebbe dunque fermato in tempo. Il movimento di Amos Spiazzi a Sesto San Giovanni non è da confondersi: esso faceva parte della legittima operazione Esigenza triangolo, non del golpe. Egli testimoniò di aver incrociato durante il tragitto in autostrada quella notte numerose autocolonne militari oltre la sua. Oltre a lui, altri militari avvisarono Borghese del piano di ordine pubblico.

Colpi di stato di questo tipo sono avvenuti in altri paesi: il più famoso è il Colpo di stato in Spagna del 1981.

Recentemente in un programma di Giovanni Minoli si è presentata la documentata visione dello stop del golpe come di un ordine proveniente dai servizi americani, che avrebbero dato il loro beneplacito al proseguimento del colpo di mano solo nel caso che al vertice del nuovo assetto politico fosse stato posto Giulio Andreotti (che invece avrebbe rifiutato). Questa ipotesi, ovviamente, non esclude la precedente, ma piuttosto la integra.




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8 Anni 7 Mesi fa #3185 da Starburst
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IL GOLPE BORGHESE

LE INDAGINI


Gli italiani scoprirono il tentato golpe tre mesi dopo.

Paese Sera titolò: "Piano eversivo contro la repubblica, scoperto piano di estrema destra". Il 18 marzo 1971 il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone firmò i mandati di arresto con l'accusa di usurpazione dei poteri dello stato e cospirazione per il costruttore edile Remo Orlandini, Mario Rosa, Giovanni De Rosa, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio e Junio Valerio Borghese.

In seguito al fallimento del golpe, Borghese si rifugiò in Spagna dove rimase fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974, non rientrando in Italia neanche dopo che, nel 1973, fu revocato l'ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dalla magistratura italiana.

Il ruolo del SID, della mafia e della P2

Il 15 settembre 1974 Giulio Andreotti, all'epoca Ministro della Difesa, consegnò alla magistratura romana un dossier del SID diviso in tre parti che descriveva il piano e gli obiettivi del golpe, portando alla luce nuove informazioni.

Il dossier fu redatto dal numero due del SID, il generale Gianadelio Maletti, che avviò un'inchiesta sulle cospirazioni mantenendolo nascosto anche a Vito Miceli, direttore del servizio. Aiutato dal capitano Antonio La Bruna, furono registrate le dichiarazioni di Remo Orlandini, quest'ultimo coordinatore per Borghese verso collegamenti all'estero e in Italia.

Durante un colloquio, Orlandini fece il nome di Vito Miceli, come una figura coinvolta direttamente come Borghese. A questo punto Maletti fu costretto a scavalcare Miceli e a parlare direttamente con Andreotti.

Miceli si giustificò affermando che doveva acquisire delle informazioni. Venne subito destituito insieme ad altri 20 generali e ammiragli, senza particolari spiegazioni.

La Magistratura fece partire altri 32 arresti, tra cui anche quello di Adriano Monti. Nel 1974 Monti negò tutto e, scarcerato per motivi di salute, fuggì all'estero e vi rimase latitante per 10 anni.

Nel 1991 si scoprì che le registrazioni consegnate nel 1974 da Andreotti alla magistratura non erano la versione integrale.

In origine, Remo Orlandini faceva il nome di numerosi personaggi di spicco in ambito politico e militare, ma Andreotti ha recentemente dichiarato che ritenne di dover tagliare quelle parti per non renderle pubbliche, in quanto tali informazioni erano «inessenziali» per il processo in corso e, anzi, avrebbero potuto risultare «inutilmente nocive» per i personaggi ivi citati.

Le parti cancellate includevano il nome di Giovanni Torrisi, successivamente Capo di Stato Maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981; inoltre venivano fatti riferimenti a Licio Gelli e alla loggia massonica P2, che si doveva occupare del rapimento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Infine si facevano rivelazioni circa un "patto" stretto da Borghese con alcuni esponenti di Cosa nostra secondo cui alcuni sicari della mafia, in effetti presenti a Roma la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, avrebbero ucciso il capo della polizia Angelo Vicari.

L'esistenza di tale patto sarebbe poi stata confermata da vari pentiti di mafia tra i quali Tommaso Buscetta. Grazie alle rivelazioni di Buscetta e di Antonino Calderone sono emersi anche i legami tra il progetto golpista e l'organizzazione mafiosa.I due collaboratori hanno rievocato la vicenda nel corso del cosiddetto processo Andreotti.

La loro audizione è stata riassunta in questi termini nella requisitoria dei Pubblici Ministeri Scarpinato e Lo Forte:
« Il primo a riferire la vicenda di queste trattative (già in data 3 dicembre 1984) è stato Tommaso Buscetta, il quale - anche in questo dibattimento, all'udienza del 9 gennaio 1996 - ha precisato che:

nel 1970 — nello stesso periodo di tempo in cui si svolgevano i campionati mondiali di calcio in Messico — egli si era recato a Catania insieme a Salvatore Greco "ciaschiteddu" (giunto appositamente dal Sud-America, ove soggiornava) per incontrare Giuseppe Calderone e Giuseppe Di Cristina. Nell'occasione, entrambi avevano preso alloggio in casa di "Pippo" Calderone, il quale frattanto - in una villetta di San Giovanni La Punta - ospitava il latitante Luciano Leggio. Oggetto di questo incontro era la discussione della proposta di partecipazione ad un "golpe", avanzata dal principe Borghese; il progetto di "golpe" prevedeva un ruolo attivo degli affiliati all'organizzazione Cosa Nostra, a cui Tommaso Buscetta sarebbe stata affidata la "gestione" del territorio ricompreso nel mandamento di ciascuna famiglia mafiosa, per «calmare e far vedere al popolo siciliano che noi eravamo d'accordo, ognuno per la sua sfera di influenza che avevamo nelle nostre terre»; in contropartita del ruolo attivo di Cosa Nostra, il principe Borghese aveva offerto la revisione di molti processi in corso a carico di esponenti dell'organizzazione criminale, facendo un particolare riferimento al "processo Rimi" (si rammenti che, in quel momento, i due Rimi erano già stati condannati all'ergastolo anche in Appello). al progetto di "golpe" era interessata la Massoneria, e l'allora Capitano dei Carabinieri Giuseppe Russo — anch'egli massone — era informato del tentativo insurrezionale ed avrebbe avuto, anzi, il compito di arrestare il Prefetto di Palermo; il principe Borghese — in caso di accettazione della proposta di partecipazione al "golpe" da parte del vertice di Cosa Nostra — avrebbe richiesto un elenco di tutti gli uomini d'onore partecipanti alle operazioni golpiste o — in subordine — avrebbe voluto che durante l'insurrezione armata gli uomini d'onore si rendessero riconoscibili agli altri golpisti mediante una fascia di colore verde da portare al braccio; proprio queste ultime richieste del principe Borghese avevano indotto i partecipanti alla riunione di Catania (Buscetta, Leggio, Giuseppe Calderone, Salvatore Greco) a diffidare della proposta e ad esprimere disinteresse; tuttavia, poiché una delle contropartite all'intervento di Cosa Nostra offerte dal principe Borghese riguardava proprio la revisione del "processo Rimi", i convenuti avevano deciso di coinvolgere nella decisione definitiva Gaetano Badalamenti, ben consapevoli di quanto egli avesse a cuore la sorte del cognato Filippo e del di lui padre, già condannati all'ergastolo. Per questo motivo avevano stabilito di incontrare il Badalamenti a Milano, nei cui pressi egli si trovava in soggiorno obbligato; in occasione dell'incontro di Milano — al quale, insieme a Buscetta, avevano partecipato Salvatore Greco "Ciaschiteddu", Salvatore Riina, Gerlando Alberti e Giuseppe Calderone — pure Riina aveva apertamente espresso il proprio dissenso. Al termine dell'incontro — nel quale si era convenuto di rifiutare l'offerta — alcuni dei partecipanti, tra cui lo stesso Buscetta, si erano allontanati con una vettura ed erano stati fermati ed identificati dalla Polizia, sfuggendo all'arresto perché muniti di documenti falsi (25 giugno 1970); tuttavia, la famiglia Rimi aveva autonomamente continuato ad interessarsi del progetto di "golpe", tanto che Natale Rimi — figlio di Vincenzo Rimi, a cui premeva la revisione del processo a carico del padre — era tra coloro che nella notte tra il 7 e l'8 dicembre del 1970 si erano recati a prendere le armi in una caserma militare di Roma; questo dettaglio era stato riferito al Buscetta da da Gaetano Badalamenti; egli aveva saputo, comunque, del fallimento del tentativo insurrezionale, bloccato in extremis perché in quel giorno o in quel periodo c'era una flotta russa nel Mediterraneo ed agli americani questo non piaceva. Quindi era stata rimandata a nuova data, senza che poi più si fece, perché la flotta russa era presente nel Mediterraneo.

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #3238 da Starburst
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LA STRATEGIA DELLA TENSIONE

LE FORMAZIONI CLANDESTINE DI DESTRA
:

Oggi piu che mai occorre rinfrescarsi la memoria su come agisce ed opera la strategia della tensione,che a torto reputiamo soltanto un fenomeno italiano, cambiando gli attori ed i protagonisti,ripercorrendo le pagine di storia passata e nascosta ci accorgeremo di come gli accostamenti siano azzeccati,il modus operandi e le strategie siano maledettamente simili,come simili se non uguali sono i criteri di reclutamento delle persone che poi in un modo o in un altro sacrificheranno la loro vita per degli ideali fittizi e per delle religioni che niente hanno di misericordioso.
Questa volta ci occuperemo delle formazioni clandestine ed armate di destra che nell'immaginario collettivo si ponevano all'opposto delle b.r. e di tutte le sigle delle formazioni clandestine ed armate di sinistra.
Come dira' la storia anche esse furono da subito infiltrate e manovrate (nella maggior parte dei casi volutamente dai suoi affiliati),dai servizi segreti occidentali e dalla nato in prospettiva anti sovietica.
Anche loro si macchiarono di delitti atroci,anche loro spararono nel mucchio causando vere e proprie stragi,con bombe ed attentati armati uccisero decine di persone, la vera differenza tra gli attentati di oggi e' che gli autori erano italiani figli , nipoti e pronipoti di italiani, le vittime italiane figli, nipoti e pronipoti di italiani! A dimostrazione del fatto che l'odio non ha confini e se oggi sentiamo parlare di nemici cresciuti in casa nostra non ci dimentichiamo che quasi 40 anni fa, la vittima e il carnefice erano italiani da generazioni.

LA STRATEGIA DELLA TENSIONE
TENTÒ IL RITORNO AL POTERE NERO

di RENZO PATERNOSTER


Rosso sangue per il terrorismo nero. Il 25 aprile del 1969, con le bombe che esplosero alla Fiera Campionaria di Milano gli Italiani entrarono in una fase storica che sarebbe durata per più di un decennio: il terrorismo nero. L'anno prima c'era stato il Sessantotto, con le rivolte studentesche in tutto il mondo, seguite dall'Autunno caldo degli operai, con le loro idee di cambiamento delle condizioni di lavoro. Lo scossone provocato dal movimento di contestazione studentesca e di quella degli operai ebbe effetti destabilizzanti sull'assetto politico e sociale italiano. Sono gli anni di profonde trasformazioni e di grandi speranze collettive, che coinvolsero in un unico grande movimento tante persone di origini diverse. Certamente i giovani italiani diventarono un soggetto politico nuovo e, almeno per il momento, autonomo.
La sera del 25 aprile del 1969 a Milano, alle sette e alle nove, degli ordigni esplosero rispettivamente nel padiglione della Fiat alla Fiera Campionaria e all'Ufficio Cambi della Borsa, il Palazzo del Viminale, dove ha
sede il ministero dell'Interno,
la Banca Nazionale delle Comunicazioni, all'interno della stazione centrale. Si contarono per fortuna solo una ventina di feriti. Nella notte fra l'8 e il 9 agosto dello stesso anno si replicò, questa volta sui treni, nei vagoni di prima classe delle linee ferroviarie Pescara-Roma, Roma-Venezia, Roma-Lecce, Trieste-Roma, Milano-Venezia e viceversa, Trieste-Domodossola, Bari-Trieste. Su una decina di bombe, solo otto esplosero, causando anche questa volta solo feriti. Poi arrivò quel maledetto 12 dicembre 1969 che segnò per sempre l'inizio del terrore criminale. Quel giorno, alle 16.30, una bomba ad alto potenziale esplose all'interno della sede della Banca dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano. Si contarono 27 morti e 88 feriti. In quella stessa giornata, alcuni minuti prima della deflagrazione nella Banca dell'Agricoltura, un impiegato della Banca Commerciale Italiana trovò nei locali dell'istituto un'altra bomba di cui il sistema d'innesco non funzionò. Venti minuti più tardi, a Roma, un ordigno esplose nel sottopassaggio della Banca Nazionale del Lavoro, facendo solo sedici feriti. Alle 17.22 e 17.30, sempre a Roma, esplosero altre bombe: una davanti all'Altare della Patria, l'altra all'entrata del museo del Risorgimento in piazza Venezia. Fortunatamente si contarono solo quattro feriti.

Gli anarchici come capo espiatorio. Per piazza Fontana e gli altri attentati fu subito creata una pista ad hoc: si volle far credere che la strage e le bombe di Milano e Roma fossero opera degli anarchici. Uno di loro il ferroviere Giuseppe Pinelli, dopo il fermo giudiziario e durante l'interrogatorio, volò inspiegabilmente da una finestra della questura di Milano (quella stessa Questura in cui uno dei dirigenti era il commissario Calabresi). Per lo Stato quella di Pinelli fu "una morte accidentale". Assieme a Pinelli fu fermato il ballerino Pietro Valpreda, che rimase in carcere innocente per oltre otto anni. Tuttavia il castello di sabbia costruito intorno alla pista anarchica ben presto crollò. Subentrò invece la pista nera, tenuta fuori dallo scenario opponendo e studiando ogni sorta d'espedienti.
Da qualche parte nell'estrema sinistra si ricavò dagli attentati, specie quello di piazza Fontana, materiale più che sufficiente per alimentare il sospetto e la paura di un rischio di "golpe neofascista". La strage, intesa anche come un atto di guerra contro le lotte e il movimento del Sessantotto, spinse le tensioni sociali che alimentavano la protesta di sinistra ad assumere più intensamente forme eversive e rivoluzionarie, come dimostra la personale esperienza di Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dei Gruppi di Azione Partigiana (GAP).
Alle bombe di Milano, Roma e dei treni seguirono quelle del 22 luglio 1970 sul treno La Freccia del Sud (6 morti e 139 feriti), del 31 maggio 1972 a Peteano (3 morti e un ferito, tutti carabinieri), del 17 maggio 1973 davanti alla questura di Milano (4 morti), del 28 maggio 1974 in piazza della Loggia a Brescia (8 morti e 94 feriti), del 4 agosto 1974 sul treno Italicus, a San Benedetto Val di Sambro (12 morti e un centinaio di feriti), del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna (80 morti e centinaia di feriti).
Tutti questi attentati facevano indubbiamente parte di un "qualcosa" di concertato e oscuro, di cui già si percepiva la potenza, insomma l'inizio di un piano criminale ben organizzato. Qualcuno evidentemente credette di ripercorrere le strade sperimentate con successo da Hitler e dai nazisti con l'incendio del Reichstag: compiere stragi, pilotare le inchieste verso obiettivi depistanti per attribuirne la colpa alle sinistre, utilizzare il terrore per creare smarrimento e incertezza dei cittadini per dar vita ad un governo autoritario. Tutte quelle esplosioni, infatti, hanno rappresentato l'inizio della "strategia della tensione" operata dalla manovalanza del "terrorismo nero". E le stragi nere del periodo 1969-1974 non sono state altro che piccoli tasselli di un grande mosaico cospiratorio e golpista, oltre che criminale.

Nell'immediato dopoguerra, già dai primi anni della Repubblica, si costituirono svariate formazioni paramilitari o parallele alle Forze Armate (ad esempio Gladio) che avevano nel principe Valerio Borghese
il ruolo di procedere in azioni di guerriglia in caso d'invasione da parte delle forze del "Patto di Varsavia" e soprattutto agire nel nord Italia specialmente nella pianura Padana contro il Partito Comunista Italiano che avrebbe sicuramente appoggiato l'offensiva sovietica. Parallelamente, per merito di vecchi nostalgici, sorsero le prime organizzazioni neofasciste italiane.
Il neofascismo italiano sino al 1968 si caratterizzò come un movimento certamente violento in alcune sue manifestazioni, con aggressioni squadriste o attentati ai monumenti dedicati alla Resistenza. Certo, avventure criminali ma non operazioni terroristiche. Alla fine degli anni Sessanta del Novecento gli attentati rappresentarono il cambio di strategia. Così a partire dalla fine del 1969, alla reiterazione delle spedizioni squadriste con raid di violenza nelle università, nelle scuole e nelle piazze, si sovrappose drammaticamente l'esplosivo. Tendenzialmente in posizione critica nei riguardi delle contestazioni del Sessantotto, i gruppi eversivi di destra si appoggiavano sui valori di "autorità" e di "gerarchia sociale". L'ideale era in sostanza lo "Stato forte".
Fino alla metà degli anni Settanta del Novecento, lo scenario delle organizzazioni dell'estrema destra è dominato da Ordine Nuovo (On) e Avanguardia Nazionale (An). Le differenze tra le due organizzazioni riguardano unicamente l'atteggiamento che assumevano nella lotta politica. Ordine Nuovo prediligeva la strategia della rivoluzione a lungo termine, mentre Avanguardia Nazionale seguiva la strada dell'azione immediata.

Tutta la storia dell'estrema destra italiana attraversa per intero quella della cosiddetta "Prima Repubblica", intrecciandosi costantemente con molte vicende oscure italiane. Sino al 1974, quando ancora i neofascisti non colpivano i rappresentanti dello Stato, ci fu indubbiamente un rapporto privilegiato da parte degli estremisti di destra con una parte del potere. Parallelamente alla rete di collegamenti tra eversione nera e alcuni dirigenti dello Stato, si sviluppò anche una profonda attività di copertura da parte di una fazione dei servizi segreti italiani.
I rapporti tra l'eversione nera e un parte dei servizi segreti, risalgono già ai primi anni Sessanta del secolo scorso. In quel periodo l'organizzazione Avanguardia Nazionale fu coinvolta in un'operazione progettata da alcuni dirigenti dell'Ufficio Affari Riservati del ministero dell'Interno. L'operazione consisteva nell'affissione clandestina di alcuni "manifesti cinesi". In pratica fu organizzata una campagna d'attacco al Partito Comunista Italiano apparentemente proveniente dalla sua sinistra. Non solo, è stato appurato anche una "certa" collaborazione di servizi segreti di altri Paesi nel quadro NATO. Dagli atti dell'inchiesta condotta dal giudice milanese Guido Salvini, emerge il concorso fra ufficiali del Counter Intelligence Corp (il servizio segreto statunitense dell'Esercito), la CIA e il Comando delle Forze Alleate per il Sud Europa di Verona. Scrive nella sentenza il giudice Salvini: «[.] la presente istruttoria, oltre a far venire alla luce le modalità e i materiali esecutori di molti attentati, stava dirigendosi verso l'individuazione delle collusioni in tali attentati e delle attività di controllo del nostro Paese, negli anni della strategia della tensione, da parte delle strutture dell'Alleanza Atlantica».
Come le varie inchieste hanno appurato, in quegli anni le "deviazioni" non furono un'iniziativa personale di alcuni uomini, ma l'attuazione di ordini predefiniti provenienti da catene di comando "irregolari". Insomma, i neofascisti sono stati la manovalanza di un più grande organismo complesso e segreto, di un vero e proprio disegno eversivo fondato sulla creazione e sul mantenimento di un clima di disordine sociale insanguinato, in cui una parte del potere potesse trovare buon gioco.
Dalla monumentale inchiesta condotta dal giudice Salvini, durata oltre dieci anni, si rileva chiaramente che gli uomini delle organizzazioni eversive neofasciste degli anni della "tensione", non erano altro che manovalanza di una regia occulta. La CIA non solo aveva degli infiltrati nelle organizzazioni eversive nere, ma "incoraggiava" in qualche modo questi gruppi perché perseguivano lucidamente il medesimo scopo del governo statunitense: l'anticomunismo. L'ordinovista veneto Carlo Digilio era un infiltrato della CIA, il suo nome in codice era "Erodoto" (uno dei suoi referenti in Italia era il capitano David Carret, ufficiale statunitense in servizio nelle basi NATO di Vicenza e Verona. Il capitano David Carret è stato inquisito in Italia per spionaggio politico militare e concorso nella strage di piazza Fontana).

I depistaggi sono stati il lato più oscuro e vergognoso della storia democratica dell'Italia del secolo scorso.
Alle simbiosi tra eversione neofascista e alcune strutture dello Stato, che utilizzavano le stragi per finalità d'influenza della politica, veniva apposto incredibilmente il segreto di Stato. Scrisse Aldo Moro dalla "prigione del Popolo" delle Brigate Rosse: «E' doveroso alla fine rilevare che quello della strategia della tensione fu un periodo di autentica e alta pericolosità, con il rischio di una deviazione costituzionale che la vigilanza delle masse popolari fortunatamente non permise».
Come se non bastasse, il tragico bilancio della "strategia della tensione" s'incrocia con quello di altre misteriose tragedie su cui i vertici della Repubblica, dei servizi segreti e delle Forze Armate italiane hanno più di qualche segreto sepolto da qualche parte: aerei finiti in mare durante scenari di guerra, persone alla conoscenza di segreti che stranamente si suicidano, giornalisti strangolati e fatti sparire, piani di golpe progettati e mai realizzati, e così via. A questo punto è opportuno far entrare in scena anche il "Piano Tora Tora", un nuovo tentativo di colpo di Stato (dopo il progettato golpe del generale de Lorenzo). Il golpe fu fissato per l'Immacolata del 1970, ed era guidato dall'ex comandante fascista della "Decima Mas" nella Repubblica di Salò, il principe Junio Valerio Borghese.

Il Fronte Nazionale e il golpe. Tutto ha inizio nella tarda serata del 7 dicembre, quando gruppi di militanti dell'estrema destra, militari e civili si radunano in alcuni luoghi di importanza strategica nella capitale, in Lombardia, nel Veneto, in Toscana, Umbria e Calabria. Questo gran numero d'uomini era stato raccolto e organizzato da Junio Valerio Borghese sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto collegamento con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale.
Il Fronte Nazionale fu costituito dal principe Borghese nel settembre 1968 con un regolarissimo atto notarile. Finalità dell'organizzazione era quella di perseguire qualsiasi azione utile alla difesa e al ripristino dei massimi valori della civiltà italiana. Il Fronte Nazionale fu costituito con una doppia struttura: una pubblica, denominata "Gruppo A", ed una occulta, chiamata "Gruppo B". Quest'ultima era composta di reparti irregolari armati da impiegare nell'ambito di una strategia di stabilizzazione attraverso la destabilizzazione: le azioni criminose portate a termine da questi reparti avrebbero determinato la richiesta da parte dell'opinione pubblica italiana un forte desiderio di ordine. Questo avrebbe generato l'intervento delle Forze Armate portando il Paese a destra.
A partire dal 1969, il Fronte Nazionale del principe Borghese aveva favorito la fondazione di gruppi clandestini armati, aveva stretto relazioni con uomini e settori delle Forze Armate, aveva coltivato rapporti con faccendieri e intermediari collegati all'amministrazione statunitense ed ai comandi Nato. Sin da questo periodo si erano già succedute riunioni segrete tenutesi in più parti d'Italia, con la partecipazione di non pochi esponenti del mondo industriale, finanziario, militare, politico e mafioso, in cui si cercarono alleanze e si abbozzò un organigramma golpista. Il 4 luglio 1970, invece, fu costituita una "Giunta nazionale". Nelle riunioni si decisero anche gli obiettivi strategici da occupare (il Ministero degli Interni, il Ministero della Difesa, la sede della televisione italiana, gli impianti telefonici e di radiocomunicazione), l'elenco delle persone da arrestare e il luogo della loro deportazione.il proclama alla Nazione da leggere in diretta televisiva.

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #3274 da Starburst
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EUROPA,EUROPA,EUROPA E ANCORA EUROPA

Questo di seguito e' un articolo preso dal blog di Antonino Arconte ex agente gladio, tratta degli attentati di parigi e bruxelles,si puo' essere piu' o meno d'accordo ma per chi avra' la pazienza di leggerlo anche tra le righe, lo trovera' interessante anche in prospettiva futura:


Un attacco terroristico al cuore dell’Europa non è stato sferrato a Parigi, a Roma o a Berlino, ma a Bruxelles. Segno che i califfi mediorientali credono nell’Europa più di quanto non facciano gli stessi europei!
Un Europa che ha cessato da tempo di chiamare ala costituzione di una nuova Unione Federale mentre, invece, questa sarebbe la risposta giusta: Gli Stati Uniti d'Europa.
Questo gigante, un Giano bifronte fatto da un lato da nazionalismi vetero etnici e nostalgie per vecchie patrie che non esistono più e fuori dalla storia da un pezzo, dall’altra il volto dei banchieri intrallazzoni e affamatori che riescono solo a far odiare l’idea dell’Unione Europea che non è stata fatta per arricchire i Paperoni, ma per dare sicurezza, benessere, Diritti ed evitare nuove guerre fratricide in terra europea… entrambe sognando un inverosimile mondo fatto di pace e benessere, quando il vero mondo, invece,  è pericoloso come non lo è mai stato.
Per me è facile crederci, fin dagli anni settanta, dopo mesi d’isolamento nelle giungle e altopiani centrafricani, ricordo il giorno che, dopo un’ansa del Niger, mi ritrovai davanti, all’improvviso, un bianco come me, biondissimo, chiaramente europeo, Scandinavo. Lo salutai contento, come se avessi incontrato un paesano e anche lui istintivamente fece lo stesso. Fu un attimo, poi smorzato dal fatto che evidentemente non eravamo compatrioti. dissi, però, come per giustificare i moti naturali d’animo: European!  
E lui rispose sorridendo, con quell’aspirazione che avevo conosciuto in Scandinavia e che usavano come segno d’assenso. Era un marinaio di un mercantile Svedese, ormeggiato poco distante.
Da allora so che esiste una Patria Europea, hanno voglia gli stolti a negarla, ma quando rientravo in un qualsiasi paese europeo, Lisbona, Parigi, Bruxelles, Amburgo, Amsterdam, Madrid … non ero in Italia e in Sardegna, ma ero in Europa, comunque a casa.  

E allora, cos’altro occorre attendere nell’UE per fare l’Europa? C’è voluta una carneficina immane, quella della seconda guerra mondiale, con l’Europa trasformata in un campo di battaglia, un cumulo di macerie, per convincere Spinelli, un confinato dall'Italia fascista, a pensare e proporre agli altri prigionieri un trattato che unificasse le nazioni europee per evitare che si facessero ancora la guerra tra loro. E’ lì, nell'isola di Ponza, dove confinavano gli antifascisti, che nacque l’ideale dell’Unione Europea. Non fu certo facile convincere la generazione dei nostri padri a sotterrare l’ascia millenaria della perenne guerra civile europea. Sì Guerra civile, anche questa un’eredità della civiltà greco-romana. Le guerre civili dell’antica Hellade (greche) che vedevano ogni Polis (le città Stato) una contro l’altra, in un alternanza di alleanze per lunghissime guerre; i massacri tra legioni romane al comando di questo o quel generale, console  o tribuno; che dire della guerra dei cent’anni tra l’Inghilterra e la Francia, per la successione dinastica della Normandia? perchè iniziasse un esperimento, quello delle Comunità Economiche Europee, prima timidamente,  con il mercato comune del Carbone e dell’Acciaio, poi trasformate in Unione che, in poco più di 60 anni,a avrebbe portato il vecchio continente al premio Nobel per la Pace. La volontà nobilissima di portare a una maggiore integrazione non solo economica, ma anche di Diritto con la Costituzione di una apposita Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo a Strasburgo, poi divenuta Corte Europea per dare la possibilità ai cittadini europei di far rispettare agli Stati membri i Diritti garantiti e la Corte di Giustizia del Lussemburgo, per dirimere civilmente le contese tra Stati, senza conflitti se non nelle aule della giustizia europea. Oggi non si sente altro che astio e rancore verso l’Europa, tutti vorrebbero uscirne, si da colpa alla moneta unica se ci sono problemi economici e perdita di potere d’acquisto dei salari … come se una moneta non fosse solo un pezzo di carta che rappresenta quello che i governi d’Europa vogliono che rappresenti. Come se i problemi di malgoverno e corruzione fossero responsabilità della moneta unica e non, invece, di chi la gestisce.

Potrà questa situazione d’assedio di un vile terrorismo di matrice islamista spingere i governi e i popoli europei a superare la titubanza, per passare alla fase successiva del progetto europeo?
Cos’altro serve a convincere tutti che il tempo dell’attesa e dei ritardi è finito?  Che quest’Europa, così com’è, è fragile sotto tutti i punti di vista, Politici: non c’è nemmeno la possibilità di dare un numero di telefono alle potenze extraeuropee perché possano mettersi in contatto diretto con il Presidente dell’Unione Europea, con chi comanda … a Bruxelles pascolano migliaia di burocrati ruminanti, che non sanno come reagire alle sfide di questi tempi difficilissimi!  
Militari: se qualcuno volesse attaccarla chi comanderebbe le truppe, chi organizzerebbe tattiche e strategie? e quale degli eserciti europei dovrebbe intervenire per primo e come, guidato da chi? …
La sicurezza: tutto ciò che si riesce a fare, per paura, è di sospendere il trattato di Schengen, quello che ci permette di circolare in Europa senza passi di frontiera, perché siamo in Patria, la Patria degli Europei. Ci sarebbe da chiedersi, peraltro, quale risultato utile potrebbe avere la chiusura delle frontiere Inter-europee di fronte a dei terroristi islamici che hanno la cittadinanza dei paesi europei in cui vivono e dove spesso sono nati!
Questo gigante bicefalo, ma forse tricefalo, che non riesce a decidere nulla e quando decide qualcosa si capisce solo lui … Non vede, perché ha smarrito il senso della realtà e non può capire che si sta suicidando per l’egoismo dei pochi sulla pelle dei molti.
Si parla, si canta e si balla addosso di  un inverosimile luogo di pace e benessere, quando il vero mondo, quello che la circonda e ormai la pervade è mostruoso, corrotto e crudele, spietato e disperato, che va affrontato con i ferri del mestiere: la politica, i soldi, le armi, l’intelligence, i servizi segreti che aveva e …superbi!, sia all’est che all’ovest. Quando li usava contro se stessa!
Sono ferri che l’Europa ha messo in cantina da decenni, specie all’ovest, considerandoli inutili, quasi vergognandosene, nascondendoli sotto il tappeto e guai a chi protestava … sia perseguitato come merita! Un accusa falsa non si nega a nessuno… Chi vuoi che gli creda a quelli? Bisogna sbarazzarsi di tutto ciò che ci ricordi quei tempi, non servono più ora che l’URSS è crollata, pensando che la pace e il benessere, realizzati all’interno delle sue frontiere, garantite da quell’esercito segreto che ormai non serve più, fossero un bene universale da poter condividere impunemente con altri, senza più bisogno di proteggerlo, i comunisti non facevano più paura evvai con la globalizzazione! …  che  fa aumentare a dismisura i guadagni dei Paperoni con la delocalizzazione.
L’evidenza diceva  che le cose non stavano così.
Quei ferrivecchi, la politica vera, i soldi, le armi e soprattutto l’Intelligence, nel pericoloso mondo attuale sono indispensabili più che mai per sopravvivere ma … non ci sono più… c’è altro adesso. I paesi europei potranno utilizzarli in modo giusto ed efficace solo quando saranno riusciti a ricostruirli, non sarà facile, non sarà immediato. 
Personalmente penso che la trasformazione dell’Unione in Stati Uniti d’Europa accelererebbe molto il processo … ma con ciò che dicono tutti sulle varie exit strategy, uscite dall’UE … si federerebbero negli Stati Uniti d’Europa?
Possibile che queste capitali ricchissime di storia e di cultura, di ricchezze umane ed economiche immense, le Londra, Parigi, Bruxelles, Berlino, Roma, Madrid, Varsavia, non capiscano che sono “sotto schiaffo” … tutte nel mirino?  Che formidabili magli, mortali come la crisi finanziaria, la recessione, la pressione dei chiedenti asilo alle frontiere meridionali, il continuo, vile  e beffardo attacco del terrorismo nelle nostre città, si abbattono ormai con sin troppa regolarità su quel po’ di Unione rimasta, cercando di scardinarla nelle fondamenta, perché ne conoscono bene la debolezza e che si tratta di un gigante dai piedi d’argilla. Un gigante malato che vogliono evidentemente distruggere e così annichilire l’Europa, relegando gli europei ai confini del mondo e nell’irrilevanza finale?
Chi ha messo il 22 marzo ’15, alle 9,30, l’ordigno alla stazione metro di Maelbeek che serve, con Schuman, la zona dove hanno sede gli uffici di Parlamento, Commissione e Consiglio europei ha, evidentemente, voluto aggredire le istituzioni democratiche di un’Europa che, primo caso nella storia umana, sta costruendo dal basso e pacificamente un’unione tra popoli diversi che cercano pace e giustizia.
E’ irritante il balbettio confuso dei nostri capi di stato e di governo, in queste ore orribili che seguono l’aggressione contro la capitale delle istituzioni comuni europee. Battono il tasto delle misure nazionali e della sicurezza nazionale, il Belgio chiude le frontiere con la Francia e viceversa. Anche Berlino fa altrettanto e non capiscono che solo rafforzando le istituzioni comuni, gli europei potranno vincere la guerra al terrorismo islamista... Beninteso se queste istituzioni comuni riusciranno a dotarsi nuovamente di un Intelligence adeguata alle grandi sfide del futuro. Professionisti seri, agguerriti, preparati, determinati e sostenuti da fede e ideali in cui credere. Non certo in questi valori su carta moneta, fatti di truffe e grassazioni ai denari pubblici, tra mega appannaggi e pensioni di platino e diamanti.
Ho visto con tristezza il pianto su Le Monde di due figurine, abbracciati, un francese e un belga, vestiti con i colori delle bandiere nazionali. Errore imperdonabile: i morti sono europei caduti prima in Francia, oggi in Belgio.
Quando Mitterrand e Kohl si abbracciarono a Verdun, in quei giorni formidabili, vollero dire ai popoli: i nostri morti sono ora europei, non appartengono più alle patrie di origine!
Purtroppo, se non ci daremo velocemente un’autentica politica comune di sicurezza, troppi altri europei dovranno ancora abbracciarsi e piangere i loro morti di terrorismo… la guerra non è iniziata ora, ma possiamo finirla solo noi.
Nell’Aprile 2005, ad Alghero, partecipando a un convegno, mi si chiese di parlare, dire qualcosa sulle basi militari, i poligoni di tiro in Sardegna. Io protestai per i bombardamenti che, come fossimo ancora in guerra, erano imposti alla mia terra natale, la Sardegna. Oggi, provare le armi con le esplosioni al suolo o in mare, non è più necessario. Persino le bombe H sono provate con simulazioni ai mega computer, perché non farlo anche per gli esplosivi e le munizioni convenzionali?  Soprattutto, però, mi fu chiesto di esprimere la mia opinione sulla morte di Calipari, l’agente del SISMI che era stato ucciso a un Cheek Point a Bagdad mentre liberava la giornalista che era stata sequestrata dai terroristi. Lo feci e illustrai il problema negli esatti termini in cui era configurato dai fatti. Calipari era stato ucciso a causa del fatto che era un poliziotto, bravo finché si vuole, ma un poliziotto, non un agente segreto. Non sapeva nulla dei protocolli da utilizzare in zona di guerra, nessuno glielo aveva detto che ce n’era qualcuno. Lui sapeva come comportarsi da poliziotto, dopo aver preso in consegna l’ostaggio in seguito alla liberazione: Correre al primo posto di polizia e procedere all’interrogatorio a caldo, prima ancora di una visita medica, per raccogliere le informazioni utili all’identificazione dei banditi. Calipari, però, non era a Roma o Milano, era a Bagdad, zona di guerra e che guerra. Spietata, nessuna mercé era riconosciuta ne chiesta. Tutti violavano tutto il violabile. I prigionieri erano torturati da una parte, uccisi dall’altra, le donne stuprate, si usavano le bombe al fosforo bianco … i kamikaze si facevano esplodere tutti i giorni nei mercati, nelle caserme, con le auto ai posti di blocco, addirittura qualche innocuo asinello esplodeva al passare delle pattuglie occupanti, l’odio che era stato scatenato era incommensurabile. La città era suddivisa in quadranti, ogni quadrante aveva una diversa forza di pace a controllarla. Il protocollo imponeva che chi dovesse attraversarlo aveva l’obbligo di avvicinarsi lentamente e attendere di essere identificati e presi in consegna, poi accompagnati così all’altro cheek point, che avrebbe fatto altrettanto. Calipari non ne sapeva nulla. Le scuole di Intelligence erano state chiuse. Ora per fare l’agente segreto bastava essere cooptato ed era tutto qui. Obbedire agli ordini, non c’era altro da sapere.
Così è morto lui e, un altro, in Afghanistan, fu ucciso dal taxista sul quale era montato a Kabul … in zona operazioni … !? … sarebbe stato bocciato all’ABC, ma non sarebbe morto così.
Quei miei disinteressati consigli non piacquero a chi comandava i servizi del tipo B di cui stiamo parlando. Scatenarono una campagna mediatica incredibile ma vera, con perquisizioni in tutt’Italia e uno scandalo diramato da giornali e televisioni nazionali per quella che veniva chiamata dai media “Inchiesta DSSA”: servizi deviati, Gladio, polizie parallele… era tutta una bufala! Non era vero niente e finì tutto archiviato. Querelammo, io e Franz, i giornalisti che furono anche condannati in via definitiva al risarcimento danni per diffamazione aggravata ma lo scopo era quello di mettere a tacere la proposta di riapertura della Scuola di Gladio, dei servizi segreti che funzionavano durante la guerra fredda. Obiettivo raggiunto perfettamente. A questo servivano adesso i servizi segreti: organizzare campagne diffamatorie, simulazioni, sequestri, partecipare a cose indegne, perché indegni erano gli interessi di chi li comandava  … ma … è l’Intelligence? Non serviva più a nulla, ora era tutta una questione di creste sulle spese dei fondi neri, come ordinavano i corrotti. Non serviva altro per guadagnarsi lo stipendio.
Ecco, stamattina, sentendo e vedendo le notizie tragiche da Bruxelles. Non posso non commentarle, senza però approfondire più di tanto, perché sto cercando di sganciarmi, non di coinvolgermi.
Quando hanno fatto le stragi a Parigi, vedendo la rapidità con la quale la polizia ha identificato i terroristi mi complimentai simbolicamente con la Suretè per questo, riferito alla polizia francese. Dobbiamo ammettere che, se fosse accaduto in Italia, sarebbe tutto un fiorire incasinato di ipotesi fantasiose quanto inverosimili e di indicazioni di ogni tipo, depistaggi, opinioni strampalate dei giornalisti spacciate per fatti, che portavano in ogni direzione, fuorché in quella  giusta. La storia dei “misteri d’Italia” fa testo. Anche al momento dell'arresto del ricercato principale, quello che non si è fatto saltare da kamikaze, mi sono complimentato idealmente con la polizia Belga ... ma devo dire che sono davvero preoccupato che, per l'appunto,  quello che ho potuto notare è che tutto è affidato alla polizia.. polizia +++ se vogliamo. Nel senso che hanno dimostrato di essere bravi e ben addestrati, anche se difettano di coordinamento europeo per i motivi già detti.
Però, di Servizi segreti e azioni di Intelligence non se ne vede l'ombra!
Non chiedetemi perché, potrei dirlo ma, ripeto, non mi voglio coinvolgere più di tanto.
Tutto questo, però,  che indubitabilmente risulta dalle operazioni di polizia, denota abilità investigative proprie, appunto, della polizia, non di Intelligence.
Sono modus operandi diversi e di quelli dei servizi propriamente detti non c'è manco l'ombra. Questo è davvero preoccupante, per organizzare un servizio d'Intelligence efficace e addestrare gli operatori in maniera adeguata occorrono anni, a patto di poter scegliere in base ai meriti e ai talenti naturali, non in base alle raccomandazioni ...
Una domanda sorgerebbe spontanea se potessi farla a chi di dovere:
Chi avete Stay behind? … Chi avete dietro le linee? … Chi avete nelle fila dell’Isis?
Noi, in epoca di guerra fredda, avevamo nostri agenti infiltrati dappertutto, a Sirte, in Libia, in una base militare e aerea, alcuni operai e il macellaio della base, Altri a Praga, Karlovy vary, U’Brno, a Galatzi, in Romania, in Libano durante la guerra civile, a Beirut e a Sidone ma, questi servizi segreti delle potenze europee … chi hanno dove? E a far che?
Io ho passato un guaio da oltre vent’anni per aver detto e provato che Noi sapevamo prima del sequestro dell’On. Moro, almeno dal 27 febbraio 1978… sarebbe stato rapito il successivo 16 Marzo. Ma io chiedo a voi, che non sarete del mestiere ma avrete sicuramente un cervello funzionante: ma a cosa servono i Servizi segreti, l’Intelligence!  se non riescono a sapere prima che accadano … le cose che accadranno?

Un capitolo a parte meriterebbe la considerazione che anche la Russia e la sua comunità di Stati Indipendenti è Europa a tutti gli effetti. Dai tempi di Pietro il Grande e Ivan il Terribile la grande Russia ha fatto la scelta di essere una nazione Europea. Lo sono, sono Cristiani ortodossi e si sono considerati, dalla caduta dell'Impero romano d'oriente, la terza Roma. Vi immaginate la potenza degli Stati Uniti d'Europa se si allargasse l’Unione federale alla CSI?  La Russia non ha distrutto i vecchi servizi segreti, li ha ristrutturati, ammodernati, ma non li ha distrutti. Non sono folli, sarebbero rimasti tutti vittime delle forze centrifughe cecene e delle piccole repubbliche islamiche, in cerca di consolidamento di Stati da controllare con la Sharia e il Corano. Buon per noi che non l’abbiano fatto, o a Damasco sventolerebbe la bandiera nera del Califfato dell’Isis.
Invece, questi somari calzati e vestiti, abdicano la gestione dei migranti profughi, che hanno provocato loro stessi con le guerre insensate che hanno ridotto il medioriente e nord africa in queste condizioni, alla Turchia, che non è uno Stato Europeo... sospettata di avere anche legami e simpatie con l'ISIS, alla quale sono stati dati anche una montagna di Euro per occuparsene lei... Incommentabile!
Nel frattempo questo è tutto!

Antonino Arconte

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8 Anni 7 Mesi fa #3314 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
Ogni commento a questo articolo e' superfluo.Tratto da un saggio del sac. Don Luigi Villa :


LO IOR TRA MAFIA E MASSONERIA


Ufficialmente la Banca Vaticana è nota come l’Istituto per le Opere di Religione o IOR. In ogni caso la religione ha ben poco a che fare con la Banca, a meno che ci si riferisca ai cambiavalute che si sono nella Chiesa. Mentre i cambiavalute stavano semplicemente fornendo un servizio, in modo che le tasse del tempio potessero essere pagate, la Banca Vaticana è stata coinvolta in evasione fiscale, imbrogli finanziari e riciclaggio di oro nazista. Il Papa, come unico azionista della Banca Vaticana, è uno degli uomini più ricchi al mondo e, per associazione, uno dei meno etici.
L’Istituto è un organismo finanziario vaticano – secondo una definizione data dal cardinale Agostino Casaroli – ma non è una banca nel senso comune del termine. Lo Ior utilizza i servizi bancari, però l’utile non va, come nelle banche normali, agli azionisti (che nel caso dello Ior non ci sono) ma risulta a favore delle “opere di religione”. La Banca Vaticana non è responsabile né verso la Banca Centrale del Vaticano né verso il Ministero dell’Economia; infatti, funziona in modo indipendente con tre consigli d’amministrazione: uno è costituito da cardinali di alto livello, un altro è costituito da banchieri internazionali che collaborano con impiegati della Banca Vaticana e per ultimo un consiglio d’amministrazione che si occupa degli affari giornalieri.
Tali strutture organizzative così chiuse sono la norma nella Santa Sede e sono utili per mascherare le operazioni della Banca. Lo IOR funziona come banchiere privato della Chiesa, dal momento che si adatta perfettamente alle esigenze di una Banca diretta dal Papa. A ogni cliente viene fornita una tessera di credito con un numero codificato: né nome né foto. Con questa si viene identificati: alle operazioni non si rilasciano ricevute, nessun documento contabile. Non ci sono libretti di assegni intestati allo Ior: chi li vuole dovrà appoggiarsi alla Banca di Roma, convenzionata con l’istituto vaticano.
I clienti dello Ior possono essere solo esponenti del mondo ecclesiastico: ordini religiosi, diocesi, parrocchie, istituzioni e organismi cattolici, cardinali, vescovi e monsignori, laici con cittadinanza vaticana, diplomatici accreditati alla Santa Sede. A questi si aggiungono i dipendenti del Vaticano e pochissime eccezioni, selezionate con criteri non conosciuti. Il conto può essere aperto in euro o in valuta straniera: circostanza, questa, inedita rispetto alle altre banche. Aperto il conto, il cliente può ricevere o trasferire i soldi in qualsiasi momento da e verso qualsiasi banca estera. Senza alcun controllo. Per questo, negli ambienti finanziari, si dice che lo Ior è l’ideale per chi ha capitali che vuole far passare inosservati.
I suoi bilanci sono noti a una cerchia ristrettissima di cardinali, qualsiasi passaggio di denaro avviene nella massima riservatezza, senza vincoli né limiti. Nonostante sia di proprietà del Papa, la Banca, sin dal proprio inizio, è stata più volte coinvolta nei peggiori scandali, corruzione e intrighi. Sotto felice auspicio, l’apertura della banca nel 1941 per ordine di Pio XII, altresì chiamato il Papa di Hitler, ha fornito convenienti sbocchi bancari ai fascisti italiani, all’aristocrazia e alla mafia. (da «Tutto quello che sai è falso», Di Jonathan Levy).
Già dai primi del Novecento i Rothschild di Londra e di Parigi trattavano con il Vaticano, ma con la gestione Nogara gli affari e i partner bancari aumentarono vertiginosamente: Credit Suisse, Hambros Bank, Morgan Guarantee Trust, The Bankers Trust di New York (di cui Nogara si serviva quando voleva comprare e vendere titoli a Wall Street), Chase Manhattan, Continental Illinois National Bank.
Nel 1954 Bernardino Nogara decide di ritirarsi senza tuttavia interrompere l’attività di consulente finanziario del Vaticano, che continuò fino alla morte, avvenuta nel 1958. La stampa dedicò poco spazio alla sua scomparsa, ma il cardinale Francis Spellmann di New York pronunciò per lui un memorabile epitaffio: «Dopo Gesù Cristo la cosa più grande che è capitata alla Chiesa cattolica è Bernardino Nogara». Al geniale banchiere, nel corso della sua lunga attività, venne affiancato il principe Massimo Spada. Anche lui mostrò lungimiranza e spregiudicatezza nella gestione degli interessi del Vaticano e si lanciò in varie operazioni, la maggior parte delle quali – come si è visto – in collaborazione con Michele Sindona.
Lo Ior, in quanto istituto che opera con modalità proprie, non è mai stato tenuto a nessun tipo di informativa – né verso i propri clienti, né verso terzi – né tanto meno a pubblicare un bilancio o un consuntivo sulle proprie attività.


 All’epoca del caso Calvi-Ambrosiano, l’istituto doveva rispondere, in via puramente teorica, a una commissione esterna di cinque cardinali, ma di fatto gli amministratori si muovevano senza alcun vincolo. A favore di chi, allora, operava lo Ior? Marcinkus dichiarò che i profitti erano realizzati «a favore di opere di religione» e che «qualsiasi guadagno dello Ior è a disposizione del Papa». Ma come osserva Bellavite Pellegrini: «Con le sue caratteristiche, lo Ior veniva veramente ad assomigliare a un inter-mediario che agisce su una piazza off shore» (da Ferrucci Pinotti “Poteri Forti” ).
Lo Ior, che ha una personalità giuridica propria, è retto da un “Consiglio di soprintendenza” controllato da una Commissione di cinque cardinali: si tratta del nucleo di vigilanza. I porporati, però, non hanno generalmente alcuna competenza finanziaria. Il loro dovrebbe essere un controllo morale. Un ruolo più tecnico è svolto dal “Consiglio di amministrazione” composto di cinque laici ed un direttore generale. L’Istituto intrattiene rapporti valutari e creditizi con clienti e banche italiane, opera attivamente sul mercato finanziario internazionale, gioca in borsa, investe, raccoglie capitali; tuttavia, come istituto estero, non è sottoposto ad alcun controllo da parte delle autorità di vigilanza italiane. La Banca Vaticana afferma di non aver nessun documento relativo al periodo della Seconda Guerra Mondiale; infatti, secondo il procuratore della Banca Vaticana, Franzo Grande Stevens, lo IOR distrugge tutta la documentazione ogni dieci anni, un’affermazione alla quale nessun banchiere responsabile crederebbe. Ciononostante, altre documentazioni esistono in Germania e presso gli archivi americani, che dimostrano i trasferimenti nazisti di fondi allo IOR dalla Reichsbank, e altri dallo IOR alle banche svizzere controllate dai nazisti. Un famoso procuratore specializzato nelle restituzioni dell’Olocaustoha documentato i trasferimenti di denaro dai conti delle SS a un’innominata banca romana nel settembre 1943, proprio quando gli Alleati si stavano avvicinando alla città.
Dalla fine degli anni Settanta, lo IOR era divenuto uno dei maggiori esponenti dei mercati finanziari mondiali. Sotto la tutela del vescovo americano (uno spilungone di 191 cm) Paul Marcinkus, il vescovo Paolo Hnilica, Licio Gelli, Roberto Calvi e Michele Sindona, la Banca Vaticana divenne parte integrante dei numerosi programmi papali e mafiosi per il riciclaggio del denaro, in cui era difficile determinare dove finiva l’opera del Vaticano e dove cominciava quella della mafia. Il Banco Ambrosiano dei Calvi e numerose società fantasma dirette dallo IOR di Panama e del Lussemburgo presero il controllo degli affari bancari italiani e funsero da canale sot-terraneo per il flusso di fondi verso l’Europa dell’Est, in appoggio all’Unione nazionale anti-comunista.
Marcinkus, capo dello IOR, fu Direttore del Banco Ambrosiano (a Nassau e alle Bahamas), ed esisteva una stretta relazione personale e bancaria fra Calvi e Marcinkus. Sfortunatamente, molti di quelli coinvolti non erano solo collegati alla mafia, ma erano anche membri della famigerata loggia massonicaP2, con il risultato finale della spartizione del denaro di altre persone, inclusa una singola transazione di 95 milioni di dollari (documentata dalla Corte Suprema irlandese).
Non appena le macchinazioni vennero a galla a causa di un errore di calcolo attribuito a Calvi, le teste cominciarono letteralmente a rotolare. L’impero bancario Ambrosiano fu destabilizzato da uno scontro ai vertici del potere interno, che coinvolgeva la Banca Vaticana, la mafia e il braccio finanziario dell’oscuro ordine cattolico dell’Opus Dei. L’Opus Dei, in ogni caso, decise di non garantire per il Banco Ambrosiano e Calvi fu trovato «suicidato», impiccato sotto il ponte di Blackfriars a Londra, con alcuni sassi nascosti nelle tasche, una scena ricca di simbolismo massonico.

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8 Anni 7 Mesi fa #3315 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
Ciao Starburst, nonostante sia indietro con la lettura degli ultimi tuoi post (ma ce la farò) ti annuncio solennemente che, visti i tuoi interessi, mi aspetto un interessante post su Gladio, magari libero dai soliti depistaggi dei gladiatori!
Coraggio (non sentirti assolutamente "in dovere" :smash: )!
Ciao!

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8 Anni 7 Mesi fa #3319 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta

Giano ha scritto: Ciao Starburst, nonostante sia indietro con la lettura degli ultimi tuoi post (ma ce la farò) ti annuncio solennemente che, visti i tuoi interessi, mi aspetto un interessante post su Gladio, magari libero dai soliti depistaggi dei gladiatori!
Coraggio (non sentirti assolutamente "in dovere" :smash: )!
Ciao!


Beh , a mio parere Antonino Arconte e' degno di fiducia visto che come tanti altri che hanno "servito" lo stato e' stato masticato e sputato, per quanto riguarda la tua proposta mi attivo immediatamente, non ti preoccupare e' un piacere non un dovere,semmai il dovere e' verso la storia "nascosta".

Grazie e a presto.

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #3320 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
Come da richiesta ecco di nuovo un capitolo mai chiuso di storia italica nascosta e non potrebbe essere altrimenti visto che tratteremo di servizi segreti e di gladio in particolare, , dobbiamo pero' fare un resoconto di cosa hanno significato e cosa significano ancora nel nostro paese i "servizi segreti", di quali reati gravissimi si sono macchiati e di come le connivenze e le alleanze portate alle estreme conseguenze hanno condizionato la vita politica e sociale italiana.

I SERVIZI SEGRETI E GLADIO

Nati ufficialmente nel 1866, cinque anni dopo l’Unità risorgimentale, i servizi segreti italiani hanno da sempre una caratteristica che li contrad- distingue dagli altri strumenti d’intel- ligence internazionale: non solo è stata sempre riservata la loro attività – fatto, questo, almeno giustificabile – e di conseguenza elevata alla massima potenza la loro irresponsabilità, ma sono sempre state oscure e misteriose la loro formazione, le logiche di comando, i compiti, le funzioni. Se c’è in Italia un organismo dove la trasparenza è meno di un optional, questi sono i servizi segreti, un’area dove regna l’impunibilità più assoluta. Formalmente esistenti per proteggere la sicurezza, interna ed esterna del paese, i servizi segreti italiani – nonostante i continui cambiamenti di nome – continuano a rimanere uno strumento per i giochi politici della classe di volta in volta dominante. Se quest’ultima affermazione è riscon- trabile in molti paesi dell’area civile, in Italia è sempre esistita una sua variante specifica, ben riassunta in questa     frase   di     un     importante magistrato, Giovanni Tamburino, che, proprio con i servizi, si è scontrato più di una volta:
<<Le deviazioni delle polizie segrete non sono un fenomeno accidentale, ma nascono contemporaneamente alle polizie segrete. La potenza di una polizia segreta fa sì che, da strumento in mano al Principe per perseguire gli scopi di sicurezza del regime, essa si trasformi in potere separato che persegue i propri scopi di sicurezza o, quanto meno, interpreta a suo modo la “sicurezza necessaria” al regime>>

BREVE STORIA DEI SERVIZI SEGRETI ITALIANI


Non esistono i servizi segreti deviati, ma le deviazioni dei servizi segreti

I servizi segreti dell’Italia democratica nascono ufficialmente il 1 settembre 1949, sulle ceneri - ma mantenendo in pieno uomini e strutture - del vecchio SIM, il servizio d’informazione militare, nato durante il regime fascista: il suo nome è SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate).
Già nella costituzione del SIFAR c’è qualcosa di anomalo: nessun dibattito parlamentare, ma solo una circolare interna, firmata dall’allora ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, repubblicano.
Dalla nascita della Repubblica, l’Italia ha atteso più di tre anni, quindi, per dar vita all’organismo che dovrebbe tutelarne la sicurezza, il tempo necessario a "scaricare" le sinistre dal governo e ad aderire al Patto Atlantico.
Il primo direttore del SIFAR è il generale di brigata Giovanni Carlo Del Re che opera sotto l’esplicita supervisione dall’emissario della CIA in Italia, Carmel Offie.
In carica per tre anni, Del Re viene sostituito nel 1951 dal gen. Umberto Broccoli – l’uomo che – almeno sulla carta - darà l’avvio a Gladio, sostituito, neppure un anno e mezzo dopo, dal gen. Ettore Musco.
Anche Musco, che nel 1947 aveva formato l’AIL (Armata Italiana per la Libertà) - una formazione diretta da militari, sostenuta economicamente e militarmente dai servizi segreti americani, incaricata di vigilare su un’eventuale insurrezione comunista – fu uomo di stretta osservanza CIA e proprio sotto il controllo americano portò a termine l’acquisto dei terreni di Capo Marrargiu, in Sardegna, dove sarebbe sorta la base di Gladio.

GLI ANNI DI DE LORENZO

Ma è con l’avvento ai vertici del Sifar del gen. Giovanni De Lorenzo che i servizi segreti italiani si trasformano e cominciano a giocare un ruolo preponderante sulla scena politica italiana. La nomina di De Lorenzo non è casuale: a caldeggiarla, con insistenza, è l’ambasciatrice degli USA Claire Booth Luce, ma il generale è uomo molto gradito anche alle sinistre che per anni equivocheranno sui suoi meriti resistenziali.
De Lorenzo assume le redini del SIFAR nel gennaio del 1956. Resterà in carica fino all'ottobre del 1962: quasi sette anni filati, fatto mai accaduto, neppure in seguito, nella storia dei servizi segreti italiani. E’ sotto la gestione De Lorenzo che l’Italia sottoscriverà il piano, redatto dalla CIA, denominato "Demagnetize" il cui assunto è:
«La limitazione del potere dei comunisti in Italia e in Francia è un obiettivo prioritario: esso deve essere raggiunto con qualsiasi mezzo».
Gli anni di De Lorenzo al SIFAR sono gli anni delle schedature di massa degli italiani: verranno raccolti oltre 157 mila fascicoli, molti dei quali abusivi e falsi, in gran parte del tutto superflui per la sicurezza, ma utili strumenti di pressione e di ricatto.
Nominato sul finire del 1962 comandante generale dell’Arma dei carabinieri e quindi costretto a lasciare la guida del servizio segreto, De Lorenzo riuscì comunque a mantenere il controllo del SIFAR, facendo in modo che al suo posto venisse nominato un suo fedelissimo, Egidio Viggiani e che i posti chiave del servizio stesso fossero occupati da suoi uomini di fiducia: Giovanni Allavena - responsabile, contemporaneamente, dell’ufficio D (informazioni) e del CCS (controspionaggio) ed in seguito egli stesso ai vertici del SIFAR– e Luigi Tagliamonte che assumerà il doppio (e incompatibile) incarico di responsabile dell’amministrazione del SIFAR e capo dell’ufficio programmazione e bilancio dell’Arma.
E’ con De Lorenzo ai vertici dei carabinieri che si acuisce la tensione in Alto Adige, una regione attraversata all’epoca da una forte vena irredentista filo-austriaca e, nel luglio del 1964, si ode il famoso "rumor di sciabole" di cui parlò l’allora segretario socialista Pietro Nenni, allorché la formazione del secondo governo di centro-sinistra, guidato da Aldo Moro, si realizzò sotto la minaccia, più o meno velata, di un colpo di stato: il Piano Solo.

NASCE IL SID

Anche se lo scandalo delle schedature del Sifar e del Piano Solo verranno alla luce solo tre anni dopo, nel 1967, grazie ad una campagna di stampa del settimanale L’Espresso, condotta dai giornalisti Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari, già nel 1965 il SIFAR viene sciolto.
E’ uno scioglimento solo di facciata, l’ennesimo: con un decreto del Presidente della Repubblica, il 18 novembre 1965, nasce il SID (Servizio Informazioni Difesa) che del vecchio servizio continuerà a mantenere uomini e strutture.
Il comando del SID viene affidato all’amm. Eugenio Henke, genovese, molto vicino al ministro dell’Interno dell’epoca Paolo Emilio Taviani, democristiano.
Sotto la gestione Henke – che resterà in carica fino al 1970 – prenderà l’avvio la strategia della tensione che avrà come primo, tragico, risultato la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969).
Henke lascia il SID il 18 ottobre 1970 per essere sostituito dal gen. Vito Miceli che già dal 1969 guidava il SIOS (il servizio informazioni) dell’Esercito. Non trascorrono neppure due mesi dal nuovo cambio della guardia ai vertici dei servizi segreti italiani, che nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 un gruppo di neofascisti, capeggiati dal "principe nero" Junio Valerio Borghese, ex comandante della X MAS, mette in atto un ancor oggi misterioso tentativo di colpo di stato, nome in codice "Tora, Tora", passato alla cronaca come il Golpe Borghese.
E’ noto che il tentativo di colpo di stato fallì, o meglio aveva al suo interno forze che ne avevano preventivato il fallimento. Di quel golpe che sapeva molto era proprio il neo capo del SID, il gen. Vito Miceli che nel sottile gioco delle alleanze politiche era legatissimo ad Aldo Moro e nemico giurato di una altro potente democristiano: Giulio Andreotti.
Miceli di quel tentativo di golpe tacque: in primis con la magistratura. Quando nel 1975 l’inchiesta giudiziaria sul Golpe Borghese arriverà alla sua stretta finale, Miceli avrà già lasciato il servizio, travolto da una serie di incriminazioni che porteranno al suo arresto per altri fatti ancora oggi non del tutto chiariti, come la creazione della Rosa dei Venti, un’altra struttura militare para-golpista e lo scontro durissimo che lo opporrà al capo dell’ufficio D, un fedelissimo di Andreotti, il gen. Gianadelio Maletti. Gli anni della gestione Miceli sono gli anni dello stragismo in Italia: da Peteano, alla strage alla Questura di Milano, da Brescia all’Italicus.
Come era già accaduto a De Lorenzo, anche Miceli finirà in parlamento: eletto, anche lui, nelle file del MSI-DN di Giorgio Almirante, così come anni dopo succederà ad un altro capo dei servizi segreti, il gen. Antonio Ramponi, nelle file di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini.

LA RIFORMA DEI SERVIZI SEGRETI

La prima riforma organica dei servizi segreti – ma anche fino ad oggi l’ultima – risale al 1977. Sempre più vicino all’area di governo, impegnato in una politica improntata al consociativismo, il PCI partecipa direttamente ed in prima persona, attraverso la figura del sen. Ugo Pecchioli, alla riforma.
Per la prima volta viene introdotta una figura di responsabile dell’attività dei servizi segreti di fronte al Parlamento: è il Presidente del Consiglio che si avvale della collaborazione di un consiglio interministeriale, il CESIS che ha anche un compito di coordinamento. Inoltre i servizi devono rispondere di quello che fanno ad un Comitato parlamentare.
Ma un importante novità introdotta dalla riforma dei servizi segreti riguarda lo sdoppiamento dei servizi stessi: al SISMI (Servizio d’Informazioni per la Sicurezza Militare) il compito di occuparsi della sicurezza nei confronti dell’esterno, al SISDE (Servizio d’Informazioni per la Sicurezza Democratica) quello di vigilare all’interno.
Con in più un’altra differenza: se il SISMI resta completamente affidato a personale militare, il SISDE diventa una struttura civile, affidata alla polizia che è diventato un corpo smilitarizzato.
Una riforma, quindi, buona nelle intenzioni, ma che negli anni a seguire produrrà soltanto risultati disastrosi, anche perché gli uomini che andranno a far parte del SISMI e del SISDE saranno gli stessi che hanno già fatto parte del SIFAR e del SID e, per quanto riguarda il servizio civile, del disciolto – e famigerato – Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno.
Retto dal 1974 al 1978 dall’amm. Mario Casardi, il SISMI vedrà l’ascesa, nello stesso anno, del gen. Giuseppe Santovito, già stretto collaboratore di De Lorenzo.
Il SISDE, la cui direzione sarebbe dovuta spettare ad Emilio Santillo, già capo dell’Ispettorato per l’antiterrosimo, pur essendo una struttura non militare finirà proprio ad un militare, generale dei carabinieri Giulio Grassini.
Il primo scandalo in cui incappano i servizi riformati è quello della Loggia P2. I nomi di tutti i vertici dei servizi segreti (SISMI, SISDE ed anche del CESIS, l’organo di coordinamento) sono compresi nella famosa lista del maestro venerabile Licio Gelli, scoperta il 17 marzo 1981 dai magistrati milanesi che indagano su Sindona.

IL RUOLO DEI SERVIZI SEGRETI NEI MISTERI DEGLI ANNI OTTANTA

E’ questa forse una pagina che non è stata ancora scritta del tutto. Di certo oggi sappiamo che entrambi i servizi segreti sono dentro fino al collo nel caso Moro, i 55 giorni che trascorsero fra il sequestro del presidente della DC da parte di un commando delle Brigate rosse e l’uccisione dell’uomo politico.
Omissioni, inefficienze, tacite connivenze, depistaggi, forse anche qualcosa di più.
Molto, ma molto di più invece nella strage di Bologna dove per depistaggio, con sentenza passato in giudicato, sono stati condannati, assieme a Gelli, alcuni uomini del SISMI, come il gen. Pietro Musumeci e il col. Giuseppe Belmonte. E con loro anche il faccendiere Francesco Pazienza, in seguito imputati anche per aver creato una superstruttura occulta (il c.d. SUPERSISMI) all’interno del servizio segreto militare, sospettato di aver operato in collegamento con elementi della criminalità organizzata.
C’è da aggiungere che uomini del SISMI sono rimasti implicati anche nell’inchiesta sulla strage di Ustica.
Nel 1984 arriva al vertice del SISMI colui che passa per un rinnovatore: è l’amm. Fulvio Martini. Resterà in carica fino al febbraio del 1991 quando, assieme al suo capo di stato maggiore, il gen. Paolo Inzerilli, finirà travolto dalla vicenda di Gladio.
Parallelamente al Sisde si succederanno i prefetti Vincenzo Parisi (1984-1987), che diventerà subito dopo capo della polizia e Riccardo Malpica (1987-1991), che verrà poi condannato per lo scandalo dei fondi neri del SISDE.
Il resto è storia recente. Gli uomini che siederanno ai vertici di SISMI e SISDE nell’ultimo decennio sono, per fortuna del Paese, tutte o quasi figure di scarso rilievo, ma, almeno all’apparenza, tutte dotate di saldo spirito democratico.
I servizi segreti italiani sembrano aver scelto la linea del basso profilo: forse servono a poco o a nulla. Ma almeno non fanno danni.
Anche se – bisogna aggiungere - trattandosi di apparati di sicurezza (sicurezza di chi?) bisogna sempre stare attenti a non pronunciare mai una parola definitiva.
(fonte principale: G. De Lutiis – Storia dei servizi segreti in Italia, Editori riuniti, varie edizioni)

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