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La storia nascosta
Da diverse fonti la maggior parte dell'epoca, risulta evidente l'errore politico enorme che fece il fronte popolare (p.c.i.-p.s.i.u.p.) il psiup era il partito socialista italiano di unita' proletaria, l'avere sottovalutato l'avversario politico (democrazia cristiana) forte dell'alleanza con gli usa e il vaticano. Fu veramente una serie di sbagli madornali prima e dopo le elezioni del 1948 a sancire il flop dell'alleanza di sinistra?
Dall'articolo che segue sembra di si, ma l'evoluzione della storia ed il crollo del muro di berlino hanno messo a nudo gli intrecci,gli accordi,naturalmente sotto banco che le due superpotenze negli anni hanno stipulato anche nel decidere il destino dei loro paesi alleati (vedi colonie).
Il p.c.i. capi' l'antifona fin dal 1945, sarebbe stato inutile cercare di spostare l'asse politico e sociale dell'italia, ormai i confini e le competenze erano state assegnate tutto il resto avrebbe fatto parte del famoso gioco delle parti, anche i cosidetti "errori" politici di valutazione e di giudizio.
DAL SITO INSTORIA
Il fattore URSS e l’intrinseca debolezza del Fronte
In ogni ricostruzione di quei mesi d’attesa il ruolo degli Stati Uniti merita almeno un capitolo: comprensibilmente, si direbbe, data l’influenza della prima potenza mondiale – rafforzata dal monopolio nucleare – nel panorama politico d’un Paese sconfitto, che rientrava in effetti nella sua sfera d’interessi.
Molto spesso, però, si trascura l’URSS, o la si riduce ad una sterile centrale ideologica interessata esclusivamente al consolidamento del settore di competenza; oppure ancora non si collega questo consolidamento alle fortune della Dc, e non si considera che in effetti il blocco filo-occidentale non avrebbe potuto sperare in un ‘padrino’ peggiore, per i frontisti, dell’URSS di quei mesi; già di per sé, è questo un modo per negarne la marginalità.
Innanzitutto l’URSS comparve nella campagna elettorale nelle vesti di oppressore, come riportato dai racconti sui metodi di governo imposti da Stalin in Europa orientale; e su questi resoconti l’immaginario popolare innestò un’altra immagine secolare, d’una Russia medievale, spietata, arretrata e brutale, sovrapponendola al mito contemporaneo forgiato dalla resistenza al conquistatore nazista; con questo ‘cambio d’abito’ l’URSS smise le sue vesti rivoluzionarie per indossare il completo del censore, e talvolta del boia, e non seppe reggere la concorrenza della fascinazione americana (la “rendita di posizione degli Stati Uniti”, secondo Gambino), fondata su un secolo e più di racconti, favole e miti.
Anche per questo la politica dell’URSS, al contrario di quella statunitense, danneggiò sensibilmente gli interessi del blocco che nelle elezioni italiane ne rappresentava gli interessi, incrinandone sensibilmente i tentativi elettorali e costringendolo sulla difensiva; e solo saltuariamente rivelò – come avvenuto l’11 febbraio del 1948, quando propose ufficialmente di ripristinare un “mandato a tempo determinato” dell’Italia sulle ex-colonie – un interessamento, pur tiepido, per i temi centrali della campagna elettorale.
Abbiamo già detto della “svolta” intransigente imposta al Pci ed al Pcf nel corso dell’incontro di Szklarska Poreba, che impose la rottura con i “traditori” socialdemocratici. E abbiamo visto di quanto questa scelta contribuì a indebolire le posizioni del Fronte.
Notizie ancora peggiori, tuttavia, cominciarono a giungere dalla Cecoslovacchia, l’altro Paese – oltre all’Italia, almeno fino al voto – a non essere stato del tutto inserito nel meccanismo dei blocchi, nell’ultima decade di febbraio del 1948.
In quei giorni il regime di coalizione che governava da tre anni – rafforzato dalle elezioni del 26 maggio 1946 e caratterizzato da una posizione di minoranza dei comunisti, che pure mantenevano la Presidenza del Consiglio con Klement Gottwald – crollò sotto i colpi del ‘colpo di mano’ del Pc cecoslovacco e poi delle purghe, delle repressioni, degli omicidi (come quello del Ministro degli Esteri Jan Masaryk, unico democratico ad aver accettato di far parte del nuovo esecutivo, trovato morto sotto la finestra della sua abitazione) che ne conseguirono, lasciando campo libero all’instaurazione di un esecutivo comunista: in questo modo, a differenza dell’Italia, rottura dell’alleanza anti-fascista (comprendente i partiti comunista, socialista nazionale, socialdemocratico, cattolico popolare, democratico slovacco) ed inserimento nel blocco d’appartenenza avvennero simultaneamente. Stalin, adeguandosi alla spaccatura dell’Europa, stringeva il cappio intorno ai suoi protetti colpendo proprio quello più convintamente imbevuto di tradizioni democratiche.
Se quest’operazione miope fu capace d’indebolire il consenso di cui il Pci ancora godeva, ciò avvenne perché i dirigenti di quel partito – spalleggiati dagli omologhi socialisti - imboccarono allora una strada d’intransigente unilateralismo, d’insensato ed acritico irrigidimento ideologico, e prestarono così il fianco ai prevedibili attacchi degli avversari filo-occidentali.
L’“Avanti!” e l’“Unità” liquidarono rapidamente la morte di Masaryk, figlio del fondatore della repubblica cecoslovacca, ricorrendo alla spiegazione più sospetta: il suicidio; il giornale socialista, a sua volta, si spinse a proporre un “momento d’alienazione mentale”, mentre i colleghi comunisti preferirono optare per la volontà di sottrarsi alle ingerenze “anglo-americane”. Analogamente, le responsabilità dell’accaduto furono addebitate allo “spionaggio americano” dalla stampa comunista, mentre i socialisti esultarono per la “vittoria del popolo” sui “circoli reazionari”, ed arrivarono a recapitare un telegramma di felicitazioni al leader socialdemocratico Zdenek Fierlinger.
La politica del doppio metro di giudizio, aggressivo contro le malefatte dei Paesi capitalisti quanto remissivo nei confronti del Blocco sovietico, si rivelò allora nella sua pienezza: ma costituiva una debolezza per così dire strutturale e malcelata, fondata sulla pretesa superiorità del modello sovietico e sul settarismo ideologico che la rafforzava. Un cocktail, in fin dei conti, indigesto anche per l’elettorato più tiepido e per quella fetta del ceto medio o della classe operaia più “gradualista”, che seguitava a rifarsi al Psi, rimasta disorientata dall’istantaneo allineamento alle posizioni comuniste: “Togliatti e Nenni”, scrisse Valiani, “commisero l’incredibile errore di non limitarsi a cercare giustificazioni economico-sociali a quanto accadeva a Praga, e che colpiva profondamente l’opinione italiana, ma di esaltarlo come una prova di democrazia politica, ché, dicevano, i comunisti e socialisti cecoslovacchi avevano, messi assieme, il 56% dei seggi al parlamento. Chi li ascoltava, ne traeva la conclusione che se Togliatti e Nenni avessero potuto disporre del 56% dei seggi al futuro parlamento italiano, non avrebbero avuto scrupoli ad imitare la soppressione delle libertà democratiche avvenuta a Praga. Secondo molta verosimiglianza si trattava di un pericolo immaginario…Ma l’impressione al Paese fu data, e il Paese, che sentiva ancora il bruciore della dittatura mussoliniana, ne tenne conto”: l’eliminazione delle “vie nazionali” al socialismo comportò anche l’assunzione e – quel ch’è peggio – la rivendicazione di colpe altrui.
Questa impostazione costrinse il Fronte, nonostante il volto garibaldino scelto per rappresentarlo, su una posizione difensiva che alla lunga nocque alla campagna elettorale delle sinistre: una prospettiva, questa, suffragata ad esempio dall’atteggiamento tenuto sul piano Marshall, che in quei mesi si preparava ad entrare in funzione e godeva già di grandi aspettative ma continuava a dividere comunisti e socialisti, intransigenti i primi, critici ma aperturisti i secondi, nonostante il 78% degli italiani lo conoscessero ed il 65% fossero favorevoli, contro il 14% dei contrari, secondo un sondaggio internazionale effettuato prima delle elezioni.
A prescindere dall’intervento americano di cui sopra, la posizione frontista (sì agli aiuti, ma a condizione di poterli gestire per i lavoratori e di non pregiudicare l’autonomia nazionale) mancava di coerenza, come acutamente notato da Giorgio Galli: “Se il Piano Marshall era rigidamente concepito quale strumento di difesa del capitalismo europeo e di espansione di quello americano, non sarebbe stato certo un successo elettorale della sinistra italiana a far desistere Washington da un piano così architettato, per trasformarlo nel suo opposto, cioè in un mezzo di soddisfazione dei bisogni popolari. Se invece il piano fosse stato modificato perché un governo italiano diverso da quello De Gasperi lo avesse chiesto, allora veniva a cadere tutta la valutazione ‘catastrofica’ che ne veniva data.
L’ammissione che neanche l’eventuale governo del Fronte avrebbe rifiutato gli aiuti era una concessione all’orientamento dell’opinione pubblica che si intendeva acquisire, ma mentre questo fatto era privo di efficacia sul terreno propagandistico (non basta la buona volontà frontista di ricevere gli aiuti, occorre anche quella americana di fornirli, si osservava) permetteva agli avversari di rilevare l’incoerenza di cui si è detto”.
Contemporaneamente, le sinistre subirono l’offensiva delle lettere dall’America e non seppero far altro che bilanciarla con messaggi pro-frontisti dei gruppi di sinistra e di alcuni sindacati. Lo stesso atteggiamento confuso rivelarono riguardo la questione di Trieste: alla dichiarazione tripartita risposero prima richiamando la solita “speculazione elettorale”, aggravata dal tentativo di trascinare l’Italia in un’atmosfera di guerra, e poi rivendicando la disponibilità polacca a restituire all’Italia le vecchie colonie.
Allo stesso modo non riuscirono a supplire alle lacune sul fondamentale tema della politica estera, alle contraddizioni generate da una precisa situazione storica (e insieme strategica, politica, culturale…): mancò, in fin dei conti, un’alternativa credibile.
Basti pensare alla dichiarazione dell’11 aprile che chiedeva “a tutti i partiti l’impegno solenne di rifiutare in qualunque caso l’adesione dell’Italia a qualsiasi alleanza, coalizione o blocco che abbia direttamente o indirettamente contenuto o significato militare e di preparazione ad un nuovo conflitto armato e assume per conto proprio questo impegno davanti al popolo”: propositi di non allineamento che nessuno, e tantomeno il Pci aderente al Comintern, poteva garantire.
Quest’ambiguità fu rivelata dagli organi di stampa frontisti, che d’altra parte censurarono fedelmente ogni minima forma di dissenso, od anche solo di critica, nei riguardi del sistema sovietico; si renda ad esempio “l’Unità” del 2 aprile, capace di celare il riferimento all’URSS dell’articolo di Henry Wallace, candidato progressista alle elezioni americane di novembre, sulla situazione italiana: il quale sosteneva che, se fosse esistita una legge internazionale “per regolare la libertà delle elezioni gli Stati Uniti avrebbero buone probabilità di essere i primi a essere condannati per la sua violazione. La Gran Bretagna e la Russia (sostituito con: “e qualche altro Paese”, nda) si batterebbero per conquistare il secondo posto”.
Fu lo stesso Wallace, per primo, a denunciare queste manipolazioni, rifornendo di facili ironie la stampa anti-comunista: e si può intuire come la maggior parte dei votanti considerasse la pretesa delle sinistre, una volta al governo, di difendere l’autonomia italiana con i fatti, se non ci riusciva con le parole.
Non bastavano, per bilanciare il piatto, i documentari elaborati dal Pci, il richiamo alla lotta partigiana (che aveva clamorosamente fallito l’obiettivo di modificare mentalità e valori del Paese), le critiche alle scelte finanziarie del governo favorevoli alle classi privilegiate, gli attacchi sulle riforme promesse e sull’oscura utilizzazione degli aiuti americani (come nel caso del “fondo-lire”, un residuo derivante dalla distribuzione a prezzi di mercato degli aiuti Unrra e post-Unrra, sovente gratuiti o quasi), le ironie sull’“americanismo” o sul carattere straniero del leader democristiano (rinominato “Von Gasper”, per richiamarne il passato di deputato austriaco), le rivelazioni dell’“Unità” e dell’“Avanti!” sui presunti documenti segreti vaticani, sfoderati per dimostrare le interferenze della Chiesa nella politica italiana; il modello politico e sociale di riferimento delle sinistre (nonostante i tentennamenti socialisti), l’Unione Sovietica, non reggeva neanche lontanamente il confronto con l’avversario, eppure fu descritto come un eden incantato dai notabili frontisti, manovrati dagli omologhi sovietici.
La Dc, allora, ebbe gioco facile: screditando il modello, infatti, riuscì a smantellare d’un colpo il coeur ideologico degli avversari. Uscire da una posizione di così profonda debolezza si rivelò, in fin dei conti, impossibile.
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- FrancescaR
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Perché il rischio è che possa ricapitare che una nazione si senta superiore a un’altra
Ma no; si rilassi e riposi tranquillo, l'egregio Renato Sarti.
Non accadrà, nessuno oserà soffiare Loro il Primato assoluto e incontestabile.
I goyim continueranno a sottomettersi docilmente.
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PSYOPS , termine con cui sono indicate le operazioni di guerra psicologica atte a sottomettere e guidare i governi "amici" delle nazioni alleate "colonie".
In italia subito dopo il 1948 iniziano le operazioni per mantenere a tutti i costi il paese entro certi limiti dettati dalla guerra fredda in atto tra le due super potenze dell'epoca u.s.a. e u.r.s.s.
Saranno anni come vedremo costellati di tentati golpe,attentati e formazioni clandestine di destra e di sinistra tutte naturalmente infiltrate e manovrate.
In italia la persona che a mio avviso e' piu' preparata per parlare di queste cose e' Solange Manfredi,questo un breve video di presentazione.
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Ci sono voluti 50 anni per sapere la verita' sulla strage di portella della ginestra avvenuta il 1° maggio del 1947, 50 anni per sapere le scelte precise del nuovo "padrone", alleanze con i vecchi nemici per fermare come dice la versione ufficiale la deriva comunista, in verita' per bloccare l'emancipazione del paese italia da vassallo a nazione con sovranita' effettiva. In quanto nazione sconfitta siamo ancora nell'orbita nato,che lo vogliamo o meno, i nostri politici devono rendere conto del loro operato e del loro voler fare a tali entita' politiche,finanziarie,militari.
La strage di portella della ginestra e' stato l'imput.
Questo video e' tratto dal film "segreti di stato",il primo che ha svelato dietro la visione di documenti u.s.a. desecretati , le precise volonta' politiche e la "strana" alleanza tra mafia, servizi segreti occidentali, elementi della x mas di junior valerio borghese,personaggio salvato da un processo per crimini di guerra dal servizio segreto americano e usato in funzione anticomunista e destabilizzatrice, lo ritroveremo spesso nelle storie "nascoste" di questo paese.
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Politico e poi ministro di prima grandezza fino ad arrivare a presidente del consiglio Aldo Moro personaggio di spicco della d.c. cresciuto a pane e politiche filo nato, ad un certo punto si convinse che l'italia poteva diventare padrona del suo destino, con una politica equidistante sul medio oriente e l'apertura al p.c.i. di berlinguer, fece male i suoi calcoli, la sua "disobbedienza" gli costera' cara, diventando il primo degli amici ingrati :
di Gianni Lannes
«La decisione di far uccidere Moro non venne presa alla leggera. Ne discutemmo a lungo, perché a nessuno piace sacrificare delle vite. Ma Cossiga mantenne ferma la rotta e così arrivammo a una soluzione molto difficile, soprattutto per lui. Con la sua morte impedimmo a Berlinguer di arrivare al potere e di evitare così la destabilizzazione dell’Italia e dell’Europa».
Così parlò nel 2006 Steve Pieczenik, il consigliere di Stato USA, chiamato al fianco di Francesco Cossiga per risolvere la condizione di crisi, in un’intervista pubblicata in Francia dal giornalista Emmanuel Amara, nel libro Nous avons tué Aldo Moro. Ancora prima il 16 marzo del 2001 in una precedente dichiarazione rilasciata a Italy Daily, lo stesso Pieczenik disse che il suo compito per conto del governo di Washington era stato quello
«di stabilizzare l’Italia in modo che la Dc non cedesse. La paura degli americani era che un cedimento della Dc avrebbe portato consenso al Pci, già vicino a ottenere la maggioranza. In situazioni normali, nonostante le tante crisi di governo, l’Italia era sempre stata saldamente in mano alla Dc. Ma adesso, con Moro che dava segni di cedimento, la situazione era a rischio. Venne pertanto presa la decisione di non trattare. Politicamente non c’era altra scelta. Questo però significa che Moro sarebbe stato giustiziato. Il fatto è che lui non era indispensabile ai fini della stabilità dell’Italia».
Queste dichiarazioni di un esponente ufficiale del governo United States of America (assistente del segretario di Stato sotto Kissinger, Vance, Schultz, Baker) di dominio pubblico da tempo, anzi il 9 marzo 2008 sono peraltro state riportate dal quotidiano La Stampa ("Ho manipolato le br per far uccidere Moro"). E non sono mai state smentite da Cossiga e Andreotti. Ma allora, come mai la magistratura italiana, ovvero la procura della Repubblica di Roma, non convoca Steve Pieczenik in Italia e lo torchia legalmente a dovere? Proprio Pieczenik nei primi anni Settanta fu chiamato da Henry Kissinger a lavorare da consulente presso il ministero degli Esteri con l'approvazione di Nixon. Kissinger aveva minacciato di morte Aldo Moro. Kissinger ai giorni nostri è stato ricevuto come se niente fosse da Giorgio Napolitano, quello eletto da onorevoli illegittimi, che ha piazzato ben tre governi abusivi, ossia Monti, Letta, Renzi (sentenza della Corte costituzionale numero 1 del gennaio 2014) che il popolo "sovrano" non ha votato.
L'ex vicepresidente del CSM ed ex vicesegretario della Democrazia Cristiana Giovanni Galloni il 5 luglio 2005, in un'intervista nella trasmissione NEXT di Rainews24, disse che poche settimane prima del rapimento, Moro gli confidò, discutendo della difficoltà di trovare i covi delle BR, di essere a conoscenza del fatto che sia i servizi americani che quelli israeliani avevano degli infiltrati nelle BR, ma che gli italiani non erano tenuti al corrente di queste attività che sarebbero potute essere d'aiuto nell'individuare i covi dei brigatisti. Galloni sostenne anche che vi furono parecchie difficoltà a mettersi in contatto con i servizi statunitensi durante i giorni del rapimento, ma che alcune informazioni potevano tuttavia essere arrivate dagli USA:
«Pecorelli scrisse che il 15 marzo 1978 sarebbe accaduto un fatto molto grave in Italia e si scoprì dopo che Moro doveva essere rapito il giorno prima (...) l'assassinio di Pecorelli potrebbe essere stato determinato dalle cose che il giornalista era in grado di rivelare».
Lo stesso Galloni aveva già effettuato dichiarazioni simili durante un'audizione alla Commissione Stragi il 22 luglio 1998, in cui affermò anche che durante un suo viaggio negli USA del 1976 gli era stato fatto presente che, per motivi strategici (il timore di perdere le basi militari su suolo italiano, che erano la prima linea di difesa in caso di invasione dell'Europa da parte sovietica) gli Stati Uniti erano contrari ad un governo aperto ai comunisti come quello a cui puntava Moro:
«Quindi, l'entrata dei comunisti in Italia nel Governo o nella maggioranza era una questione strategica, di vita o di morte, "life or death" come dissero, per gli Stati Uniti d'America, perché se fossero arrivati i comunisti al Governo in Italia sicuramente loro sarebbero stati cacciati da quelle basi e questo non lo potevano permettere a nessun costo. Qui si verificavano le divisioni tra colombe e falchi. I falchi affermavano in modo minaccioso che questo non lo avrebbero mai permesso, costi quel che costi, per cui vedevo dietro questa affermazione colpi di Stato, insurrezioni e cose del genere».
La prigione di Aldo Moro, nel cuore di Roma, ovvero nel quartiere ebraico, ad un soffio da via Caetani dove il 9 maggio 1978 fu ritrovato il corpo senza vita dello statista, era ben nota al governo di allora (Cossiga e Andreotti). Il 16 marzo 1978 la strage di via Fani fu compiuta da uomini dei servizi segreti italiani. Era presente in loco il colonnello Camillo Guglielmi, ufficiale del Sismi, il servizio segreto militare, addetto all’Ufficio “R” per il controllo e la sicurezza. Quei cosiddetti brigatisti rossi non sapevano neanche tenere in mano un'arma giocattolo, figuriamoci sparare con armi vere e assassinare due carabinieri e tre poliziotti. Mai come allora gli apparati di cosiddetta sicurezza italiana unitamente alle forze dell’ordine, mostrarono una così grande inettitudine voluta. I brigatisti grazie a una trattativa segreta con lo Stato tricolore sono oggi tutti liberi. Come se la spassano adesso Valerio Morucci (vari ergastoli), Mario Moretti (condannato a 6 ergastoli) e Barbara Balzerani? A proposito: le carte sulla vicenda Moro, in barba alla legge vigente, sono ancora sottoposte all’impermeabile segreto di Stato, nonostante i proclami propagandistici di Renzi. Anche per questo siamo una colonia a stelle e strisce, un’Italietta delle banane eterodiretta dall'estero, a sovranità inesistente.
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Nel lontano 2002 esce in italia un libro pubblicato da Mondadori scritto da due storici, Rita Monaldi e Francesco Sorti, intitolato Imprimatur. Il libro scala rapidamente le classifiche e diventa in poco tempo uno dei libri più letti nel nostro paese e all'estero, tanto che il pubblico italiano chiede immediatamente una seconda edizione. Nonostante il record di vendite l'editore non pubblica alcuna ristampa. Qualcuno parla di censura, ma a quale editore sano di mente verrebbe mai in mente di censurare un romanzo di successo? Nel frattempo i due autori si stabiliscono a Vienna, dove risiedono tutt'ora e scrivono altri romanzi con lo stesso protagonista di Imprimatur, diventando famosi in tutto il mondo con più di 60 milioni di copie vendute, ma sconosciuti in patria.
Una volta scoperto di cosa parla Imprimatur non è difficile capire da dove possa essere calata la scure che ha troncato per tredici anni ogni parola su questo libro nel nostro paese. Imprimatur è un giallo storico erudito, come Il Nome della Rosa, che vede protagonista l'abate Atto Melani, cantante castrato e spia del re di Francia Luigi XIV, indagare sulla morte di un misterioso gentiluomo francese alla locanda del Donzello nella Roma del Seicento, mentre sullo sfondo le armate cristiane riunite da Papa Innocenzo XI combattono a Vienna per respingere i turchi dall'Europa. La ricostruzione storica è finissima ed elegante, i personaggi parlano proprio con i toni ampollosi degli scritti secenteschi e nonostante questo le seicento pagine del romanzo scorrono via piacevolmente.
Il romanzo non è solo una bella ricostruzione storica ma contiene anche una clamorosa rivelazione su Innocenzo XI, tradizionalmente visto come un Papa pio e frugale, supportata dalla vasta ricerca documentale dei due autori, rivelazione che ha impedito la canonizzazione del pontefice, belva insatiabilis.
Nello spoiler la succulenta rivelazione. Vi consiglio però di leggere prima il romanzo e anche i suoi seguiti, come sto facendo io, perché il duo non è nuovo a scoprire misteri e magagne che mandano all'aria la comoda placidità della storiografia ufficiale.
Per cui lasciate stare lo spoiler e andate in libreria.
Ai cultori di Fomenko in particolare, consiglio la lettura di Mysterium, il quarto romanzo dei due autori in cui si parla della cronologia critica, cioè del taglio di secoli e secoli di storia, inventati di sana pianta dagli antichi. Monaldi e Sorti sono anche stati sfidati proprio su questo argomento da uno storico che però dopo aver lanciato la sfida non si è più fatto vedere, adducendo varie giustificazioni.
Nota demenziale: Il libro si apre l'11 settembre 1683, giorno in cui viene nominata una malattia che affligge tutti gli utenti di LC, il Mal di Mazucco. :goof:
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Tratto dal sito coscienze in rete
Un percorso da brividi.
Proprio così: questo il testo predisposto da Solange Manfredi con la redazione di “PSYOPS”. Un percorso ben documentato che suscita ripetutamente il brivido di una conferma lungamente attesa: “Ma allora era proprio così… Non ero uscito di senno…”.
In tanti avevamo sospettato, in parte anche saputo per esperienza diretta… di essere oggetto di trame per condizionarci in certe direzioni di scelta politica. E avevamo compreso che potenze straniere, spesso legate ad oscuri poteri manipolatori, avevano “talvolta” operato per influenzarci. E come sempre tutti i grandi media, gli accademici “riconosciuti” e le persone “sensate”, ribattevano con grande sicurezza che non era così. Che tutto era trasparente e che questo era il solito “complottismo” privo di fondamento. Un coretto così diffuso e “autorevole” da insinuarci talvolta qualche dubbio…
Ma era solo l’antico coretto plaudente degli inconsapevoli condizionati o dei servi del potere…
Da questo rigoroso studio di Solange Manfredi emerge invece con forza qualcosa di ben più solido del momentaneo sospetto: la certezza che il disegno di manipolazione delle masse, delle classi politiche e delle dirigenze italiane è un vero e proprio, costante modus operandi. Sempre in funzione di condizionamento e stravolgimento delle regole e dei principi di democrazia. E per nulla sporadico. E che a questo gioco perverso si sono prestate schiere di traditori del loro Paese e della propria coscienza, spesso dentro le strutture dello Stato. Talmente “dentro” da risultare normalmente del tutto, ancora, impuniti.
Se i cittadini o i politici si orientano liberamente in certi modi, c’è sempre qualcuno che fa di tutto per porli nelle condizioni di scegliere diversamente, in direzioni che corrispondono non agli interessi o alle autonome opzioni dei cittadini, ma ai disegni schiavizzanti dei grandi poteri di manipolazione che si muovono dietro le quinte. E questo avviene di norma nella pressoché totale impunità e senza badare ai mezzi che freddamente e cinicamente si adoperano: corruzione, stragi, bombe, omicidi, terrorismo… persino guerre. Si creano tensioni e inimicizie che non esistevano, si imbrogliano generazioni di ragazzi, di cittadini e di politici con falsi problemi, false ideologie, falsi leader, falsi profeti, falsi schemi mentali.
E ad organizzare queste trame personaggi spesso oscuri ma insolitamente potenti, una strana commistione tra esoterismo deteriore, capacità di corruzione, affarismo e profili morali bassissimi… E sono loro a cucire insieme ordini oscuri, servizi segreti, ideologie depravate, ragazzi immaturi, servitori deviati dello Stato, carrieristi politici senza scrupoli, industriali e finanzieri impauriti o affamati, giornalisti venduti, pezzi di logge massoniche e di ordini religiosi. Per eseguire precise strategie di manipolazione che come primo obiettivo hanno quello di ridurre gli spazi di crescita e di libertà delle nostre coscienze. Perché rimangano schiave di quegli stessi antichi poteri che, pur cambiando di epoca in epoca volti e modalità, proprio grazie alle catene psichiche che ci opprimono continuano a dominare il mondo della politica, della scienza, della cultura e dell’economia.
Ecco, sono proprio queste “catene psichiche” - che noi normalmente già nutriamo nella nostra vita individuale – che gli stessi poteri amplificano e sfruttano in modo raffinato, freddo e calcolato. Aggiungendo al momento opportuno paure, ansie, seduzioni, con quegli antichi meccanismi che ora gli anglosassoni - amanti delle sigle e delle abbreviazioni - chiamano PSYOPS, Psychological Operations.
Questo libro documenta con chiarezza come questo sia avvenuto con costanza e pervicacia per settanta anni della nostra Storia recente, e getti ancora un’ombra sinistra sul presente e sul futuro, facendo sorgere un’ovvia domanda: lo stanno facendo anche adesso? Nulla è cambiato nelle strutture di potere, che stanno anche ora continuando a manipolare le nostre coscienze con gli stessi intenti, e certamente continueranno a farlo. Basta guardarsi intorno con occhi lucidi e pensiero libero per rendersene conto.
Volti e temi nuovi sono solo le maschere aggiornate di vecchissimi poteri. Sia negli schieramenti di maggioranza che nelle opposizioni, che vengono accuratamente selezionate, condizionate o create per alimentare il gioco della manipolazione, come risulta ottimamente documentato dal testo di Solange Manfredi.
E le efficaci manovre occulte dell’ineffabile spia crowleyana Cambareri traggono alimento da una ideologia “mondialista” che si ritrova decenni dopo nelle motivazioni occulte dell’assassinio di Aldo Moro, e tuttora nei pesanti condizionamenti eurocentrici alla sovranità delle democrazie europee. La firma dietro le manovre di Cambareri appare la stessa che è dietro al caso Moro e alle pesanti spinte accentratrici odierne.
Qui in fondo c'e' un video con un interessante intervista a Solange Manfredi,e' un po' lunga dura circa un 'ora ma ne vale la pena.
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Un altro amico "ingrato", bettino craxi, esponente di punta del p.s.i. anni 80 dello scorso secolo, un partito che trenta anni prima era passato armi e bagagli sotto l'ombrello nato, un partito il p.s.i. che rappresentava il peggio o il meglio dipende dai punti di vista, di quello che l'elettore italiano medio desiderava dalla politica, il buon Gaber li aveva inquadrati magistralmente ed impietosamente nel brano "io se fossi dio", caratterizzandoli per le loro spensierate alleanze di destra,di sinistra,di centro, con i suoi uomini di partito nuovi di fuori e vecchi di dentro, tutti allineati e coperti a favore della politica che washington dettava e detta tuttora.
Ebbene Craxi ebbe un sussulto di orgoglio o piu' semplicemente pensava di poterselo permettere, quella famosa notte a sigonella,quando da politico vero decise per la sovranita' del territorio italiano, nel filmato che seguira', egregiamente condotto da giovanni minoli craxiano convinto della prima ora, minuto per minuto la vicenda che decise il destino di craxi e la fine del p.s.i. con l'inchiesta "mani pulite", anch'essa teleguidata dall'estero, la vendetta si abbatte' di nuovo sulla colonia italia,servivano altri servi, che a qualcuno piaccia o meno, servi di governo e servi di opposizione,il tempo della d.c. e del p.s.i. era finito.
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Per anni nell'immaginario colletivo abbiamo avuto come figure eroiche il pool di mani pulite, un pool guidato dal giudice di origini umili (di pietro), qualcuno che arrivava agli onori della cronaca partendo dal basso, per anni ci hanno fatto credere che le cose stessero cambiando, in un colpo solo ci siamo sbarazzati del proporzionale con la scelta del nome del candidato per arrivare al maggioritario neanche tanto secco e le liste bloccate, dicevano per poter finalmente interrompere il proliferare di partiti inutili, meglio due grandi schieramenti come i paesi "civili", abbiamo creduto di aver eliminato ministeri inutili e ce li siamo ritrovati sotto un altra definizione e la corruzione? Beh quella e' rimasta, cosa credevamo di aspettarci? Sono cambiati soltanto gli esecutori, esecutori che hanno ricevuto il beneplacido del padrone di turno.
Quella che segue e' un intervista di maurizio molinari a reginald bartholomew ambasciatore usa a Roma dal 1993 al 1997,notare come siano stati decisi i politici del "nuovo corso", tanto per continuare a rinfrescare la memoria a chi crede che il suo politico sia "duro e puro"!
Maurizio Molinari
corrispondente da new york
Il mese scorso ho incontrato a New York l’ex ambasciatore Reginald Bartholomew che, dopo avermi detto di aver visto il mio libro «Governo Ombra», sull’Italia del 1978 descritta dai documenti del Dipartimento di Stato, mi ha chiesto se avevo voglia di parlare con lui dei suoi anni alla guida dell’ambasciata di Roma, cosa che non aveva mai fatto. «Non ho diari, ho solo la mia mente per ricordare» osservò. Ci vedemmo a cena da «Felidia» a Manhattan e Bartholomew incominciò subito a raccontarmi di Tangentopoli e del terremoto politico-giudiziario che trovò al suo arrivo in Italia. Era già molto malato, anche se non ne fece parola, e aveva urgenza di lasciare una testimonianza. Raccolsi il suo racconto - che lui ha avuto modo di rivedere trascritto- con l’intenzione di usarlo come base per una nuova inchiesta sul rapporto tra Italia e Stati Uniti e sull’approccio americano al team «Mani Pulite». Da quel momento ho cominciato a cercare i documenti dell’epoca e i protagonisti ancora in vita. Primo tra tutti l’ex Console generale Usa a Milano Peter Semler, a cui Bartholomew attribuiva un ruolo chiave nell’iniziale sostegno americano all’inchiesta di Antonio Di Pietro. Quando ho saputo dell’improvvisa morte del 76enne Bartholomew, avvenuta domenica all’ospedale Sloan-Kettering di New York a causa di un tumore, ho pensato che fosse giusto pubblicare quanto finora raccolto. A cominciare da questa prima puntata che contiene appunto la testimonianza di Bartholomew, un diplomatico raffinato e colto, convinto che il passaggio alla Seconda Repubblica dovesse essere opera di una nuova classe politica - a cui aprì le porte dell’Ambasciata - e non solo opera dei magistrati. Ecco il suo racconto.
Completo blu, camicia bianca e cravatta rossa, Reginald Bartholomew arriva puntuale all’appuntamento nell’Upper East Side fissato per ricordare il periodo, dal 1993 al 1997, che lo vide guidare l’ambasciata americana a Roma. «L’Italia politica era in fase di disfacimento, il sistema stava implodendo a causa di Tangentopoli iniziata l’anno precedente ed io mi trovai catapultato dentro tutto questo quasi per caso», esordisce. In effetti Bartholomew, ex sottosegretario di Stato agli Armamenti, ex ambasciatore a Beirut e a Madrid, era ambasciatore presso la Nato. «Lo aveva deciso Bush padre prima di lasciare la Casa Bianca, poi quando arrivò Bill Clinton decise di farmi inviato in Bosnia e stava pensando di nominarmi ambasciatore in Israele». Ma in una delle prime riunioni sulla politica estera tenute da Bill Clinton nello Studio Ovale, con solo sette stretti consiglieri presenti, l’Italia spunta nell’agenda. Siamo all’inizio del 1993, Clinton sta incominciando la presidenza, l’Italia appare in decomposizione e «uno dei sette fece il mio nome al presidente», osservando che in una fase di tale delicatezza a Roma sarebbe servito un veterano del Foreign Service. Clinton assentì, rompendo con la tradizione di mandare in Via Veneto un ambasciatore politico scelto fra i maggiori finanziatori elettorali, e Bartholomew venne così catapultato nell’Italia del precario governo di Giuliano Amato sostenuto dagli esangui Dc, Psi, Psdi e Pli, con Oscar Luigi Scalfaro arrivato al Quirinale sulla scia della strage di Capaci, il Pds di Achille Occhetto in ascesa e Silvio Berlusconi impegnato a progettare la discesa in campo. «Ma soprattutto quella era la stagione di Mani Pulite - dice Bartholomew -, un pool di magistrati di Milano che nell’intento di combattere la corruzione politica dilagante era andato ben oltre, violando sistematicamente i diritti di difesa degli imputati in maniera inaccettabile in una democrazia come l’Italia, a cui ogni americano si sente legato».
Indagini giudiziarie, arresti di politici «presero subito il sopravvento sul resto del lavoro, perché la classe politica si stava sgretolando ponendo rischi per la stabilità di un alleato strategico nel bel mezzo del Mediterraneo», ed è in questa cornice che Bartholomew si accorge che qualcosa nel Consolato a Milano «non quadrava». Se fino a quel momento il predecessore Peter Secchia aveva consentito al Consolato di Milano di gestire un legame diretto con il pool di Mani Pulite, «d’ora in avanti tutto ciò con me cessò», riportando le decisioni in Via Veneto. Fra le iniziative che Bartholomew prese ci fu «quella di far venire a Villa Taverna il giudice della Corte Suprema Antonino Scalia, sfruttando una sua visita in Italia, per fargli incontrare sette importanti giudici italiani e spingerli a confrontarsi con la violazione dei diritti di difesa da parte di Mani Pulite». Bartholomew non fa i nomi dei giudici italiani presenti a quell’incontro nella residenza romana, ma ricorda bene che «nessuno obiettò quando Scalia disse che il comportamento di Mani Pulite con la detenzione preventiva violava i diritti basilari degli imputati», andando contro «i principi cardine del diritto anglosassone». Pochi mesi più tardi, nel luglio del 1994, il presidente Clinton arriva in Italia per partecipare al summit del G7 che il governo del neopremier Silvio Berlusconi ospita a Napoli. In coincidenza con i lavori, Mani Pulite recapita al presidente del Consiglio un avviso di garanzia e la reazione di Bartholomew è molto aspra. «Si trattò di un’offesa al presidente degli Stati Uniti, perché era al vertice e il pool di Mani Pulite aveva deciso di sfruttarlo per aumentare l’impatto della sua iniziativa giudiziaria contro Berlusconi», sottolinea l’ex ambasciatore, aggiungendo: «gliela feci pagare a Mani Pulite». Nulla da sorprendersi se in tale clima l’ambasciatore Usa all’epoca non ebbe incontri con i giudici del pool, «neanche con Antonio Di Pietro», mentre si dedicò a fondo a tessere i rapporti con le forze politiche emergenti. «I leader della Dc un giorno mi vennero a trovare, fu un incontro molto triste, sembrava quasi un funerale, era la conferma che bisognava guardare in avanti». Con il Pds, attraverso Massimo D’Alema, si sviluppò «un rapporto che sarebbe durato nel tempo». «D’Alema mi chiamò al telefono, gli dissi di venirmi a trovare e lui, dopo una certa sorpresa, accettò - rammenta Bartholomew -; quando lo vidi gli dissi con franchezza che il Muro di Berlino era crollato, quanto avevano fatto e pensato i comunisti in passato non mi interessava, mentre ciò che contava era la futura direzione di marcia, se cioè volevano essere nostri alleati così come noi volevamo continuare a esserlo dell’Italia». Ne nacque «un rapporto solido, continuato in futuro» con il Pds, «mentre con Romano Prodi fu tutto complicato dal fatto che, quando diventò premier nel 1996 del primo governo di centrosinistra della Repubblica, voleva a tutti i costi andare al più presto da Clinton, ma la Casa Bianca in quel momento aveva un altro calendario, e Prodi se la prese con me». Per tentare di riconquistare il rapporto personale con il premier «dovetti andare una domenica a Bologna, farmi trovare nel suo ristorante preferito e allora finalmente mi parlò, ci spiegammo». L’apertura al Pds coincise con quella a Gianfranco Fini, che guidava l’Msi precedente alla svolta di Fiuggi. «Con entrambi l’approccio fu il medesimo, si trattava di aprire una nuova stagione - dice Bartholomew -, ed ebbi lo stesso approccio, guardando avanti e non indietro, anche se devo ammettere che nei salotti romani il mio dialogo con Fini piaceva assai meno di quello con D’Alema».
L’altro leader che Bartholomew ricorda è Berlusconi. «La prima volta che ci vedemmo lo aspettavo all’ambasciata da solo, ma si presentò assieme a Gianni Letta, voleva il mio imprimatur per la sua entrata in politica e gli risposi che toccava a lui decidere se essere “King” o “Kingmaker”», ma l’osservazione colse in contropiede Berlusconi, «che diede l’impressione di non sapere cosa significasse “Kingmaker” e dopo essersi consultato con Letta mi rispose “Kingmaker? Noooo”». Dall’incontro, avvenuto poco prima dell’entrata in politica di Berlusconi nel 1994, Bartholomew trasse comunque l’impressione che si trattava di una candidatura molto seria «e nei mesi seguenti, girando l’Italia, mi accorsi che aveva largo seguito, sebbene personaggi come Eugenio Scalfari, direttore di Repubblica, mi obiettavano che non potevo capire molto di politica italiana essendo arrivato solo da pochi mesi». A conti fatti, guardando indietro a quella fase storica, Bartholomew rivendica il merito di aver rimesso sui binari della politica il rapporto fra Washington e l’Italia, dirottato dal legame troppo stretto fra il Consolato di Milano e Mani Pulite, identificando in D’Alema e Berlusconi due leader che negli anni seguenti si sarebbero rivelati in più occasioni molto importanti per la tutela degli interessi americani nello scacchiere del Mediterraneo.
NO FAITHS NO PAIN
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Facciamo un salto indietro di una ventina di anni dal post precedente, siamo negli anni 70 del secolo scorso, l'italia era in fermento politico,culturale,sociale, dagli operai agli studenti alla classe media che in quegli anni rappresentava la classe impiegatizia,tutti rivendicavano un maggior protagonismo sulla scena nazionale,erano anni veloci, sembrava davvero che la svolta fosse dietro l'angolo, ma come dimenticare le ombre dei colonizzatori vecchi e nuovi che si allungavano dietro ogni decisione presa in autonomia.siamo un paese strategicamente importante,troppo importante per essere lasciato "al nemico".Di fatto stati uniti,inghilterra e francia da una parte u.r.s.s. dall'altra tentarono di rovesciare la gia' fragile repubblica italica,in modo da avere governi o dittature asservite,all'epoca spagna,portogallo,grecia erano guidate da dittature militari fasciste e violente,l'italia era il paese occidentale che si affacciava sul mediterraneo che rappresentava un'eccezione molto pericolosa,tutti i tentavi di golpe erano falliti per motivi che vedremo in seguito, come fare allora per destabilizzare?
Tratteremo una delle organizzazioni eversive che maggiormente ha scritto pagine insanguinate culminate con il rapimento e l'uccisione di aldo moro,le brigate rosse, se da una parte le formazioni di destra erano palesemente infiltrate e finanziate dall'ombrello nato, quelle di sinistra ebbero un'evoluzione anomala,quelle che non vollero assoggettarsi alla logica dell'infiltrazione furono ben presto sgominate,le brigate rosse subirono un cambio di leadership che ha dell'incredibile.
Seguiamolo con Roberto Bartali giornalista e storico fuori dagli schemi, lo conosceremo con un intervista dal sito segreti di stato,sia l'intervista che il suo saggio sulle brigate rosse verra' diviso in piu' parti data la lunghezza e la completezza dell'argomento.
Brigate Rosse: una storia italiana della guerra fredda. Intervista a Roberto Bartali
Intervista tratta dal sito Segreti di Stato :
Con Roberto Bartali assistente di Storia dell’Europa presso l’Università di Siena, ci scriviamo da diverso tempo. Lui ha seguito le nostre discussioni sulla Mitrokhin e sul Caso Moro intervenendo di rado direttamente anche perché impegnato a completare un saggio sulle Brigate Rosse da poco pubblicato su Nuova Storia Contemporanea. Un’anticipazione era uscita qualche tempo fa sulla rivista inglese Modern Italy e sempre in Inghilterra in un volume sugli anni ’70 in Italia (AAVV, Speaking Out and Silencing: Culture, Society and Politics in Italy in the 19070’s, Legenda 2006). Roberto ha curato per l’appunto il capitolo sulla storia delle BR ed il caso Moro.
Quello che segue è un breve abstract che ci ha gentilmente inviato a cui abbiamo fatto seguire alcune domande dirette.
Brigate Rosse: una fenomeno italiano, una storia della guerra fredda
Con la destituzione di Kruscev nel 1964 l’Unione Sovietica iniziò – soprattutto a livello ‘non ufficiale’ – una politica maggiormente aggressiva nei confronti dei paesi occidentali, con un ricorso più intensivo alle cosi dette ‘covered operations’. Queste operazioni riguardavano anche i Partiti comunisti in odore di ortodossia, com’era considerato il Partito comunista italiano; le cosiddette misure attive venivano attuate mediante l’infiltrazione di agenti e l’addestramento di giovani estremisti, e con il loro tramite venivano inviati veri e propri “avvertimenti” al PCI. Anche in questo contesto possono dunque essere inquadrati tre degli accadimenti che hanno caratterizzato gli anni tra il 1968 ed il 1973: il sorgere dei primi gruppi terroristici in Italia (GAP e BR), l’attentato al traliccio dell’energia elettrica dove perse la vita Giangiacomo Feltrinelli, l’incidente in auto occorso ad Enrico Berlinguer a Sofia nel 1973. Il saggio di Bartali si prefigge dunque rileggere la nascita di quell’area di brigatismo che ebbe un origine anteriore ed una matrice dissimile da quella conosciuta e studiata fino ad oggi, e che risulta collocabile a pieno titolo nel contesto della Guerra Fredda.
E’ da sottolineare che quanto emerso dalla lettura delle carte prese in esame non smentisce né si pone in contrasto con quelle ricostruzioni storiche (Flamigni, Cipriani, De Lutiis, Ganulli, Biondo) che puntano l’indice sull’opera di infiltrazione all’interno delle BR da parte di elementi che genericamente potremmo definire filo-atlantici, ma le va semmai ad integrare allargando il quadro interpretativo. Risulta cosi del tutto inappropriato l’appellativo di ‘tesi dietrologiche’ o ‘cospirative’ che certi osservatori hanno riservato ad alcuni lavori sulle Brigate Rosse – soprattutto per quanto riguarda i primi anni di vita del gruppo – in quanto abbiamo ormai la documentata sicurezza che le infiltrazioni si sono realmente verificate.
Durante la Guerra Fredda, insomma, i servizi di sicurezza fecero a pieno il loro mestiere.
Roberto, poco prima che uscisse il tuo saggio su Nuova Storia Contemporanea il quotidiano Libero ha pubblicato un estratto di quel saggio il 19 dicembre scorso. So che non hai apprezzato l’operazione, puoi dirci perché?
Quando uno storico vede pubblicato su un quotidiano il proprio saggio non può essere felice… sul giornale il lavoro non può essere riportato interamente per ovvi motivi di spazio… come minimo restano fuori le note, che sono poi quelle che rendono la scientificità dell’articolo… e poi il giornale di Feltri è decisamente molto schierato politicamente, e non vorrei che vedendo uscire il mio saggio lì mi si appiccicasse un’etichetta cui non tengo proprio (bada bene, questo Destra o Sinistra che siano… faccio solo ricerca storica e dalla politica cerco proprio di non farmi coinvolgere).
Ho però inteso il fine che il direttore della rivista si prefiggeva, cioè soprattutto quello di pubblicizzarla, di rendere “appetibile” il suo acquisto presso il vasto pubblico del giornale di Feltri. E’ una cosa logica ed al tempo stesso priva di secondi fini. In poche parole non l’ho apprezzato, ma tant’è…
L’articolo apparso su Libero in effetti oltre ad essere molto conciso punta decisamente ad evidenziare in maniera molto sbrigativa le responsabilità del PCI. Ci sembra che una recensione più attenta del tuo saggio sia comparsa in un blog ( lostruscio.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=1308427 ).
Non ho letto quel blog, ma in effetti hai ragione. Dalla lettura del mio saggio – sempre se letto con attenzione – non emergono affatto conclusioni “anti-PCI”… anzi, direi che una delle cose di cui sono stato maggiormente colpito studiando le carte è stato l’emergere della posizione di Enrico Berlinguer; un ruolo difficile, complesso, ma a mio avviso affatto “negativo”. Il fatto che il suo partito abbia iniziato a combattere il nascente terrorismo ben prima di quanto comunemente viene ritenuto è una cosa da sottolineare, e finora colpevolmente sottovalutata…
Io ricostruisco e riconosco la storia delle BR – soprattutto delle prime BR, diciamo fino al ’75/’76 – come filiazione diretta di un’ala del PCI, quella comunemente definita “secchiana” (ivi compresi quindi i collegamenti di carattere internazionale… con Praga, tanto per fare un esempio), tenacemente rivoluzionaria, che però all’interno del partito era non solo una ristrettissima minoranza, ma era decisamente in antitesi con il percorso intrapreso fin dalla metà degli anni ’50 dalla leadership, un percorso democratico ribadito con decisione e coraggio prima da Togliatti e poi in maniera ancor più decisa proprio da Berlinguer. Si tratta però di una parte importante della storia delle BR, e soprattutto è completamente assente attualmente dalle ricostruzioni storiche “in voga”.
Con questo non voglio dire che il ’68 e l’autunno caldo non abbiano avuto un ruolo determinante nello sviluppo del gruppo di Curcio e Fanceschini…ci mancherebbe… dico solo che è un qualcosa che partiva da più lontano… che affondava le proprie radici nelle tensioni e nelle aspettative rimaste deluse in una certa area, seppur minima, della base comunista. Questo va detto con molta onestà.
Tu hai avuto modo di scorrere carte e documenti della Commissione Mitrokhin. Che idea ti sei fatto.
Per quanto ho potuto vedere, tra mille difficoltà e “divieti” (visto che moltissimi documenti sono vincolati da segreto, dunque non sono accessibili…), la mia tesi contraddice – anche se solo in parte – quanto emerso da alcuni elaborati prodotti dalla Commissione Mitrokhin.
Diciamo che confutando alcune cose giungo invece ad una interpretazione molto diversa su altre. A mio avviso, infatti, il PCI non può essere considerato colpevole di essere stato per 50 anni una V° colonna dell’URSS in Italia, come affermano taluni, ma a ben vedere fu lo stesso PCI (ed in modo particolare la leadership di Enrico Berlinguer) ad essere stato la vittima (o una delle vittime) delle operazioni del KGB in Italia, operazioni – che loro chiamavano aktivnye meropriyatiya “operazioni attive” appunto – attuate anche attraverso l’aiuto della cosiddetta “ala staliniana” del partito, che poi è proprio quella da cui filiarono (se così si può dire) le prime BR. Quell’ala sì che era una vera e propria V° colonna dei sovietici… ma essa era presente, con funzioni di “controllo”, all’interno del PCI, non era l’intero PCI.
Non entro poi nel merito della polemica politica su Prodi, né sulla nuova pista sulla Strage di Bologna (per quanto quest’ultima sia ben argomentata, tanto da spingere dei magistrati a riaprire le indagini, se non erro…).
Sto aspettando con ansia che l’archivio della commissione Mitrokhin venga depositato presso l’archivio storico del Senato, così da poter avere accesso alla totalità dei documenti. Ho però il timore che non ci sia esattamente la volontà di rendere disponibile per gli storici tutto quel materiale.
Fine prima parte.
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Intervista con Roberto Bartali
Seconda Parte
In questo paese c’è una sorta di “area culturale” trans-partitica molto forte, che per qualche motivo insiste nel sostenere che sugli anni di piombo tutto è ormai noto… C’è la volontà di chiudere con il periodo senza approfondire ulteriormente…. Mentre, a mio sommesso avviso, se fossero rese pubbliche ed accessibili tutte le carte potrebbe essere in parte riscritta la storia dell’Italia contemporanea… insomma, ci sarebbe proprio da “divertirsi”……
Tu saprai che nel dicembre 2005 la Commissione Mitrokhin compì una missione in Ungheria. Al ritorno il Senatore Guzzanti parlò di “verità pazzesche”. Parlò di documenti “in cui è trascritto il diario delle operazioni congiunte fra Brigate Rosse e la rete del terrorismo in Europa e in Medio Oriente diretta dal Kgb e pianificata dalla Stasi tedesco orientale”. Fece anche dei nomi di brigatisti, per esempio Savasta.
C’è un episodio che abbiamo cercato a suo tempo di approfondire che vale la pena essere ricordato.
Il Presidente Guzzanti disse che ad un certo punto durante quella missione l’onorevole Valter Bielli pose personalmente una domanda al rappresentante della procura di Budapest e a quello dei servizi di sicurezza: ‘Ma siamo sicuri che quando dite Brigate rosse non intendiate riferirvi a generiche brigate rivoluzionarie internazionali per comodità indicate come brigate rosse?’. Domanda alla quale, secondo Guzzanti, il portavoce ungherese cortesemente rispose: ‘No, onorevole Bielli: si tratta delle Brigate Rosse italiane, sono le uniche brigate rosse che conosciamo’. L’onorevole Valter Bielli, recentemente definito da Guzzanti “mio acerrimo nemico e nemico dichiarato della Commissione stessa”, da noi contattato nel febbraio dello scorso anno in merito ebbe a dirci:” per quanto attiene alla visita della comm.ne a Budapest e alla mia domanda la risposta, data da un funzionario ungherese che aveva in precedenza rimarcato che mai aveva seguito quell’inchiesta e che nulla poteva dire al riguardo ha poi detto che per quanto poteva presumere, ma non ne aveva cognizione, al novanta per cento se si trovava scritto Br si doveva pensare all’Italia. Le faccio notare che nei documenti ungheresi si parta della Br svizzere, ma in Svizzera agivano altri gruppi non le Br”.
Insomma nei documenti sta scritto BR.
Ho potuto solamente dare un’occhiata molto parziale alle carte trovate in Ungheria (come ho detto sono carte in buona parte vincolate da segreto…). Alcune cose sono però riportate nelle relazioni finali in Commissione Mitrokhin. Ho notato – ovviamente – che si fanno i nomi di Morucci e Savasta come di contatti italiani del “gruppo Carlos”. Non mi è chiaro, però, se essi fossero parte integrante del gruppo o se invece fossero considerati solo dei referenti, dei punti di riferimento, magari di tipo logistico, nel nostro paese…
Certo che se fosse vera la prima ipotesi si aprirebbero scenari davvero interessanti. Il “Tex Willer” di Via Fani (quello che spara la maggioranza dei colpi e che è così abile da fare perfino un saltello reggendo il mitra che sta facendo fuoco…), in uno scenario simile, potrebbe infatti essere stato uno in “prestito” dalla banda Carlos. Però, ripeto, trovare dei nomi in un’agendina, a livello storiografico, non è granché probante…
Tu sai come il Senatore Guzzanti interpreta la famosa seduta spiritica dell’aprile 1978 in cui venne fatto il nome di Gradoli. Vuoi esprimere una tua opinione in merito?
Questo è un altro dei misteri insoluti del caso Moro, in barba a tutti quelli che affermano che ormai tutto è chiaro…
A prescindere dalla assoluta stranezza della cosa, forse la teoria più sensata resta quella di Andreotti: la seduta spiritica era solo un modo piuttosto goffo di coprire la fonte delle informazioni proveniente dagli ambienti contigui alle BR a Bologna. Sono però apertissimo ad altre spiegazioni… sul caso Moro ormai non mi stupisco più di niente…
Così “a naso”, però, mi pare un pò limitativa l’affermazione che il KGB abbia gestito il rapimento Moro… nel senso che le cose probabilmente sono assai più complesse… insomma, non penso che le bierre abbiano potuto tenere prigioniero un uomo come Moro nella Roma degli anni ’70 se TUTTI i servizi segreti non convergevano sull’idea di lasciarglielo fare…
Roberto non ti chiedo se sei di destra o di sinistra ammesso che questa classificazione abbia un senso. Ma ti volevo comunque chiedere una cosa. Anch’io come sai, recentemente dopo che ho cercato di andare a fondo, onestamente credo, su certe questioni, ho ricevuto una serie di attacchi un po’ da tutte le parti, anche da quella in cui, politicamente parlando, più mi riconosco. Immagino che sia così anche per te, visto la delicatezza degli argomenti che le tue ricerche toccano, argomenti che, mi sento di dire, attraversano trasversalmente tutti gli schieramenti e la loro storia. Vuoi raccontarci qualcosa?
Io provo a fare lo storico, della politica non me ne curo granché. Di attacchi, a dire il vero, non ne ho ricevuti moltissimi… solo qualcuno, ma evidentemente era distratto… oppure ha voluto vedere per forza qualcos’altro dentro al mio saggio. Un messaggio politico magari… e invece proprio non c’è. D’altronde, come ho già accennato, chi legge il mio lavoro con attenzione si rende conto che non è né di sinistra né di destra, come non lo è la Storia (almeno quella con la “S” maiuscola).
Dico senza problemi che il PCI ha avuto nel dopoguerra un apparato paramilitare clandestino, che esso è poi caduto in disuso ed è stato “disarmato” dal partito stesso in conseguenza della via parlamentare, definitiva, che era stata intrapresa… è però vero che qualcosa di quella struttura, una “rete informale” (come la chiama Alberto Franceschini) ha continuato a sopravvivere nel tempo con tanto di contatti internazionali, e che da essa ha avuto origine una componente importante delle prime BR. Non si può però dimenticare che in tutta la sinistra la paura del golpe sul modello del Colonnelli greci (e non a torto….) era e rimase fortissima fin dalla fine del 2° conflitto mondiale, e questo nel coso degli anni ha avuto certe conseguenze.
Per concludere una considerazione finale. Negli archivi le carte per fare certe affermazioni – e ricostruire davvero la storia d’Italia – ci sarebbero. Solo che non sono pubblicabili. Purtroppo nel nostro paese vigono norme assai restrittive (rispetto agli altri paesi occidentali) sull’accesso ai documenti, e se come storico mi azzardassi a pubblicare qualche notizia che – per delle inconcepibili motivazioni tutte italiane – è ancora vincolata da segreto (dopo 40, 50 o 60 anni!) rischierei di prendermi da 5 a 20 anni di prigione…. Insomma, uno scrive quello che “può scrivere”.
A ciò si lega il fatto che gli archivi dell’Arma dei Carabinieri, che sarebbero una vera e propria “miniera d’oro” per gli storici, non sono accessibili, anche perchè tutte le note inerenti il partito comunista (come mi ha raccontato un Generale dei Carabinieri ormai a riposo) o i gruppi della estrema-sinistra erano fatte rientrare sotto vincoli di riservatezza NATO, dunque per accedervi servirebbe il NOS, sulla osta di sicurezza….che per ovvi motivi noi storici non abbiamo.
Il problema, però, si risolverà da sé tra pochi anni, e senza “aiuti” esterni. I telex che servivano per scambiare notizie importanti tra le varie forze di polizia (di nuovo una fonte essenziale per gli storici) erano fatti di “simpaticissimi” fogli di carta velina rosa stampati con una assai risicata quantità di inchiostro… ebbene stanno rapidamente sbiadendo, cosa che renderà in breve tempo la loro lettura del tutto impossibile. Una vera manna per gli “insabbiatori”.
Come se non bastasse certe notizie vengono bellamente ignorate: nel 2001 una sentenza definitiva ha stabilito che tra i militanti “regolari” delle BR, nel periodo che va all’incirca dal ’73 al ’75, era riuscito ad infiltrarsi un confidente della polizia di cui ormai si sa nome e cognome, e che questo non solo concorse fisicamente al rapimento del giudice Mario Sossi [che dunque poteva essere evitato…chissà cosa ne pensa il diretto interessato, visto che trascorse 45 giorni chiuso in una “prigione del popolo”…], ma che successivamente era a conoscenza del piano per far evadere Renato Curcio dal carcere di Casale Monferrato [fuga che quindi, di nuovo, poteva essere evitata…]. Detto per inciso, due delle più spettacolari azioni criminose compiute dalle prime BR erano del tutto evitabili… Ma quando qualche “povero cristo” di storico prova a scrivere (o meglio, a ricordare…) queste cose come minimo è tacciato di dietrologia. Ricostruire la storia repubblicana (quella ancora nascosta), dunque, è un pò come seguire un percorso ad ostacoli circondato da un fossato pieno di famelici coccodrilli [mi si perdoni l’ardita metafora ma “calza a pennello”]. Spero di non avervi annoiato con queste problematiche da storico poco serio, d’altronde noi “pagliacci” ci divertiamo così.
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Ho per le mani il libro di Magnani. Per ora solamente iniziato, ma già sento di doverti ringraziare. Me lo sto studiando diciamo, perché di semplice lettura non si tratta..
Manco a farlo apposta questo mese toccherò sia Firenze che Siena, puoi immaginare quanto sia felice nel pregustare il piacere di vedere dal vivo quelle opere poveramente riprodotte su carta. Il tuo intervento è stato provvidenziale!
:beers:Pyter ha scritto: Secondo: ho notato che l'interesse per le cose di cui parlo è basso è basso anche quando non parlo d'arte, il che è incredibile se si raffrontano col successo che hanno invece avute le fregnacce di Dan Brown.
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Non portarti troppo avanti che a me deve ancora arrivare...:stuckup:
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Copio ed incollo integralmente.
"Sono arrivati come schiavi; un enorme carico umano trasportato su Grandi Navi Inglesi verso le Americhe. sono stati trasportate centinaia di migliaia di persone includendo uomini, donne e bambini anche fra i più piccoli. Quando si sono ribellati o anche disobbedito un ordine, son stati puniti nel peggiore dei modi. Lo schiavo doveva distruggere le sue proprietà e come punizione le sue mani o i piedi dati fuoco. Venivano bruciati vivi e la loro testa messa sul Mercato come un avvertimento per gli altri prigionieri. Non abbiamo bisogno di elencare Tutti i cruenti dettagli, non e vero? Sappiamo fin troppo bene le atrocità della tratta degli chiavi.
Ma stiamo parlando della schiavitù in Africa? Re Giacomo II e Carlo I hanno cercato continuamente di asservire gli Irlandesi. Il famoso britannico Oliver Cromwell continuò a perpetuare la sua pratica della disumanizzazione del vicino più prossimo.
Gli schiavi commerciali Irlandesi iniziarono quando Giacomo II vendette 30.000 prigionieri politici Irlandesi come schiavi nel Nuovo Mondo. Il suo proclama del 1625 ordinava che prigionieri politici Irlandesi fossero inviati all'estero e venduti ai coloni inglesi nei Caraibi. Alla metà del XVI Secolo, gli Irlandesi erano la maggioranza degli schiavi venduti in Antigua e Montserrat. A quel tempo, il 70% della popolazione totale di Montserrat era composta da schiavi Irlandesi.
L'Irlanda divenne presto La più grande fonte di bestiame umano per i mercanti inglesi. La maggior parte dei primi schiavi nel Nuovo Mondo erano in realtà bianchi.
Nel periodo 1641-1652, più di 500.000 irlandesi sono stati uccisi dagli inglesi, e 300.000 sono stati venduti come schiavi. La popolazione irlandese scese da 1,5 milioni a 600.000 in un solo decennio. Intere famiglie sono state distrutte perché gli inglesi hanno proibito ai padri irlandesi di portare con sé donne e bambini dall'altra parte dell'Atlantico. Questo ha creato una popolazione inerme fatta di donne e bambini senza casa. La soluzione britannica è stata di mettere all'asta anche loro.
Durante il 1650, più di 100.000 bambini Irlandesi tra i 10 e i 14 anni sono stati presi dai loro genitori e venduti come schiavi nei Caraibi, in Virginia e nel New England. Nel corso di quel decennio, 52.000 Irlandesi (per lo più donne e bambini) sono stati venduti nelle Barbados e in Virginia. 30.000 uomini e donne Irlandesi sono stati trasportati e venduti al miglior offerente. Nel 1656 Cromwell ha ordinato che 2.000 bambini Irlandesi fossero portati in Giamaica e venduti come schiavi dei coloni Inglesi.
Molte persone oggi evitano di chiamare gli schiavi Irlandesi per quello che realmente erano: schiavi. Usano parole come "Servi a contratto" per descrivere la condizione degli Irlandesi. Tuttavia, Nella maggior parte dei casi nel XVII al XVIII Secolo, gli schiavi Irlandesi non erano né più né meno che bestiame umano.
Per esempio, il commercio degli schiavi africani era appena iniziato in quell'epoca. E 'ben noto che gli schiavi africani, non erano viziati dalla odiata teologia cattolica, ed erano più costosi da acquistare, ed erano spesso trattati meglio degli schiavi Irlandesi.
Gli schiavi africani erano molto costosi durante il 1600 (50 sterline). Gli schiavi Irlandesi erano a buon mercato (non più di 5 sterline). Se un piantatore colpiva o batteva uno schiavo irlandese a morte, non era considerato un crimine. La morte di uno schiavo era solo una battuta d'arresto finanziaria, ma era molto meno costosa che uccidere un più costoso africano. I padroni inglese ben presto cominciarono ad allevare un sempre maggior numero di donne Irlandesi sia per il loro piacere personale che per aumentare i profitti. I figli di schiavi erano loro stessi schiavi, che ampliarono il lavoro non pagato dei padroni di schiavi. Anche se una donna irlandese era diventata libera in qualche modo, i suoi figli rimanevano schiavi del suo padrone. Di conseguenza, le madri Irlandesi, nonostante l'emancipazione di nuova acquisizione, raramente lasciavano i loro figli e rimanevano in schiavitù.
Con il tempo, gli inglesi hanno pensato a un modo migliore per utilizzare queste donne (in molti casi, ragazze di dodici anni) per aumentare la loro quota di mercato: i coloni hanno cominciato ad allevare donne Irlandesi e ragazze con schiavi africani per produrre un colore distinto. Questi nuovi schiavi "mulatti" avevano un prezzo superiore a quello del bestiame Irlandese e, allo stesso modo, hanno consentito ai coloni di risparmiare denaro, piuttosto che comprare nuovi schiavi africani. Questa pratica di incrociare le donne Irlandesi e uomini africani è durata diversi decenni ed era così diffusa che nel 1681 è stata approvata una legge "che vieta l'allevamento di schiave Irlandesi femminili con uomini schiavi africani per produrre schiavi per la vendita". In sintesi, la pratica è stata fermata solo perché interferiva con i profitti di una grande compagnia di trasporti di schiavi.
L'Inghilterra ha continuato ad inviare decine di migliaia di schiavi Irlandesi per più di un secolo. I documenti storici mostrano che dopo la rivolta irlandese del 1798, migliaia di schiavi Irlandesi sono stati venduti in America e in Australia. Ci sono stati orribili abusi sui prigionieri africani e irlandesi. Una nave britannica ha anche gettato in Atlantico 1.302 schiavi perché l'equipaggio doveva mantenere le riserve di cibo.
Non c'è dubbio che gli Irlandesi hanno sofferto gli orrori della schiavitù (molto più nel XVII secolo) tanto quanto gli africani. Ci sono anche pochi dubbi sul fatto che quei volti bruni che vedete nei vostri viaggi ai Caraibi è probabilmente una miscela di africani e di Irlandesi. Nel 1839, la Gran Bretagna ha Infine deciso, solo per finire la sua partecipazione alla discesa agli inferi da Satana, di fermare il trasporto di schiavi. Anche se questa decisione non fermò i pirati, che fanno un piacimento loro, la nuova legge lentamente chiuse questo capitolo incubo di miseria irlandese.
Ma se qualcuno, bianco o nero, pensa che la schiavitù è stata solo una esperienza africana, sbaglia del tutto. La schiavitù irlandese è un argomento che merita il presente, da non cancellare dalla nostra mente.
Ma dove sono le nostre scuole pubbliche (e private)? Dove sono i libri di storia? Perché è così raramente discusso? Il ricordo di centinaia di migliaia di vittime Irlandesi non si merita più di un riferimento a un autore sconosciuto?
Oppure diventa la loro storia come quella dei pirati Inglesi: una storia irlandese (a differenza della storia africana) completamente dimenticata , come se non fosse mai esistita.
Nessuna delle vittime Irlandesi potè tornare in patria a raccontare il suo calvario. Questi sono gli schiavi perduti; quelli che il tempo e i libri di storia parziali hanno convenientemente dimenticato."
John Martin
La fonte originale di questo articolo è Oped News and Global Research
Traduzione di Servus
www.globalresearch.ca/the-irish-slave-tr...n-white-slaves/31076
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Roberto Bartali
Rilettura critica della storia delle BR e del rapimento di Aldo Moro
PRIMA PARTE :
Nel rileggere 18 anni di lotta armata in Italia ci si accorge che ogni tanto, qua e là, rimangono dei buchi neri nel terrorismo rosso, buchi coperti anche di segreti, spesso inconfessabili, di chi contro quella stagione di utopie rivoluzionarie e sanguinarie ha esercitato l'arma della repressione in nome dello Stato, ma anche di chi a Sinistra ha assistito alla gestazione ed alla nascita del fenomeno BR. A parziale conferma di ciò e nella stessa direzione del mio pensiero - per quanto sarebbe comprensibile se a qualcuno sembrasse inopportuno fare della mera dietrologia con quanto affermato da un ex terrorista - vanno le parole di Patrizio Peci, primo "pentito" delle Brigate rosse: "Lo stato allora [agli inizi dell'attività brigatista] - poi non più - ti lasciava gli spazi per poter sperare nella vittoria [...] lo stato poteva avere interesse a lasciare spazio alla lotta armata. Interessi velati, e magari contrapposti, ma certamente tesi a creare confusione. Altrimenti la lotta al terrorismo sarebbe stata più immediata e aspra. Ci avrebbero stroncato subito, come hanno fatto quando gli è parso il momento". Il fatto è che non ritengo ammissibile parlare di dietrologia quando in ballo ci sono anche dei morti ammazzati, ma soprattutto quando perfino a distanza di 25-30 anni dagli accadimenti continuano ad amergere nuovi frammenti di verità fino ad ora nascoste. Analizzando la storia della folle epopea brigatista, ci si accorge che sono presenti con una certa costanza degli accadimenti "particolari", delle coincidenze strane, così prodigiosamente tempestive, da far supporre - pur nella scarsità di prove certe - degli interventi esterni ben mirati in una determinata direzione.
Non possiamo però esimerci dall'aprire una finestra su una certa parte della Sinistra italiana, ed in modo particolare su quell'area "dura" che dal 25 Aprile 1945 (ma forse sarebbe meglio far risalire il tutto alla c.d. "Svolta di Salerno") non ha mai smesso di sognare la rivoluzione. Un grigio alone di mistero e di 'indicibilità' avvolge ancora certi aspetti degli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale ed in particolare gli avvenimenti che riguardano l'evoluzione di quella che fu Resistenza una volta finita la guerra. Basti pensare alle violente polemiche che il volume scritto da Pansa (Il sangue dei vinti) ha provocato. Questo ha probabilmente due ordini di ragioni: il primo concerne il fatto che la Resistenza, in quanto elemento decisivo e fondante della Repubblica, ha assunto e continua ad avere -per certi aspetti giustamente- un alone di mito. Il partigiano che combatte per la libertà dal nazi-fascismo fa parte della storia, del costume e del sentire comune della maggior parte degli Italiani. Il mito del partigiano è dunque un elemento fondamentale dell'Italia post-fascista anche perchè aiuta -se così si può dire- a "ripulire" gli italiani dalla macchia costituita dal diffuso sostegno al regime di Mussolini e -perchè no- da quel brusco cambio di alleanze (che per taluni fu un vero tradimento o, come la chiama Elena Aga Rossi, una "morte della Patria") che fu l'8 Settembre. Il secondo aspetto che non consente una tranquilla trattazione dell'argomento "Resistenza dopo la fine della Resistenza" è invece decisamente meno nobile, e riguarda direttamente la storia del PCI, un partito che -è bene ricordarlo- ebbe poi un ruolo fondamentale nella sconfitta del terrorismo nostrano, ma che dall'immediato dopo-guerra ha mantenuto un reale dualismo al proprio interno: un lato ufficiale fieramente democratico, l'altro nascosto e con delle mai dome velleità insurrezionali. Detto per inciso, per 50 anni hanno convissuto all'interno del PCI due anime frontalmente contrapposte, e se è vero che l'ala dura che faceva riferimento a Pietro Secchia venne pesto messa in minoranza, è anche vero che soldi provenienti da Mosca sono continuati ad arrivare in Via delle Botteghe oscure fino a tempi relativamente recenti (vedere pubblicazioni di Victor Zaslavsky), e che una parte del PCI ha continuato ad avere con il blocco sovietico un atteggiamento di "vicinanza" nonostante i vari allontanamenti e strappi che via via il partito ufficialmente faceva dal PCUS. Non possiamo, in qualità di ricercatori, esimerci dal sottolineare come almeno 2000 uomini dalla fine della guerra sono passati dai campi di addestramento in Cecoslovacchia, e di questi una buona parte era costituita da ex partigiani che si erano macchiati di crimini nel dopoguerra e che per sfuggire alla giustizia italiana erano stati fatti scappare in quel paese con l'aiuto del PCI. Non possiamo non notare come già nel '52 il Sifar avesse scoperto che questi uomini frequentavano corsi di addestramento al sabotaggio, psicologia individuale e di massa, preparazione di scioperi e disordini di piazza, l'uso delle armi; come trasmissioni in lingua italiana provenissero da Praga (Radio Italia Oggi) con il preciso scopo di fornire una controinformazione comunista e che gli stessi uomini che gestivano le trasmissioni avevano teorizzato una insurrezione rivoluzionaria per il 1951 (abortita per una fuga di notizie che allarmò, e non poco, i nostri servizi segreti); come l'addestramento di giovani comunisti italiani sia proseguito fino a tutti gli anni '70, quindi ben dopo il seppur pesante strappo operato dal PCI dopo la fine della 'Primavera di Praga'. La domanda che ci si deve porre, in relazione all'argomento di questa pubblicazione, riguarda dunque i rapporti che le Brigate Rosse possono aver avuto con l'area dei Secchiani e con l'Stb (servizio segreto cecoslovacco) nei loro 15 anni di storia, se quel passaggio simbolico di armi dalle mani dei vecchi partigiani alle nascenti BR di cui parla Franceschini non nasconda in realtà anche un passaggio di contatti ed aiuti con i paesi di oltrecortina e con la Cecoslovacchia in primis, se con la morte di "Osvaldo" Feltrinelli nelle BR siano confluiti solo i membri dei suoi GAP o anche tutta la rete di contatti internazionali che l'editore-guerrigliero aveva. La storia la si scrive leggendo gli avvenimenti a 360°, senza paraocchi politici o ideologici, così se è corretto considerare l'influenza che gli USA, la CIA, certi ambienti filo-atlantici e l'area neo-fascista hanno avuto nella storia repubblicana, è anche corretto considerare la fazione che ad essi era contrapposta, comprese le eventuali 'macchie'; non per infangare ma per studiare a fondo, per capire.
Tutto il percorso evolutivo delle Br è caratterizzato, a cominciare dai suoi albori, dalla presenza di infiltrati di varia natura; ciò, se non fosse abbondantemente provato da riscontri e testimonianze, risulterebbe inoltre perfino facile da ipotizzare alla luce del fatto che forze di varia natura erano riuscite ad insinuarsi con successo già negli ambienti più "caldi" del periodo storico che della lotta armata fu un po' la culla: il '68. E' da considerare che già nell'estate 1967 la CIA aveva promosso la "Chaos Operation" per contrastare il movimento non violento e pacifista americano che si batteva per i diritti civili e contro la guerra del Vietnam. Quindi aveva deciso di estenderla su scala internazionale, in particolare in Europa, per contrastare anche il movimento studentesco-giovanile del vecchio continente, inquinandone gli assunti anti-autoritari e non violenti. L'operazione consisteva anche nell'infiltrazione, a scopo di provocazione, nei gruppi di estrema sinistra extraparlamentare (anarchici, trotzkisti, marxisti-leninisti, operaisti, maoisti, castristi) in Italia, Francia, Germania Occidentale con l'obbiettivo di accrescerne la pericolosità inducendo ad esasperare le tensioni politico-sociali con azioni aggressive, così da determinare un rifiuto dell'ideologia comunista e favorire spostamenti "a destra" (secondo la logica di "destabilizzare per stabilizzare"). In tale direzione - dunque una conferma di quanto detto - va anche un rapporto dedicato alla contestazione studentesca datato Febbraio 1971 e redatto in forma riservata proprio nell'ambito della "Operazione Chaos" dall'Ufficio Affari riservati del Viminale: "almeno all'origine si deve rilevare la spinta di qualche servizio segreto americano [alludendo alla CIA] che ha finanziato elementi estremisti in campo studentesco". Un ulteriore dato interessante lo ritroviamo nella lettura del resoconto sulla riunione del coordinamento delle forze di polizia che si tenne a Colonia il 19 Gennaio 1973 e dedicata al problema dell'infiltrazione nei gruppi terroristici Br e RAF e nei gruppi della sinistra extraparlamentare. Risulta infatti evidente che l'intendimento dei vari servizi segreti non era quello di predisporre semplici confidenti o informatori ma anche veri e propri terroristi, in grado di arrivare al vertice del gruppo da infiltrare. E che dire delle strane "premonizioni" avute dall'allora capo del SID, Miceli, nel 1974? Egli, interrogato innanzi al giudice tamburino nel settembre di quell'anno dichiarò con una inquietante lungimiranza: "Ora non sentirete più parlare di terrorismo nero, ora sentirete parlare soltanto di quegli altri".
Alla luce di ciò, non appare sconvolgente scoprire che le infiltrazioni all'interno delle Br cominciarono piuttosto presto. La prima talpa di cui si hanno notizie certe fu Marco Pisetta; già compagno di Renato Curcio e di Mara Cagol alla libera università di Trento, grazie alla sua testimonianza (il suo memoriale, che sosterrà essergli stato ispirato direttamente da uomini dei servizi segreti, fornirà una prima e importante fonte, anche cronologica, di dati sulla nascita della Br) il 2 Maggio 1972 venne individuata la principale base milanese delle Br, in Via Boiardo, ed arrestato un primissimo nucleo di brigatisti. Ma all'interno delle Br l'Ufficio Affari Riservati del Viminale era riuscito ad infiltrare un altro agente, ed anzi era stato proprio questo - nome di battaglia "Rocco" - a prelevare materialmente il giudice Sossi insieme ad Alfredo Bonavita per portarlo alla così detta "Prigione del Popolo". Francesco Marra, questo il nome di battesimo di "Rocco", era un paracadutista addestratosi in Toscana e in Sardegna all'uso delle armi e con una sorta di specializzazione nella pratica delle "gambizzazioni" (della quale faranno ampio ricorso le Br nel corso degli anni) prima di entrare nelle Brigate Rosse; in seguito, a differenza di Pisetta, la doppia identità di Marra non è venuta alla luce, ed il suo nome è rimasto fuori da tutti i processi, stranamente coperto anche dal brigatista Alfredo Bonavita dopo il suo pentimento. Per sua stessa ammissione, Marra si era infiltrato nelle Br per conto del brigadiere Atzori, braccio destro del Generale dei Carabinieri Francesco Delfino. Tra gli avvenimenti "strani" della vita delle Br è impossibile non menzionare anche l'infiltrazione da parte dei Carabinieri di Silvano Girotto, la terza infiltrazione all'interno del gruppo nei suoi primi quattro anni di vita, un'ulteriore defayans della banda di Curcio e compagni che dimostra come a confronto con l'esperienza ed il mestiere del servizio di sicurezza dello stato - o quantomeno di parte di esso - le prime Brigate Rosse possano essere tranquillamente definite come "Tupamaros all'amatriciana". Reso noto dai rotocalchi come "Frate Mitra", Girotto era un ex francescano con dei trascorsi - a dire il vero poco chiari - di guerrigliero in Bolivia ma che tra le forze extraparlamentari (Lotta Continua in primis) godeva di una fama di tutto rispetto, e che riuscì a far catturare in un sol colpo due capi storici delle Brigate Rosse del calibro di Alberto Franceschini e Renato Curcio, l'8 Giugno 1974. Come racconta lo stesso Franceschini "Frate mitra appena rientrato in Italia cercò subito di entrare in contatto con le Br [...] si fece precedere da alcune lettere dei dirigenti del Partito Comunista di Cuba in cui si attestava di essere addestrato alla guerriglia e vantò rapporti anche con i Tupamaros. La cosa non poteva non interessarci".
Dopo alcuni tentennamenti i brigatisti si fecero convincere ad incontrare Girotto, e durante il terzo incontro, a Pinerolo, la trappola dei Carabinieri scattò inesorabile. I lati oscuri riscontrabili in merito a questo arresto sono diversi: anzi tutto bisogna fare riferimento ad una telefonata ricevuta dalla moglie dell'avvocato - con note simpatie brigatiste - Arrigo Levati che mise in preallarme l'organizzazione sui rischi di quell'ultimo appuntamento. Da più parti, ivi compresi i diretti interessati, si ipotizza che gli autori di quella telefonata furono gli agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano, da sempre interessato alle attività delle Br per via dell'instabilità che la loro azione terroristica avrebbe potuto portare ad un governo - quello italiano, appunto - che da tempo stava seguendo una linea in politica estera definibile come filo-araba. A confermare questa ipotesi ci sono i racconti degli stessi terroristi, (Moretti e Peci) i quali affermano che già nel 1974 il Mossad si era fatto vivo con l'organizzazione offrendo armi e denaro, in più, per rompere la loro iniziale diffidenza, gli posero - come si suole dire - su di un piatto d'argento l'indirizzo del nascondiglio del "traditore" Pisetta, che era stato portato dalla polizia italiana in Germania. Alla luce di questi elementi non ritengo impossibile dare credito alla veridicità di questa ipotesi, una congettura che, tra le altre cose, è condivisa sia da Giorgio Bocca sia - però solo indirettamente - dal Generale Delfino, ma che non cambia l'interessante realtà delle cose: attorno alle Br ruotavano, fin dall'inizio, tutta una serie di interessi particolari, anche molto differenti tra loro. E' un fatto, comunque, che la telefonata di avvertimento ci fu veramente, e fu lo stesso Moretti ad essere incaricato di darsi da fare per cercare di rintracciare Curcio prima dell'appuntamento con Girotto; una ricerca che però si rivelò vana, come altrettanto vane e poco convincenti sono - a mio modesto parere - le spiegazioni fornite da Moretti per giustificare il suo fallimento in quella occasione. E poi, come ha scritto Franceschini, pur conoscendo ora e luogo dell'appuntamento arrivò con un'ora di ritardo, quando eravamo già stati arrestati". Come afferma sempre Franceschini: "Quella era la seconda volta che i servizi di sicurezza avrebbero potuto arrestare tutti i brigatisti e porre fine all'esperienza delle Br [...] noi avevamo concordato con Girotto di dare vita a una scuola di addestramento, da lui diretta, alla cascina Spiotta, dove nel giro di un mese tutti gli appartenenti all'organizzazione, un po' alla volta, avrebbero partecipato ad un breve corso di addestramento. Se chi lo aveva infiltrato avesse chiesto a Girotto di continuare a stare al gioco dopo un mese sarebbe stato in grado di far arrestare non solo me e Curcio, ma tutti i brigatisti. E il fatto che questo non sia avvenuto è la riprova che l'organizzazione delle Br poteva tornare comoda per qualcuno delle alte sfere dei servizi di sicurezza e del potere".
NO FAITHS NO PAIN
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Saludos
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Ecco il brano che ho conservato :
Non c'è nulla di più pericolosa dell'iniziativa personale. Se dietro di essa c'è del genio, tale iniziativa può creare più danni di quelli che possono fare i milioni di persone tra le quali abbiamo seminato il disaccordo. Noi dobbiamo indirizzare l'educazione delle comunità goyim in modo che, quando capita una questione che richiede un'iniziativa, le cadano le braccia nell'impotenza disperata. Con tutti questi mezzi stancheremo in modo tale i goyim che saranno obbligati ad offrirci il potere internazionale, e ciò ci permetterà di assorbire gradualmente tutti gli Stati del mondo e di formare un super-Governo.
Al posto dei governanti odierni, metteremo un fantasma che chiameremo l'Amministrazione del super-Governo. Le sue mani si stenderanno in tutte le direzioni, e la sua organizzazione sarà di una dimensione talmente colossale che non potrà che assoggettare tutte le nazioni del mondo.
Il nostro governo dev'essere dispotico, altrimenti non può raggiungere gli scopi che si prefigge. Appena la folla s’impossessa della libertà, la trasforma subito in anarchia, che è il grado massimo della barbarie. Noi aboliremo ogni libertà politica, di insegnamento e di coscienza. L’ordine sarà ristabilito, con un certo ricorso anche alla violenza, ma l’ordine sarà ristabilito veramente. Dimostreremo di essere i benefattori che hanno restituito la libertà e la pace al mondo torturato. Ognuno potrà godere della tranquillità della pace, dell’ordine nei rapporti sociali, ma a condizione che tutti osservino le nostre leggi. Dimostreremo che né la posizione sociale, né il potere danno ad un uomo il diritto di propugnare principi contestatori e distruttivi, quali la libertà di coscienza, la uguaglianza, ed altre cose simili.
NO FAITHS NO PAIN
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Ciao Edmondo, grazie per la segnalazione, credo che sia sufficiente. Come dici tu l' argomento è interessante anche prescindendo dalla veridicità del testo ma credo che questo forum non sia il luogo adatto per intraprendere una discussione nel merito. Come forse già sai, nei nuovi forum di LC esiste una sorta di moderatore impersonato da chi ha aperto il forum, io in questo caso, e mi permetto di farti questa osservazione proprio per questo motivo.
Puoi proporre a Massimo l' apertura di un forum apposito, se lo presenti dal giusto punto di vista credo che possa essere interessante; come già detto saresti il responsabile del forum e, se permetti una osservazione, credo che la spinosità dell' argomento richieda una non comune capacità di mantenere la discussione entro limiti "accettabili". Credo capisca a che limiti mi stia riferendo. Io non credo di voler moderare una discussione di questo tipo su questo forum.
Ciao.:wave:
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Si ti capisco bene, per quello avevo dubbi già da prima, inoltre c'è anche il rischio che si devii dal tema principale del forum/topic e non è mia intenzione. Io non sarei in grado e non ne avrei il tempo per moderare una discussione su tali e tanti argomenti (ne sono venuto a conoscenza da poco e quindi ovviamente ne so ancora poco).
Pazienza
@ Starbust
C'ho provato
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Malgrado tutte le ricerche e gli studi, il luogo di provenienza e l'itinerario degli Etruschi resta un mistero. Tra le teorie proposte, la più fantastica è quella formulata dalla professoressa Natalia Rosi, docente all'università di Caracas, in Venezuela, la quale, nel suo libro América, Cuarta Dimensiòn, ci prospetta l'ipotesi che gli Etruschi (o, meglio, i loro antenati) siano arrivati addirittura dall'America, dopo varie peregrinazioni.
A questo affascinante itinerario la professoressa Rosi è giunta attraverso uno studio comparato di quanto si conosce dell'etrusco, dell'italiano e del binomio quechua-aymara, denominatore comune di tutte le lingue dell'America precolombiana. La prospettiva è senza dubbio audace, ma non priva di suggestione scientifica, come ci dice il raffronto tra gli innumerevoli vocaboli raccolti dalla studiosa. Ne citiamo qui alcuni.
Quechua-aymara (anta: il vento freddo del nord; cata: protezione, riparo, soccorso; charan: luogo di desolazione e di morte; aruspichu: buona o cattiva notizia; omu: indovino, mago; orco: profondo, selvaggio, crudele; Pacha: dio, essere superiore; pillu: ornamento del capo; unu: principio femminile, acqua; Vilca: il dio del sole, calore, fuoco)
Etrusco (anda: freddo vento del nord; catha:divinità; Charan:divinità infernale; haruspex: aruspice; omen: presagio; orco: inferno; pacha: divinità; pileo: copricapo; Uni: divinità femminile; Velchan [Velxan, Vulcano]: dio del fuoco)
Quechua-aymara (alari: volare senza battere le ali; amicusitha: fare amicizia; harai, harani: lavorare la terra; cantu: canto, angolo, limite; kakti: amaro, acido, di sapore cattivo; huccharatha: sorbire poco a poco; huumi: vapore che sale dalla terra; malatha: stare male; nasa: narice; pakay: impacchettare, nascondere; paya: due; pillatha: cogliere, afferrare; poque: poco; tassa: imposta)
Italiano (ala, amico, arare, canto, cattivo, cucchiaio, humus, malattia, naso, pacco, paio, pigliare, poco, tassa)
«Non è mio compito determinare come ebbe luogo la migrazione etrusca, nè quali furono le strade seguite in questi spostamenti», scrive Natalia Rosi. «I popoli andini potrebbero essere giunti in Italia per molte vie, sia marittime sia terrestri: tra esse quella del Caucaso. Un'ipotesi, questa, che deporrebbe in favore della teoria concernente l'origine asiatica degli Etruschi».
PS: Scusate il pasticcio ma non riesco a fare la tabella. In ogni caso è ovvio che le parole quechua-aymara vadano confrontate con quelle etrusche (es. anta con anda) per notare l'assonanza tra queste due lingue. Stessa cosa per le assonanze tra il quechua e l'italiano (es. alari si confronta con ala ecc...).
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Tratto da Dossier X, a cura di Peter Kolosimo
Malgrado tutte le ricerche e gli studi, il luogo di provenienza e l'itinerario degli Etruschi resta un mistero.
E quella meno fantastica e più verosimile resta quella di Fomenko, secondo il quale sarebbero popolazioni di origine slava, più precisamente russa (Et Ruski). La lingua etrusca quindi non sarebbe altro che lingua slava.
Come può l'acqua memoria serbare se dalle nuvole cade? (poeta del dugento)
Ci sposiamo sessiamo insieme sessista bene perché no (progetto anti gender 2016)
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Per esempio, uno dei motivi per cui si ritiene che l'etrusco fosse una lingua non indoeuropea ed isolata, è che si crede che i numerali fino al sei sarebbero "makh thu zal hut ci sa", non è chiaro in che ordine.
Quel libro invece individua i numerali 3, 4 e 5 con le tipiche radici indoeuropee in questo passaggio della Mummia di Zagabria: THUNKH ULEM MUTH HILAR TUNE ETERTIC CATHRE KHIM ENAKH UNKHVA
che fa corrispondere al latino: tunica olim mutato hilari tunicae ex ter dicto, quater, quinque aenea acta uncia (usura)
ovvero: "......dalla tunica d'una volta, passato ad una elegante tunica, per tre, quattro, cinque misure di bronzo prese in prestito all'uno per cento
Con questo metodo l'autore è arrivato a scoprire che il testo sulla "Tegola di Capua" non è "un rituale religioso, bensì un documento storico preziosissimo della battaglia di Capua del 424 A.C., scritto da un Capo Etrusco prima di morire sul tetto della sua casa (sopra una tegola, appunto) ove si era rifugiato per sfuggire agli invasori Sanniti"
e lo traduce frase per frase, facendo corrispondere ogni parola all'analoga latina, per esempio:
etrusco - Mulu rizile pichas-ri Sav lasies vacil lunasie fase
latino - Mòlito resecabile bigas "ruere" Samnitum laribus, "vacante" lunare facie.
italiano - Divenuto rischioso le bighe far correre tra le case dei Sanniti, facendo escludere ciò la faccia (riverbero) della luna,
etrusco - ichnac fuli-nusnes vacil Savnes itna mulu rizile
latino - igneque folliti nuribus, "vacabile" Samnitibus itanda (ito, as) mòlito resecabile
italiano - e dal fuoco accerchiati con le donne, potendosi vanificare, da parte dei Sanniti, le possibili vie d'uscita, per essere divenute rischiose
etrusco - pichas siiane vacil, letham sul secuvune marzac saca.
latino - bigas sejugendi vacante, lethum solvo (quam) secubandi murcidusque sagax
italiano - le bighe di staccare essendo escluso, la morte scelgo (piuttosto che) di poltrire in disparte da vile e da furbo.
Avevo letto sul web anche un libro settecentesco che sosteneva la stessa cosa, ma ho scordato di segnarmelo, dopo lo cerco.
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Rilettura critica della storia delle BR e del rapimento di Aldo Moro
SECONDA PARTE:
Si deve fare menzione anche del vertice che i dirigenti delle Br avevano avuto giorni prima a Parma, una riunione durante la quale era stato deciso di estromettere Moretti dal "Comitato Esecutivo" per via dell'intransigenza dimostrata durante la trattativa per la liberazione di Sossi. Questa dato va tenuto presente allorché alcuni osservatori - e Sergio Flamigni tra tutti - ritengono che Mario Moretti non abbia volutamente rintracciato Curcio e Franceschini il giorno del loro arresto. L'ipotesi si accredita maggiormente se si considerano altre due (chiamiamole così) "stranezze": prima di tutto il fatto che se i Carabinieri avessero aspettato solamente qualche ora in più sarebbero stati in grado di annientare tutta la dirigenza delle Brigate Rosse arrestando, appunto, anche Moretti. La seconda cosa bizzarra è che nonostante durante le proprie esposizioni davanti alla "Commissione Moro" il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa abbia parlato chiaramente di foto scattate a tutti i brigatisti durante i primi incontri con Frate Mitra (e Moretti era presente al 2° di quegli incontri), le foto segnaletiche su Moretti non comparvero mai al processo di Torino contro il "nucleo storico" delle Br, ed in più egli non sarà coinvolto in nessuna inchiesta giudiziaria prima del caso Moro. Insomma, le sue foto segnaletiche erano note alle forze di polizia almeno quanto la sua identità, però - misteriosamente - non fecero la loro apparizione ufficiale se non molto più tardi. La conclusione cui si vuole arrivare, e che appare tanto perfida per lucidità quanto logica, è che per un motivo o per un altro le forze dell'ordine lasciarono volutamente in libertà Mario Moretti, in modo che egli potesse riorganizzare le Br a modo suo, seguendo cioè una logica di spietata "militarizzazione", base di partenza necessaria per una svolta sanguinaria del gruppo. Proprio come voleva il Mossad. Per correttezza vanno menzionate altre ipotesi plausibili circa il mancato avvertimento di Curcio da parte di Moretti: la prima va obbligatoriamente in contro a quanto raccontato dallo stesso Moretti, e secondo la quale lui avrebbe profuso il massimo impegno nella ricerca dei suoi compagni di avventura, ma solo il caso avrebbe influito negativamente sulla sua caccia. L'altra ipotesi che mi viene di fare, in vero trascurata dagli altri osservatori, è che Moretti abbia di sua volontà evitato di avvertire della trappola il duo Franceschini-Curcio in virtù dell'estromissione dal Comitato Esecutivo impostagli nella riunione di Parma. E' - la mia - un'ipotesi che, volendo considerare anche l'aspetto umano della storia, collegando quindi il tutto al risentimento personale ed all'ambizione di Moretti, si pone a cavallo tra chi sostiene la completa mala fede del futuro leader del gruppo e chi invece si dice convinto delle sue buone intenzioni. In direzione opposta si va invece considerando un altro fatto. Nella riunione di Parma, infatti, erano state altre le cose interessanti al vaglio delle Br, e di ciò parla lo stesso Renato Curcio nel suo libro-intervista "A viso aperto". Raccontando la storia della sua prima cattura, Curcio dice che Mario Moretti, che doveva avvertirlo del pericolo che correva, "non ritiene necessario agire subito perché sa che io e Franceschini stiamo lavorando a un certo libricino in una casa di Parma e che da quel posto non mi sarei mosso fino a sabato notte o domenica mattina". Alla domanda di Scialoja " Di che libricino si trattava?", Curcio rispose: " Avevamo compiuto un'incursione negli uffici milanesi di Edgardo Sogno impadronendoci di centinaia di lettere e elenchi di nomi di politici, diplomatici, militari, magistrati, ufficiali di polizia e dei carabinieri [ insomma tutta la rete delle adesioni al cosiddetto "Golpe bianco" preparato dall'ex partigiano liberale con l'appoggio degli americani ]. Giudicavamo quel materiale esplosivo e lo volevamo raccogliere in un documento da rendere pubblico. Purtroppo avevamo tutto il malloppo con noi al momento dell'arresto e così anche quella documentazione preziosa finì in mano ai carabinieri. Qualche anno dopo, al processo di Torino, chiesi al presidente Barbaro di rendere noto il contenuto del fascicolo che si trovava nella mia macchina quando mi arrestarono e lui rispose imbarazzato: "Non si trova più" [...] Qualcuno deve averlo trafugato dagli archivi giudiziari ". Sarebbe interessante invece sapere qualcosa di più su quella sparizione. Anche in questo caso, l'intervento provvidenziale dell'infiltrato Girotto, oltre ad arrestare Franceschini e Curcio, servì a recuperare delle carte "imbarazzanti", dello stesso tipo dei memoriali e dei resoconti dell'interrogatorio di Moro nella Prigione del popolo... A questo punto un'altra supposizione nasce spontanea: l'arresto di Pinerolo da parte dei Carabinieri scattò in quanto essi sapevano della enorme pericolosità delle carte cadute in mano delle Br e dunque dovevano recuperarle in ogni modo? In questa ipotesi altri due scenari si aprono innanzi a noi: col primo si considera che fu dunque merito di quell'arresto "urgentemente anticipato" se Moretti ed il resto delle Br si salvarono dalla cattura. Il secondo considera poi la sicurezza con la quale i Carabinieri, arrestando Curcio e Franceschini, agirono al fine di trovare - assieme a loro - i fogli in questione. In questo caso chi altro della Direzione Strategica - se non Moretti - era a conoscenza del fatto che quelle carte erano proprio in viaggio per Pinerolo (e dunque può aver fatto una "soffiata")? Quella di Moretti è dunque una figura centrale nell'analisi del fenomeno Br, in primis perché ha vissuto quasi l'intera avventura del gruppo [girando - tra le altre cose - impunemente per lo stivale durante il rapimento Moro nonostante fosse il nemico pubblico n°1], poi perché a lui è legata la gestione del rapimento di Aldo Moro, apoteosi di quelle "coincidenze" particolari di cui adesso parleremo. E' da sottolineare come nel 1970 Nel 1970 un gruppo fuoriuscito dal CPM e composto, oltre che da Moretti, da Corrado Simioni, Prospero Gallinari, Duccio Berio e Vanni Mulinaris, andò a creare una struttura "chiusa e sicura", superclandestina che potesse entrare in azione, come racconta Curcio, "...quando noi, approssimativi e disorganizzati, secondo le loro previsioni saremmo stati tutti catturati". Dopo poco tempo il gruppo (fatti salvi Moretti e Gallinari) si trasferì a Parigi dove, sotto la copertura della scuola lingue Hyperion, agiva - secondo alcuni - come una vera centrale internazionale del terrorismo di sinistra. I contatti tra Moretti e il Superclan continuarono nel corso degli anni 12, ed è singolare sia il fatto che a gestire il rapimento Moro fu proprio il duo Moretti-Gallinari, lo stesso che rappresentò nel corso degli anni l'ala più militarista e sanguinaria delle Br, sia che la stessa scuola aprì un ufficio di rappresentanza a Roma in via Nicotera 26 [nello stesso edificio dove avevano sede alcune società di copertura del SISMI] poco prima del rapimento del leader DC per poi chiuderla immediatamente dopo, nell'estate del '78. Sulla "questione Moretti" Franceschini parla chiaro: " Non ho sempre pensato che Moretti fosse una spia ", " La prima persona che mi ha detto questo è stato Renato [Cucio, ndr.]. Era nel 1976 alle Carceri Nuove di Torino e Curcio era stato da poco arrestato per la seconda volta: Il dubbio era nato proprio dalla dinamica del suo arresto. Dai sospetti di Curcio ebbe origine un'inchiesta interna fatta da Lauro Azzolini e Franco Bonisoli, i quali aprirono un'istruttoria che però non portò ad alcun risultato", ma un'altra inchiesta era già stata aperta "da Giorgio Semeria ", che già dall'esterno aveva avuto il sospetto "che Mario fosse una spia per una serie di cose avvenute a Milano". Franceschini racconta anche, che dopo il suo arresto (nel 1974) fu interrogato dal giudice Giancarlo Caselli che gli mostrò le foto degli incontri con frate Mitra "Le foto in cui c'ero io - dice Franceschini - e una foto con Moretti indicato con un cerchietto. Mi chiese se lo conoscevo e risposi di no. Lui si mise a ridere e mi disse: "Se non lo conosce, almeno si ponga il problema del perché l'operazione è stata fatta quando c'era lei e non quando c'era quella persona" ". Riporto questa testimonianza perché trovo doveroso completare il quadro, ad ogni modo non è difficile ipotizzare che usando quelle parole il giudice Caselli avesse avuto in mente, in qual momento, altre mire; resta comunque il fatto che alcune di quelle foto non sono più state trovate. Da citare infine una frase pronunciata dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa di fronte alla Commissione Moro: "...le Brigate rosse sono una cosa, le Brigate rosse più Moretti un'altra ". Prima di passare oltre mi è sembrato quantomeno doveroso citare l'ex capo dell'ufficio "D" del SID Generale Maletti, ed in particolare una sua intervista rilasciata al settimanale Tempo nel giugno 1976 in merito alle Br: "Nell'estate del 1975 [...] avemmo sentore di un tentativo di riorganizzazione e di rilancio [...] sotto forma di un gruppo ancora più segreto e clandestino, e costituito da persone insospettabili, anche per censo e cultura e con programmi più cruenti [...] questa nuova organizzazione partiva col proposito esplicito di sparare, anche se non ancora di uccidere [...] arruolavano terroristi da tutte le parti, e i mandanti restavano nell'ombra, ma non direi che si potessero definire "di sinistra" ". Il culmine delle "stranezze" inerenti le Brigate rosse lo ritroviamo però nel rapimento dell'On. Moro. I 55 drammatici giorni del sequestro dello statista DC furono segnati fin dall'inizio da una serie incredibile di "coincidenze". Iniziamo col dire che quella mattina del 16 Marzo 1978, giunta in via Fani l'auto di Aldo Moro (una normalissima "auto blu", incredibilmente non blindata se consideriamo il periodo e l'importanza del personaggio) e quella della scorta vengono bloccate da un commando delle Brigate Rosse che apre il fuoco. In pochi istanti fu la strage: vengono uccisi gli agenti Iozzino, Ricci e Rivera, Francesco Zizzi, gravemente ferito, morirà poco dopo, il maresciallo Leonardi viene freddato mentre girato su di un fianco cerca di far da scudo all'onorevole. Aldo Moro venne prelevato a forza e trascinato in una FIAT 128 blu scuro targata "Corpo Diplomatico" che in breve si dileguò. Il trasbordo del presidente DC - secondo la testimonianza diretta di un'involontaria spettatrice dell'accaduto - avvenne piuttosto lentamente, una calma quasi surreale visto ciò che era appena accaduto. Intanto al numero 109 di Via Fani, un altro fortuito spettatore - Gherardo Nucci - scatta dal balcone di casa una dozzina di foto della scena della strage a pochi secondi dalla fuga del commando; dopo i primi scatti il Nucci sente il rumore delle sirene e vede arrivare sul posto un auto della polizia seguita poi da altre. Di quelle foto, consegnate quasi subito alla magistratura inquirente dalla moglie, non si saprà più nulla; qualche "manina" le ha fatte sparire. A tale proposito è da sottolineare come quelle foto, che evidentemente avevano immortalato qualcosa (o meglio qualcuno) di importante, furono al centro di strani interessamenti da parte di un certo tipo di malavita, la 'drangheta calabrese, di cui avremo modo di parlare in seguito e che ad una prima analisi sembrerebbe un'intrusione completamente fuori luogo trattandosi di terrorismo di sinistra, dunque politico. Ecco, ad esempio, uno stralcio delle intercettazioni telefoniche effettuate sull'apparecchio di Sereno Freato, "uomo ombra" di Moro, nel caso specifico egli stava parlando con l'On. Benito Cazora, incaricato dalla DC di tenere i rapporti con la malavita calabrese per cercare di avere notizie sulla prigione di Moro:
Cazora: "Un'altra questione, non so se posso dirtelo".
Freato: "Si, si, capiamo"
azora: "Mi servono le foto del 16, del 16 Marzo"
Freato: "Quelle del posto, lì ?"
Cazora: "Si, perchè loro... [nastro parzialmente cancellato]...perchè uno stia proprio lì, mi è stato comunicato da giù"
Freato: "E' che non ci sono... ah, le foto di quelli, dei nove ?"
Cazora: "No, no ! dalla Calabria mi hanno telefonato per avvertire che in una foto presa sul posto quella mattina lì, si individua un personaggio... noto a loro"
Freato: "Capito. E' un pò un problema adesso"
Cazora: "Per questo ieri sera ti avevo telefonato. Come si può fare ?"
Freato: "Bisogna richiedere un momento, sentire"
Cazora: "Dire al ministro"
Freato: "Saran tante !"
Traspare lampante dunque la preoccupazione di certi ambienti malavitosi calabresi, le foto scattate dalla terrazza di casa Nucci avrebbero potuto portare gli inquirenti su di un sentiero piuttosto pericoloso sia per la persona loro "cara", sia per la precisa ricomposizione dello scenario di quella tragica mattina. Ecco poi un altro singolare accadimento: lo stesso giorno dell'eccidio di via Fani alle ore otto di mattina la notizia che stava per essere compiuta un'azione terroristica ai danni di Moro fu diffusa da un'emittente radiofonica, Radio Città Futura, da parte del suo animatore Renzo Rossellini. Poiché non si può pensare ad una divinazione, né appare credibile che si trattasse della conclusione di un ragionamento politico collegato agli avvenimenti parlamentari che nella stessa giornata sarebbero avvenuti (l'inizio del dibattito alla Camera dei deputati sulla fiducia al governo di solidarietà nazionale), non resta che concludere che, nonostante la rigida compartimentazione di tipo militare che caratterizzava le Br (il famoso "cubo di acciaio" di cui ha parlato tra gli altri anche Prospero Gallinari) da qualche crepa le notizie sulla preparazione dell'agguato fossero filtrate nell'area magmatica degli ambienti dell'Autonomia Romana (con cui Rossellini era in contatto), che oggi sappiamo fossero stati abbondantemente infiltrati da parte delle forze dell'ordine. Tra l'altro la sede della radio era distante pochi passi da quella del "Collettivo di Via dei Volsci", sede storica dell'Autonomia romana. Lo stesso Rossellini il 4 ottobre '78 dichiarò in una intervista al quotidiano francese Le Matin (ma successivamente apparve anche su "Lotta Continua") che: "spiegavo che le Br avrebbero in tempi molto ravvicinati, poteva anche essere lo stesso giorno, compiuto un'azione spettacolare, e tra le ipotesi annunciavo anche la possibilità di un attentato contro Moro". Successivamente Rossellini smentì il contenuto dell'intervista, l'annuncio quel 16 Marzo era però stato ascoltato da diversi testimoni, casualmente non dal Centro di ascolto dell'Ucigos (che registrava ed ascoltava tutte le radio private...) che incredibilmente interruppe la registrazione dalla 8,20 alle 9,33. Un'altra cosa che salta subito agli occhi è la particolarità della data scelta dalle Br per portare a termine l'azione, un giorno simbolo per tutti i nemici del c.d. Compromesso Storico. Le testimonianze dei brigatisti dissociati, anche su questa scelta, non fanno alcuna chiarezza: Valerio Morucci - uno dei componenti del gruppo di fuoco - riferendo sull'accaduto ha affermato in più di un'occasione che quello in pratica era solo un tentativo, e che nel caso l'auto di Moro quella mattina non fosse giunta, le Br avrebbero aspettato anche il mattino dei giorni seguenti. Di fatto però la sera prima dell'agguato vennero squarciate le gomme del fioraio che ogni mattina sostava in Via Fani, e ciò rende sicuro che l'azione fosse stata programmata per il 16 Marzo.
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Rilettura critica della storia delle br e del rapimento di Aldo Moro
TERZA PARTE :
Come però le Br potessero essere sicure del passaggio di Moro e della sua scorta da quella via proprio quella mattina, alla luce del fatto che il percorso veniva cambiato tutte le mattine, resta tutt'oggi un mistero. Compiuta la strage e sequestrato Moro i terroristi riuscirono a dileguarsi grazie ad una sorprendente coincidenza: una volante della polizia stazionava come ogni mattina in Via Bitossi nei pressi del giudice Walter Celentano, luogo dove stavano per sopraggiungere le auto dei brigatisti in fuga; proprio qualche istante prima dell'arrivo dei brigatisti, un ordine-allarme del COT (centro operativo telecomunicazioni) fece muovere la pattuglia. In via Bitossi era parcheggiato il furgone con la cassa di legno sulla quale sarebbe stato fatto salire Moro. Un tempismo perfetto. I brigatisti avevano la certezza che quella volante si sarebbe spostata ? L'unica certezza cui possiamo fare appello per questa circostanza è che tra i reperti sequestrati a Morucci dopo il suo arresto verrà trovato un appunto recante il numero di telefono del commissario capo Antonio Esposito (affiliato alla P2...), in servizio guarda caso proprio la mattina del rapimento. Secondo il racconto degli esecutori, il commando brigatista, una volta effettuato un cambio di auto nella già citata Via Bitossi, con il sequestrato chiuso in una cassa contenuta in un furgone guidato da Moretti e seguito da una Dyane al cui volante era Morucci, fa perdere le proprie tracce. Le Br per portare a termine il sequestro del segretario del maggior partito politico italiano e fronteggiare eventuali posti di blocco fecero uso solamente di due auto, veramente strano se si considera che per rapire Valeriano Gancia le stesse Br ne avevano usate tre. I dubbi si fanno insistenti se si pensa che, sempre secondo il racconto fatto dai terroristi, il trasbordo dell'On. Moro sul furgone che doveva portarlo nel covo-prigione di Via Montalcini avvenne in piazza Madonna del cenacolo, una delle più trafficate e per giunta piena zeppa di esercizi commerciali a quell'ora già aperti, mentre il furgone che doveva ospitare il rapito (e del quale, al contrario delle altre auto usate, non verrà mai ritrovata traccia) era stato lasciato privo di custodia, in modo tale che se qualcuno avesse parcheggiato in doppia fila, le Br avrebbero compromesso tutta l'operazione. Adriana Faranda in merito a questo particolare - anche di fronte alla Commissione stragi - ha risposto che in caso di contrattempi di questo tipo Moretti avrebbe portato il prigioniero alla prigione del popolo con l'auto che aveva in quel momento, un'affermazione alla quale non mi sento di credere visto l'inutile pericolo che i brigatisti avrebbero corso e considerando che, come hanno più volte dimostrato dimostrato, non erano affatto degli sprovveduti. Non è però difficile ipotizzare che i brigatisti vogliano coprire qualche altro compagno che magari non stato ancora identificato. Poco dopo la strage un tempestivo black-out interruppe le comunicazioni telefoniche in tutta la zona tra via Fani e via Stresa, impedendo così le prime fondamentali chiamate di allarme e coprendo di fatto la fuga delle Br. Secondo il procuratore della Repubblica Giovanni de Matteo - ma anche per gli stessi brigatisti - l'interruzione venne provocata volontariamente, tutto il contrario di quanto sostenuto dall'allora SIP, che attribuì il blocco delle linee al " sovraccarico nelle comunicazioni ". Su questo punto i brigatisti hanno affermato che il merito di tale interruzione era da attribuirsi a dei "compagni" che lavoravano all'interno della compagnia telefonica. Però coincidenza volle che il giorno prima (il 15 Marzo alle 16:45) la struttura della SIP che era collegata al servizio segreto militare (SISMI), fosse stata posta in stato di allarme, proprio come doveva accadere in situazioni di emergenza quali crisi nazionali internazionali, eventi bellici e...atti di terrorismo. Una strana premonizione visto che era giusto il giorno prima del rapimento di Moro. Un mistero inerente al giorno del rapimento riguarda poi la sparizione di alcune delle borse di Moro. Secondo la testimonianza di Eleonora Moro, moglie del defunto presidente, il marito usciva abitualmente di casa portando con se cinque borse: una contenente documenti riservati, una di medicinali ed oggetti personali; nelle altre tre vi erano ritagli di giornale e tesi di laurea dei suoi studenti. Subito dopo l'agguato sull'auto di Moro vennero però rinvenute solamente tre borse. La signora Moro in proposito ha delle precise convinzioni: " I terroristi dovevano sapere come e dove cercare, perché in macchina c'era una bella costellazione di borse ". Nonostante l'enorme quantità di materiale brigatista sequestrato negli anni successivi all'interno delle numerose basi scoperte, delle due borse di Moro non è mai stata rinvenuta traccia, un fatto di rilievo se si considera soprattutto il contenuto dei documenti che il presidente portava con se. Corrado Guerzoni, braccio destro dell'onorevole Moro, ha affermato che con ogni probabilità quelle borse contenevano anche la prova che il coinvolgimento del presidente DC nello scandalo Lockheed era stato frutto di una "imboccata" fatta dal segretario di stato americano, Kissinger. Un punto, questo, da tenere molto in considerazione, come suggerito dalle tesi del Partito Operaio Europeo. Questo delle borse scomparse (e dei documenti da esse contenute...) è un punto sul quale l'alone di mistero tarda a scomparire, tant'è che nea relazione del presidente della Commissione stragi del Luglio '99, il senatore Pellegrino continua ad indicarlo come di cruciale importanza. Chi era veramente presente quella mattina in via Fani? Le Commissioni parlamentari hanno ormai confermato, tanto per riportare alcuni nomi alquanto "particolari", che quella mattina alle nove, in via Stresa, a duecento metri da via Fani, c'era un colonnello del SISMI, il colonnello Guglielmi, il quale faceva parte della VII divisione (cioè di quella divisione del Sismi che controllava Gladio...).
Guglielmi, che dipendeva direttamente dal generale Musumeci - esponente della P2 implicato in vari i depistaggi e condannato nel processo sulla strage di Bologna - ha confermato che quella mattina era in via Stresa, a duecento metri dall'incrocio con via Fani, perché, com'egli stesso ha detto: " dovevo andare a pranzo da un amico ". Dunque, benché si possa definire quantomeno "singolare" presentarsi a casa di un amico alle nove di mattina per pranzare, sembra addirittura incredibile che nonostante a duecento metri di distanza dal colonnello ci fosse un finimondo di proiettili degno di un film western, egli non sentì nulla di ciò che era avvenuto ne tanto meno poté intervenire magari solo per guardare cosa stesse accadendo. Ma il particolare più inquietante è che il Guglielmi non era un gladiatore qualsiasi, bensì colui che nel campo di addestramento sardo di Capo Marragiu si occupava dell'addestramento delle truppe per le azioni di comando... A dire il vero l'incredibile presenza a pochi metri dal luogo della strage di Guglielmi è stata rivelata solo molti anni dopo l'accaduto, nel 1991, da un ex agente del SISMI - Pierluigi Ravasio - all'On. Cipriani, al quale lo stesso confidò anche che il servizio di sicurezza disponeva in quel periodo di un infiltrato nelle Br: uno studente di giurisprudenza dell'università di Roma il cui nome di copertura era "Franco" ed il quale avvertì con mezz'ora di anticipo che Moro sarebbe stato rapito. Ad ogni modo resta il dato di fatto, perché ormai appurato, che la mattina del rapimento di Aldo Moro un colonnello dei Servizi segreti si trovava nei pressi di via Fani mentre veniva uccisa la scorta e rapito il presidente della DC e in più lo stesso ha taciuto questo importante fatto per più di dieci anni. Per la verità oggi sappiamo anche che alcune precise segnalazioni su di un possibile attentato a Moro erano pervenute ai Servizi segreti, per esempio un detenuto della casa circondariale di Matera aveva segnalato che "è possibile il rapimento di Moro"; la soffiata venne riferita alla locale sezione dei Servizi, ma, secondo quanto riferito dal generale Santovito (P2) essa giunse al SISMI centrale solamente a sequestro già avvenuto. È quantomeno singolare che una segnalazione così precisa, e che avrebbe dovuto riguardare una personalità così importante per la vita politica del paese, abbia seguito un iter burocatico così lento invece di attivare immediatamente delle efficaci procedure di controllo. Evidentemente, e la presenza di Guglielmi in Via Fani lo dimostra, all'interno dei Servizi c'è chi aveva dato credito alla soffiata, ma invece di prevenire era andato a controllare lo svolgimento dei fatti. Del resto il collega di Guglielmi, da cui l'agente segreto si sarebbe dovuto recare per pranzo, interrogato, ha confermato che egli si era effettivamente presentato nella sua abitazione ma ha anche dichiarato che non era da lui atteso, perchè non era affatto programmato un pranzo. L'ultima clamorosa novità inerente il fatto che qualcuno, negli apparati dello Stato, sapeva che le Brigate Rosse volevano rapire Moro è emersa - a dire il vero qualche anno fa - dall'oceano del web, in un sito costruito da un ex agente segreto del Sid, Antonino Arconte. Nome in codice G.71, Arconte faceva parte di una struttura riservatissima, la Gladio delle centurie, che aveva compiti operativi oltre confine: trecento uomini superaddestrati, che si muovevano all'interno delle strategie della Nato. Arconte, sardo di Cabras, raccontò la sua storia di soldato e di 007 sul suo sito www.geocities.com/Pentagon/4031 ). Arruolatosi nel 1970 a soli 17 anni, partecipò a una selezione per entrare nei corpi speciali dell'Esercito. Passò poi al Sid (Servizio informazioni della Difesa), allora guidato dal generale Vito Miceli. Così cominciò la sua avventura in un mondo sotterraneo e silenzioso, muovendosi per tutto il mondo con la copertura di uomo di mare della marineria mercantile. Intervistato Arconte, l'agente G.71, parlò di una sua missione in Medio Oriente, che si intrecciò con la tragedia di Aldo Moro. Ecco cosa disse: "Partii dal porto della Spezia il 6 marzo 1978, a bordo del mercantile Jumbo Emme. Sulla carta era una missione molto semplice: avrei dovuto ricevere da un nostro uomo a Beirut dei passaporti che avrei poi dovuto consegnare ad Alessandria d'Egitto. Dovevo poi aiutare alcune persone a fuggire dal Libano in fiamme, nascondendole a bordo della nave. Ma c'era un livello più delicato e più segreto in quella missione. Dovevo infatti consegnare un plico a un nostro uomo a Beirut. In quella busta c'era l'ordine di contattare i terroristi islamici per aprire un canale con le Br, con l'obiettivo di favorire la liberazione di Aldo Moro". E qui, ecco il mistero: il documento è del 2 marzo '78 e viene consegnato a Beirut il 13. Moro verrà rapito dalle Br il 16. Cioé, nel mondo sotterraneo degli 007 qualcuno si mosse per liberare il presidente della Dc, prima del rapimento. Quindi, si sapeva che Moro sarebbe stato sequestrato. Recentemente una perizia ha confermato che il documento "a distruzione immediata" che è stato fornito da Arconte è originale. Insomma, Gladio sapeva, e con buon anticipo, che Moro stava per essere rapito. Ma torniamo alla mattna della strage. Come ormai accertato anche in sede parlamentare, un tiratore scelto addestratissimo armato di mitra a canna corta, risolse gli aspetti più difficili e delicati della difficile operazione: con una prima raffica, sparata a distanza ravvicinata, colpì i carabinieri Leonardi e Ricci seduti nei pressi di Moro, lasciando però illeso l'onorevole DC. Fu un attacco militare di estrema precisione: la maggioranza dei colpi (49 su di un totale di 93 proiettili ritrovati dalle forze dell'ordine) sparata da una sola arma, un vero e proprio "Tex Willer" descritto dai testimoni (tra i quali un esperto di armi, il Lalli) come freddo e di altissima professionalità. Gli esperti hanno sempre concordato sul fatto che non poteva essere un autodidatta delle Br; nessuno dei membri del commando aveva una capacità tecnica di sparare come quello che alcuni testimoni hanno definito appunto "Tex Willer" ed invece, secondo le perizie, praticamente tutti i colpi letali furono sparati da uno solo dei membri del commando. A ciò si somma il fatto che, secondo una perizia depositata in tribunale, in Via Fani non si sparò solamente da un lato della strada (quello cioè dove si trovavano i quattro brigatisti i cui nomi sono ormai noti), mentre tale ricostruzione è sempre stata negata dai diretti interessati. L'azione, definita degli esperti come "un gioiello di perfezione, attuabile solo da due categorie di persone: militari addestrati in modo perfetto oppure da civili che si siano sottoposti ad un lungo e meticoloso addestramento in basi militari specializzate in azioni di commando", risulta veramente straordinaria se si pensa che, come ha testimoniato Adriana Faranda (anch'ella in azione quel giorno): "gli addestramenti all'uso delle armi da parte dei brigatisti erano estremamente rari perché era considerato pericoloso spostarsi fuori Roma". La stessa Faranda ha però recentemente aggiunto che: " ...era convinzione delle Brigate rosse che la capacità di usare un'arma non era tanto un presupposto tecnico ma piuttosto di volontà soggettiva, di determinazione, di convinzione che si metteva nel proprio operato". Insomma, una - poco credibile - apologia del "fai da te" a dispetto dell'estrema difficoltà dell'azione. Nata quasi venti anni fa dal lavoro di Zupo e Recchia autori del libro "Operazione Moro", la figura di del superkiller è stata ripresa, acriticamente in tutte le successive inchieste. Zupo e Recchia affermano: " Il lavoro da manuale è stato compiuto essenzialmente da due persone una delle quali spara 49 colpi l'altra 22 su un totale di 91 [...] il superkiller quello dei 49 colpi, quasi tutti a segno, quello che ha fatto quasi tutto lui, viene descritto con autentica ammirazione dal teste Lalli anche lui esperto di armi". La perizia balistica identifica sul luogo dell'agguato 91 bossoli sparati da 4 armi diverse. Ed effettivamente 49 bossoli si riferiscono ad un'arma e 22 ad un'altra. Occorre però notare che più volte la perizia mette in evidenza la parzialità delle risultanze data la vastità del campo d'azione e la ressa creatasi subito dopo il fatto: " Non è da scartarsi nella confusione del momento, che curiosi abbiano raccolto od asportato bossoli, o che essi calpestati o catapultati da colpi di scarpa od altro siano rotolati in luoghi ove poi non sono stati più trovati (ad esempio un tombino) ed infine che i bossoli proprio non siano caduti a terra perché trattenuti dentro eventuali borse, ove era trattenuta l'arma che sparava ". Bisogna quindi precisare che 91 non sono i colpi sparati, ma soltanto i bossoli ritrovati sul terreno. Tenendo presente che i colpi sparati potrebbero essere molti di più dei 91 bossoli ritrovati, il fatto che 49 colpi sono stati sparati da un'unica arma acquista un valore del tutto relativo. Se dai bossoli, poi, si passa all'analisi dei proiettili, il dato diventa ancor più aleatorio. La perizia, infatti, afferma: " I proiettili ed i frammenti di proiettili repertati sono relativamente molto pochi, un quarto circa dei proiettili che si sarebbero dovuti trovare in relazione al numero dei bossoli. Non tutti i proiettili, e forse la maggior parte, nello stato come sono, abrasi, dilaniati, deformati e scomposti sono utili per definire le caratteristiche della presumibile arma". Quanto poi all'affermazione dei 49 colpi quasi tutti a segno le risultanze balistiche dicono: " Nei cadaveri in particolare a fronte di almeno 36 ferite da armi fuoco sono stati repertati soltanto 13 proiettili calibro 9 mm 8 di cui sparati da un'arma e 5 da un'altra ". Come si può notare quindi è cosa certa, ed emerge dalla perizia, la presenza in Via Fani di un terrorista che esplode un numero veramente rilevante di colpi. L'altro elemento che è servito per creare la figura del superkiller è l'ormai famosa testimonianza del benzinaio Lalli che afferma: " Ho notato un giovane che all'incrocio con Via Fani sparava una raffica di circa 15 colpi poi faceva un passo indietro per allargare il tiro e sparava in direzione di un'Alfetta [...] L'uomo che ha sparato con il mitra, dal modo con cui l'ha fatto mi è sembrato un conoscitore dell'arma in quanto con la destra la impugnava e con la sinistra sopra la canna faceva in modo che questa non s'impennasse inoltre ha sparato con freddezza e i suoi colpi sono stati secchi e precisi". Lalli parla quindi di una persona esperta nel maneggiare le armi, nulla può chiaramente dire sulla precisione del killer. Ma è veramente indecifrabile questo personaggio che maneggia così bene le armi? Nella sua dichiarazione, Lalli assegna all'esperto sparatore un posto ben preciso: " egli è situato all'incrocio con Via Stresa ". Secondo le ricostruzioni quella posizione è occupata da Valerio Morucci. Perché allora ci sono dubbi sull'identità del brigatista? Evidentemente Morucci potrebbe anche possedere le qualità "tecniche" indicate dal Lalli. Per sincerarcene diamo uno sguardo alla sua "carriera": Morucci entra in Potere Operaio all'inizio degli anni settanta, come responsabile del servizio d'ordine ed è tra i primi a sollecitare una militarizzazione del movimento. Nel febbraio del 1974 è arrestato dalla polizia svizzera perché in possesso di un fucile mitragliatore e cartucce di vario calibro. Alla fine del 1976, al momento dell'entrata nelle Br, devolve all'organizzazione diverse pistole, munizioni, e la famosa mitraglietta skorpion, già usata nel ferimento Theodoli, ed in seguito utilizzata per uccidere Moro. Come componente della colonna romana delle Br partecipa a quasi tutti gli attentati che insanguinano Roma nel 1977. Infine, quando insieme con la Faranda esce dalle Br, pur essendo ormai un isolato senza concrete prospettive militari, decide di riprendersi le proprie armi. Un vero arsenale formato da pistole, mitra e munizioni rinvenuto in casa di Giuliana Conforto al momento del suo arresto, il 29 Maggio 1979. A conferma del rapporto quasi maniacale che Morucci ha con le armi ci sono moltissime testimonianze di compagni brigatisti. Carlo Brogi, un militante della colonna romana nel processo Moro afferma: " Morucci aveva con le armi un rapporto incredibile, anche perché, come lui stesso mi ha detto, molte delle armi che aveva portato via le aveva portate lui nell'organizzazione provenendo dalle F.A.C. e che queste armi erano il risultato d'anni di ricerche per modificarle, per trovare i pezzi di ricambio, insomma erano sue creature. Pertanto per lui separarsene era un insulto a tutto il suo lavoro". Credo che, viste le caratteristiche di Morucci, affermare che fosse in grado di maneggiare correttamente un fucile sia davvero il minimo.
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