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La storia nascosta
Un altro piccolo tassello in uno dei casi piu' intrigati del nostro paese,l'articolo scritto da S.Limiti una delle autorita' nella competenza sulla storia nascosta d'italia,racconta di come anche per il movito sotto elencato Moro ando' incontro a morte sicura, Kissinger (ricordate uno degli elementi del trio mondezza) raggiunse il suo obiettivo, e' inutile pensare che la persona indicata nell'articolo possa essere un altro,aveva sia il potere che le capacita' per ordinare che non fosse fatto nulla per salvare lo statista italiano.
Caso Moro, in documento riservato la trattativa “palestinese” per la sua liberazione e perché fallì
Si tratta dell’informativa inviata a metà aprile (la data esatta che ci è stata riferita è il 24) dal Centro Sismi di Beirut acquisita della Commissione parlamentare d’inchiesta.
di Stefania Limiti | 19 giugno 2016
Carte, carte e ancora carte. Sul caso Moro esiste una montagna di carte da dove, ogni tanto, esce qualche perla. Come quella che apre un nuovo squarcio sull’effettiva, reale possibilità di una via negoziale per risolvere lo stallo del sequestro più drammatico della storia politica italiana. E che conferma quanto disse al il fattoquotidiano lo scorso ottobre Bassam Abu Sharif, l’ex portavoce del Fronte popolare per la Liberazione della Palestina, un pezzo radicale dell’Olp di Yasser Arafat: “A Beirut era pronto un aereo per i brigatisti dopo la liberazione del presidente Dc. Ma intervenne una terza parte e il telefono non squillò più”.
Il documento, riservato, è stato acquisito della Commissione parlamentare d’inchiesta e un’autorevole fonte conferma la sua importanza. Si tratta dell’informativa inviata a metà aprile (la data esatta che ci è stata riferita è il 24) dal Centro Sismi di Beirut alla direzione centrale di Roma nella quale si riferisce dello stato delle trattative avviate dai Palestinesi per ottenere la salvezza del loro amico Aldo Moro. La situazione era davvero a buon punto, tanto che il capo centro, l’ormai molto noto colonnello Stefano Giovannone, rientra a Roma con un aereo messo a disposizione niente di meno che dall’Eni. La conclusione di un accordo per liberare Moro era molto vicina, tutto era giunto ad una fase molto avanzata di dialogo, come in effetti ci disse Mister Sharif: “L’aereo a Beirut era pronto. … ma tutto fu improvvisamente interrotto … Una terza parte, fortemente contraria, anzi intenzionata a liberarsi di Aldo Moro e della sua politica d’indipendenza, riuscì ad impedire le trattative. Per questo quel telefono non squillò più”. Dunque, non ha più senso chiedersi: ci furono le trattative per la liberazione di Moro oppure no? La domanda giusta, e che pesa come un macigno, è: chi intervenne per impedire una positiva conclusione dell’affaire?
Il documento, ritenuto di “estremo interesse”, conferma la solidità dell’alleanza stretta da Aldo Moro con la leadership palestinese, sfociata nel cosiddetto Lodo Moro, un accordo che legittimava la resistenza palestinese imponendo ai suoi gruppi armati di salvaguardare la sicurezza del nostro Paese. Uno dei rari casi in cui una scelta di politica estera è stata intrapresa in nome della nostra sovranità nazionale. Un’intesa vitale per i palestinesi che non potevano certo stare a guardare che Moro venisse cancellato dalla scena politica: di qui il loro frenetico, ancorché inutile, sforzo diplomatico, testimoniato più volte da Bassam Sharif, che era molto addentro alle cose italiane, e non solo da lui. Il Lodo Moro ha resistito abbastanza dopo l’uccisione del suo inventore.
Dal relativo fascicolo messo a disposizione della Commissione, classificato “segretissimo” - è stato fatto cadere il segreto di Stato ma resta un alto livello di riservatezza perché quelle carte si riferiscono ai rapporti con altri Stati – sono emerse carte che provano il buon andamento dei rapporti tra leadership palestinese e Italia e la “buona tenuta” del Lodo fino almeno all’ottobre del 1980, periodo al quale i documenti si riferiscono. Cioè sicuramente dopo le stragi di Ustica e Bologna: per questo chi parla di quei tragici eventi in chiave di una ritorsione palestinese contro l’Italia, come hanno fatto recentemente i senatori Carlo Giovanardi e Maurizio Gasparri, mesta nel torbido. Lo conferma il loro collega e storico Paolo Corsini: “Non vi è alcun elemento che colleghi a nessun titolo e in alcun modo quelle carte a Ustica e Bologna”, lo ha ribadito più volte un altro commissario dell’organismo parlamento, Paolo Bolognesi: “Nulla, neppure una virgola può essere collegato in quelle carte alle stragi”. Non ci resta che aspettare nuovi e auspicabili elementi investigativi, oltre che la possibilità di poter liberamente consultare questi materiali.
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Sull’ideologia Anti-islamofoba
Questo testo intende essere una risposta a coloro che, sono impegnati nella lotta contro l’“islamofobia” e, in virtù di questo, vorrebbero interdire ogni genere di critica contro l’Islam e promuovere una teoria della “razza sociale”, in un clima quanto meno generatore di tensioni, di accuse di razzismo ed anche di attacchi personali.
Se nasce probabilmente all’inizio del secolo scorso, è stato di recente che il termine “islamofobia” si è imposto in maniera eclatante come termine per indicare il razzismo verso gli “Arabi”. Si passa così dal razzismo contro le popolazioni del Maghreb alla paura o l’orrore suscitato dalla religione dei mussulmani. Gli immigrati ed i loro discendenti non saranno più discriminati per ragioni “etniche” ma per la loro supposta appartenenza ad una cultura originale ridotta ad un solo dei suoi aspetti: la religione mussulmana – nonostante non sia praticata da molti, anche quando si mantengono di essa alcune tradizioni divenuti di uso comune.
Siamo di fronte ad un gioco di prestigio che assimila la “razza” alla religione in quanto matrice culturale, ad una “mistificazione culturale (…), l’assegnazione di un intero popolo, in funzione della loro provenienza o del loro aspetto esteriore, alla categoria di “mussulmani”, mettendo a tacere ogni sorta di critica all’Islam, in quanto questo non rientrerebbe più nella categoria della critica delle religioni, ma direttamente in quella del razzismo”.(1) Se Claude Guillon vede del “disprezzo” in questo “antirazzismo degli idioti”,(2) noi vi scorgiamo soprattutto il fantasma che infesta la sinistra: il terzomondismo, ideologia che conduce ad adottare acriticamente la parte dell’“oppresso” contro quella dell’“oppressore”. È così che, durante la guerra del Vietnam, criticare gli USA implicava sostenere il Viet Minh e la politica di Ho Chi Minh, del quale i comitati Vietnam scandivano il nome ed innalzavano il ritratto durante le manifestazioni, come oggi sostenere i Curdi può implicare il sostegno al PKK ed innalzare il ritratto di Oçalan. Questo è successo durante la guerra d’Algeria dove coloro che, vedendo nel “colonizzato” lo sfruttato per eccellenza, hanno sostenuto incondizionatamente l’FLN, si è riprodotto durante la rivoluzione iraniana del 1979 e fra i propalestinesi. Il terzomondismo ha così abbandonato il proletariato come soggetto rivoluzionario per sostituirlo con il colonizzato, poi con l’immigrato, poi con il discendente d’immigrato… per giungere ai religiosi. L’originale terzomondismo aveva promosso il relativismo culturale , i suoi successori hanno adottato il culturalismo che pretende di spiegare i rapporti sociali tramite le differenza culturali. È negli anni ’80, con la grande mistificazione di SOS Racisme, che questo scivolamento è divenuto una dottrina che ha fatto nascere tutte le derive attuali, fino ad assegnare una identità “mussulmana” a tutti gli immigrati arabi ed ai loro discendenti.
Constatato lo scivolamento di una parte della sinistra verso l’ideologia culturalista, è interessante notare che questa è diventata, dopo il 1968, il cuneo di sfondamento di una corrente di estrema destra: la “Nuova Destra”. Il suo rifiuto dell’immigrazione non si fonda più su di un razzismo biologico ma sull’idea di un’assegnazione identitaria fondata su di una visione congelata delle società nelle loro tradizioni antiche, nonché sulla necessità, per conservare la pace sociale, di conservare delle culture omogenee. Secondo le elucubrazioni dei neodestrorsi, per cui i conflitti sono sempre etnico-culturali e mai di classe, i Maghrebini, per esempio, assegnati d’ufficio alla cultura mussulmana, devono di conseguenza restare nei loro paesi d’origine per vivere le loro tradizioni a casa loro! Detto per inciso, Alain de Benoist, leader ideologico della “Nuova Destra”, difende le lotte terzomondiste ed antimperialiste e nega il carattere razzistico della sua “difesa dell’identità europea”. Questa trasformazione del discorso razzista è presente da qualche anno all’interno di un’altra formazione di estrema destra, alla ricerca di un’immagine rispettabile, il Fronte Nazionale, che riprende parte della retorica della “Nuova Destra”: il problema non sono più gli “immigrati”, ma i “mussulmani”.
Accade così che si arrivi, da sponde teoricamente radicalmente opposte, ad adottare un discorso identitario il quale considera che tutti coloro che hanno un legame d’origine o familiare con l’uno o l’altro dei paesi del Maghreb (o di altri paesi “arabi”), sono da considerarsi “mussulmani”, dando loro l’aberrante appellativo di “francesi di origine mussulmana”. Questo anche se non è a causa della religione che praticano o che viene loro attribuita che sono discriminati, ma perché sono lavoratori migranti o provenienti da famiglie che emigrarono: non è l’identità che è in gioco ma l’appartenenza di classe. Questa “origine mussulmana” che fa saltare gli atei di origine maghrebina, nasconde sia uno stigma sociale sia uno stigma culturale. Lo Stato ed i grandi Media non si ingannano quando fanno del “mussulmano”, considerato necessariamente islamista (più o meno moderato o radicale), il nuovo prototipo del membro della Classe Pericolosa. (3)
È su queste basi che l’ideologia identitaria anti-islamofoba giunge ad associarsi, in particolare presso certi marxisti, a quella della “razza sociale”, chimera universitaria di recente importazione, che tenta di applicare qui lo schema razziale e comunitario della società nordamericana. Questa visione “razzialista”,(4) che pretende di creare una nuova categoria di “razza” non serve realmente ad altro che a mascherare o addirittura negare la realtà del rapporto sociale capitalista: lo sfruttamento dei proletari, di tutti i proletari, quale che sia la loro origine, il colore della loro pelle, la loro religione, i loro personali usi e costumi. La logica sarebbe che il razzismo sarebbe stato essenziale per lo sviluppo capitalistico allo scopo di giustificare il colonialismo: in realtà, però, considerare esseri inferiori gli oppressi è sempre stata una strategia di potere che si applica a tutti gli oppressi qualunque sia la loro presunta “razza”. Bloccare nella loro condizione servi, contadini poveri, schiavi, operai, passa notoriamente attraverso il diritto di esprimersi e di avere accesso all’educazione, con il pretesto che essi sarebbero troppo stupidi ed ignoranti per questo, in quanto appartenenti ad una categoria inferiore. Ricordiamo, però, che gli inglesi hanno duramente colonizzato e saccheggiato gli irlandesi ed i russi gli ucraini senza avere bisogno di questa giustificazione. In generale, sfruttamento e colonizzazione, non hanno bisogno di scuse particolari.
Eppure, il razzismo esiste di certo ed il rigetto del “mussulmano” povero ed immigrato è una delle sue manifestazioni. I discorsi del FN, del Blocco Identitario e di Pegida(5) contro l’Islam non sono che l’albero che nasconde la foresta: sono semplicemente dei razzisti che vogliono che gli immigrati sloggino. Ai loro occhi, l’argomento culturale è senza dubbio più accettabile dei vecchi argomenti razzisti basate su delle caratteristiche pretese innate (i neri sono così, gli arabi colì…). Questa strategia permette loro di aggregare in misura maggiore, tanto più che questi movimenti sfruttano per i loro scopi razzisti l’aumento effettivo dell’Islam radicale. Se l’immigrazione è per essi il problema fondamentale, essi si aggrappano ad argomenti onorevoli quali la difesa della laicità e la lotta contro il sessismo: in realtà però, che gli immigrati (poveri, ovviamente) siano o meno mussulmani , sono per loro sempre e comunque degli indesiderabili.
Il razzismo, come la xenofobia, è un arma che i dominanti utilizzano contro i dominati. Come scrive Fredy Perlman, “i colonizzatori/invasori dell’America del Nord erano ricorsi ad un’arma che non era, come la ghigliottina, di recente invenzione, ma che era altrettanto mortale. Questo strumento sarà più tardi denominato razzismo e s’integrerà nella prassi nazionalista (…). Le persone che avevano abbandonato i loro paesi e le loro famiglie, che erano sulla strada di dimenticare la loro lingua e di perdere la loro cultura, che erano spogliati di tutto tranne che della loro socialità, erano manipolati al fine di considerare il colore della loro pelle come sostituto per ciò che avevano perduto (…). Il razzismo è stata una delle armi per mobilitare gli eserciti coloniali (…) e se non ha soppiantato gli altri metodi, li ha piuttosto affiancati”.(6) Il suo scopo è quello di creare categorie che permettono
di prevenire o schiacciare ribellioni e lotte sociali. È ciò che ha fatto in Algeria il governo francese nel 1870, concedendo per decreto (la “legge Crémieux”) la nazionalità francese agli “indigeni israeliti”. L’appartenenza “religiosa” è stata utilizzata per schiacciare le lotte sociali nell’ex Yugoslavia con la creazione a tavolino di una “identità mussulmana” fino ad allora sconosciuta, lanciando gli uni contro gli altri uomini che fino a quel momento avevano vissuto tutti insieme.
Logicamente, le divisioni razziali si fanno operanti soprattutto nei periodi di crisi, quando il reddito cala e l’impiego viene a mancare. Segue...
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Seconda parte
È su questo terreno che il FN giunge a conquistare le antiche roccaforti operaie della sinistra. Anche nei periodi di piena occupazione, comunque, il potere ed i suoi mezzi di comunicazione hanno sempre più o meno alimentato la xenofobia, incoraggiando di volta in volta la stigmatizzazione di ciascuna delle differenti ondate di lavoratori immigrati (i “polacchi”, i “mangiaspaghetti”, i “portoghesi”…). La grande differenza è che, nell’unità che si forma sul posto di lavoro, la solidarietà operaia prevaleva sui pregiudizi e si combatteva fianco a fianco. Ma questo era prima…
Quanto al termine “islamofobia”, in realtà il problema non risiede nella nozione in se stessa ma nell’uso che ne fanno coloro che la manipolano. Vi si ritrovano gli stessi usi mistificanti della nozione di antisemitismo allorché questo termine è dato come sinonimo di antisionismo e giunge all’accusa di “antigiudaismo”, tramite l’affermazione che la critica del sionismo deve necessariamente essere una posizione razzista di fronte ai “giudei” e non una critica all’aspetto colonizzatore di uno stato confessionale quale è Israele.
L’Islam politico tende, come dice Claude Guillon, a fare de “l’islamofobia un’arma di guerra contro l’ateismo”(7) e, più in generale, un veicolo di propaganda per la religione mussulmana. Gli anti-islamofobi di estrema sinistra hanno una posizione a dir poco ambigua relativamente all’islam politico. Pretendono così di interdire ogni genere di critica della religione mussulmana considerata come una pratica razzista, con un atteggiamento moralizzatore rivelatore di una mancanza di analisi politica dell’evoluzione dell’islam politico dopo la rivoluzione iraniana del 1979 – quando non ne negano addirittura l’esistenza. Di fronte al jihadismo, i nostri anti-islamofobi non si scompongono affatto: dopo ogni attentato commesso dai jihadisti in Europa (che si aggiunge alla lunga lista delle loro atrocità, specialmente in Africa ed in Medio Oriente), essi si preoccupano sopratutto della recrudescenza dell’“islamofobia” (ed anche, con maggiore ragione, delle politiche repressive, cosa questa che può portare a ritenere come unico responsabile di tutto l’imperialismo occidentale. Così, a loro avviso, gli attentati parigini del 13 novembre 2015 sarebbero esclusivamente una ripercussione delle guerre intraprese dallo Stato Francese in Iraq, Libia, Mali… Gli interessi di quest’ultimo nello scacchiere politico africano e mediorientale sono evidenti, ma insufficienti a spiegare completamente la nascita e la persistenza dello Stato Islamico(8) o di Boko Haram. Questi discorsi permettono in qualche modo agli anti-islamofobici di ignorare le implicazioni effettive dell’Islam radicale negli attentati, in Francia ed altrove nel mondo, e di negare l’autonomia morale dei loro autori, fino a deresponsabilizzare i fratelli Kouachi o Coulibaly perché sono proletari e “figli dell’immigrazione”. Ritroviamo qui l’ideologia vittimistica che non solo assegna individui e gruppi a delle identità (donne, “razzistizzati”, ecc), ma anche a delle categorie prefissate di vittime ed oppressi dei quali è proibito criticare scelte e pratiche, anche le più reazionarie. Questi atteggiamenti ideologici portano ad occultare il carattere controrivoluzionario dell’Islam radicale che, da molti anni, conosce in Europa occidentale (senza di sicuro dimenticare il Maghreb ed il Medio Oriente) un aumento, anche se resta minoritario relativamente alla totalità della popolazione che si dice mussulmana. Da quando era marginale, se non addirittura inesistente, l’Islam radicale, la cui forma maggioritaria è oggi il salafismo, si è molto espanso.
Per queste anime belle anti-islamofobe, occorrerebbe semplicemente considerare la religione mussulmana in maniera estremamente aperta perché sarebbe la “religione degli oppressi”. Sembrano così dimenticare completamente che la funzione fondamentale di ogni religione è il controllo sociale e, ogni volta che se ne presenta l’occasione, l’Islam afferma dappertutto la sua volontà di controllo sulle società che intende governare. Così, il salafismo ha una forza sufficiente per esercitare il controllo su alcune zone urbane: durante i disordini del 2005, i salafiti hanno anche cercato di controllare alcuni sobborghi. Lo sviluppo di questa tendenza si inscrive in un contesto di crisi economica, segnato dallo sviluppo della disoccupazione di massa, di attacco ai salari ma anche di arretramento delle politiche sociali dello Stato. Per superare questi problemi, i salafiti sono stati in grado di mettere in piedi reti di mutuo soccorso, cosa che permette loro di avere influenza sulle popolazioni.
Non perdere di vista il ruolo di controllo sociale delle religioni ci pare indispensabile. “Una religione è in effetti una serie di credenze trascendenti che comportano delle regole di condotta di vita molto precise, basate su una tradizione morale, alle quali l’individuo deve sottomettersi. Si tratta di un rapporto sociale, una forma di costrizione di ciascun individuo singolarmente e delle masse prese collettivamente. La religione ricopre inoltre un ruolo di giustificazione ideologica del potere, di garanzia della tradizione e dell’ordine stabilito, più in generale di una qual certa “pacificazione” sociale. Questo tramite una interpretazione organicistica della società, un’esaltazione delle gerarchie, il rifiuto dell’autonomia individuale. Spesso la religione è anche un mezzo per dirigere la conflittualità sociale verso obiettivi fittizi o di indebolirla facendo immaginare paradisi futuri. Il paradiso, questa triste menzogna che garantisce qui ed ora la pace sociale ai potenti. Donando una speranza trascendente, la religione soffoca la maggior parte delle spinte rivoluzionarie operati quaggiù ed adesso. Il bel passo di Bakunin – Se Dio esistesse, occorrerebbe distruggerlo – tocca il problema fondamentale della religione: l’idea di Dio è il fondamento concettuale di quella di autorità e la sua controparte – la fede – quella dell’accettazione della servitù.(9)
Se la fede e le domande trascendenti sono questioni personali e ci si può trovare fianco a fianco in una lotta con chi si proclama credente senza che questo crei problemi, vogliamo però poter affermare apertamente ed a voce alta che siamo atei. Affermare il nostro ateismo e criticare ogni sorta di religione è indissociabile dalla nostra posizione politica ed intendiamo praticare liberamente sia la blasfemia sia, almeno, la denuncia delle pratiche religiose e/o delle consuetudini coercitive, mutilanti e/o umilianti, così come dello statuto inferiore assegnato alle donne da tutte le religioni monoteiste (delle altre discuteremo in un’altra occasione).
Infine precisiamo che per noi esistono solo due classi, la borghesia capitalistica e la classe lavoratrice. Anche se, all’interno degli sfruttati, alcuni lo sono più di altri a causa del loro sesso e/o della loro origine, questi non costituiscono una classe a sé, ma sono solo dei segmenti degli sfruttati creati dal potere e dagli sfruttatori. Il pensiero borghese, qualunque sia il suo presunto schieramento politico, trova in questo un mezzo per dividere il proletariato, di stimolare la concorrenza tra i lavoratori e di depotenziare così le lotte sociali. Poiché ogni divisione della classe lavoratrice non fa che indebolire la sua capacità di lotta e segmentarla per meglio dividerla, ciò permette alla classe capitalistica, particolarmente in periodi di crisi, di utilizzare la concorrenza di tutti contro tutti. Non è con l’antirazzismo che si combatte il razzismo, ma con la lotta di classe. Se si è giunti al punto da affermare che “pensare con il concetto di razza è un imperativo imprescindibile” e che “ogni rifiuto di adottare questo vocabolario e di ciò che ne consegue sarà considerato come il diniego, se non la completa negazione, e cadrà sotto i colpi del dispositivo accusatorio”,(10) questo farebbe dei razzisti coloro che, come noi, non aderiscono a questa visione, il che ci sembra un’assurdità.
Flora Grim
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(strano che il Corano parli di emigrazione dei musulmani e di odio per gli ebrei, due situazioni attuali...)
Mi è venuta in mente una cosa da niente, la scrivo qui: lo slogan di Obama, "yes we can", significa "sì, sì, sì" :
yes - inglese
oui - francese
ken - ebraico
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Caleb Maupin * | globalresearch.ca - Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare - 16/07/2016
Il diritto internazionale proibisce l'uso del cibo come arma. Tuttavia, le nuove sanzioni annunciate dagli USA inibiscono drasticamente alla Corea del Nord di esportare carbone ed altre materie prime sul mercato internazionale. Le nuove sanzioni sono parte di una lunga storia di attacchi da parte degli Stati Uniti all'economia nordcoreana volti a nuocere alla capacità di quest'ultima di procurare cibo e sussistenza alla propria popolazione.
Fin dalla caduta dell'URSS nel 1991, i leader USA hanno bloccato in modo continuativo la capacità della Repubblica Democratica di mantenere il proprio sistema agricolo, mentre contemporaneamente accusavano i leader di questo paese di "affamare il proprio popolo"
La lotta per l'autosufficienza in agricoltura
La penisola coreana è stata divisa sin dal 1945. Le terre pianeggianti che possono essere utilizzate per la coltivazione del cibo sono principalmente locate nel sud, dove decine di migliaia di militari delle truppe USA difendono la Corea del Sud.
La Repubblica Popolare Democratica di Corea ha il controllo delle regioni montagnose. Il socialismo ha preso piede nelle colline e nelle valli dove Kim Il Sung (il cui nome significa "arriva il sole") combatté gli occupanti giapponesi per decenni come un amato eroe popolare. Kim Il Sung divenne leader del Partito del Lavoro di Corea che si batte per una pacifica riunificazione della penisola coreana ed ha fondato un'economia centralmente pianificata in stile sovietico.
Sebbene la Corea del Nord possieda poche terre coltivabili, ha abbondanza di risorse minerarie. La gran parte dei giacimenti di carbone nella penisola coreana si trovano nel Nord.
Nel 1953, quando un armistizio concluse gli scontri nella guerra di Corea, una delle più difficili sfide che la Repubblica Popolare Democratica di Corea dovette affrontare fu la scarsità di terre coltivabili. Durante gli anni '50 e '60, la RPDC edificò un vasto apparato industriale per l'estrazione del carbone e la fabbricazione dell'acciaio. La Corea del Nord esportava carbone verso gli altri stati socialisti in cambio non solo di cibo, ma di risorse per modernizzare la propria agricoltura domestica.
Sebbene la Corea del Nord potesse importare cibo dal COMECON, il blocco dei paesi guidati da governi socialisti, ciò era un punto debole. Kim Il Sung ed il Partito del Lavoro di Corea posero enfasi sulla "Juche", o sulla "autosufficienza" e spinsero il paese a portare a termine il difficile compito di affrancarsi dall'importazione di cibo. L'obiettivo prefissato era la "autosufficienza alimentare". La Repubblica democratica iniziò a realizzare campi di grano sulle pendici dei monti, facendo grandi sforzi per coltivare cibo nelle regioni montuose e per porre fine alla dipendenza dalle importazioni di cibo.
Secondo la CIA, la Corea del Nord aveva acquisito autosufficienza energetica ed alimentare sin dagli anni '70. David Barkin, un ricercatore dell'Institute for Food and Development Policy, visitò la Repubblica Popolare Democratica di Corea nel 1986 e rimase colpito da quello che vide. Pubblicò un breve opuscolo sulle politiche agricole della RPDC ed esortò le Nazioni Unite ad aiutare gli Stati dell'America Latina, dove la produzione di cibo rimaneva sotto la media, ad adottare un sistema agricolo similare a quello realizzato in Corea del Nord.
Sebbene la Corea fosse diventata autosufficiente negli anni '70, l'agricoltura nordcoreana dipendeva da uno specifico bene d'importazione. Per far funzionare il suo complesso sistema di produzione alimentare aveva bisogno di molto petrolio.
La Corea del Nord importava petrolio dall'Unione Sovietica e lo utilizzava per far funzionare i trattori necessari per coltivare nelle regioni collinari e rocciose, ed arare il terreno dei campi costruiti sulle pendici dei monti. Il petrolio sovietico consentiva alla Nord Corea di trasportare cibo ed alimenti nelle più remote parti del paese, lontane da ogni campo coltivabile.
Quando l'URSS cadde nel 1991, seguita dai vari governi socialisti dell'est Europa, il mercato internazionale del petrolio fu drammaticamente truccato. La Repubblica Popolare Democratica di Corea non avrebbe più potuto importare a lungo petrolio dall'Unione Sovietica. Con il COMECON non più in essere l'OPEC fu dominata dagli USA e dai governi allineati della Gran Bretagna, e fece in modo che gli acquisti e le vendite di petrolio fossero fatte solo con dollari USA. Per la RPDC divenne impossibile esportare carbone e prodotti similari come faceva un tempo.
Il sistema agricolo della Corea del Nord, altamente efficiente, ma dipendente dal petrolio, si inchiodò bruscamente. Il paese sperimentò una terribile crisi alimentare quando le sanzioni USA impedirono alla Corea del Nord di acquistare i dollari USA necessari per acquistare petrolio sul mercato internazionale ed usarlo per produrre cibo.
Mentre i funzionari USA continuavano ad accusare la Corea del Nord di "affamare il suo stesso popolo", omettevano dolosamente di menzionare che la carestia del 1990 fu provocata ed imposta dalle sanzioni economiche che impedirono alla Corea del Nord di acquistare petrolio. Non erano Kim Il Sung o Kim Jong Il che affamavano il popolo coreano nei primi anni '90. La crisi alimentare fu creata dalle politiche sanzionatorie imposte su quel paese.
Questo periodo è definito dai coreani "Arduo Cammino" perché fu difficile affrontarlo per il popolo. Il Programma Alimentare Mondiale, diversi gruppi religiosi ed altre organizzazioni di carità si impegnarono per mitigare le conseguenze della fame. Persone della Corea del Sud si impegnarono in azioni umanitarie per portare assistenza ai propri compaesani del Nord e furono imprigionati in forza delle leggi autocratiche e securitarie emanate dalla Corea del Sud. Le leggi della Corea del Sud sulla sicurezza nazionale sono state a larga maggioranza censurate perché violavano gli standard internazionali in materia di diritti umani e libertà civili.
Guerra economica contro il popolo coreano
Mentre la fame falcidiava la parte settentrionale della penisola coreana, l'amministrazione dell'ex presidente Clinton raggiunse un accordo con la Corea del Nord nel quale si permetteva a questo paese di ricevere qualche importazione di petrolio in cambio dello stop allo sviluppo di armamenti atomici. L'amministrazione Clinton accettò anche di assistere la Coreadel Nord nello sviluppo dell'uso pacifico dell'energia nucleare, purché ispettori per gli armamenti potessero monitorare i siti di produzione assicurando che non fossero utilizzati per la produzione di armi.
Dopo l'11 settembre 2001, l'amministrazione Bush descrisse la Corea del Nord come uno stato facente parte dell' "Asse del Male". Le spedizioni di petrolio vennero interrotte. A questo punto, la Corea del Nord recedette dal Trattato di non proliferazione nucleare e cominciò attivamente a sviluppare armamenti nucleari - una scelta che pare abbastanza logica e razionale, suffragata dal tradimento da parte degli USA del precedente accordo.
Da quell'epoca, il sistema agricolo della Corea del Nord sembra essersi adeguatamente adattato e ricostruito. I cambiamenti politici in scala globale hanno consentito alla Corea del Nord di importare petrolio al di fuori del mercato ufficiale OPEC. Anche il cibo può venire importato. Nel 2013, Tom Morrison, un agronomo del Programma Alimentare Mondiale, ha previsto che la Nord Corea raggiungerà ad un certo punto l'autosufficienza alimentare in un vicino futuro. La Corea del Nord ha sperimentato una sostanziale crescita economica negli ultimi anni, con un boom immobiliare e si parla di joint venture con società estere.
L'annuncio di nuove sanzioni per la Corea del Nord da parte di funzionari USA, volte a paralizzare la capacità di esportazione del carbone, è stata recepita come una "dichiarazione di guerra" dai leader della RPDC. Queste non sono affatto accuse o rivendicazioni folli od estremiste.
La Corea del Nord sta cerando di ripristinare la sua economia dal disastro degli anni '90. Impedire alla Corea del Nord di vendere carbone sui mercati internazionali è, essenzialmente, rubare il cibo dalla bocca del popolo nordcoreano. Questo è un atto di guerra economica ed il popolo nordcoreano ne viene oltraggiato al massimo grado.
I leader USA stanno strangolando economicamente la Corea del Nord, e dicono che lo stanno facendo per tutelare i "diritti umani". Nello stesso tempo, le compagnie petrolifere USA continuano a fare affari con le dittature più scopertamente repressive e autocratiche dell'Arabia saudita, del Qatar, del Bahrein e degli Emirati Arabi Uniti. Gli USA vendono armi e sostengono le economie di queste brutali monarchie assolute, dove non esiste nemmeno il concetto di diritto umano, ciò mentre continuano a minacciare la Corea del Nord basandosi su mere asserzioni riguardo ai campi di lavoro.
Anche secondo i critici più severi, nella Corea del Nord c'è una Costituzione e un sistema elettorale, mentre viene garantito alla popolazione il diritto universale ad avere un'abitazione. Questi soli fatti mettono la Repubblica Popolare Democratica di Corea miglia e miglia avanti a paesi come Arabia Saudita, Bahrein, Qatar ed Emirati Arabi Uniti in termini di diritti umani.
La palese ipocrisia dei leader USA, che da un lato sabotano l'economia della Corea del Nord e dall'altro dicono che Kim Jong Un sta affamando il suo popolo, è sbalorditiva. Non c'è alcun motivo per cui la RPDC non debba poter vendere i suoi prodotti sul mercato mondiale come ogni altro paese. La dura risposta che la Corea del Nord darà alle nuove sanzioni non dovrebbe sconvolgere nessuno.
* Caleb Maupin è un'attivista ed analista politico con base a New York. Ha studiato Scienze Politiche al Baldwin-Wallace College, è attivo ispiratore del movimento Occupy Wall Street, specialmente in veste di autore nella rivista "New Eastern Outlook"
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Uno dei tanti anniversari che non bisognerebbe mai dimenticare.
L'eccidio di Bronte e i monumenti in onore degli assassini
Ignazio Coppola
– Dal 6 al 9 agosto del 1860 , a bronte, nino bixio, su mandato di giuseppe garibaldi, si rendeva protagonista di un atto scellerato ed infame che la storia, quella vera e non quella paludata della storiografia ufficiale e scolastica, ci ha tramandato e condannato come l'eccidio di bronte.
Ciò val bene per ricordare e non dimenticare su come i liberatori quali Nino Bixio intendevano trattare i siciliani e soprattutto, i contadini illusi dalla promesse dei decreti garibaldini sulla assegnazione delle terre, convinti che, finalmente, con l'arrivo di Garibaldi e delle camicie rosse potessero legittimamente essere garantiti i principi di libertà e di giustizia sociale.
In quel maledetto e torrido agosto del 1860 ai siciliani ed ai brontesi, speranzosi che per loro le cose sarebbero cambiate in meglio, mal gliene incolse. A farli ravvedere dalle loto aspettative provvide alla bisogna il paranoico generale garibaldino che certo dei siciliani non aveva gran considerazione e stima se è vero che, alla moglie Adelaide, durante l'impresa dei mille così ebbe tra l'altro testualmente a scrivere a proposito della Sicilia e dei siciliani: Un paese che bisognerebbe distruggere e gli abitanti mandarli in Africa a farsi civili.
E con questo stato danimo e questa predisposizione nei confronti dei siciliani che Bixio si presentò a Bronte prendendo, per tre giorni alloggio al collegio Capizzi, la mattina del 6 agosto, con due battaglioni di bersaglieri per ristabilire l'ordine che era stato turbato nei giorni precedenti dai popolani e dai contadini-vassalli della ducea di Nelson che, illusi, si erano ribellati rivendicando il diritto allassegnazione delle terre ed al riscatto sociale promesso loro dai truffaldini decreti garibaldini
All'avanzata di Garibaldi in Sicilia e con la illusoria promessa di una più equa distribuzione delle terre furono molti infatti i paesi che come Bronte insorsero al grido abbassu li cappeddi, vulimi li terri, quali tra gli altri :Regalbuto , Polizzi Generosa, Tusa, Biancavilla, Racalmuto, Nicosia, Cesarò, Randazzo, Maletto, Petralia, Resuttano, Montemaggiore, Castelniovo, Capaci, Castiglione, , Centuripe, Collesano, , Mirto, Caronia, Alcara Li Fusi, Nissoria, Mistretta, Cefalù, Linguaglossa, Trecastagni e Pedara.
Le aspettative del popolo e dei contadini nei confronti dei cappeddi( i latifondisti ed i ricchi proprietari terrieri) furono represse in quei paesi con il piombo e nel sangue da quei garibaldini che avevano promesso loro: terre, libertà e giustizia. Quello stesso piombo che, 34 anni dopo nel 1894, lex garibaldino Francesco Crispi che era stato prima segretario di stato e teorico della spedizione dei Mille e successivamente dopo lUnità divenuto presidente del Consiglio, ordinò di scaricare sui contadini siciliani che rivendicavano le terre e reprimendo così nel sangue con centinaia di vittime innocenti l'epopea dei Fasci Siciliani.
A distanza di anni con pedissequa ferocia, di fatto, si riproponeva, ancora una volta, in un bagno di sangue, la logica della difesa del privilegio e della conservazione perché nellottica gattopardiana nulla cambiasse, prima con Garibaldi e poi con Crispi
Ma torniamo ai fatti e al grido di libertà dei contadini e dei cittadini di Bonte..Su pressione del console inglese di Catania John Goodwin, a sua volta sollecitato dai fratelli Thovez amministratori della ducea per conto della baronessa Bridport, Garibaldi, costi quel che costi, per reprimere la rivolta di quei brontesi che avevano avuto l'impudenza di ribellarsi agli inglesi suoi protettori e finanziatori dell'impresa dei Mille invia per risolvere la questione ed assolvere questo sporco lavoro ,come era nelle sue attitudini ed abitudini, il suo fedele luogotenente Nino Bixio.
Appena giunto, come primo atto, il liberatore( degli interessi degli inglesi e non dei contadini e dei siciliani) Bixio decretò lo stato dassedio e la consegna delle armi imponendo una tassa di guerra dichiarando il paese di Bronte colpevole di lesa umanità dando inizio a feroci rappresaglie senza concedere alcuna minima garanzia e guarentigia alla cittadinanza. I nazisti ottantanni dopo prenderanno lezioni da questi metodi dei liberatori garibaldini. Bisognava dimostrare ai padroni inglesi che nessuno poteva toccare impunemente i loro interessi.
E il paranoico servo con i suoi metodi criminali li accontentò appieno. Si passò ad una farsa di processo e tutto fu liquidato in poco tempo senza riconoscere alcun diritto alla difesa discutendo e dibattendo il tutto in appena quattro ore.
Alla fine, alle 8 di sera del 9 agosto, calpestando ogni simulacro di garanzia, era già tutto deciso con la condanna a morte di cinque cittadini che niente avevano avuto a che fare con i tumulti e le rivolte delle precedenti giornate che avevano turbato la tranquillità ed il sonno degli inglesi in quel di Bronte.
I cinque, la mattina del giorno dopo il 10 agosto, nella piazzetta della chiesa di San Vito finirono vittime innocenti dinanzi al plotone desecuzione. Lavvocato Nicolò Lombardo notabile del paese che, da vecchio liberale, con tanta speranza aveva atteso lo sbarco garibaldino sognando un futuro migliore per la sua terra dovette ricredersi in quellattimo che la scarica di fucileria spense quel suo sogno e per lavvenire il sogno di tanti siciliani. Con lui morirono Nunzio Spitaleri Nunno, Nunzio Samperi Spiridione, Nunzio Longhitano Longi, Nunzio Ciraldo Fraiunco. Questultimo era lo scemo del paese che sopravvisse alla scarica di fucileria e invocando vanamente la grazia fu finito cinicamente con un colpo di pistola alla testa dallufficiale che aveva comandato il plotone
Dopo la feroce esecuzione,a monito per la popolazione di Bronte, i corpi delle vittime rimasero esposti ed insepolti per parecchio tempo. Ma non era finita, a questo primo processo sommario ne seguì un altro altrettanto persecutorio e vessatorio nei confronti di coloro che avevano arrecato oltraggio ai grossi proprietari terrieri e agli inglesi della ducea.
Il processo che si celebrò presso la Corte di Assise di Catania si concluse nel 1863 con 37 condanne esemplari di cui 25 ergastoli. Giustizia era stata fatta. I poveracci non avrebbero più alzato la testa.
Il 12 Agosto, dopo avere fatto affiggere precedentemente il 9 agosto a suo nome un proclama indirizzato ai comuni della provincia di Catania con il quale invitava i contadini a stare buoni e a tornare al lavoro nei campi pena ritorsioni e feroci rappresaglie, Nino Bixio ribadiva che gli assassini e i ladri di Bronte sono stati puniti e a chi tenta altre vie crede di farsi giustizia da sé, guai agli istigatori e ai sovvertitori dellordine pubblico. Se non io, altri in mia vece rinnoverà le fucilazioni di Bronte se la legge lo vuole Proclami e avvisi tendenti ad rassicurare baroni, latifondisti, proprietari terrieri e soprattutto gli inglesi che, con Garibaldi e Bixio, non cera alcun pericolo di rivolte sociali. La rivoluzione garibaldina aveva mostrato il suo volto. Gli interessi della borghesia, dei latifondisti, degli inglesi che facevano affari in Sicilia e di quei settentrionali che in nome di Vittorio Emanuele in futuro li avrebbero fatti erano salvi e salvaguardati dalle camicie rosse.
E dire che a questi personaggi, come Nino Bixio e Giuseppe Garibaldi, i siciliani con un masochismo degno di miglior causa hanno dedicato una infinità di via strade, piazze, scuole, monumenti e quantaltro a significativa memoria che da sempre siamo affetti dalla sindrome di Stoccolma ossia quella di innamoraci dei nostri carnefici. E ora di finirla. Prendendo coscienza e consapevolezza della nostra vera storia è giunto il momento di buttare giù lapidi, e disarcionare dai monumenti questi personaggi che dipinti come falsi eroi ci hanno depredato della nostra economia, della nostra storia, della nostra cultura e della nostra identità. I tribunali della storia che per fortuna sicuramente non sono quelli dei processi sommari di Bronte alla fine certamente condanneranno per i loro crimini questi personaggi: Anticipiamo sin da ora le sentenze e buttiamoli giù dai loro piedistalli.
Per quanto riguarda infine Gerolamo Bixio detto Nino pochi sanno che alla fine la giustizia divina, per le sue malefatte, più di quella degli uomini gli presentò un conto salato facendolo morire tra atroci dolori, sofferenze e tormenti in preda alla febbre gialla ed al colera a bordo della sua nave( s'era dato ai commerci con l'Oriente))il 16 dicembre del 1873, a Banda Aceh nell'isola di Sumatra, a quel tempo colonia olandese. Il suo corpo infetto chiuso in una cassa metallica fu sepolto nell'isola di Pulo Tuan che nella lingua locale significa isola del Signore.
Successivamente tre indigeni, credendo di trovare qualche tesoro, disseppellirono la cassa denudarono il cadavere e poi lo riseppellirono vicino ad un torrente. Due di loro, infettati dal colera morirono nel breve giro di 48 ore. Anche da morto Bixio era riuscito a fare delle vittime. Roba da Guinnes dei primati. I pochi resti del suo corpo ed alcune ossa, grazie al terzo indigeno sopravvissuto alla maledizione, vennero ritrovati nel giugno del 1876. Il 10 maggio del 1877 quello che rimaneva dei resti del massacratore di Bronte, veniva cremato nel consolato italiano di Singapore.. Il 29 settembre di quello stesso anno le ceneri giunsero a Genova e seppellite nel cimitero di Staglieno. Lavvocato Nicolò Lombardo e le altre vittime di Bronte , per loro buona pace si può dire che per la morte atroce del loro aguzzino e per ciò che ne conseguì, erano state vendicate alla fine dalla giustizia divina.
NO FAITHS NO PAIN
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Agli albori dell'unita' d' italia un altra storia stra-nascosta dai nostri storici falsi e stitici:
Dal sito Byoblu:
IL MEMORIALE DEL CAPO DEI SERVIZI SEGRETI DI CAVOUR: CURLETTI.
Da un documento-chiave di questo libro, che abbiamo trovato nell’archivio storico dello Stato Maggiore della Difesa. Era un memoriale che gli storici non avevano mai letto, scritto dal capo dei Servizi Segreti di Cavour (il padre del nostro Risorgimento, personaggio piuttosto spregiudicato che non disdegnava di utilizzare la polizia segreta per raggiungere i suoi scopi politici e strategici e ne fece un largo uso proprio in quella fase).Il documento che abbiamo trovato allo Stato Maggiore della Difesa non ha la firma del capo dei Servizi Segreti di Cavour, ma nel frontespizio porta soltanto una sigla: “J.A.“. Ha un contenuto esplosivo, perché questo “J.A.” fece, per conto di Cavour, per conto del Piemonte e per la realizzazione dell’unità italiana, tutte le operazioni sporche, le operazioni di guerra non ortodossa. Partendo da quel documento abbiamo compiuto una sorta di viaggio a ritroso per capire la genesi e soprattutto per identificare il personaggio. E così abbiamo trovato il nome del capo dei poliziotti segreti di Cavour. Un certo Curletti…
Si parte con un episodio di cronaca nera. Cioè l’arresto a Torino, nella fase pre-risorgimentale (siamo verso la fine degli anni ’50 dell’ottocento) di un delinquentello. Venne arrestato dalla polizia perché indossava un cappotto che era troppo elegante per un balordo come lui. E da questo sospetto nacque un’inchiesta molto approfondita che via via portò ai livelli superiori. Il delinquentello portò a una organizzazione di ricettatori, perché era un cappotto rubato, parte di una refurtiva, poi rivenduto a questo piccolo balordo che l’aveva avuto così. E poi ancora, da questa organizzazione di ricettatori, si risalì a una vera e propria organizzazione criminale – assassini, ricettatori, grassatori – che agì a Torino fra il 1855 e il 1860. Il Magistrato che conduceva questa inchiesta – il Giudice Soardi – risalì a un livello ancora più alto. Accertò rapporti tra questa banda criminale di Torino – che si chiamava la “Banda della Cocca” – e ambienti della Questura di Torino. E via via si risalì sino al capo degli Agenti Segreti di Cavour, che era appunto questo Curletti, che utilizzava questa banda di criminali per le sue operazioni, e naturalmente in cambio aveva “lasciato fare”.
Ci fu un processo. Le cronache dei giornali dell’epoca lo seguirono a lungo. E in questo processo Curletti venne chiamato a deporre, cioè il capo degli agenti segreti di Cavour. Ma non si presentò, anche su indicazione dello stesso Cavour e del suo Ministro degli Interni. Ne nacque uno scandalo. Ci fu un lunghissimo braccio di ferro tra il Magistrato – che voleva assolutamente ascoltare in aula il Capo dei poliziotti segreti di Cavour – e il Governo piemontese che, invece, voleva proteggere l’agente segreto dai riflettori dell’opinione pubblica. Perché? Ed ecco che arriviamo al memoriale. Perché Curletti era stato impiegato da Cavour in alcune operazioni sporche, ad esempio i cosiddetti “Moti spontanei“, che in alcuni staterelli dell’Italia del nord e del centro – il Gran Ducato di Toscana… e così via – altro non erano che moti organizzati dalla polizia segreta di Cavour, finanziati dal Governo piemontese. Erano insomma degli agitatori, agenti provocatori. E poi, dopo i moti spontanei che avevano portato alla caduta dei Governi degli staterelli dell’Italia pre-unitaria, si erano poi distinti in altre operazioni sporche, come i brogli elettorali nei plebisciti per l’annessione di quegli Stati al Regno del Piemonte e così via.
C’è una sequenza davvero impressionante di operazioni sporche attuate dalla Polizia dei Servizi Segreti di Cavour e dal suo – diciamo – agente più importante che era questo Curletti. Ecco perché non volevano che andasse a deporre! Ma il Giudice Soardi, nel lungo braccio di ferro con il Governo, riuscì a ottenere che arrivasse a Torino (e tra l’altro all’epoca era impegnato proprio in operazioni in Sicilia perché si stava preparando la spedizione dei Mille). Non potendo più il Governo far finta di nulla, Curletti, credendosi ormai bruciato, scappò con questo memoriale, grazie al quale tentò un ricatto nei confronti del Governo stesso. Un ricatto che ebbe successo, perché Curletti riuscì a riparare all’estero e a rifugiarsi prima in Svizzera e poi in Belgio e in Francia, portandosi dietro i suoi segreti.
Questa storia di annessioni forzate e “spintanee” – anziché spontanee – mi ricorda la storia di altre annessioni che stiamo vivendo oggi.
Per carità! Nessuno mette in discussione il grande valore storico dell’unità d’Italia. Diciamo che i metodi con i quali sono stati ottenuti questi risultati, non sempre sono stati così… Anche perché quei metodi, poi si sono ripetuti. Quindi sapere come sono andate le cose è necessario per far sì che certi errori non si ripetano!
NO FAITHS NO PAIN
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Giuliano Di Benedetti sostiene che la "diritta via" fosse la Via Appia, l'ingresso dell'inferno fosse il Lago di Nemi, la "selva oscura" fosse il bosco situato nei pressi del lago, chiamato da Ovidio "silva opaca". Leggendo in giro mi sembra di capire che, secondo questo autore, Dante avrebbe compiuto realmente un viaggio nel sottosuolo.
Infine, per gli appassionati di alieni, Beatrice guida un astronave.
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Ma anche nella Bibbia viene usato questo metodo! La Genesi parla di 3 capostipiti di tutti i popoli del mondo i cui nomi ricalcano il modo in cui affermano tre gruppi linguistici: portoghesi (sim), ebrei (ken) e germanici (ja).
sim = Sem
ken = Cam
ja = Jafet
Quindi i semiti sono i portoghesi e forse tutti i romanzi, i camiti gli ebrei e gli jafetiti i germani.
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Se io "confondo" dei foglietti con delle parole incollati a degli oggetti, significa che prendo quei foglietti e li cambio di posto, incollandoli agli oggetti sbagliati, no? Ma i nomi scritti sui foglietti restano gli stessi, li ho solo confusi. Se io confondo delle indicazioni stradali significa che sposto i cartelli in modo che non corrispondano più alle località corrette. I nomi scritti sui cartelli sono gli stessi di prima, non li ho cambiati, li ho confusi.
La Bibbia racconta che Dio confuse il linguaggio degli uomini per impedire loro di capirsi e di portare a termine la costruzione della Torre di Babele. Non c'è scritto che creò nuove lingue, c'è scritto che CONFUSE il linguaggio comune.
Nella Bibbia non c'è neanche scritto che questo avvenne per magia nel giro di una notte. Dice che il Signore disperse gli uomini su tutta la terra e confuse le loro lingue, quindi prima li separò, poi presumibilmente istituì delle scuole che insegnavano ai bambini ad attribuire un significato differente ai termini del vecchio linguaggio comune.
Questa cosa è avvenuta realmente? I nostri linguaggi sono davvero confusi? Le parole sono davvero scambiate di posto?
Sì, lo sono.
I bambini germanici imparano che kalt/cold significa freddo, mentre noi del sud impariamo il contrario.
Noi usiamo "no" per negare e "okay" per affermare, mentre i greci usano "né" per affermare e "ochi" per negare.
In italiano "empìre" significa rendere pieno, ma in inglese "empty" significa "vuoto".
In spagnolo, "aceite" significa "olio" e "largo" significa "lungo".
Puxar (pusciàr) in portoghese significa pull e non push.
In italiano "piccolo" vuol dire di dimensioni ridotte, ma in inglese "big" vuol dire grande.
In irlandese "beag" è "piccolo".
In tedesco donna si dice "frau", ma in italiano "fra'" era il diminuitivo di frate.
Woman significa donna, anziché uomo.
In inglese la parola "better" è il comparativo di maggioranza di "good", anziché di "bad".
"The best" è "il migliore", ma PESTE è il massimo della negatività.
Gift è "dono" in inglese e "veleno" in tedesco.
"Maus" significa topo, ma "mao" è il verso dei gatti, non dei topi; in italiano "micio" vuol dire gatto, in russo "mysh'" vuol dire topo.
L'albanese "verdhë " significa "giallo". In ebraico "varòd" è "rosa".
Eccetera eccetera.
Quindi è vero quello che racconta la Bibbia: il linguaggio è stato confuso, i significati delle parole sono stati scambiati. Le autorità di un lontano passato hanno disperso gli uomini per formare popolazioni separate ed hanno insegnato loro dei linguaggi nati dalla confusione artificiale del lessico di una lingua comune precedente.
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Il discorso di voler fare una comparazione del genere basandoci solo sull'assonanza delle parole senza andare a scavare sulla reale origine della parola ci può portare a risultati molto fuorvianti e ti assicuro che invece parole di lingue distanti geograficamente, semanticamente (nel significato) e graficamente possono essere avvicinati ad una origine comune.
Per esempio se consideriamo il nostratico (non attestato) che potrebbe raggruppare molte famiglie linguistiche del mondo, abbiamo la radice "Ber/Bar" da cui deriverebbero il latino "far" (farro), ant. inglese "bere" (orzo), arabo "burr" (frumento), tamil "paral" (chicco), sumero "bar" (seme).
Ora veniamo all'analisi di quello che hai scritto:
I bambini germanici imparano che kalt/cold significa freddo, mentre noi del sud impariamo il contrario.
>> KALT deriva dal protogermanico KALDAZ e dal protoindoeuropeo GEL/GOL (da cui anche il latino "gelo") mentre Caldo deriva dal latino CALIDUS, greco KAYO (bruciare)
Noi usiamo "no" per negare e "okay" per affermare, mentre i greci usano "né" per affermare e "ochi" per negare.
>> NO deriva dal latino NON, OKAY deriva dallo slang per OLL CORRECT (tutto a posto), ναι (né) dal protoindoeuropeo ENO, da cui anche il latino ENIM (sì, infatti), invece οχι non si sa ma è comune all'armeno che utilizza invece OC.
In italiano "empìre" significa rendere pieno, ma in inglese "empty" significa "vuoto".
>>dal latino IM-PLERE (dentro-mettere), invece empty deriva dall'antico inglese AE+METTIG (si è aggiunta dopo la P) che deriva da AE (non) e MOTAN (avere)
In spagnolo, "aceite" significa "olio" e "largo" significa "lungo".
>> ACEITE deriva dall'hispano-arabo "AZ-ZAIT" e arabo ZAITUN (olive) invece aceto dal latino ACETUM, greco AKE (ago, acido); dal latino LARGUS (abbondante): per gli italiani in lunghezza per gli spagnoli in larghezza, questione di punti di vista ahahah.
Puxar (pusciàr) in portoghese significa pull e non push.
>> dal latino PULSARE (spingere), derivano sia puxar che push (tramite l'antico francese poulser). Ma i portoghesi spingono fuori e gli inglesi spingono dentro...
In italiano "piccolo" vuol dire di dimensioni ridotte, ma in inglese "big" vuol dire grande.
>> dal celto-gallico PICC/PETT deriva piccolo, petit (francese), pitin (milanese), piticu (sardo). big invece deriva dall'antico norvegese BUGGE (grande uomo)
In irlandese "beag" è "piccolo".
>> deriva dal gaelico BECAN (piccolo) da cui deriva anche lo spagnolo pequeño
In tedesco donna si dice "frau", ma in italiano "fra'" era il diminuitivo di frate.
>> dal protogermanico FROWO (donna, moglie) deriva frau, fra per frate deriva dal protoindoeuropeo BHRATER da cui deriva anche l'inglese BROTHER e il sanscrito BRATHAR
Woman significa donna, anziché uomo.
>> deriva da WIF+MAN ossia WIF (donna) + MAN (umano)... na specie di "uoma" ehehe
In inglese la parola "better" è il comparativo di maggioranza di "good", anziché di "bad".
>>> better deriva dall'antico inglese BETERA, ancor prima dal protogermanico BATIZO che deriva dall'indoeuropeo BHAD (buono), invece bad non si sa con sicurezza ma forse da BADDE (diavolo)
"The best" è "il migliore", ma PESTE è il massimo della negatività.
>> e dai!! best è superlativo di BOT, etimologia come better; peste deriva dal latino PESTUS (cattivo, crudele) forse dal greco PERTHEIN (devastare) o latino PERDERE
Gift è "dono" in inglese e "veleno" in tedesco.
>>> dal protogermanico GIFTIZ e ancora dal p.indoeuropeo GHABH (dare, ricevere), ma è stato inteso dai germanici come "porzione data"/"dose" (di veleno) in maniera eufemistica
"Maus" significa topo, ma "mao" è il verso dei gatti, non dei topi; in italiano "micio" vuol dire gatto, in russo "mysh'" vuol dire topo.
>> Questa del verso dei gatti te la risparmio, comunque sappi che nei fumetti i topi fanno SQUIT e i cani BAU. Comunque in latino topo si diceva MUS che è simile al mouse inglese e il mysh russo. in italiano dall'antico italiano MUCIO e anche questo deriva dal latino MUS (cambio semantico tra preda e predatore)
L'albanese "verdhë " significa "giallo". In ebraico "varòd" è "rosa".
>> dal protoindoeuropeo GHVAR (essere verde/giallo, splendente) deriva l'albanese verdhe e l'antico germanico GRUN (green poi in inglese); in ebraico verde si dice YAH-ROK invece VERED deriva dal farsi (persiano) e significa "rosa" però il fiore.
Comunque mi son divertito dai
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Ti faccio notare che gran parte delle etimologie che hai descritto si riferiscono a lingue immaginarie (protoindoeuropeo, protogermanico).
Inoltre alcune non mi sembrano molto convincenti, cioè "ae-metting" per empty, ghvar per grun e "bugge" per big (mi sembra più facile che sia bugge a derivare da big).
Comunque manca il terzo capitolo della trilogia.
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Comunque sì, hai ragione sul fatto che proto indoeuropeo protogermanico etc... non essendo lingue attestate in forma scritta sono solo delle ricostruzioni, però sono ricostruzioni abbastanza affidabili.
Però Nomit... non si può fare filologia spicciola così solo per assonanze: considera che per le lingue vale di piu la divergenza, mentre la convergenza è spesso e volentieri casuale o dovuta a interferenza di prestiti.
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Supponiamo che gli autori della confusione delle lingue avessero schematizzato su un foglio il loro piano per la parola SI' : sulla sinistra mettono il termine originale (supponiamo il greco scritto "naì"), sulla destra le parole che lo sostituiranno (supponiamo "sim", "ken" e "ja"); e accanto alle nuove parole mettono i territori a cui sono assegnate.
In questo modo:
Il foglio con questo schema potrebbe essere stato rinvenuto dopo secoli ed essere interpretato così: Noè aveva tre figli, Sem, Cam e Jafet, e costoro furono i progenitori dei popoli che abitano nei territori elencati. Cioè "noè" era in realtà il termine per dire "sì".
Ecco perché la Bibbia, dopo l'episodio della Torre di Babele, parte subito ad elencare i discendenti di Sem.
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- Tizio.8020
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"Noi usiamo "no" per negare e "okay" per affermare, mentre i greci usano "né" per affermare e "ochi" per negare."
Quindi quel "noi" a chi sarebbe riferito????
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- Tizio.8020
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Una volta qui non funzionava così!
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www.lastampa.it/2017/04/24/societa/la-fi...aHClP69K/pagina.html
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Shavo ha scritto: Per chi ha seguito il lavoro di Barbiero, la "scoperta dell’università di Edimburgo" porta alle sue stesse conclusioni.
www.lastampa.it/2017/04/24/societa/la-fi...aHClP69K/pagina.html
Ci hanno messo 40 anni ad arrivare alle sue stesse conclusioni, ma forse riusciro' a leggere "Una civilta' sotto ghiaccio" citato sui libri di storia
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Secondo loro i nostri progenitori ci hanno lasciato un messaggio/avviso che riguarda anche una catastrofe ciclica dovuta ad impatti, legata in qualche modo alla precessione equinoziale
Avrebbero utilizzato la forma "mito" perche' queste informazioni venissero sempre ritrasmesse intatte, sino al giorno in cui qualcuno sarebbe stato in grado di capire e notare anche il ricorrente uso dei numeri precessionali (12, 36, 144 etc) in moltissimi di essi, dove cambiano le storie, i personaggi, i contesti, ma i numeri sono quasi sempre quelli
Del libro non rammento particolari, ma e' vivido il ricordo del misto fascino/noia mortale che mi aveva accompagnato nella lettura, non osare chiedermi di approfondire :omg:
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