La formula del latte è Vacca2O

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7 Anni 3 Mesi fa #10266 da FranZeta

kamiokande ha scritto: La tua risposta in merito all'invarianza rispetto a T della seconda legge di Newton mostra come il tuo concetto di invarianza sia diverso dal mio. Quando si afferma che le equazioni di Maxwell sono invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz, si intende la stessa identica cosa che si intende quando si afferma che la seconda legge di Newton è invariante rispetto alla trasformazione delle velocità di Galileo. Le due cose non possono essere intese diversamente.

Kamiokande, il "mio" concetto di invarianza , quello che nel precedente post ho chiamato "equivalenza 3", è quello della Fisica matematica, il tuo non so a cosa corrisponde. Non l'ho ancora fatto finora ma vorrei farti notare che su tutti i libri di Fisica degli ultimi cento anni sta scritto che le equazioni di Maxwell sono invarianti per trasformazioni di Lorentz, quindi la discussione sta diventando piuttosto inutile, tanto è vero che te l'ho pure dimostrato matematicamente qui sopra e che non mi hai ancora dato una semplice risposta di tipo sì/no alla domanda sulla correttezza dei calcoli: "non ha importanza" non è una risposta, è un'opinione, e in matematica le opinioni stanno a zero. Se i calcoli sono corretti le equazioni sono invarianti. Punto. Questa è la definizione di invarianza così come è intesa da tutti i Fisici e i matematici del mondo, se non coincide con la tua significa che non stai facendo un discorso fisico-matematico.

Per quanto riguarda la contrazione della densità di carica, dopo almeno tre-quattro reiterate segnalazioni, pensavo che fossi andato a controllare:




Questo è l'articolo di Lorentz del 1904, a parte il fatto che chiama beta quello che noi chiamiamo gamma, e a parte una ulteriore costante "l" che dimostrerà più avanti essere uguale a 1, come vedi lì c'è scritto che la densità di carica rho è uguale a gamma*rho', perciò nella famosa equazione:

l'unica cosa diversa da quello che scrive Lorentz è che rho' è indicata con rho0, mi sembra un tantino poco per attribuire tutto il merito a Jefimenko per la scoperta di una cosa già ben nota una ventina d'anni prima della sua nascita.

PS Guarda che quando confondi i cambiamenti dei sistemi di coordinate con quelli della base dello spazio vettoriale stai scrivendo delle solenni stronzate. Senza offesa eh...ma non puoi sostenere che:

K*F1=K*ma1
F2=ma2
F3=ma3

non sia la stessa identica forza definita da:

F1=ma1
F2=ma2
F3=ma3

Questa è una uguaglianza algebrica, cazzo! Cosa c'entrano gli osservatori? Non stiamo cambiando nessun osservatore, stiamo dicendo che anche in Fisica continuano a valere le usuali regole per la risoluzione dei sistemi di equazioni. Altrimenti dovrai ammettere che la "tua" Fisica rinuncia a risolvere un sistema lineare del tipo:
Ax=b
con A matrice e x,b vettori, perchè non accetta la soluzione:
x=A-1b

FranZη

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7 Anni 3 Mesi fa #10277 da FranZeta
@kamiokande
Devo fare un'ultima precisazione riguardo a questo punto:

La tua risposta in merito all'invarianza rispetto a T della seconda legge di Newton mostra come il tuo concetto di invarianza sia diverso dal mio.

che pensavo fosse più che chiaro ma a quanto pare non lo è. Allora, l'ho già detto e per conto mio la seguente affermazione può essere scolpita nel marmo in lettere d'oro:

La seconda legge di Newton è invariante rispetto al gruppo di Galileo.

D'altronde non me ne frega niente della seconda legge di Newton, ho detto chiaramente che la usavo come prototipo di equazione, perchè è semplice e comoda da scrivere, e per permetterti di fissare le idee su un'equazione concreta, ma a quanto pare la cosa ti ha confuso ancora di più. Prima hai voluto dimostrare che non è invariante rispetto a questo gruppo di trasformazioni delle coordinate:

salvo nel caso banale in cui k=1...e grazie! Poi hai voluto dimostrare che non è invariante rispetto al gruppo di Lorentz...e graziella. Infine hai pensato bene di dimostrare che è invariante rispetto al gruppo di Galileo...e grazie al cazzo! E' una cosa ben nota, non realizzo come hai fatto a capire da quello che ho scritto che io potessi sostenere il contrario!

In quelle che ho chiamato equivalenza 1 e 2 non fa alcuna differenza che tipo di equazione vettoriale stiamo considerando, nè che tipo di matrice (purchè sia invertibile), per questo avevo preso la legge di Newton e la tua matrice T: per usare qualcosa di concreto in luogo di un'espressione astratta che poteva confonderti, però anche tu, suvvia, cerca di fare un minimo sforzo nel distinguere le formule messe a mo' d'esempio da quelle di cui invece stiamo discutendo (equazioni di Maxwell).

Nell'equivalenza 3, come d'altronde ben specificato, ho usato ancora l'equazione di Newton e la matrice T per farti capire come cambiava la forma rispetto alle precedenti equivalenze, ma mi spieghi dove accidenti avrei scritto che F=ma è invariante rispetto alla matrice T qui sopra? Io ho scritto questo:

Qui sì che si applica la trasformazione x'i=T*xi alle coordinate, poi si ricavano le corrispondenti versioni accentate di tutte le grandezze che compaiono nell'equazione e se l'equazione è invariante rispetto a T allora l'equazione accentata deve continuare ad essere valida.

Ovvio che nel caso specifico, di cui peraltro non ci frega una mazza essendo solo un esempio pro forma, affinchè l'equivalenza 3 sia valida occorre che T appartenga al gruppo di Galileo, ma tu hai capito o no la differenza fra i tre tipi di equivalenza e relative applicazioni di una matrice di trasformazioni? No perchè pur avendo usato ogni cura nel distinguere e delimitare le tre situazioni, la prima cosa che hai fatto qui sopra è stata mischiarle tutte insieme in questo calderone senza senso:

Nel caso in questione, rispetto alla matrice T, non c'è differenza tra F' = T*F ed F' = T*m*a

quando ho ripetuto allo sfinimento che la forma accentata è riservata ai cambiamenti rispetto alle trasformazioni delle coordinate xi, da cui deduco che continui a pensare che applicare una trasformazione T alle coordinate e applicarla ai vettori F e ma (sempre a titolo d'esempio!!!) sia la stessa cosa.
In queste condizioni non ha nessun senso proseguire la discussione, sarebbe solo un'inutile prova di carico della pazienza di entrambi.

FranZη

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7 Anni 3 Mesi fa #10296 da kamiokande
Provo di fare un po di chiarezza sul motivo di questa discussione. E visto che tu hai citato le simpatiche sorelle Grazia e Graziella, io farò riferimento all'esimia Dottoressa Arcazzo, rinomata per comprendere le cose ovvie. Io ho proposto la tesi (sostenuta non solo da me) che le equazioni di Maxwell non sono intrinsecamente relativistiche, come normalmente ci viene detto, partendo da due osservazioni:

1) la non invarianza delle equazioni di Maxwell in forma vettoriale rispetto alle trasformazioni di Lorentz

2) (il punto più importante) occorre modificare sostanzialmente le equazioni di Maxwell per scriverle veramente in forma relativistica (da cui la tesi)

1) La tua risposta al mio primo punto è stata questa:

1) Un vettore è per definizione una n-pla di coordinate (lasciamo stare l'aggettivo "cartesiane" perchè oltre ad essere tecnicamente scorretto è fuorviante: porta a pensare subito ad uno spazio euclideo mentre la geometria differenziale -quella che stiamo affrontando qui- tratta spazi di qualunque tipo, purchè differenziabili), quindi la definizione di invarianza di un vettore è precisamente la definizione di invarianza coordinata per coordinata. Questa è geometria e vale indipendentemente dalla validità o meno della relatività

Questa tua affermazione (così come l'hai espressa e come continui a sostenere) implica che l'invarianza delle componenti, coordinata per coordinatala, è condizione sufficiente all'invarianza rispetto ad una trasformazione. Quindi dobbiamo prendere atto che per una trasformazione come quella da te definita la seconda legge di Newton è invariante (esattamente come l'invarianza rispetto al gruppo di Galileo), perché rispetto a tale trasformazione le componenti sono ovviamente invarianti. Ma come ho mostrato ciò non è affatto vero, quindi la tua affermazione è falsa e perciò l'invarianza delle componenti è una condizione necessaria ma non sufficiente per l'invarianza. Ho usato la seconda legge di Newton per via della sua semplicità, in modo che anche alla Dottoressa Arcazzo potesse essere chiaro che se è falsa per l'equazione di Newton non può essere vera per le equazioni di Maxwell.

Questo aspetto in realtà si complica un po' quando applicato alle equazioni di Maxwell, poiché è implicitamente accettato che il fenomeno osservato da S sia diverso, in termini generali, da S': quello che per S è un effetto dovuto ad un campo elettrico potrebbe diventare un effetto magnetico per S', ma rispetto al moto di una carica test le due osservazioni devono essere identiche (vedi per esempio pag. 550 di "Introduction to Electrodydamics" di David J. Griffith quarta edizione, o da pagina 229 di "Special Relativity" di Anthony P. French).

Cerco comunque un'ultima volta di chiarire il concetto introducendo la grandezza , che è un parente stretto della forza elettromotrice, e lasciando le componenti trasformate:



la 1 è quello che osserva S, la 2 quello che dovrebbe osservare S', la 3 quello che osserva S' secondo S attraverso Lorentz; dove la 2 deve essere dimostrata e non la si può considerare vera a prescindere. Siccome l'invarianza non è esplicita, l'unica cosa che si può fare è dedurre la seconda dalla terza (cosa che tu fai invocando un'invarianza/equivalenza che non c'è), deduzione che però fallisce per esempio quando gamma va all'infinito e due delle equazioni di Maxwell diventano così indeterminate. Siccome l'invarianza non è esplicita (non basta l'invarianza componente per componente), oltre a presentare dei problemi, l'unico modo per dirimere la questione, come ho già detto, è effettuare un esperimento per capire cosa osservano davvero S ed S', ma la cosa va da se che non è banale. Senza considerare che proprio la legge di Faraday presenta dei problemi piuttosto seri, che erano già noti allo stesso Faraday, e che tutt'ora non sono risolti (vedi per esempio "Exceptions to the Flux Rule for Electromagnetic Induction" del 1968 di Donald E. Tilley, pubblicato sul American Journal of Physics ). La questione non può essere banalizzata semplicemente fingendo di non vedere il problema, o affermando che basta l'invarianza componente per componente.

2) La tua risposta alla mia seconda osservazione è stata questa:

2) La versione "corretta" delle equazioni di Maxwell è quella che trovi in qualunque testo di Fisica, o anche su wikipedia, con rho al posto del secondo membro della prima equazione qui sopra, che d'altronde è del tutto equivalente essendo la quantità tra parentesi una quantità adimensionale, come ho già provato a più riprese di spiegare. E' solo un cambiamento di unità di misura che non modifica la sostanza dell'equazione, così come darti una spinta di 9.8 Newton o di 1 kg_f significa dare esattamente la stessa spinta.

Qui non mi soffermo troppo per bontà d'animo, ma anche questa tua affermazione è platealmente falsa come ho avuto modo di mostrarti, e come avrebbe intuito anche l'esimia Dottoressa Arcazzo. Questo punto è il motivo della discussione, e che ribadisco, nasce da un'affermazione fatta da qualcuno le cui equazioni sono nei libri di fisica. Riguardo infine proprio ai libri di fisica, ci sono molte cose che non si trovano nei libri, si fa fatica a trovare l'origine e l'interpretazione originale delle trasformazioni di Lorentz, assai diversa da quella einsteniana ( vedi per esempio i primi capitoli del libro "The Special Theory of Relativity" di David Bohm ), figuriamoci se si trova qualcosa a riguardo dei controversi risultati degli esperimenti di Michelson-Morley, Miller e Kennedy–Thorndike. Per fortuna il dibattito si sta riaprendo anche grazie alla riscoperta di questi risultati (vedi per esempio l'articolo "Laser Interferometry Experiments on Light-Speed Anisotropy" del 1981 di Harold Aspden, pubblicato su Physics Letters), e si stanno mettendo in discussione l'interpretazione fisica delle trasformazioni di Lorentz e le stesse basi della relatività (vedi per esempio "The Inertial Transformations and The Relativity Principle" del 2005 di Franco Selleri, pubblicato su Foundations of Physics Letters, e la letteratura scientifica in merito a questi temi incomincia ad essere corposa).

Ma fermiamoci pure qui.

"La stampa è morta" (Egon Spengler - Ghostbuster)

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7 Anni 3 Mesi fa #10298 da FranZeta
Kamiokande, il discorso è chiuso. La dimostrazione matematica dell'invarianza di almeno una delle equazioni di Maxwell -quella contestata da te peraltro- si trova qui , se non sei riuscito a confutarla matematicamente un motivo ci sarà. Per quanto riguarda le altre tre mi sento di fidarmi di quanto sostenuto da tutte le migliori menti della fisica e della matematica degli ultimi 100 anni, perchè non ho voglia di fare altri inutili calcoli. Se un giorno avrai degli argomenti matematici la tua replica sarà benvenuta, ma per il resto non mi va di sentir parlare del sesso degli angeli. Devo tra l'altro constatare che tutto il senso della discussione ti è tuttora ignoto, non hai capito la differenza fra trasformazioni di coordinate e di componenti di un vettore, due concetti assai diversi, rifiuti l'algebra elementare, non vedo come tu possa pensare di confutare la coerenza matematica della relatività ristretta su queste basi. Dell'adeguatezza fisica della relatività non me ne frega niente, interessa solo a te forse per confonderti ulteriormente le idee. Ognuno resterà nelle sue convinzioni, purtroppo per le tue queste si scontrano con la più elementare matematica.

PS non è che mettendo un ˄ al posto della "e" dai più vigore matematico a delle cose senza senso...io nabla' x E' l'ho calcolato esplicitamente così come l'altro termine e, guarda un po', risultano uguali per via delle leggi della geometria differenziale, nonchè dell'algebra, non "a prescindere".

FranZη

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7 Anni 3 Mesi fa #10318 da FranZeta
Tre per zero

Dopo questa lunga parentesi fra me e kamiokande tento di riprendere un momento lo spirito iniziale del thread, che nelle mie intenzioni vorrebbe essere aperto a tutti i curiosi e non ridursi a un dialogo tecnico e, tutto sommato, inutile. Mi riaggancerò però a un'affermazione dell'ultimo post di kamiokande, il quale ovviamente potrà replicare a piacere, basta che se ha intenzione di ritornare sul tema relatività si limiti a indicare il riquadro e il passaggio eventualmete sbagliato del calcolo postato e rievocato più volte, perchè francamente di tutto il resto non mi importa nulla. O meglio, mi interessa ma non ho alcuna intenzione di discuterne qui, dato che tutto il casino qui sopra è nato dalla mia affermazione che le equazioni di Maxwell sono invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz...si lo so, 'sta storia ha rotto il cazzo, pure a me, quindi passiamo oltre.

Molti anni fa, da ragazzino, leggevo avidamente il fumetto Dylan Dog, e ricordo un episodio intitolato appunto "Tre per zero". Della storia in sè non ricordo quasi nulla, se non che il leit motiv era la domanda "perchè tre per zero fa zero?". Il ragionamento era più o meno il seguente: se ho tre mele e le moltiplico zero volte, ho ancora tre mele...quindi 3*0=3! Poi avendo traslocato e regalato non so a chi tutta la collezione di Dylan Dog non saprei essere più preciso sugli sviluppi della vicenda, ma tanto ci basta. Ora, il fatto che 3*0=0, o più in generale che a*0=0, lasciando aperta la possibilità ad "a" di essere qualunque numero o anche qualcosa di diverso, è una proprietà algebrica assai generale. Per la precisione vale in un qualsiasi anello . Non voglio tediare inutilmente riportando qui di seguito la definizione formale di anello, vorrei solo ricordare i punti principali: un anello è un insieme su cui sono definite due operazioni, comunemente indicate con + e *, ma che a livello pratico potrebbero essere molto diverse dalla normale addizione e moltiplicazione (così come gli insiemi potrebbero essere molto diversi dagli usuali insiemi numerici, si pensi ad esempio ai polinomi, che formano anch'essi un anello), tali che:
  1. esistono due elementi speciali (indicati in genere con 0 e 1) rispettivamente detti il neutro dell'addizione e della moltiplicazione;
  2. per ogni elemento "a" esiste l'elemento "-a" tale che a-a=0 (a-a è un'abbreviazione che sta per a+(-a));
  3. vale la proprietà distributiva: a*(b+c)=a*b+a*c.
Forti di questa definizione, non del tutto completa per la verità, ma sufficiente ai nostri scopi, ecco la fatidica dimostrazione che a*0=0:
Code:
a*0=a*(1-1)=a-a=0
Questo è il classico caso -chi ha letto qualcosa sopra ci si sarà già imbattuto- in cui si pensa: ma che cagata! E però, se ci si riflette meglio, alla banalità della dimostrazione si contrappone la generalità dei concetti: non stiamo parlando di numeri, ma di qualsiasi cosa che verifichi i punti 1-2-3 qui sopra, ha quasi dell'incredibile che in contesti così generali si possa già dimostrare qualcosa! Tutti gli insiemi numerici più importanti, in particolare quelli già definiti in fondo a questo precedente post , sono anelli, ad eccezione dell'insieme N dei numeri naturali (mancano i numeri negativi e dunque non è verificato il punto 2).

La morale è che ci spiace tanto per le elucubrazioni filosofiche di Dylan Dog ma 3*0 fa zero. En passant questo semplice esempio è utile per capire quanto le parole siano ingannevoli e quanto sia importante il linguaggio matematico, che serve proprio ad evitare l'ambiguità del linguaggio naturale. In effetti il problema nel ragionamento dell'indagatore dell'incubo è che "moltiplicare" spesso è inteso nell'accezione di "riprodurre", o "generare una moltitudine da un oggetto singolo", cosa che fa pensare subito che il risultato di una moltiplicazione debba essere qualcosa in più, o comunque nulla di meno, di ciò che avevamo in partenza. Sarebbe stato più utile il buonsenso delle maestre delle elementari: se ho tre mele e le prendo una volta, ho tre mele, se le prendo due volte, ho sei mele, ma se le prendo zero volte vuol dire che non le sto prendendo affatto, e quindi ho zero mele.

Ora come promesso ecco il punto che si riaggancia al discorso precedente, questa è la citazione (dal post #10296):

Siccome l'invarianza non è esplicita, l'unica cosa che si può fare è dedurre la seconda dalla terza (cosa che tu fai invocando un'invarianza/equivalenza che non c'è), deduzione che però fallisce per esempio quando gamma va all'infinito e due delle equazioni di Maxwell diventano così indeterminate.

Per far capire a chi non ha seguito la discussione precedente (cioè tutto il mondo meno me e kamiokande) spieghiamo subito che gamma è questa espressione:

dove c è la velocità della luce nel vuoto (dunque costante -kamiokande statte bbono!-) mentre v è un parametro il cui significato fisico è quello della velocità dell'osservatore. Il punto in discussione sopra era semplicemente questo*:
Code:
γ*0=0
e forse si inizia a capire il collegamento col discorso iniziale. Dall'espressione di γ è immediato verificare che, se v<c in valore assoluto, allora γ è un numero reale per il quale abbiamo già una dimostrazione che γ*0=0. Resta il caso in cui v=c, più problematico. Chi ha qualche affinità con l'analisi matematica e nello specifico col calcolo dei limiti non avrà difficoltà a verificare che valgono i seguenti limiti:
  • limv--->cγ(v)=infinito
  • limv--->cγ(v)*0=0

[Nota per kamiokande: ciò dimostra nella fattispecie che le equazioni non sono affatto indeterminate, che l'unica cosa ad essere indeterminata è la funzione γ(v) (non il suo limite!!!), e che ciò comporta che il valore v=c non corrisponde a nessuna trasformazione di Lorentz, quindi per confutare la Lorentz-invarianza delle equazioni di Maxwell hai scelto proprio l'unico valore esplicitamente escluso dal discorso.]

Ma senza ricorrere alle definizioni classiche di limite (una delle cose più noiose che l'intelletto umano abbia mai concepito, e tuttavia utili...), abbiamo qualche modo per verificare che se v-->c allora γ*0 continua ad essere zero? Beh, se non ci fosse avrei scritto tutto questo per niente, quindi sì, c'è. Prima di entrare nel merito però vorrei fare notare come anche il caso in cui v>c in modulo rientra nel campo di applicazione della nostra precedente dimostrazione, dato che in questo caso abbiamo a che fare con (il reciproco di) una radice quadrata di un numero negativo, cioè con un numero immaginario. I numeri immaginari sono i numeri reali moltiplicati per la radice quadrata di -1, che da Eulero in poi viene indicata con "i", cioè sono i numeri del tipo i*y con y numero reale. Dato che i numeri immaginari, insieme ai numeri reali e a tutte le possibili somme di questi due tipi di numeri, vale a dire i numeri di questo tipo:
Code:
z=x+iy
con x, y numeri reali, formano un insieme dotato delle proprietà 1-2-3 qui sopra, ossia un anello (per la precisione formano il campo dei numeri complessi, un campo è un anello con ulteriori proprietà), risulta ancora valida la dimostrazione data prima del fatto che γ*0=0. Già che abbiamo scomodato il binomio numeri complessi-Eulero non posso evitare di citare la sua famosa formula magica:

che lega insieme i cinque numeri più significativi dell'intera matematica. Scusate ma è più forte di me.

Bene, torniamo al nostro proposito di dimostrare che γ*0=0 anche se γ è infinito. Detto così non significa niente, perchè "infinito" non è un numero, però si può dare un senso alla cosa nell'ambito dei numeri iperreali . Anche questi, come i numeri complessi, costituiscono un'estensione logicamente consistente dei numeri reali, anche se di natura diversa. I numeri complessi nascono dall'esigenza di trovare soluzioni per ogni equazione polinomiale del tipo anxn+...+a1x+a0=0, molte delle quali non sarebbero altrimenti risolvibili nel campo dei numeri reali (esempio: x2+1=0; soluzioni complesse: x=±i); i numeri iperreali, la cui scoperta risale a meno di un secolo fa, nascono invece da motivazioni logiche: ci si chiedeva infatti se, dati gli assiomi che definiscono i numeri reali, esistessero insiemi diversi che soddisfacessero gli stessi assiomi. La risposta, lungi dall'essere una masturbazione mentale riservata ai logici matematici, fornì il contesto naturale in cui ambientare la branca matematica nota come analisi**, in un senso già intuito da Leibniz ma purtroppo per lui irraggungibile ai suoi tempi. Risulta infatti che questo modello "non standard" degli assiomi dei numeri reali, oltre ai numeri ordinari, contiene anche altre entità che si comportano come gli infinitesimi e gli infiniti già teorizzati da Leibniz.

Non potendomi dilungare troppo sull'argomento torniamo a bomba al nostro intento: si dimostri che γ*0=0 nel caso in cui γ è infinito. Ora all'interno del campo dei numeri iperreali ciò ha senso: esistono un'infinità di numeri iperreali infiniti, cioè maggiori di ogni numero reale, inoltre siamo sempre in una struttura algebrica costituente un anello, dunque -tac!- la dimostrazione è già fatta: è sempre quella sopra, la "cagata" per intenderci. Ma visto che abbiamo fatto trenta facciamo anche trentuno: dimostriamolo di nuovo, nel caso specifico, in modo un po' diverso. Sia dunque γ un numero iperreale infinito, supponiamo per assurdo che γ*0 ǂ 0. Ciò è equivalente a γ*0 ǂ γ-γ ovvero γ*0 ǂ γ*(1-1) (siamo in un anello), a questo punto, sfruttando il fatto che siamo anche in un campo e si può "semplificare", dividendo tutto per γ otteniamo successivamente 1*0 ǂ 1*(1-1) da cui segue 0 ǂ 1-1 = 0 cioè zero diverso da zero, contraddizione. Quindi γ*0=0, CVD.

* Per dettagli si veda la scansione in questo post , riquadro 7, il termine sotto ai tre asterischi.

** In realtà questa innovazione non è stata affatto recepita dagli "analisti", che per la stragrande maggioranza continuano a usare la vecchia impostazione. Tuttavia sono convinto che prima o poi la nuova analisi, detta analisi non standard, soppianterà la vecchia, vuoi per la semplicità molto maggiore dell'impostazione, vuoi per l'eleganza superiore, vuoi perchè riprende quello spirito che nel 1600 diede avvio alla disciplina e garantì risultati spettacolari. D'altronde le novità matematiche sono storicamente recepite con estrema lentezza, si pensi che i numeri complessi di cui parlavo prima, pur essendo sostanzialmente una scoperta degli algebristi italiani del 1500, sono stati universalmente accettati solo nel corso del 1800.

FranZη

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7 Anni 3 Mesi fa #10324 da gnaffetto
la moltiplicazione si intende quante volte si deve contare (sommare) lo stesso numero. se per 0 intendiamo che non dobbiamo nemmeno iniziare a contare allora è ininfluente il numero. :-) semplice?

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7 Anni 3 Mesi fa #10333 da FranZeta

gnaffetto ha scritto: :-) semplice?

Pure troppo...
Una delle conseguenze della proprietà distributiva è che se n è un numero naturale allora:

a*n=a*(1+1+...+1)=a+a+...+a

e la moltiplicazione è il numero "a" sommato a sè stesso n volte. Ma se n è un qualunque numero intero la cosa potrebbe già essere problematica: come facciamo con i numeri negativi? Cosa significa sommare (o contare) lo stesso numero -3 volte?
Espressioni come a*π porterebbero a problemi ancora maggiori, per non parlare di quelle del tipo a*ω con ω numero infinito nel senso specificato nel post precedente, perchè per quante "a" metti non riuscirai mai a ottenere:

a*ω=a+a+...+a

Oppure ancora le matrici: le matrici nxn formano anch'esse un anello, ma il prodotto A*B non è affatto definibile in termini di somme A+A+...+A o B+B+....+B (se A=(aij) e B=(bij) il prodotto è (A*B)ijkaikbkj).

Viceversa se chiediamo che la moltiplicazione sia distributiva quella che otteniamo è la normale moltiplicazione intesa come n addizioni successive dello stesso numero, nei casi in cui ciò ha senso.

FranZη

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7 Anni 3 Mesi fa #10378 da kamiokande
Perdonami se ti rubo ancora spazio facendo un'ultima considerazione, ma visto che mi chiami ancora in causa ...

[Nota per kamiokande: ciò dimostra nella fattispecie che le equazioni non sono affatto indeterminate, che l'unica cosa ad essere indeterminata è la funzione γ(v) (non il suo limite!!!), e che ciò comporta che il valore v=c non corrisponde a nessuna trasformazione di Lorentz, quindi per confutare la Lorentz-invarianza delle equazioni di Maxwell hai scelto proprio l'unico valore esplicitamente escluso dal discorso.]

Sul fatto che per Einstein v=c sia escluso dal discorso, come dici tu, ci sarebbe da aprire un'altra discussione, ma non importa. Hai ragione ho scritto una sciocchezza, le trasformazioni di Lorentz non valgono per v=c e le equazioni non diventano indeterminate. Si può comunque osservare che, se per esempio, viene condotto un esperimento per verificare la legge di Faraday in cui un osservatore solidale ad un conduttore misura una corrente di 0.5A ed al contempo un osservatore in moto rispetto al conduttore, per via della dipendenza da gamma e quindi dalla velocità di trascinamento, arriva a misurare 5A (o un qualunque valore tendente all'infinito, se gamma tende all'infinito), ciò non rappresenta un problema perché la legge di Faraday vale per entrambi allo stesso modo; ma questo equivale ad affermare che la seconda legge di Newton è invariante rispetto ad un osservatore non inerziale, perché anche se i due osservatori misurano forze diverse, sommando l'accelerazione cosiddetta apparente a quella inerziale, la legge di Newton si presenta identica per i due sistemi. In più, se poniamo per esempio che il conduttore possa sostenere al massimo 1A, nel tentativo di capire come mai il conduttore non fonda per i 5A osservati (o un qualunque valore tendente all'infinito) il secondo osservatore è in grado di capire che in realtà è lui che si muove rispetto al conduttore e non viceversa, violando così il primo principio di relatività.

Mi fermo definitivamente qui, anche perché rileggendo alcuni passaggi della nostra discussione mi sono reso conto che si sono toccate vette di incredibile surrealismo, culminato con questo passaggio che merita, a parer mio, una sottolineatura: io ho scritto che secondo Jefimenko il problema della forma relativistica delle equazioni di Maxwell è che la trasformazione della carica comunemente usata è questa



ma quella corretta dovrebbe essere questa



(Nota 1, gamma è presente in tutte e due le espressioni, quindi non è gamma il punto, non lo è mai stato)
(Nota 2, la trasformazione della densità di carica inserita nella prima equazione di Maxwell appare appunto nella forma non trasformata quindi gamma ancora una volta non centra).
E tu mi hai risposto che Jefimenko si è sbagliato perché non si è accorto che la carica si trasforma anche per Lorentz in questo modo



ovvero la formula comunemente usata e che Jefimenko sostiene (a mio modesto avviso giustamente) essere proprio la forma sbagliata, perché rho è considerata sempre in quiete rispetto a S (gamma è legato al moto di S' non della carica).
Incomprensione per altro non isolata, evidenziando che non ci siamo capiti per tutto lo scambio, e che quindi abbiamo solo perso tempo oltre che rubare spazio a questo tuo thread. Ti auguro un buon proseguimento.

"La stampa è morta" (Egon Spengler - Ghostbuster)

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7 Anni 3 Mesi fa #10381 da FranZeta

kamiokande ha scritto: Perdonami se ti rubo ancora spazio facendo un'ultima considerazione, ma visto che mi chiami ancora in causa ...

Come tu sai benissimo, perchè ne abbiamo parlato in PM, lo spazio in questo thread non era dedicato a una critica della teoria della relatività, argomento di per sè interessante su cui potresti aprire un apposito forum, ma a un argomento molto più specifico. In un'altra discussione ho affermato che le equazioni di Maxwell sono invarianti per trasformazioni di Lorentz, cosa che mi hai contestato sulla base di tutta una serie di considerazioni che con la matematica non hanno niente a che fare. Quindi il proposito era di trasferire qui la discussione specifica *matematica* dell'invarianza, non tutti gli altri argomenti che di messaggio in messaggio hai tirato fuori.

Ora, le equazioni di Maxwell (quelle classiche, non le varianti che di volta in volta hai estratto dal cilindro) riguardano due campi vettoriali* che potrebbero essere puramente immaginari, senza alcun corrispettivo nel mondo fisico reale, e ciò nonostante continuerebbero ad essere invarianti per trasformazioni di Lorentz. Ecco perchè tutto il resto del discorso non mi interessa in questa sede. Detto tra noi, le questioni che sollevi sarebbero ben al di là della capacità di comprensione di sottigliezze astratte che mi hai dimostrato sin ora, tanto per intenderci: la relatività richiede di abbandonare il quadro classico di spazio tridimensionale euclideo più il tempo considerato come parametro a parte, come spiegò molto meglio di come potrei fare io lo stesso Minkowski:

« Le concezioni di spazio e di tempo che desidero esporvi sono sorte dal terreno della fisica sperimentale, e in ciò sta la loro forza. Esse sono fondamentali. D'ora in poi lo spazio di per sé stesso o il tempo di per sé stesso sono condannati a svanire in mere ombre, e solo una specie di unione tra i due concetti conserverà una realtà indipendente. »

Ovvio che se ci mettiamo per partito preso nella realtà euclidea classica troveremo mille incongruenze: siamo nella stessa situazione di chi si trovò a negare nell'ottocento la validità del teorema di Pitagora, e da ciò seguirono le geometrie non euclidee. Ma nessuno ha mai negato la dimostrazione (ci sono sono decine e decine di dimostrazioni diverse in realtà) del teorema di Pitagora, quello che si può negare, senza cadere in contraddizione, è uno o più assiomi che si assumono per tale dimostrazione, nella fattispecie quello delle parallele. Quindi il discorso che vorresti fare tu si rivelerebbe di una intricatezza concettuale che nemmeno te la immagini. Giusto per capirci: le vere "equazioni di Maxwell relativistiche" non sarebbero certo quelle che dici tu, bensì quelle che coinvolgono il tensore elettromagnetico.

Ma se tu mi dici: le equazioni di Maxwell non sono invarianti a causa del fattore gamma che compare in questa equazione:

io ti faccio il calcolo e ti dimostro una cosa semplicissima che non hai ancora assimilato: se neghi l'esistenza di quella che ho chiamato in precedenza "equivalenza 1" la tua equazione è sbagliata, dato che svolgendo il calcolo il fattore gamma non compare in corrispondenza delle equazioni accentate, ma di quelle non accentate, che valgono per ipotesi (l'ipotesi è che le equazioni di Maxwell valgano in almeno un sistema di riferimento S). Ti dico anche di più: so benissimo, anche se non hai postato nessun calcolo, che questa tua fatidica espressione nasce da un semplice scambio di ruolo fra i due sistemi di riferimento S e S', dal mio punto di vista di matematico è un semplice cambio di notazione, scambiamo tutto ciò che era accentato con tutto ciò che non lo era. Ma questo per te invece è un problema esistenziale, perchè non puoi ammettere che i due sistemi siano in qualche modo equivalenti, altrimenti staresti accettando la relatività ristretta.

In definitiva se vuoi essere coerente con le tue stesse idee devi ammettere che la tua equazione qui sopra è semplicemente sbagliata, cosa che invece non ti ho mai contestato perchè dal mio punto di vista sarebbe una bestemmia matematica, dato che accetto tanto l'equivalenza 1 quanto la relatività. Ragion per cui tutto il tuo discorso, o di Jefimenko non ho capito bene, per quel che mi riguarda non ha alcun senso: se la carica è fissa rispetto a S non lo è di sicuro rispetto a S', ma io accetto come realtà matematica l'equivalenza dei due sistemi, tutto il resto è un discorso epistemologico che investe i postulati, non i risultati.

* Due campi perchè per quanto riguarda il nostro discorso vanno benissimo le equazioni in assenza di materia, con solo i campi E e B per intenderci.

FranZη

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7 Anni 3 Mesi fa #10382 da Pavillion
Se non fosse stato per kamiokande, non so in quale altro modo mi sarebbe stato possibile entrare nel giro Minkowski:
« Le concezioni di spazio e di tempo che desidero esporvi sono sorte dal terreno della fisica sperimentale, e in ciò sta la loro forza. Esse sono fondamentali. D'ora in poi lo spazio di per sé stesso o il tempo di per sé stesso sono condannati a svanire in mere ombre, e solo una specie di unione tra i due concetti conserverà una realtà indipendente. »

Grazie Franzeta.

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7 Anni 3 Mesi fa #10413 da FranZeta

Pavillion ha scritto: Se non fosse stato per kamiokande, non so in quale altro modo mi sarebbe stato possibile entrare nel giro Minkowski

In effetti oltre alla profondità dei contributi scientifici, a Minkowski bisogna riconoscere una qualità della prosa fuori del comune, almeno per uno scienziato. Purtroppo è morto poco dopo aver scritto il saggio da cui è tratta la citazione.

FranZη

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7 Anni 3 Mesi fa #10414 da doktorenko
Mi permetto di riportare la citazione nell`originale tedesco, con una mia traduzione:

"Die Anschauungen über Raum und Zeit, die ich Ihnen entwickeln möchte, sind auf experimentell-physikalischem Boden erwachsen. Darin liegt ihre Stärke. Ihre Tendenz ist eine radikale. Von Stund′ an sollen Raum für sich und Zeit für sich völlig zu Schatten herabsinken und nur noch eine Art Union der beiden soll Selbständigkeit bewahren."

"Le visioni di spazio e tempo che di seguito vorrei esporre sono portate a compimento partendo da una base empirico-fisica: la loro forza sta proprio in questo. L`esito e` drastico: d`ora in poi dovra` sprofondare completamente nell`oscurita` lo spazio di-per-se` e il tempo di-per-se`; unicamente una speciale unione tra i due dovra` mantenere autosussistenza."

Aggiungo un giudizio di E. su M.:

"Das Studium von Minkowski wuerde Dir nichts helfen. Seine Arbeiten sind unnuetz kompliziert."
"[Caro Besso], lo studio [delle opere originali] di M. non ti sarebbe di nessun aiuto: i suoi lavori sono inutilmente complicati."

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7 Anni 3 Mesi fa - 7 Anni 3 Mesi fa #10422 da Pavillion
Franzeta e dopo i... Pavillion: Purtroppo è morto poco dopo aver scritto il saggio da cui è tratta la citazione... già... è stato bastante a rendermelo vivo ,ma, non solo questo. Acquisterò quel saggio.
Ultima Modifica 7 Anni 3 Mesi fa da Pavillion. Motivo: Saggio

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7 Anni 3 Mesi fa #10424 da FranZeta

doktorenko ha scritto: Mi permetto di riportare la citazione nell`originale tedesco, con una mia traduzione...

Grazie per l'apporto, in effetti mi è sempre dispiaciuto non poter leggere gli originali in tedesco. Per esempio possiedo l'opera omnia di Riemann...in francese!

Aggiungo un giudizio di E. su M.:

"Das Studium von Minkowski wuerde Dir nichts helfen. Seine Arbeiten sind unnuetz kompliziert."
"[Caro Besso], lo studio [delle opere originali] di M. non ti sarebbe di nessun aiuto: i suoi lavori sono inutilmente complicati."


Non è chiaro a quali opere si riferisca, Minkowski ha dato anche importanti contributi nel campo della matematica pura, non credo che possa riferirsi al suo lavoro sulla relatività per il semplice motivo che non è per nulla complicato, anzi, è alla portata di chiunque abbia fatto le scuole superiori, saltando qualche formula magari. Inoltre la teoria di Minkowski risulta essere un caso particolare, e molto semplice, della relatività generale di Einstein, come dire: se avesse giudicato inutilmente complicata l'opera di Minkowski avrebbe dovuto avere un'idea molto peggiore della propria.

Pare d'altronde che Minkowski, che era stato insegnante di Einstein al Politecnico di Zurigo, una volta letto il suo famoso articolo del 1905 abbia detto:
"Non mi sarei mai aspettato una roba del genere da quello là..."

FranZη

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7 Anni 2 Mesi fa #10628 da FranZeta
La formula magica

Qualche commento addietro ho citato, anche forse un po' a sproposito, una certa formula magica. La definizione non è affatto mia, la prima volta che la incontrai fu al primo anno di università, negli appunti del prof. Philippe Ellia di Geometria I (testo vivamente sconsigliato a chi non voglia sostenere il relativo esame, che tra l'altro non esiste più essendo sopravvenuta la riforma universitaria), per la precisione a pagina 282, che rileggo con una punta di commozione a causa di un commento a matita lasciato da mio nonno, che non frequenta questo mondo ormai da molti anni...
...ma bando ai sentimentalismi, ecco il freddo estratto della dispensa universitaria:

Osservare la formula "magica" che collega i quattro numeri e, i, π e 1:

e=-1


Ora, volendo proprio essere pignoli, ai quattro numeri appena citati se ne potrebbe aggiungere un altro, per nulla ininfluente, riscrivendo la formula come segue:

e+1=0 ...................... (formula magica)

ed è proprio quest'ultima la forma che preferisco, e alla quale mi riferirò d'ora innanzi come *formula magica*. Cos'ha di magico? Beh, se non è ancora chiaro, lega in modo sorprendente i cinque numeri più importanti della matematica: che 0 e 1 siano piuttosto fondamentali credo non necessiti di ulteriori spiegazioni, π dovremmo sapere tutti che numero sia e come rappresenti una sorta di collegamento tra ciò che è retto e ciò che è curvo, o per essere più precisi come sia la soluzione della famosa "quadratura del cerchio". Nel commento già citato avevo introdotto il numero immaginario "i", ossia la radice quadrata di -1, e avevo accennato a come a partire da questo numero si definiscano i numeri complessi aventi forma z=x+iy, e in effetti la formula magica ha senso proprio nel campo dei numeri complessi. Resta da definire il numero "e", detto anche costante di Nepero. Iniziamo a vedere quali sono le prime cifre del suo sviluppo decimale:

e=2,718281828459...

Questo è uno di quei casi (si veda il primo post di questo thread) in cui i tre puntini sono fondamentali, dato che le cifre proseguono all'infinito senza alcuna periodicità. Inoltre, proprio come π, si tratta di un numero trascendente, cioè non è esprimibile usando radici, come invece è possibile per altri numeri il cui sviluppo decimale sia infinito non periodico (per esempio radice di 2, o la sezione aurea Φ). Per vedere da dove saltino fuori queste cifre bisogna prima introdurre un semplice concetto: quello di fattoriale. Dato un numero naturale n, il fattoriale di n, indicato con "n!", è il prodotto di tutti i numeri naturali da 1 a n:

n!=1*2*3*...*(n-1)*n

Se n=0 si pone per definizione 0!=1 (!!! Il perchè di questa "strana" convenzione sarà chiarito presto). Il fattoriale di n ha una interpretazione pratica immediata: è il numero di tutte le permutazioni di n oggetti, per esempio con tre oggetti abbiamo le sei permutazioni:

123 132 213 231 312 321

e in effetti 3!=1*2*3=6. Ora che abbiamo a disposizione il concetto di fattoriale ecco come si definisce il numero "e":

e=ΣN 1/n!

dove ΣN indica la sommatoria da 0 a ∞ (cioè sull'insieme dei numeri naturali N), quindi scrivendo per esteso alcuni termini:

e=1+1+1/2+1/6+1/24+1/120+...

ed ecco quindi perchè si pone 0!=1, che è il primo termine della sommatoria.

Il numero "e" è di importanza capitale in molti ambiti matematici, non solo perchè è la base della funzione esponenziale e della sua inversa, il logaritmo naturale , ma anche per tutta una serie di proprietà che non possiamo trattare qui. Così come d'altronde gli altri quattro numeri della formula magica, la quale in sostanza ci dice che se eleviamo "e" alla "iπ" e aggiungiamo 1 otteniamo 0...voglio dire, se non è magia questa...

...pensiamo solo al fatto dell'elevamento a potenza: elevare un numero alla "n" significa moltiplicare quel numero per sè stesso n volte, ma se n non è un numero naturale come si fa? Se n è un numero intero negativo ce la caviamo abbastanza facilmente: a-n=1/an, riusciamo a svangarla anche se l'esponente è un numero razionale m/n: am/n è uguale alla radice n-esima di am, ma se l'esponente è un qualunque numero reale non possiamo più inventarci escamotage. E infatti nel caso generale si usa appunto la funzione esponenziale, dalla quale tra l'altro derivano le proprietà che permettono le generalizzazioni ad esponenti razionali appena descritte. Ma nella formula magica compare anche la fatidica "i", quindi l'elevamento a potenza riguarda un esponente immaginario!!!

Come accidenti si fa? Nel solito modo! Generalizzando in modo naturale una regola già nota in un caso particolare. Nel nostro caso partiamo dalla definizione di funzione esponenziale:

exN xn/n!

(si noti come per x=1 si ottenga la definizione del numero "e" data sopra, cioè e1=e, cosa buona e giusta)
Ora se vogliamo dare un senso agli esponenti immaginari prendiamo la formula sopra e al posto del generico numero reale x ci mettiamo dentro il generico numero complesso z=x+iy:

ezN zn/n!

Cala il silenzio e inizia a sentirsi il ronzio di un tarlo nella testa di chi sta leggendo, lo so, e pian piano si fa chiara l'esclamazione...

...ma che cagata!!!

Questo momento è ormai un classico del thread, non riuscirei più a rinunciarci. Sì, è vero, sembra una cagata, ma in realtà è un salto concettuale di una profondità tale che solo la messe pressochè infinita di risultati utili e sorprendenti che comporta ha fatto sì che sia accettato da tutti senza compromessi. Ecco ad esempio come sono legate le funzioni trigonometriche con l'esponenziale, se accettiamo il balzo di cui sopra:

eiz=cos z + i sin z

Non esiste nulla di vagamente simile nel campo dei numeri reali, relazioni di questo tipo si esplicano solo tuffandosi nei numeri complessi. Facendo un balzo all'indietro rispetto al precedente possiamo riscrivere la relazione qui sopra nel caso particolare in cui z=x (cioè y=0 e z diventa un numero reale):

eix=cos x + i sin x ...........................(formula magica generalizzata)

e a questo punto basta prendere il valore particolare x=π per ottenere la nostra formula magica, dato che cos π=-1 e sin π=0. Se ci fossero ancora dubbi che trattasi di vera magia, ecco al volo un altro colpo di bacchetta: poniamo x=α+β e sostituiamolo nella formula sopra:

ei(α+β)=cos (α+β) + i sin (α+β)

ora usando le proprietà della funzione esponenziale quest'ultima è equivalente a:

ee=cos (α+β) + i sin (α+β)

a sua volta equivalente, sfruttando la formula magica generalizzata relativa a e ed e, a:

(cos α + i sin α)(cos β + i sin β)=cos (α+β) + i sin (α+β)

svolgendo il prodotto delle parentesi:

(cos α)(cos β)-(sin α)(sin β)+i(cos α)(sin β)+i(sin α)(cos β)=cos (α+β) + i sin (α+β)

e infine, uguagliando i termini senza "i" a sinistra e destra dell'uguale, e facendo lo stesso con quelli con la "i", otteniamo le due formule:

cos (α+β)=(cos α)(cos β)-(sin α)(sin β)
sin (α+β)=(cos α)(sin β)+(sin α)(cos β)

che chi ha studiato trigonometria alle superiori è stato costretto ad imparare a memoria, eventualmente insieme ad una noiosa dimostrazione geometrica. Noi invece abbiamo usato solo una proprietà della funzione esponenziale e un po' di algebra spicciola. E la formula magica, of course.

FranZη

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7 Anni 2 Mesi fa #10629 da Pavillion
Si dovrebbe pure ammettere che quando Costanza è costante ... vi deve essere qualcosa di diabolico in lei.
Trovo che i tuoi numeri siano come le note poste sulla scala di violino, da l'idea di chissà che rivolgendosi al sottostante pentagramma, non lo capirò mai fin quando non lo si inizi a suonarlo, così armato di santa attitudine ti attendo, so che lo suonerai.

Ho copiato le tue "trascendenti" reminescenze, non capirò i numeri, non li capirò mai fin quando non li si inizi a leggerli nelle note che essi lasciano.

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7 Anni 2 Mesi fa #10635 da FranZeta

Pavillion ha scritto: non lo capirò mai fin quando non lo si inizi a suonarlo, così armato di santa attitudine ti attendo, so che lo suonerai.

Eh beh l'attitudine aiuta, ma scrivere di proprio pugno qualche passaggio aiuta ancora di più. Se sei interessato all'argomento ti consiglierei per esempio di rifare per conto tuo l'ultimo calcolo che ho postato, magari sbirciando ogni tanto se necessario. Buona comunque la metafora musicale, io ne aggiungerei una culinaria: un conto è imparare le ricette a memoria, altro conto è mettersi ai fornelli e realizzarle, magari non proprio perfettamente, però insomma, ci si prova.

FranZη

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7 Anni 2 Mesi fa #10637 da Pavillion
Penso di aver già fornito la spiegazione. Il matematico sei tu, i tuoi "pensieri in libertà" la insegnano, ti ringrazio di questo. Lo si può notare dall'aver utilizzato, come citazione, la chiave di violino e non la magica formula dei numeri.

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7 Anni 1 Mese fa #10658 da FranZeta
Ancora un altro infinito: ai confini del piano e oltre

Si è già parlato, nel post infiniti infiniti , del concetto di infinito in relazione ai numeri, o più precisamente rispetto alla cardinalità degli insiemi. Già in quella circostanza abbiamo constatato come ammettere che esista almeno un insieme infinito comporta che esista un'infinità di insiemi infiniti, ciascuno "più grande" dell'altro. Lungi dall'aver esaurito le declinazioni matematiche del termine "infinito" ecco che ne propongo un'altra, questa volta di natura geometrica. Ci avvieremo verso l'infinito non più spingendoci alla ricerca di numeri esageratamente grandi, ma muovendoci verso i confini del piano cartesiano, o euclideo, che però se permettete da matematico preferisco chiamare R2.

Ora, che il piano euclideo non abbia limiti è cosa piuttosto nota, nessuno ci vieta di prolungare una retta fin dove vogliamo, tanto per dirne una, ma una delle conseguenze sorprendenti della nostra precedente incursione nell'infinito è che l'intera retta dei numeri reali contiene tanti punti quanti un qualunque intervallo aperto di numeri su di essa. Esprimendo la cosa nei termini più corretti la retta può essere messa in relazione biunivoca con un suo intervallo finito. Non solo, e questo non ve l'avevo ancora detto, fra le tante relazioni biunivoche che potremmo trovare ce ne sono anche alcune continue, cosa che in ambito geometrico ha conseguenze rilevanti: in sostanza ci permette di dire che un intervallo limitato, per esempio (-1,1), può essere considerato come un modello geometrico fedele dell'intera retta. Motivare tecnicamente questa affermazione richiederebbe un'introduzione alla topologia che in questa sede non ha molto senso, quindi prendetela per buona così come è.

Se l'intervallo (-1,1) può essere preso a modello della retta, allora il quadrato (-1,1)x(-1,1) si presta a modello dell'intero piano cartesiano ("x" indica qui il prodotto cartesiano, si tratta in questo caso del quadrato avente vertici nei quattro punti (±1,±1)). Quindi "l'infinità" del piano R2 sta tutta in una scatola quadrata di lato 2!!! La cosa, a prima vista sorprendente, giustifica il fatto che nelle questioni geometriche più che alla contrapposizione finito/infinito ci si riferisca a quella, più tecnica, di compatto /non compatto, anche se una volta chiarito il contesto i termini possono essere considerati pressochè sinonimi. Comunque torniamo alla nostra scatola quadrata che contiene l'intero piano, cosa possiamo dire dei suoi confini?

Che non ci sono!

Fate attenzione, usare le parentesi tonde per gli intervalli significa che stiamo escludendo gli estremi (per includerli si usano le parentesi quadre), quindi il nostro quadrato è privo del bordo. La cosa è fondamentale perchè attaccandogli il bordo non avremmo più un modello di R2, in particolare avremmo uno spazio compatto (= finito). Altro paradosso: uno spazio "più piccolo" -il quadrato senza bordo- è equivalente a uno spazio infinito, mentre aggiungendogli il bordo otteniamo uno spazio inevitabilmente finito! Capisco che messa giù così la questione può sembrare logicamente consistente come la trama di Alice nel paese delle meraviglie, però di fronte a delle conseguenze concrete forse cambierete idea.

Torniamo un momento al nostro piano cartesiano. Si sa che un'equazione nelle variabili x e y rappresenta un luogo geometrico (eventualmente vuoto) nel piano: per esempio y=0 e x=0 sono le equazioni che definiscono rispettivamente l'asse x e l'asse y, oppure x2+y2=1 è la circonferenza unitaria centrata nell'origine. O ancora la seguente equazione:

y2=x3+ax+b

rappresenta una generica curva ellittica . Adesso serve un trucchetto algebrico. L'equazione sopra è di terzo grado non omogenea, cioè c'è un temine di terzo grado e altri di grado inferiore, trasformiamola in un'equazione omogenea nel modo seguente: innanzitutto riscriviamo le vecchie incognite x e y in maiuscolo, per non confonderci in seguito, e poi moltiplichiamo tutti i termini che non hanno grado 3 per la nuova incognita T elevata all'esponente opportuno in modo che tutti i termini risultino di grado 3, si fa prima a fare che a spiegare:

Y2T=X3+aXT2+bT3

ecco, questa è la nuova equazione, l'operazione di riscrittura appena fatta prende il nome di omogeneizzazione e la sua utilità sarà chiara fra breve. Si noti subito che, se poniamo T ǂ 0, le vecchie incognite sono legate alle nuove dalle semplici relazioni:

x=X/T
y=Y/T

e come appare chiaro più T diventa piccolo più x e y diventano grandi. E quando T=0? Beh, x e y diventano infinite! Il trucchetto dell'omogeneizzazione serve a catturare il comportamento all'infinito dei luoghi geometrici del piano euclideo. Finchè T è diverso da zero possiamo ricondurci alle equazioni classiche in virtù delle relazioni sopra, quando T=0 basta sostituire nell'equazione omogenea e vedere cosa succede, nel nostro caso si ottiene:

Y2*0=X3+aX*02+b*03

---> X3=0
---> X=0

che ci dice che la curva ellittica interseca l'infinito in un punto di ascissa zero. Tutto ciò trova una interpretazione rigorosa all'interno dello spazio geometrico noto come piano proiettivo , che consiste in un normale piano euclideo al quale abbiamo aggiunto una circonferenza di raggio infinito, i cosiddetti "punti all'infinito". Per dirla tutta questa circonferenza non è proprio canonica, al di là del raggio infinito ha anche l'ulteriore proprietà che due punti antipodali sono da considerarsi lo stesso punto, e in effetti è topologicamente uguale a una circonferenza ma geometricamente bisogna parlare di retta proiettiva. In ogni caso, usando le nostre coordinate omogenee X, Y e T, l'equazione di tale retta, cioè "l'equazione dell'infinito", è semplicemente T=0, nè più e nè meno come le equazioni degli assi cartesiani classici visti sopra.

Solo un piccolo appunto sul funzionamento delle coordinate omogenee e poi passiamo alla parte magica, che non manca certo. A differenza delle coordinate cartesiane (x,y) le coordinate omogenee non sono univocamente determinate, ma la terna (X,Y,T) può essere moltiplicata per un qualunque fattore diverso da zero e continuerà comunque a indicare lo stesso punto del piano proiettivo, si usa quindi una notazione diversa per indicarla e al posto della virgola si mettono i due punti: (X:Y:T) (esistono anche altre notazioni equivalenti). Inoltre (0:0:0) non rappresenta alcun punto del piano proiettivo. Per esempio (1:2:3) e (π:2π:3π) sono le coordinate dello stesso punto, mentre i punti all'infinito hanno coordinate (X:Y:0) senza però che X e Y possano essere contemporaneamente zero. Nel caso di prima avevamo trovato che l'intersezione fra la curva ellittica e la retta all'infinito aveva ascissa zero, cioè era del tipo (0:Y:0) con Y indeterminato (ma necessariamente diverso da zero), ma dato che moltiplicando le coordinate omogenee per un fattore diverso da zero otteniamo sempre lo stesso punto, possiamo scrivere (0:Y:0)=Y*(0:1:0)=(0:1:0) e l'ultima uguaglianza ci dà le esatte coordinate dell'intersezione fra la curva e l'infinito. E scusate se è poco!

Veniamo dunque ad una applicazione pratica di tanta teoria: le coniche. Le coniche sono la circonferenza, caso particolare delle ellissi, le iperboli e le parabole. Ci sono poi le coniche degeneri, ossia le coppie di rette e le "rette doppie" (sono le normali rette la cui equazione è stata elevata al quadrato, per esempio y2=0 nel caso dell'asse delle x). In generale una conica è il luogo geometrico di un'equazione di secondo grado nelle incognite x e y. Chi ha fatto geometria analitica alle superiori forse se le ricorderà, magari non proprio con piacere, per via dell'armamentario di formule ad esse legate. Bene, nel piano proiettivo esistono solo due tipi di coniche: le coniche degeneri e quelle non degeneri, e la cosa è una semplificazione non da poco. Sto dicendovi che ellissi, iperboli e parabole sono la stessa cosa, e possono essere tutte ricondotte alla circonferenza unitaria x2+y2=1.

Ecco come si fa. Bisogna solo tenere a mente che, così come nel piano cartesiano nessuno ci vieta di utilizzare nuove incognite x',y' che siano legate a quelle vecchie da opportune trasformazioni, lo stesso vale nel proiettivo. A seconda dell'ambito possono essere usate trasformazioni differenti come le traslazioni, le rotazioni, le isometrie (= traslazioni+rotazioni+riflessioni) eccetera, nel caso più generale si parla di trasformazioni affini per lo spazio euclideo e trasformazioni proiettive nello spazio proiettivo. Queste ultime ci consentono di trasformare qualunque retta nella retta speciale che rappresenta l'infinito del piano cartesiano, dato che effettivamente questa retta è speciale solo in ambito euclideo, mentre in quello proiettivo di speciale non ha nulla (così come le incognite x e y sono sostanzialmente interscambiabili, lo stesso vale per X, Y e T). Partiamo dunque da una rappresentazione della circonferenza unitaria e della retta all'infinito T=0:



Questa situazione è sostanzialmente la stessa sia che la vediamo nel piano euclideo, sia nel proiettivo, l'unica discriminante è che la retta all'infinito sarebbe fuori dalla nostra visuale nel piano cartesiano.
Se ora spostiamo la retta all'infinito fino a farla coincidere con la retta y=1 (Y=T in coordinate omogenee) otteniamo, nel piano proiettivo, questo:



che corrisponde nel piano cartesiano a questa curva:



...una parabola!

Spostiamo ancora la retta all'infinito e facciamola coincidere con l'asse delle x:



la corrispondente situazione in R2 è questa:



...toh, un'iperbole!

Ovviamente mi sono guardato bene dal riportare i passaggi algebrici che giustificano le figure qui sopra, ma intuitivamente il concetto è molto semplice: la linea rossa è l'infinito e la blu la curva, ogni punto di contatto fra le due rappresenta nient'altro che un punto all'infinito della conica. Come promesso siamo giunti a toccare l'infinito (geometrico) e siamo andati pure oltre!

FranZη

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7 Anni 1 Mese fa - 7 Anni 1 Mese fa #10948 da FranZeta
Mi è uscito π alla roulette

Nel documentario La macchina venuta dal futuro, recentemente pubblicato in home, ho trovato un passaggio che mi ha incuriosito. Anticipo subito che non intendo affrontare la questione specifica della macchina, ma solo una piccola curiosità matematica che si trova in questo passaggio. A parlare è un anonimo matematico/informatico svizzero che dice di aver analizzato una lista di numeri (116000 dice), legati alla misteriosa macchina protagonista del video. Prosegue dicendo di aver analizzato questi numeri usando una formula di E. Fermi legata al metodo cosidetto "Montecarlo" (metodo di cui parliamo fra breve), e di aver trovato un risultato stupefacente. Infatti, sempre stando a quello che ci dice, mentre per una serie di numeri casuali la formula dovrebbe restituire un valore vicino a π (in realtà letteralmente dice "3 e 14"), con la lista di numeri in suo possesso otteneva sorprendentemente il numero "e" (sempre letteralmente parla di "2 e 71", cosa che mi induce a pensare che sia più informatico che matematico, perchè, volendolo arrotondare, il numero "e" sarebbe 2,72: le sue prime cifre sono 2,718281828459...).

Ammetto di non sapere a quale formula specifica si stesse riferendo, però avendo parlato di metodo Montecarlo posso provare a ricostruire il discorso matematico sottostante. Innanzitutto con "Montecarlo" ci si riferisce ad una tipologia di risoluzione empirico-probabilistica di problemi matematici altrimenti troppo complicati o troppo laboriosi da risolvere. Tutto parte dall' ago di Buffon , che non è il portiere della Juve e della Nazionale, ma lo scienziato francese del '700. Il problema è questo: lasciamo cadere un ago di lunghezza "l" su un pavimento fatto a strisce, ciascuna di larghezza "t" (rubo l'immagine a wikipedia):



Qual è la probabilità che l'ago cada a cavallo fra due di queste strisce (situazione "a")? Se t > l, cioè le strisce sono più larghe dell'ago, risulta che la probabilità cercata è:

p=2l/πt

ed è quindi legata, oltre ovviamente ai due parametri l e t, anche a π. Ma invertendo la formula qui sopra possiamo anche ottenere:

π=2l/pt

...cioè possiamo calcolare il valore di π lanciando un ago per terra! A livello pratico si farebbe così: inizio a lanciare l'ago sul pavimento a strisce, tenendo conto del numero dei lanci e del numero di volte che l'ago cade a cavallo di due strisce, se indico con n il numero totale dei lanci e con m il numero di quelli andati a buon fine, la probabilità cercata sarà il rapporto m/n. In realtà la probabilità p è il limite per n che tende a infinito di questo rapporto, però se faccio un numero sufficientemente grande di prove otterrò una buona approssimazione di π. Questo è sostanzialmente un calcolo di π usando il metodo Montecarlo (in riferimento al noto casinò e all'aleatorietà del procedimento).

Altro modo per calcolare π con un metodo Montecarlo: dalla formula dell'area del cerchio A=πr2, se poniamo r=1, abbiamo che il rapporto tra l'area del cerchio unitario e quella del quadrato unitario è proprio π. Oppure equivalentemente che l'area del primo quadrante del cerchio unitario è π/4 (è un quarto di cerchio), questo significa che se pensiamo al quadrato unitario come un bersaglio su cui spariamo numeri casuali, il numero di quelli che cadono all'interno del quadrante rispetto al totale tenderà ad approssimare π/4 tanto meglio quanti più "spari" facciamo. Una figura aiuterà a capire meglio:



Qui ho sparato cento coppie di numeri a caso (coppie perchè servono due coordinate per individuare un punto nel quadrato), di queste 86 sono cadute dentro al quadrante del cerchio, quindi la stima risultante di π che otteniamo è 4*86/100=3,44. Si, non è un granchè, ma se aumentassimo il numero di punti casuali ci avvicineremmo sempre più al fatidico 3,14...(coi tre puntini!!!).

Tornando al nostro informatico e alla sua lista di 116000 numeri, mi verrebbe da supporre che la formula di cui parla, quella che dovrebbe restituire π qualora si inseriscano numeri casuali, sia una qualche variante dell'esempio precedente per la stima di π tramite bersaglio e "fucile" numerico. Non avendo altre informazioni, nemmeno sul tipo di numeri con cui aveva a che fare, in quanto segue non potrò far altro che tirare ad indovinare. L'unica certezza è che invece di π ha ottenuto il numero "e", cosa che suggerisce che non si tratta di una lista di numeri casuali. Ma prima di tutto dovremmo capire come si potrebbe usare una lista di numeri casuali per ottenerne dei punti casuali nel quadrato unitario, ossia nell'intervallo [0,1]x[0,1], dato che questi punti casuali potrebbero a priori essere distribuiti da -infinito a + infinito. Supponiamo per semplicità che la lista contenga solo numeri positivi (se così non fosse potremmo semplicemente ignorare il segno meno), supponiamo anche che non ci siano altre limitazioni: abbiamo dei numeri positivi in virgola mobile con un certo numero di cifre. Per intenderci sono i numeri che potete visualizzare su una calcolatrice.

Per ottenere dei numeri compresi fra 0 e 1, che è quello che serve a noi, potremmo senza tante storie mettere uno "0," davanti alle cifre del numero (eliminando ovviamente l'eventuale virgola già presente). Ma non sarebbe una buona soluzione perchè in questo modo scarteremmo artificialmente tutti i numeri del tipo "0,0xxxx", dato che nessun numero comincia per "0". Potremmo fare una piccola deroga alla regola qui sopra: mettiamo "0," davanti alle cifre a meno che il numero non sia già del tipo 0,0xxxx ma, credo lo abbiate già intuito, sarebbe un misero palliativo poichè la probabilità che un numero casuale tra 0 e infinito sia di questo tipo è praticamente zero. Faccio notare che se la nostra lista contenesse solo numeri naturali, cioè senza virgola, un modo veloce e pratico per ottenerne una lista di punti casuali nel quadrato unitario sarebbe quello di mettere uno "0," davanti alle cifre del numero scritte al contrario, poi basterebbe organizzare questi numeri in coppie e avremmo la nostra lista casuale di punti del quadrato unitario. 58000 punti, per la precisione, che in caso di numeri realmente casuali sarebbero più che sufficienti per approssimare almeno le prime due cifre di π.

Come ho già detto non ho la minima idea di quale procedimento Montecarlo abbia applicato l'anonimo informatico, però prima di concludere vorrei mostrare quale sarebbe il risultato del metodo sopra esposto se "sbagliassimo di brutto" mettendo semplicemente uno "0," davanti alle cifre del numero, cosa che comporta l'esclusione dal bersaglio di due striscioline di spessore 0,1 in basso e alla sinistra del quadrato:



Come si può ben vedere escluderemmo 16 dei 100 punti casuali sparati in precedenza, ottenedo la nuova stima 4*70/86=3.33. Solo che stavolta non stiamo più stimando π, che richiederebbe numeri casuali su tutto il quadrato, ma il numero 2,84...*(sempre coi tre puntini!). Ecco che allora potrebbe esserci una spiegazione abbastanza semplice del perchè invece di π saltava fuori "e" (2,84 è certamente più vicino a 2.718 che a 3,14 e stavolta non metto i puntini perchè sto parlando di approssimazioni). Resterebbe comunque un'anomalia nell'ordine del 3,7% che su un campione di 58000 punti è piuttosto alta, si potrebbe però spiegare ipotizzando che ci sia una certa percentuale di numeri simili o che differiscono solo per l'ordine di grandezza, così che invece di essere distribuiti casualmente nel quadrato -privato delle due striscioline- ci sia una certa tendenza ad addensarsi sulla diagonale.

*La formula da cui ricavo 2.84... è la seguente:

(π-4*(arcsin(0.1)+cos(0.1)/10+0.01))/0.81

EDIT: Mi sono accorto di aver usato a volte la virgola e a volte il punto prima delle cifre decimali, il fatto è che normalmente userei il punto, ma per chiarezza avevo pensato di usare la virgola in questo post. Il risultato è che ho usato un po' entrambi, spero di non aver confuso nessuno.

FranZη
Ultima Modifica 7 Anni 1 Mese fa da FranZeta.

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7 Anni 4 Settimane fa #10955 da gino sighicelli
Citazione “Nota a margine alla nota a margine: di Odifreddi poi magari ne parleremo un giorno...”

Non è ancora venuta l'ora di parlarne? (non vedo l'ora (anche a me non sta simpatico))

Altrimenti, se ancora tu non ne avessi voglia (se non ti sentissi ancora pronto? (è corretto l'uso che sto facendo di “sentissi”? - mi sta mettendo in difficoltà) ... in alternativa propongo discussione sui due tipi di probabilità: dall'alto verso il basso (deduttiva (razionale)) e dal basso verso l'alto (induttiva (empirica)). A mio parere, oltre ad essere importante - la nostra possibilità di ben distinguere (e discernere) le due probabilità - ancora più importante è forse consapevolezza del fatto che la probabilità induttiva a tutt'oggi normalmente (in molte circostanze) viene male interpretata. In tal senso credo sarai d'accordo con me, avendo io già constato (leggendoti) che come me anche tu nutri sentimento di rispetto e stima per l'opinione che fu di Bertrand Russell.


avessi saputo che in LC esistono forum su argomenti specifici e che già ne esisteva uno aperto e in corso sulla matematica, non sarei andato OT (in altre occasioni (nei primi giorni della mia frequentazione di LC (quando ancora in LC fui totalmente novizio)))

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7 Anni 4 Settimane fa #10956 da FranZeta
Direi che per rispondere è meglio cominciare dalla fine:

gino sighicelli ha scritto: avessi saputo che in LC esistono forum su argomenti specifici e che già ne esisteva uno aperto e in corso sulla matematica, non sarei andato OT (in altre occasioni (nei primi giorni della mia frequentazione di LC (quando ancora in LC fui totalmente novizio)))

La sezione "Forum" del sito è libera e funziona grossomodo così: chiunque può aprire un proprio forum posizionandolo nella categoria che ritiene più opportuna e spiegando la tematica che intende trattare con un post introduttivo. A quel punto ogni utente può intervenire e chi ha aperto il thread si assume la responsabilità della moderazione, entro certi limiti oltre i quali può intervenire @Redazione. Questo in generale.

Per quanto riguarda questo thread, da me aperto, noterai che è inserito nella categoria "cose frivole" poichè, per quanto ritenga la matematica un argomento serissimo, in questo spazio cerco di parlare di aspetti particolari in modo piuttosto scherzoso, con la pretesa di rendere la lettura accessibile a chiunque, o almeno ci si prova. Tranne una parentesi di alcuni scambi con @kamiokande su una questione tecnica, che per non aprire una discussione apposita abbiamo fatto qui, preferisco mantenere intatto lo spirito iniziale del forum. Detto questo, posso rispondere al resto:

Non è ancora venuta l'ora di parlarne? (non vedo l'ora (anche a me non sta simpatico))

Per ora non ho voglia di scrivere un post dedicato a Odifreddi, comunque possiamo portarci avanti con questi due link, in linea con lo spirito del thread già spiegato:
Odd Odifreddi (Uriel Fanelli su Odifreddi)
Piergiorgio Odifreddi (pagina di nonciclopedia)

in alternativa propongo discussione sui due tipi di probabilità: dall'alto verso il basso (deduttiva (razionale)) e dal basso verso l'alto (induttiva (empirica)).

Immagino ti stia riferendo all'inferenza bayesiana rispetto a quella classica. Ecco, questo è un esempio di argomento che preferisco evitare in questo thread, perchè si risolverebbe in una disquisizione epistemologica tutt'altro che "frivola". Puoi affrontarlo in un tuo forum però. Brevissimamente, e ricollegandomi a quanto detto nel post precedente sulle probabilità, la probabilità astratta matematica è solo frequentista, classica, dato che non c'è alcun problema ad analizzare un campione infinito, purchè si resti in ambito astratto. L'inferenza bayesiana ha un ambito statistico, è legata cioè allo studio di fenomeni reali ( e per lo più complessi), quindi non ha molto a che fare col mio post precedente. Per esempio se la lista di numeri di cui si parlava fosse ricavata da dati casuali ma reali, avrei dovuto fare un discorso del tutto diverso tenendo conto della legge di Benford (e questo potrebbe essere un altro futuro argomento del thread).

FranZη
I seguenti utenti hanno detto grazie : gino sighicelli

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7 Anni 4 Giorni fa - 7 Anni 4 Giorni fa #11304 da FranZeta
TT VS TC

In uno dei primi interventi di questo thread si parlava di lotterie, avevo inserito in uno spoiler la dimostrazione del fatto che il numero medio di estrazioni in una lotteria per ottenerne due consecutive identiche è uguale al numero delle combinazioni più uno. Avendo copiato pari pari da un'altra discussione, a un certo punto nello spoiler compariva un'affermazione che poteva apparire enigmatica (la riporto già tradotta):

Così se p=q=1/2 e k=2 otteniamo il numero medio di lanci per ottenere TT: 4*2-2=6

Credo che valga la pena spiegare un po' meglio a cosa mi riferissi, dato che è una curiosità che a suo tempo mi aveva dato parecchio da pensare. Sto parlando del lancio di una moneta. Come noto la probabilità di ottenere testa (T) è p=1/2, almeno nel caso ideale di moneta equa, così come ovviamente anche la probabilità di ottenere croce (C). Questo in un singolo lancio. Se lanciamo la moneta due volte abbiamo le quattro possibilità TT CC TC CT, ognuna con probabilità 1/4. Ma se ci chiediamo quanti lanci in media bisogna fare per ottenere due volte consecutive T le cose si fanno interessanti, infatti come anticipato dalla citazione servono sei lanci. La cosa sorprendente non è tanto questa, ma il fatto che per ottenere invece la sequenza TC bastano mediamente quattro lanci, sebbene TT e TC abbiano la stessa probabilità di uscita (attenzione, con TC si intende la sequenza ordinata e quindi distinta da CT).

Per quelli che stanno già pensando "esticazzi non ce li mettiamo?" un avvertimento: le cose non sono così banali come potrebbero esservi sembrate. Innanzitutto si sta parlando di un numero che, sebbene nella realtà si possa ottenere solo lanciando infinite volte una moneta ideale (quindi in effetti nella realtà non può esistere), può però essere calcolato esattamente, e lo faremo tra breve, ma c'è di più: ogni esperimento reale, per quanto intrinsecamente limitato, tenderà tanto più a questo numero quante più prove facciamo. Sto dicendo che se iniziamo a lanciare una moneta, quando otteniamo TT ci fermiamo e segniamo quanti lanci abbiamo fatto, ripetiamo il tutto più e più volte e infine facciamo la media di tutti i numeri che abbiamo annotato, il risultato sarà tanto più vicino a 6 quante più prove abbiamo ripetuto.

Altra cosa da sottolineare: non sto dicendo che se scommettete con qualcuno che in 5 lanci non riuscirà a fare uscire TT avete più probabilità di vincere, perchè in effetti è il contrario. Ecco le possibili sequenze di quattro lanci:
Code:
TTTT TTTC TTCT TCTT CTTT TTCC CCTT TCCT CTTC TCTC CTCT CCCT CCTC CTCC TCCC CCCC

(NOTA A MARGINE: le sequenze distinte di n lanci di moneta sono in numero di 2n, mentre le sottosequenze contenenti 0,1,...,k "teste" - o "croci" è lo stesso - sono date dai coefficienti binomiali C(n;k). Questi ultimi, che si possono calcolare tramite formula o col cosiddetto "triangolo di Tartaglia"*, sono i coefficienti che compaiono nell'espansione del binomio (x+y)n=xn+nxn-1y+...+C(n;k)xn-kyk+...+yn. Nel caso qui sopra, essendo n=4, si ottengono i coefficienti del binomio di quarto grado: (x+y)4=x4+4x3y+6x2y2+4xy3+y4)

Se contate quante sequenze fra le sedici totali contengono la sequenza TT vedrete che sono esattamente la metà, quindi c'è una probabilità p=1/2 che dopo quattro lanci sia uscita testa due volte consecutive, e se scommettete su un numero di lanci superiore perderete. Vabbeh, magari vincerete per un breve periodo, ma nel medio state certi che perderete (nel lungo periodo invece siamo tutti morti). La scommessa equa fra due giocatori sarebbe questa: se ci vogliono sei lanci per ottenere TT il gioco finisce pari, altrimenti uno dei due paga un euro per ogni lancio in meno e l'altro per ogni lancio in più che serve per avere TT. Detto per inciso sulle 64 possibili sequenze di sei lanci sono solo 14 quelle che non contengono TT, quindi in media dovrà pagare più spesso il giocatore che punta al rialzo, ma questo può potenzialmente vincere qualsiasi cifra mentre chi punta al ribasso può al massimo vincere 4 euro alla volta.

Veniamo ora al calcolo del numero di cui parliamo dall'inizio. Nella discussione originale avevo usato una formula già bella e pronta che fornisce il numero medio di prove per ottenere due successi consecutivi in un processo di Bernoulli :

E(X)=(p-k/(1-p))-1/(1-p)

Nella formula sopra p è la probabilità di successo, nel caso della moneta quindi p=1/2 (la probabilità di fallimento, 1-p, si indica in genere con q ed ecco spiegata la seconda lettera che compariva nella citazione iniziale). E' il caso di spiegare anche perchè il numero dato dalla formula si indica con E(X). Nel calcolo delle probabilità con "X" si denota una generica variabile aleatoria (o casuale), che al di là della definizione formale, piuttosto complicata, può essere definita come una funzione che ha come output un numero e come input un evento che ha una certa probabilità di verificarsi, preso fra un insieme di altri eventi. Nel nostro caso è X="numero di lanci per ottenere la sequenza TT", gli eventi sono le possibili sequenze di lanci di una moneta e i valori della funzione X sono 2,3,4, eccetera. Per esempio ad ogni sequenza CTT... la funzione assegna il valore 3, a TCTCCTT... il valore 7 e così via. La scrittura E(X) indica invece la media della variabile casuale X.

C'è anche un modo più diretto, e a mio parere elegante, per calcolare questo numero. Si basa su un teorema noto come "legge delle alternative per la media", che in sostanza afferma che per calcolare la media E(X) si può scomporre il calcolo come segue:

E(X)=p(A)*E(X/A)+p(B)*E(X/B) (1)

dove A e B sono due eventi complementari e p(A), p(B) le relative probabilità di realizzarsi. E(X/A) e E(X/B) è invece una notazione standard che indica la media condizionata (X/A (B) si legge: "X dato A (B)"), cioè la media di X una volta noto che si è verificato l'evento A (B). L'esempio pratico chiarirà tutto, se poniamo:

A="al primo lancio esce T"
B="al primo lancio esce C"

essendo chiaramente p(A)=p(B)=1/2 la (1) diventa:

E(X)=1/2*E(X/T)+1/2*E(X/C) (2)

Ora attenzione al trucchetto che segue che è tanto semplice quanto efficace. Applichiamo nuovamente la legge delle alternative alle nuove medie E(X/T) e E(X/C) sulla base dell'esito del secondo lancio:

E(X/T)=1/2*E(X/TT)+1/2*E(X/TC)
(3)
E(X/C)=1/2*E(X/CT)+1/2*E(X/CC)

Il trucchetto sta in questo: le medie che compaiono nei membri di destra si possono calcolare direttamente. Infatti:

E(X/TT)=2 (sono uscite due teste consecutive e abbiamo finito)
E(X/TC)=2+E(X) (dobbiamo ricominciare da capo ma abbiamo già fatto due lanci)
E(X/CC)=2+E(X) (idem come sopra)
E(X/CT)=1+E(X/T) (siamo nella situazione della prima delle equazioni (3), ma con un lancio in più)

Sostituendo nelle (3) abbiamo allora le nuove equazioni:

E(X/T)=2+1/2*E(X)
(4)
E(X/C)=3/2+1/2*E(X)+1/2*E(X/T)

Ecco allora che la (2) e le (4) messe insieme forniscono un sistema lineare di tre equazioni nelle tre incognite E(X), E(X/T), E(X/C), la prima delle quali è quella che ci interessa e risulta per l'appunto E(TT)=6. Ripetendo il procedimento con la sequenza TC si ottiene invece il risultato E(TC)=4. Dunque finora abbiamo risposto al come si ottengano i valori 6 e 4 per le due sequenze, manca ancora una risposta all'interrogativo più profondo: come mai? Ricordo che la profondità del quesito deriva dal fatto che le due sequenze sono equiprobabili. La risposta epistemologica a essere franchi non ce l'ho (la risposta matematica potrebbe semplicemente essere: guarda il sistema sopra, sono giusti i calcoli? Bene, allora è così perchè è così che deve essere).

Però ho qualche indicazione da fornire. Pare che abbia a che fare con una forma di "disordine" della sequenza, una sorta di entropia nel senso della Teoria dell'informazione di Shannon. Per "entropia" Shannon intende la quantità di informazione codificabile in una stringa, facendo un parallelo inaspettato ma più che mai calzante con l'analogo termine usato in termodinamica. Nel nostro ambito per capire cosa possa c'entrare il disordine occorre analizzare stringhe di T e C più lunghe di quelle viste finora. per esempio calcolando il numero medio di lanci necessario per ottenere TTT rispetto a TTC o TCT. Risultano essere rispettivamente 14, 8 e 10. Per stringhe di lunghezza 4 risulta E(TTTT)=30, E(TTTC)=16, E(TCTC)=20. Inizia ad essere chiaro che, al netto di un fattore 2n legato alla lunghezza della stringa, quella che richiede il numero maggiore di lanci è sempre quella TTT...T, quella che ne richiede meno è la TTT...C mentre la stringa alternata TCTC...TC ne richiede un numero intermedio. Ovviamente il tutto è simmetrico rispetto ad uno scambio dei simboli T e C.

Ecco dunque una motivazione in linea con la teoria dell'informazione: la stringa con solo "teste" è totalmente ordinata, nel senso che dati i primi n simboli non c'è alcun dubbio su cosa potrebbe venire dopo, nel caso fosse allungata. Quella alternata è un po' meno ordinata (si potrebbe obiettare che in effetti neanche questa lascia spazio all'immaginazione, ma perlomeno contiene due simboli e non solo uno). Si tenga sempre presente che non sono considerazioni matematiche, ma filosofiche, e pure molto speculative... La stringa invece che contiene solo T tranne una C alla fine non ci permette in alcun modo di prevedere quale potrebbe essere un ulteriore simbolo. E' pur vero che quest'ultima sequenza era fino al penultimo lancio una stringa di sole teste, e quindi sembrava fosse definitivamente determinata...Mah, con le speculazioni mi fermo qui, se qualcuno è curioso e ha del tempo da buttare chiudo il post riportando uno script per MATLAB che consente di fare tutte le prove che volete. Un'avvertenza: i simboli T e C sono sostituiti da 1 e 0, per il resto c'è la spiegazione del funzionamento che potete visualizzare in qualunque momento utilizzando il comando >help monetaequa (una volta salvato il file.m nella cartella apposita, chi utilizza MATLAB non dovrebbe avere problemi a capire).
Code:
function [E,detB]=monetaequa(x,p) %monetaequa(x,p) %inserito il vettore x tale che x(1)=1;x(i)=0 o 1 e p=prob(1) la funzione %calcola il numero medio di lanci di moneta equa E per ottenere la sequenza x %e il numero det(B) compreso tra 1 e 1/(1-p) che rappresenta la casualità della %sequenza, se p=0.5 a 1 corrispondono le sequenze più casuali %esempio: %input %x=[1 1 1 0 1 1 1 0 1 1 1 0] %p=0.5 %output %detB=1.0664 questo numero rappresenta la casualità %ans=4.3680e+003 questo è il numero medio di lanci n=length(x); for k=1:n y(k)=p*x(k)-((1-p)*(x(k)-1)); end A(3:2:2*n+1,:)=0; for k=1:n-2 A(2*k,2*k+2)=-y(k); A(2*k,2*k+3)=-(1-y(k)); A(2*k,2*k+4:2*n+1)=0; A(2*k+1,1:2*k+1)=0; end A(2*n-2,2*n)=-y(n); A(2*n-2,2*n+1)=-(1-y(n)); A(2*n,:)=0; for k=1:n A(2*k,2*k)=1; A(2*k+1,2*k+1)=1; end A(1,1)=1; A(1,2)=-y(1); A(1,3)=-(1-y(1)); A(3,1)=-1; A(1,4:2*n+1)=0; for k=1:n A(2*k+1,3:2:2*k-1)=0; A(2*k+1,2*k)=0; end for k=2:n h=2; while h<=k X(1:k-1)=x(1:k-1); X(k)=-(x(k)-1); if x(1:k-h+1)==X(h:k) A(2*k+1,2*k-2*h+2)=-1; else A(2*k+1,2*k-2*h+2)=0; end if A(2*k+1,2*k-2*h+2)==-1 break; end h=h+1; end end for k=2:n if A(2*k+1,2:2*k)==0 A(2*k+1,1)=-1; else A(2*k+1,1)=0; end end b(1:2)=0; b(3)=1; b(4:2:2*n)=0; for k=2:n c=k-1:-0.5:1; if sum(A(2*k+1,2:2*k-2).*c)==0 b(2*k+1)=k; else b(2*k+1)=-sum(A(2*k+1,2:2*k-2).*c); end end b(2*n)=n; B(:,1)=b'; B(:,2:2*n+1)=A(:,2:2*n+1); E=det(B)/det(A); detB=det(B)

*Il triangolo di Tartaglia andrebbe più correttamente chiamato "triangolo di x", dove x è una variabile che dipende dalla nazione in cui ci si trova nel modo seguente:

Francia: x=Pascal
Germania: x=Leibniz
Regno Unito: x=Newton
Italia: x=Tartaglia
Spagna: x=Non Pervenuto (non si ricorda un solo matematico di valore di madrelingua spagnola...)

FranZη
Ultima Modifica 7 Anni 4 Giorni fa da FranZeta. Motivo: Corretti alcuni errori di ortografia. PS Ma solo a me non funziona più l'editor del forum?

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7 Anni 2 Giorni fa - 7 Anni 21 Ore fa #11353 da FranZeta
MESSAGGIO DI SERVIZIO: da un paio di giorni è scomparsa la barra degli strumenti dall'editor della sezione forum, anche l'anteprima non funziona più:
PROVA1
Code:
PROVA
https://screenshots.firefox.com/ZgZ7IgJGjdx6andy/luogocomune.net

FranZη
Ultima Modifica 7 Anni 21 Ore fa da FranZeta.

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6 Anni 10 Mesi fa - 6 Anni 9 Mesi fa #11961 da FranZeta
Isaac & Jacob

In un precedente intervento sono state introdotte quelle particolari coordinate chiamate omogenee, che rappresentano il sistema di coordinate idoneo per definire luoghi geometrici nel piano proiettivo, così come le usuali coordinate cartesiane svolgono lo stesso ruolo ruolo nel piano euclideo. Come visto il passaggio dalle une alle altre, cioè l'omogeneizzazione/deomogeneizzazione, è semplice al limite del banale, e tuttavia consente un ampliamento della visione geometrica notevole. Per esempio tramite coordinate omogenee è facile vedere che due rette s'incontrano sempre in un punto del piano proiettivo. Infatti, se le due rette non sono parallele nel piano euclideo, il loro punto d'intersezione continuerà ad essere tale nel piano proiettivo (che ricordiamolo altro non è che un piano euclideo al quale viene aggiunta una retta all'infinito, perciò tutto quello che non è all'infinito coincide nei due piani). Supponiamo invece che le due rette siano parallele, poniamo ad esempio che siano le due rette di equazioni:

x=0
x=1

La prima retta altro non è che l'asse delle y mentre la seconda è la sua parallela spostata verso destra di una unità. Appare chiaro anche algebricamente che le due rette non possono avere intersezione perchè x non può essere contemporaneamente uguale a zero e a uno. Omogeneizzando le due equazioni otteniamo le corrispondenti rette proiettive:

X=0
X=T

Messe insieme ci dicono che tanto X quanto T sono uguali a zero, perciò la loro intersezione è il punto (all'infinito) di coordinate proiettive (0:1:0). La dimostrazione, pur riguardando un caso particolare, è sufficiente a concludere che ogni coppia di rette parallele nel piano affine ( = cartesiano = euclideo) si incontra in un punto all'infinito qualora il piano sia ampliato in uno proiettivo, e con ciò si può affermare che due rette del piano proiettivo si incontrano sempre in un (solo) punto.

Nel già citato commento avevamo visto come le coniche affini possano essere ricondotte tutte alla circonferenza nello spazio proiettivo, e il tipo affine della conica, ellisse parabola o iperbole, in quest'ottica è solo il numero di punti in cui la circonferenza interseca la retta all'infinito. I due signori Isaac e Jacob del titolo hanno a che fare proprio con circonferenze e intersezioni. Intanto iniziamo col notare che l'intersezione di una retta con una conica può essere data da zero, uno o al massimo due punti (escludendo i casi degeneri in cui la conica è una coppia di rette). L'intersezione fra due coniche invece può essere un insieme composto da zero fino a quattro punti, ecco qualche esempio:



Questo vale tanto nell'affine quanto nel proiettivo. Per quanto riguarda le circonferenze succede che due di queste possono avere o nessuna oppure due intersezioni:



Si noti che anche se il cerchio rosso e quello blu hanno un solo punto di intersezione, questo è un punto doppio perchè le due circonferenze sono tangenti in quel punto, algebricamente dunque va considerato come due punti coincidenti. Quindi le circonferenze rappresentano una sorta di eccezione nel mondo delle coniche, da questo punto di vista, perchè per le altre coniche è sempre possibile trovarne una coppia che abbia quattro punti di intersezione, con le circonferenze invece due di questi punti sembrano sempre sparire nel nulla. In realtà non è proprio così: questi due punti evanescenti esistono, si chiamano Isaac e Jacob e sono gli stessi per tutte le circonferenze! Si potrebbe in effetti ridefinire le circonferenze non come il luogo dei punti equidistanti da un punto dato (il centro), ma proprio come le coniche passanti per Isaac e Jacob, d'ora in poi detti I e J per brevità*.

Prima di definirli tramite coordinate occorre fare una precisazione. In effetti per dare un senso al discorso appena fatto bisogna ampliare ulteriormente il nostro orizzonte e metterci in uno spazio proiettivo, sì, ma complesso. In realtà la cosa non è così traumatica come potrebbe sembrare, perchè algebricamente funziona tutto come prima, possiamo riscrivere tranquillamente tutte le equazioni senza cambiare una virgola, solo che dobbiamo ricordarci che ora le nostre incognite X, Y, T non possono assumere come valori solo numeri reali, ma anche numeri complessi. I numeri complessi li avevamo già incontrati qui e poi qui . Veniamo ora a I e J. Proviamo a intersecare due circonferenze, la prima delle quali sarà la circonferenza unitaria centrata nell'origine, la seconda sarà invece la generica circonferenza di centro c=(xc,yc) e raggio r. Le loro equazioni cartesiane sono rispettivamente:

x2+y2=1
(x-xc)2+(y-yc)2=r2

...che omogeneizziamo subito dato che vogliamo metterci in ambiente proiettivo:

X2+Y2=T2
(X-xcT)2+(Y-ycT)2=r2T2

Ora trovare le intersezioni significa risolvere il sistema delle due equazioni. La prima ci fornisce già l'incognita T in funzione delle altre due, quindi basta sostituire nella seconda e raggruppare un po' di termini per ottenere:

(xc2+yc2+1-r2)T2-2(xcX+ycY)T=0

Appare evidente che se T=0 l'equazione è verificata indipendentemente da quale sia il centro c e il raggio r della seconda circonferenza, cioè qualsiasi sia la circonferenza che consideriamo questa passerà sempre per i punti che soddisfano il sistema:

T=0
X2+Y2=0

Abbiamo già visto che T=0 è proprio l'equazione della retta all'infinito del piano proiettivo, il problema però è che la seconda equazione, X2+Y2=0, nel campo reale ha l'unica soluzione X=0 e Y=0, da cui otterremmo come soluzione l'unico punto di coordinate omogenee (0:0:0) che come già sappiamo non è un punto del piano proiettivo reale, perchè le tre coordinate non possono annullarsi contemporaneamente. Noi però ci siamo messi apposta nel campo complesso così da avere a disposizione le soluzioni complesse dell'equazione qui sopra, che risultano essere:

Y=iX
Y=-iX

...e che ci portano dritte alle coordinate proiettive complesse I=(1:i:0) e J=(1:-i:0), e con ciò vi ho presentato Isaac e Jacob.


*Come forse qualcuno avrà intuito in effetti i due punti vennero in origine designati con I e J, ma erano due punti talmente speciali -per via del fatto che tutte le circonferenze vi passassero- che qualcuno decise di dargli dei nomi propri, con un senso dell'umorismo difficile da cogliere ma che diverte molto i matematici.

FranZη
Ultima Modifica 6 Anni 9 Mesi fa da FranZeta. Motivo: Ripristinate le immagini scomparse

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