Il successo elettorale di Ron Paul ha un significato che va ben oltre la sua opposizione all’invasione militare dell’Iraq, da lui apertamente dichiarata nel primo dibattito elettorale, poche settimane fa. Alla domanda del conduttore, che gli chiedeva se per caso non si sentisse “fuori posto”, essendo l’unico fra i repubblicani a volere il ritiro immediato delle truppe, Paul rispose candidamente che “fuori posto era il resto del suo partito, in quanto per tradizione i leader repubblicani del passato erano sempre stati contrari ad un coinvolgimento americano a livello internazionale”.
Ron Paul infatti rappresenta la quintessenza del vero repubblicano, nato insieme alla Costituzione americana, e poi lentamente inquinato, trasformato e metabolizzato da un sistema cosiddetto “democratico“, che non ha nulla a che vedere con le intenzioni originali dei Padri Fondatori.
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Come tutti sanno, gli Stati Uniti sono nati da una guerra di secessione contro la madre-patria Inghilterra, con la rivoluzione del 1776.
Le famose 13 colonie che si ribellarono alla corona inglese avevano subìto a lungo vessazioni di ogni tipo, dall’imposizione di tasse sempre più pesanti a una progressiva limitazione della loro libertà nel gestire gli affari di casa propria. Di fronte alla tensione crescente gli inglesi – che avevano l’esercito più forte del mondo, ma si trovavano in netta minoranza sul suolo americano - tentarono di confiscare le armi dei coloni, per evitare che queste venissero usate contro di loro. In questo modo finirono invece per ottenere l’effetto contrario, dando inizio all’insurrezione che portò i ribelli a dichiarare la propria indipendenza.
A quel punto avvenne l’episodio cruciale che ha fatto da perno all’intera storia degli Stato Uniti, ... ... da allora fino ad oggi: la stesura della Costituzione americana.
Proprio per evitare future malversazioni da parte dei governi, i Padri Fondatori impostarono la Costituzione “per garantire il sacrosanto diritto della libertà individuale e preservarlo per le generazioni a venire”. Tale concetto veniva automaticamente esteso al concetto di libertà dei cittadini dalle imposizioni governative. La Costituzione americana cioè fu concepita con il dichiarato intento di “proteggere il cittadino dal governo”, enunciando una serie di principi universali intesi a permettere “la massima libertà con la minima interferenza governativa”.
Se si legge il famoso “Bill of Rights” (la “Carta dei Diritti”, che fa parte integrante della Costituzione), troviamo che “il governo non potrà nè stabilire nè proibire religioni”, “non potrà revocare il diritto di parola del cittadino”, “non potrà impedire l’assembramento pacifico delle persone”, “non potrà negare il diritto di mantenere e portare armi”, “non potrà invadere la privacy dell’individuo senza giusta causa”, “non potrà processare due volte un individuo per lo stesso reato”, “non potrà deprivare il cittadino di proprietà personale senza giusto compenso”, eccetera eccetera.
Gli Stati Uniti di fatto - ed è questo l’errore fondamentale che i repubblicani come Ron Paul vorrebbero correggere – non sono una “democrazia”, ma una repubblica.
La differenza sta nel fatto che in una repubblica - così come fu concepita quella americana - i cittadini non sono tenuti a sottostare alle decisioni della maggioranza. Non prevale quindi ad ogni costo l’esigenza collettiva, mentre si prevede uno sviluppo sociale che raggiunga da solo un naturale equilibrio fra i diritti individuali e il dovere di ciascuno di non infrangere quelli altrui. Per ottenere questo, si incoraggia una rigorosa forma di auto-regolazione - non lontana dai principi dell’anarchismo - che prevede un intervento delle autorità ridotto al minimo indispensabile.
Questo concetto venne a sua volta esteso al rapporto fra i singoli stati e la nascente federazione, i cui poteri venivano espressamente limitati dalla Costituzione, proprio per impedire la nascita di un futuro mostro - quello che Hobbes aveva definito il “Leviathan” - caratterizzato da una burocrazia pachidermica e da una pesante intrusione federale nella faccende interne dei singoli stati.
Con l’intenzione di proteggere sia il cittadino dalle “esigenze della collettività“, a livello statale, che gli stati dalle “esigenze della collettività”, a livello federale, la Costituzione americana prevedeva una progressiva “diradazione” del potere verso l’alto, con le massime concentrazioni a livello locale, e con un potere federale che tendesse idealmente ad un puro valore simbolico.
C’era anche un terzo volto del futuro Leviathan che i Padri Fondatori avevano saputo prevedere con grande lungimiranza: l’inevitabile diffondersi della corruzione, all’interno della classe politica, alimentata dal forte afflusso di denaro proveniente dalle tasse. Il cosiddetto “denaro pubblico”.
Nel gestire una montagna di soldi che “appartengono a tutti” – e che quindi non sono di nessuno – è ben difficile che degli esseri umani prima o poi non cedano alla tentazione di “deviarne” una parte verso luoghi non previsti, destinandone magari altrettanti per tacitare quei giudici che dovrebbero garantirne la giusta allocazione.
A questo proposito, anche se pochi lo sanno, la Costituzione americana proibisce espressamente la tassazione diretta del reddito individuale da parte del governo federale. (Il povero Aaron Russo ha provato a ricordarlo ai suoi connazionali, con il film
“America: Freedom to Fascism” [“America, dalla libertà al fascismo”], ma ha sollevato più che altro incredulità).
Come sappiamo infatti, “la storia la scrivono i vincitori”, e le tasse ormai da troppo tempo sono percepite dal pubblico come una gogna inevitabile, contro la quale sembra addirittura assurdo ribellarsi. Eppure la Costituzione non potebbe essere più chiara in proposito, al punto che i vari tentativi di correggere questo piccolo “difetto” sono stati dichiarati anticostituzionali dalla Corte Suprema.
In ogni caso, fu con la Guerra Civile che si concretizzò, forse in maniera irreversibile, questa violenta inversione di marcia rispetto al progetto originale dei Padri Fondatori: subito dopo la secessione dagli inglesi, le cose sembravano funzionare al meglio, ma con il passare degli anni si venne accentuando la differenza fra gli stati del sud, legati all’agricoltura, e quelli del nord, che avevano imboccato con grande entusiasmo la strada dell’industrializzazione. Questa aveva a sua volta rinforzato il partito dei nazionalisti, che da Washington premevano per un forte governo centralizzato, che fosse in grado di guidare la federazione nelle sue mire espansionistiche, rese necessarie dall’industrializzazione stessa.
La tensione fra nord e sud cresceva con l’aumento delle tasse da parte di Washington, che cercava in ogni modo di imporre agli stati “contadini” delle briglie economiche per tenerli sotto controllo, e il punto di rottura fu raggiunto quando Lincoln minacciò l’uso della forza contro gli stati secessionisti che si rifiutavano di obbedire alle sue direttive.
Il presidente americano percorreva così, curiosamente, la stessa strada che solo cento anni prima aveva portato gli inglesi allo scontro con i coloni americani.
Ma questi ultimi nel frattempo avevano imparato la lezione, e uno dei primi emendamenti introdotti dalla nuova Costituzione era stato proprio il famoso “diritto a mantenere e portare armi”, che era stato previsto per evitare soprusi dal parte del governo (l’abitudine di risolvere queste faccende in tribunale era ancora lontana dal prendere piede, in una terra dove la pistola rappresentava l’unica garanzia di sussistenza dell’individuo).
La lotta fratricida fu infatti cruenta, prolungata e lacerante, con strascichi e dissapori che perdurano a tutt’oggi. Sul municipio di certe città del sud campeggia ancora con orgoglio la bandiera sudista, nonostante questo sia proibito dalle leggi vigenti. Quelle federali, ovviamente.
(Nei film americani c’è una classica scena che si ripete molto spesso, e che sintetizza al meglio questo conflitto irrisolto: dopo il solito omicidio vediamo lo sceriffo locale che apre le indagini, solo per vedersi messo da parte – sempre in maniera brusca ed arrogante – dai “federali”, che prendono il controllo della situazione nonostante le sue legittime proteste).
La guerra civile quindi non fu combattuta, come ci raccontano i libri di storia, “per i liberare i negri dalla schiavitù dei bianchi”, o meglio, quella fu solo la motivazione esteriore, sbandierata ai quattro venti dai futuri vincitori. (Lo stesso Lincon aveva schiavi neri al suo servizio, e non era mai parso troppo preoccupato per la loro “emancipazione”). In realtà l’aspetto “umanitario” della liberazione dei neri copriva l’intento, molto più cinico, di togliere di colpo al sud tutta la sua forza lavoro, obbligandolo in quel modo a piegarsi definitivamente ai voleri di Washington. A dare il colpo di grazia furono poi le “leggi a protezione dei neri fuggitivi”, che fecero confluire verso il nord una gran quantità degli schiavi appena liberati, con grande vantaggio del nascente sistema industriale. I neri passavano così, senza nemmeno accorgersene, dalle catene della schiavitù alle future catene di montaggio dell’industria automobilistica di Chicago.
Come abbiamo visto anche di recente, dal Kosowo alle Filippine al Darfur allo stesso Iraq, la difesa dei diritti umani diventa importante solo se accompagnata da un vantaggio economico, politico o strategico di una certa rilevanza.
E il fatto stesso che in America il razzismo, il segregazionismo, e l’ingiustizia sociale contro i neri perdurino a tutt’oggi – anche se in forme molto più sottili e mascherate - conferma che il movente della Guerra Civile fu di ordine tutt’altro che morale.
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Una volta sconfitti i sudisti, i giorni della repubblica divennero contati.
Nonostante la Costituzione stabilisca chiaramente che “i poteri non espressamente delegati al governo centrale, e non proibiti da quelli statali, sono riservati agli stati o agli stessi cittadini”, ebbe inizio da quel giorno una progressiva trasformazione dei rapporti di potere, sempre a favore di Washington e a discapito dei singoli stati, che avrebbe portato alla nascita del mostro costituito oggi dal governo federale.
Questo ha potuto avvenire grazie ad una continua erosione dei valori e del significato delle parole, sapientemente canalizzata nei decenni dai media e dalla cultura tradizionali, che hanno finito per assimilare la valenza di “libertà” a quella di “democrazia”, e la valenza di “repubblica” a quella di “sistema democratico”.
Oggi siamo arrivati al punto in cui Washington non solo detta legge per tutti i 50 stati, ma presenta addirittura le esigenze energetiche collettive (sete di petrolio) in termini di “national security”. Questo a sua volta permette che la guerra in Iraq possa essere giustificata dalla necessità di “proteggere gli interessi americani”, a difesa e salvaguardia di quella “libertà” che ormai viene sfacciatamente contrabbandata per democrazia da esportazione.
E’ in questo contesto che va letta l’opposizione di Ron Paul all’invasione militare dell’Iraq, che egli non basa quindi su principi umanitari (anche se per questo non li esclude), ma lo fa in nome e nel rispetto dei principi storici su cui fu fondata la nazione a cui appartiene.
Massimo Mazzucco