di Giorgio Mattiuzzo
Sta diventando banale affermare che la diffusione di Internet porta gradatamente a dei cambiamenti sostanziali nei modi di vita di milioni di persone, ma questa è – di fatto – la verità. Pensiamo a questo 2007 appena trascorso che ha visto, per limitarci a due esempi, l'enorme successo del V-Day e la campagna per le primarie di Ron Paul in America.
E' inevitabile che i media tradizionali, di fronte a tali sconvolgimenti, reagiscano in maniere diverse. Fino a non molto tempo fa l'atteggiamento tipico era quello dell'indifferenza o della "puzza sotto il naso". Tuttavia la crescita esponenziale dei nuovi media sta arrivando a lambire il territorio di giornali e tv, uscendo dalla riserva cui si credevano destinati.
E tali inevitabili reazioni cominciano a farsi più intense, a volte quasi scomposte; al punto che testate notoriamente equilibrate e di solito favorevoli al "liberismo" (soprattutto quando è un consiglio da dare agli altri e non una linea di condotta da fare propria) come il Corriere della Sera, si lasciano andare ad articoli che paiono usciti da qualche redazione di sopravvissuti marxisti-leninisti.
Titolo: "Blog, attenzione lo sponsor ti guarda".
Sottotitolo: "Il giornalismo online ormai vive di inserzioni. Non può permettersi di trattare casi sgraditi".
Il tutto nasce dalla possibilità che Facebook, la seconda più grande social community al mondo (cioè un enorme scatolone vuoto che è riuscito a far sembrare rivoluzionari il "normale" forum e l'e-mail), firmi un accordo con Abc News, grazie al quale i propri utenti possano accedere ai servizi politici della catena televisiva, mentre alcune firme di peso della Abc hanno aperto un loro profilo ... ... su Facebook, per poter interagire con gli utenti/lettori. Questo, insieme all'annunciato abbandono da parte di alcune testate importanti della loro versione cartacea, sta mettendo in vista l'intenzione, da parte del giornalismo ufficiale, di salire al volo sul carro dei nuovi media per poter ripetere i successi di tante altre aziende, come Google e Myspace, che hanno fondato il loro successo sulla capacità di dare agli utenti quel prodotto di cui avevano bisogno.
Solo che il giornalismo pare rendersi conto che il mondo vero non è così semplice come lo dipingono all'interno di una redazione.
Infatti – riporta il Corriere – un noto critico televisivo australiano, dopo che il giornale per cui scriveva è passato alla versione online, è stato licenziato perché non aveva abbastanza lettori. Dice il Corriere:
"[Il rischio è] che la compiacenza dei media nei confronti dei gusti del pubblico, già fin troppo elevata, superi il livello di guardia, tanto da decretare la fine del giornalismo indipendente: si prospetta uno scenario da incubo in cui giornali, network televisivi e testate online pubblicheranno esclusivamente notizie ed opinioni gradite ai lettori, censurando il resto."
Tradotta in italiano, la tesi del Corriere suona all'incirca così: il "libero mercato", cioè l'incontro tra domanda e offerta, in cui la prima determina la seconda, non va bene per il giornalismo, perché attualmente i giornalisti non dipendono né dai desideri dei lettori che pagano, né dai desideri degli inserzionisti che pagano, né dai desideri dell'editore che paga; i giornalisti sarebbero monadi sciolte da ogni legame con il mondo terreno, in grado di toccare qualsiasi argomento scomodo senza farsi influenzare da nulla che non sia il desiderio del vero.
Mentre le pubblicazioni online, sostenute da biechi inserzionisti cui non interessa il contenuto, ma solo il volume di traffico generato dal sito, non potranno che partorire articoli scadenti, e si rifiuteranno di pubblicare articoli di valore, in quanto il pubblico è per definizione ottuso e becero.
Parafrasi ragionata della tesi del Corriere: il giornale paladino della "borghesia illuminata", il faro del liberismo italiano, il fustigatore dello statalismo tricolore, non appena capisce che anche per il futuro del giornalismo si prospetta quel "libero mercato" tanto invocato a parole, schiera subito l'artiglieria da campagna e inizia a far fuoco, naturalmente sul lettore/consumatore. Insomma, il Corriere pare temere che il "test di gradimento" non risparmi il giornalismo, Corriere compreso.
Il quotidiano "liberale" mette in guardia i propri lettori da un rischio tremendo:
"Il giornalismo tradizionale [...], in grazia della vocazione generalista, può permettersi di ospitare contenuti scarsamente popolari purché di qualità [...]. Il giornalismo online [...], campando solo di pubblicità, non può permettersi di concedere spazio ad argomenti e firme non graditi ai lettori (quindi agli inserzionisti)."
Ancora una volta si rende necessaria una traduzione: per sopravvivere, il giornalismo online ha bisogno di offrire un prodotto appetibile ad un numero di lettori sufficiente ad a far desiderare loro di spendere dei soldi per mantenere degli spazi pubblicitari e, per questo motivo, il giornalismo online non offrirà mai un prodotto di qualità. Il giornalismo tradizionale invece no, quindi può scrivere quello che gli pare, quindi offrirà un prodotto di qualità.
La teoria del Corriere appare del tutto infondata: per prima cosa perché pone come postulato iniziale non dimostrato che la domanda dei lettori sia rivolta soltanto ad articoli di pessima qualità. In secondo luogo perché ricorre a due qualità incommensurabili (la vocazione generalista e il finanziamento del giornale) per dare ragione della presunta superiore qualità degli articoli del giornalismo tradizionale. Se si pone come metro di paragone la "vocazione generalista" dei media tradizionali, sarà da contrapporre la "vocazione specialista" dei nuovi media; ma sarà allora difficile poter immaginare che una testata specialistica sia di minore qualità di un'altra generalista.
Se invece usiamo come metro di paragone il modo di finanziarsi, l'argomento diventa ancor più capzioso, in quanto qualsiasi giornale o media, tradizionale e non, deve in qualche modo finanziarsi, e può farlo in due soli modi: con la pubblicità o facendosi pagare dai lettori (e l'uno non esclude l'altro, ovviamente). In terzo luogo perché il gradimento dei lettori non è comunque un valore utile a definire la qualità di un articolo: molti lettori non significano scarsa qualità, così come alta qualità non significa pochi lettori; e si può anche dare il caso che un prodotto di qualità abbia anche molti lettori.
L'articolo dunque non pare avere grande fondamento, ma è utile per capire alcune cose. Per esempio che il giornalismo tradizionale non trae sostegno economico né dalla pubblicità né dalla vendita del giornale. Ed è comprensibile come, avendo a disposizione questa misteriosa fonte di reddito sicuro, il giornalismo tradizionale possa pubblicare editoriali in cui si invitano i governi all'uso della tortura su cittadini stranieri innocenti e notizie secondo cui le bevande dissetanti e la farina sono pericolosi esplosivi usati dal terrorismo internazionale per distruggere le nostre libertà, senza per questo dover chiudere dopo due giorni per mancanza di pubblico pagante.
Giorgio Mattiuzzo (Pausania)
Fonte:Blog, attenzione lo sponsor ti guarda, CorrierEconomia, 24/12/2007, p. 8
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