di Andrea Franzoni
Il fenomeno della fuga dei cervelli è purtroppo ben noto in Italia. Ogni anno, infatti, molti dei migliori prodotti delle nostre università vengono bistrattati dal loro paese, incapace di offrirgli contratti sicuri o centri di ricerca attrezzati in cui operare, e si trasferiscono all’estero dove sono molto richiesti e coccolati. Lo stato italiano, dopo aver speso migliaia di euro per l’istruzione e l’incoraggiamento di questi cervelli, se li vede soffiare dagli USA, dai paesi del nord Europa o addirittura da alcuni paesi asiatici perdendo un patrimonio inestimabile di conoscenze e di abilità su cui ha per anni investito a vuoto. Culmine del paradosso, l’Italia dopo aver tanto seminato si dovrà poi trovare a pagare i brevetti delle migliaia di invenzioni che questi talenti, formatisi in Italia, producono e depositano all’estero, mentre agli stati più furbi (USA) non spetterà che la mietitura.
Il fenomeno della fuga dei cervelli è però comune a tutto il sud del mondo, e con cifre e modalità che non possono non far pensare ad una versione rivista e "raffinata" della vecchia tratta degli schiavi nella quale, ai braccianti per le piantagioni di cotone e caffè, … … si sono sostituiti biochimici, medici ed economisti. E’ stata la Banca Mondiale, nell’ultimo rapporto, a raccogliere i dati e le dinamiche migratorie delle migliaia di laureati nei paesi in via di sviluppo che, ogni anno, emigrano negli USA, Regno Unito e Canada, sulle vecchie vie del colonialismo. Le cifre del 2000 parlano di oltre 20 milioni di dottori costretti ad abbandonare il loro paese, sicuramente a malincuore, spesso subito dopo la laurea. Vengono da paesi poverissimi e si trasferiscono nel nord del mondo, vecchio e stanco ma ancora in grado, grazie al Dio denaro, di far funzionare le cose.
E’ facile capire come questo fenomeno sia uno dei tanti che legano questi paesi allo status perenne di paesi in via di sviluppo, ed è facile capire come il nord del mondo sia fortemente interessato a mantenere questa situazione intatta visto che può “importare” (o saccheggiare, o razziare) quel personale altamente specializzato, che non è più in grado di produrre, a prezzi stracciati e offrendo contratti meno onerosi e impegnativi e sfruttando quella grande voglia di rivincita che è propria degli uomini e delle donne del sud del mondo. A uscirne penalizzati sono invece i paesi poveri, perennemente privati della classe dirigente, incapaci di rialzarsi strangolati come sono dai debiti e dal paternalismo del nord che si arroga il diritto di governare anche per loro, e quindi impossibilitati ad emanciparsi e finalmente a svilupparsi.
Visto sotto il punto di vista della Banca Mondiale, che come sappiamo è l’istituzione che regola il gioco della globalizzazione e che è l’espressione dei paesi del G8 che ne detengono il potere decisionale, questo meccanismo diventa incredibilmente positivo. Con una fantastica capriola, infatti, questa fuga di cervelli diventa misteriosamente “un possibile motore allo sviluppo dell’istruzione locale”. Com’è possibile ciò?
L’istruzione pubblica, come ben sappiamo, è stata soppressa o ridotta all’osso nella maggioranza dei paesi poveri governati dalla Banca Mondiale (seguendo lo schema applicato negli USA). Per le stesse ragioni, e cioè per la necessità di ridurre i bilanci dello stato all’osso e di svendere ogni possibile fonte di guadagno ai privati (per poter pagare almeno gli interessi sul debito), anche la sanità pubblica è caduta sotto la stessa scure. Una sanità privata, e quindi a pagamento, è un lusso per pochissimi in paesi dove la gente è costretta a vivere di espedienti, e il suo sviluppo limitato non può che occupare pochissimo personale specializzato, e così vale per gli altri settori. E’ anche per questo, quindi, che la maggioranza dei laureati, frutto delle università private di eccellenza di antica fondazione coloniale, non trovando uno stato in grado di trovargli un lavoro e nemmeno un settore privato locale sviluppato, è costretta a trasferirsi. E non stiamo parlando soltanto dei “nostri” clandestini che sbarcano a bordo dei gommoni, per la maggioranza almeno diplomati, che finiscono a fare i muratori in nero in qualche cantiere del nord Italia, ma di fisici, chimici, economisti o ricercatori che contribuiscono, ogni anno, a scavare un solco sempre più profondo fra nord e sud contribuendo al nostro sviluppo e allo sviluppo delle migliori università americane e britanniche. Agli stati di origine non restano che pochi milioni di dollari di rimesse e tanti rimpianti.
Basta un dato, a volte, per inquadrare un fenomeno: in Zambia sono rimasti soltanto 400 medici per 9 milioni di abitanti dei 1.600 che operavano alla fine degli anni ’90. In Australia l’immigrazione di dottori, al contrario, ha contribuito all’aumento del 10% della popolazione residente laureata.
Perennemente privati della classe dirigente e imprenditoriale, questi paesi perennemente-in-via-di-sviluppo devono poi affidare la maggioranza delle opere che vengono fatte (oleodotti, ponti, cattedrali nel deserto utili a mangiare un po’ si soldi per lo sviluppo affidando commesse faraoniche alle multinazionali nostrane) alle aziende multinazionali del nord del mondo, ai loro ingegneri e ai loro esperti, e non ai laureati africani o asiatici. Gli stati già in condizioni disagiate, quindi, perdono due volte (come l’Italia, ma con conseguenze ben più drammatiche).
Non ci è dato di sapere come un paese che esporta ogni anno il 90% dei suoi laureati (come la Guyana, che comanda la classifica) possa svilupparsi o crescere. Fatichiamo a pensare che le cose si sistemeranno da sole, a forza di “spirali virtuose” e di “aggiustamenti spontanei” come afferma invece la Banca Mondiale, se non altro perché è la storia degli ultimi decenni che ci dimostra esattamente il contrario. Senza uno stato forte, che assicuri istruzione e servizi fondamentali puntando tutto sui propri laureati e trattenendoli, a costo di fare “follie” economiche (che sarebbero poi ampiamente ripagate dai brevetti e dalle scoperte che questi scienziati realizzerebbero facendo la fortuna del loro paese e non degli antichi colonizzatori trafficanti di schiavi e di dottori), non vediamo come questi paesi si potranno un giorno rialzare.
Mentre il divario fra nord e sud continua a crescere e a gonfiarsi, come una bolla pronta a scoppiare, una massa piena di energia e di rabbia si accumula sempre di più sulle nostre frontiere, alle basi dei muri o sulle coste attentamente pattugliate. Non potrà continuare così per sempre: prima o poi quelle genti ci presenteranno il conto di decenni di orrori prima militari e poi economici desidereranno, giustamente, la porzione di "benessere" che gli spetta. E sarà allora, quando ci troveremo con l’acqua alla gola e la bolla (finalmente?) scoppierà, che dovremo essere noi “nordici”, fautori di questo modello diseguale e miope, a chiederci se non furono per caso i nostri cervelli, che legittimarono questo pessimo ordine mondiale, a fare harakiri tanti anni fa.
Andrea Franzoni (Mnz86)
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