La storia nascosta

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8 Anni 5 Mesi fa #3314 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
Ogni commento a questo articolo e' superfluo.Tratto da un saggio del sac. Don Luigi Villa :


LO IOR TRA MAFIA E MASSONERIA


Ufficialmente la Banca Vaticana è nota come l’Istituto per le Opere di Religione o IOR. In ogni caso la religione ha ben poco a che fare con la Banca, a meno che ci si riferisca ai cambiavalute che si sono nella Chiesa. Mentre i cambiavalute stavano semplicemente fornendo un servizio, in modo che le tasse del tempio potessero essere pagate, la Banca Vaticana è stata coinvolta in evasione fiscale, imbrogli finanziari e riciclaggio di oro nazista. Il Papa, come unico azionista della Banca Vaticana, è uno degli uomini più ricchi al mondo e, per associazione, uno dei meno etici.
L’Istituto è un organismo finanziario vaticano – secondo una definizione data dal cardinale Agostino Casaroli – ma non è una banca nel senso comune del termine. Lo Ior utilizza i servizi bancari, però l’utile non va, come nelle banche normali, agli azionisti (che nel caso dello Ior non ci sono) ma risulta a favore delle “opere di religione”. La Banca Vaticana non è responsabile né verso la Banca Centrale del Vaticano né verso il Ministero dell’Economia; infatti, funziona in modo indipendente con tre consigli d’amministrazione: uno è costituito da cardinali di alto livello, un altro è costituito da banchieri internazionali che collaborano con impiegati della Banca Vaticana e per ultimo un consiglio d’amministrazione che si occupa degli affari giornalieri.
Tali strutture organizzative così chiuse sono la norma nella Santa Sede e sono utili per mascherare le operazioni della Banca. Lo IOR funziona come banchiere privato della Chiesa, dal momento che si adatta perfettamente alle esigenze di una Banca diretta dal Papa. A ogni cliente viene fornita una tessera di credito con un numero codificato: né nome né foto. Con questa si viene identificati: alle operazioni non si rilasciano ricevute, nessun documento contabile. Non ci sono libretti di assegni intestati allo Ior: chi li vuole dovrà appoggiarsi alla Banca di Roma, convenzionata con l’istituto vaticano.
I clienti dello Ior possono essere solo esponenti del mondo ecclesiastico: ordini religiosi, diocesi, parrocchie, istituzioni e organismi cattolici, cardinali, vescovi e monsignori, laici con cittadinanza vaticana, diplomatici accreditati alla Santa Sede. A questi si aggiungono i dipendenti del Vaticano e pochissime eccezioni, selezionate con criteri non conosciuti. Il conto può essere aperto in euro o in valuta straniera: circostanza, questa, inedita rispetto alle altre banche. Aperto il conto, il cliente può ricevere o trasferire i soldi in qualsiasi momento da e verso qualsiasi banca estera. Senza alcun controllo. Per questo, negli ambienti finanziari, si dice che lo Ior è l’ideale per chi ha capitali che vuole far passare inosservati.
I suoi bilanci sono noti a una cerchia ristrettissima di cardinali, qualsiasi passaggio di denaro avviene nella massima riservatezza, senza vincoli né limiti. Nonostante sia di proprietà del Papa, la Banca, sin dal proprio inizio, è stata più volte coinvolta nei peggiori scandali, corruzione e intrighi. Sotto felice auspicio, l’apertura della banca nel 1941 per ordine di Pio XII, altresì chiamato il Papa di Hitler, ha fornito convenienti sbocchi bancari ai fascisti italiani, all’aristocrazia e alla mafia. (da «Tutto quello che sai è falso», Di Jonathan Levy).
Già dai primi del Novecento i Rothschild di Londra e di Parigi trattavano con il Vaticano, ma con la gestione Nogara gli affari e i partner bancari aumentarono vertiginosamente: Credit Suisse, Hambros Bank, Morgan Guarantee Trust, The Bankers Trust di New York (di cui Nogara si serviva quando voleva comprare e vendere titoli a Wall Street), Chase Manhattan, Continental Illinois National Bank.
Nel 1954 Bernardino Nogara decide di ritirarsi senza tuttavia interrompere l’attività di consulente finanziario del Vaticano, che continuò fino alla morte, avvenuta nel 1958. La stampa dedicò poco spazio alla sua scomparsa, ma il cardinale Francis Spellmann di New York pronunciò per lui un memorabile epitaffio: «Dopo Gesù Cristo la cosa più grande che è capitata alla Chiesa cattolica è Bernardino Nogara». Al geniale banchiere, nel corso della sua lunga attività, venne affiancato il principe Massimo Spada. Anche lui mostrò lungimiranza e spregiudicatezza nella gestione degli interessi del Vaticano e si lanciò in varie operazioni, la maggior parte delle quali – come si è visto – in collaborazione con Michele Sindona.
Lo Ior, in quanto istituto che opera con modalità proprie, non è mai stato tenuto a nessun tipo di informativa – né verso i propri clienti, né verso terzi – né tanto meno a pubblicare un bilancio o un consuntivo sulle proprie attività.


 All’epoca del caso Calvi-Ambrosiano, l’istituto doveva rispondere, in via puramente teorica, a una commissione esterna di cinque cardinali, ma di fatto gli amministratori si muovevano senza alcun vincolo. A favore di chi, allora, operava lo Ior? Marcinkus dichiarò che i profitti erano realizzati «a favore di opere di religione» e che «qualsiasi guadagno dello Ior è a disposizione del Papa». Ma come osserva Bellavite Pellegrini: «Con le sue caratteristiche, lo Ior veniva veramente ad assomigliare a un inter-mediario che agisce su una piazza off shore» (da Ferrucci Pinotti “Poteri Forti” ).
Lo Ior, che ha una personalità giuridica propria, è retto da un “Consiglio di soprintendenza” controllato da una Commissione di cinque cardinali: si tratta del nucleo di vigilanza. I porporati, però, non hanno generalmente alcuna competenza finanziaria. Il loro dovrebbe essere un controllo morale. Un ruolo più tecnico è svolto dal “Consiglio di amministrazione” composto di cinque laici ed un direttore generale. L’Istituto intrattiene rapporti valutari e creditizi con clienti e banche italiane, opera attivamente sul mercato finanziario internazionale, gioca in borsa, investe, raccoglie capitali; tuttavia, come istituto estero, non è sottoposto ad alcun controllo da parte delle autorità di vigilanza italiane. La Banca Vaticana afferma di non aver nessun documento relativo al periodo della Seconda Guerra Mondiale; infatti, secondo il procuratore della Banca Vaticana, Franzo Grande Stevens, lo IOR distrugge tutta la documentazione ogni dieci anni, un’affermazione alla quale nessun banchiere responsabile crederebbe. Ciononostante, altre documentazioni esistono in Germania e presso gli archivi americani, che dimostrano i trasferimenti nazisti di fondi allo IOR dalla Reichsbank, e altri dallo IOR alle banche svizzere controllate dai nazisti. Un famoso procuratore specializzato nelle restituzioni dell’Olocaustoha documentato i trasferimenti di denaro dai conti delle SS a un’innominata banca romana nel settembre 1943, proprio quando gli Alleati si stavano avvicinando alla città.
Dalla fine degli anni Settanta, lo IOR era divenuto uno dei maggiori esponenti dei mercati finanziari mondiali. Sotto la tutela del vescovo americano (uno spilungone di 191 cm) Paul Marcinkus, il vescovo Paolo Hnilica, Licio Gelli, Roberto Calvi e Michele Sindona, la Banca Vaticana divenne parte integrante dei numerosi programmi papali e mafiosi per il riciclaggio del denaro, in cui era difficile determinare dove finiva l’opera del Vaticano e dove cominciava quella della mafia. Il Banco Ambrosiano dei Calvi e numerose società fantasma dirette dallo IOR di Panama e del Lussemburgo presero il controllo degli affari bancari italiani e funsero da canale sot-terraneo per il flusso di fondi verso l’Europa dell’Est, in appoggio all’Unione nazionale anti-comunista.
Marcinkus, capo dello IOR, fu Direttore del Banco Ambrosiano (a Nassau e alle Bahamas), ed esisteva una stretta relazione personale e bancaria fra Calvi e Marcinkus. Sfortunatamente, molti di quelli coinvolti non erano solo collegati alla mafia, ma erano anche membri della famigerata loggia massonicaP2, con il risultato finale della spartizione del denaro di altre persone, inclusa una singola transazione di 95 milioni di dollari (documentata dalla Corte Suprema irlandese).
Non appena le macchinazioni vennero a galla a causa di un errore di calcolo attribuito a Calvi, le teste cominciarono letteralmente a rotolare. L’impero bancario Ambrosiano fu destabilizzato da uno scontro ai vertici del potere interno, che coinvolgeva la Banca Vaticana, la mafia e il braccio finanziario dell’oscuro ordine cattolico dell’Opus Dei. L’Opus Dei, in ogni caso, decise di non garantire per il Banco Ambrosiano e Calvi fu trovato «suicidato», impiccato sotto il ponte di Blackfriars a Londra, con alcuni sassi nascosti nelle tasche, una scena ricca di simbolismo massonico.

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8 Anni 5 Mesi fa #3315 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
Ciao Starburst, nonostante sia indietro con la lettura degli ultimi tuoi post (ma ce la farò) ti annuncio solennemente che, visti i tuoi interessi, mi aspetto un interessante post su Gladio, magari libero dai soliti depistaggi dei gladiatori!
Coraggio (non sentirti assolutamente "in dovere" :smash: )!
Ciao!

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8 Anni 5 Mesi fa #3319 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta

Giano ha scritto: Ciao Starburst, nonostante sia indietro con la lettura degli ultimi tuoi post (ma ce la farò) ti annuncio solennemente che, visti i tuoi interessi, mi aspetto un interessante post su Gladio, magari libero dai soliti depistaggi dei gladiatori!
Coraggio (non sentirti assolutamente "in dovere" :smash: )!
Ciao!


Beh , a mio parere Antonino Arconte e' degno di fiducia visto che come tanti altri che hanno "servito" lo stato e' stato masticato e sputato, per quanto riguarda la tua proposta mi attivo immediatamente, non ti preoccupare e' un piacere non un dovere,semmai il dovere e' verso la storia "nascosta".

Grazie e a presto.

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8 Anni 5 Mesi fa - 8 Anni 5 Mesi fa #3320 da Starburst
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Come da richiesta ecco di nuovo un capitolo mai chiuso di storia italica nascosta e non potrebbe essere altrimenti visto che tratteremo di servizi segreti e di gladio in particolare, , dobbiamo pero' fare un resoconto di cosa hanno significato e cosa significano ancora nel nostro paese i "servizi segreti", di quali reati gravissimi si sono macchiati e di come le connivenze e le alleanze portate alle estreme conseguenze hanno condizionato la vita politica e sociale italiana.

I SERVIZI SEGRETI E GLADIO

Nati ufficialmente nel 1866, cinque anni dopo l’Unità risorgimentale, i servizi segreti italiani hanno da sempre una caratteristica che li contrad- distingue dagli altri strumenti d’intel- ligence internazionale: non solo è stata sempre riservata la loro attività – fatto, questo, almeno giustificabile – e di conseguenza elevata alla massima potenza la loro irresponsabilità, ma sono sempre state oscure e misteriose la loro formazione, le logiche di comando, i compiti, le funzioni. Se c’è in Italia un organismo dove la trasparenza è meno di un optional, questi sono i servizi segreti, un’area dove regna l’impunibilità più assoluta. Formalmente esistenti per proteggere la sicurezza, interna ed esterna del paese, i servizi segreti italiani – nonostante i continui cambiamenti di nome – continuano a rimanere uno strumento per i giochi politici della classe di volta in volta dominante. Se quest’ultima affermazione è riscon- trabile in molti paesi dell’area civile, in Italia è sempre esistita una sua variante specifica, ben riassunta in questa     frase   di     un     importante magistrato, Giovanni Tamburino, che, proprio con i servizi, si è scontrato più di una volta:
<<Le deviazioni delle polizie segrete non sono un fenomeno accidentale, ma nascono contemporaneamente alle polizie segrete. La potenza di una polizia segreta fa sì che, da strumento in mano al Principe per perseguire gli scopi di sicurezza del regime, essa si trasformi in potere separato che persegue i propri scopi di sicurezza o, quanto meno, interpreta a suo modo la “sicurezza necessaria” al regime>>

BREVE STORIA DEI SERVIZI SEGRETI ITALIANI


Non esistono i servizi segreti deviati, ma le deviazioni dei servizi segreti

I servizi segreti dell’Italia democratica nascono ufficialmente il 1 settembre 1949, sulle ceneri - ma mantenendo in pieno uomini e strutture - del vecchio SIM, il servizio d’informazione militare, nato durante il regime fascista: il suo nome è SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate).
Già nella costituzione del SIFAR c’è qualcosa di anomalo: nessun dibattito parlamentare, ma solo una circolare interna, firmata dall’allora ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, repubblicano.
Dalla nascita della Repubblica, l’Italia ha atteso più di tre anni, quindi, per dar vita all’organismo che dovrebbe tutelarne la sicurezza, il tempo necessario a "scaricare" le sinistre dal governo e ad aderire al Patto Atlantico.
Il primo direttore del SIFAR è il generale di brigata Giovanni Carlo Del Re che opera sotto l’esplicita supervisione dall’emissario della CIA in Italia, Carmel Offie.
In carica per tre anni, Del Re viene sostituito nel 1951 dal gen. Umberto Broccoli – l’uomo che – almeno sulla carta - darà l’avvio a Gladio, sostituito, neppure un anno e mezzo dopo, dal gen. Ettore Musco.
Anche Musco, che nel 1947 aveva formato l’AIL (Armata Italiana per la Libertà) - una formazione diretta da militari, sostenuta economicamente e militarmente dai servizi segreti americani, incaricata di vigilare su un’eventuale insurrezione comunista – fu uomo di stretta osservanza CIA e proprio sotto il controllo americano portò a termine l’acquisto dei terreni di Capo Marrargiu, in Sardegna, dove sarebbe sorta la base di Gladio.

GLI ANNI DI DE LORENZO

Ma è con l’avvento ai vertici del Sifar del gen. Giovanni De Lorenzo che i servizi segreti italiani si trasformano e cominciano a giocare un ruolo preponderante sulla scena politica italiana. La nomina di De Lorenzo non è casuale: a caldeggiarla, con insistenza, è l’ambasciatrice degli USA Claire Booth Luce, ma il generale è uomo molto gradito anche alle sinistre che per anni equivocheranno sui suoi meriti resistenziali.
De Lorenzo assume le redini del SIFAR nel gennaio del 1956. Resterà in carica fino all'ottobre del 1962: quasi sette anni filati, fatto mai accaduto, neppure in seguito, nella storia dei servizi segreti italiani. E’ sotto la gestione De Lorenzo che l’Italia sottoscriverà il piano, redatto dalla CIA, denominato "Demagnetize" il cui assunto è:
«La limitazione del potere dei comunisti in Italia e in Francia è un obiettivo prioritario: esso deve essere raggiunto con qualsiasi mezzo».
Gli anni di De Lorenzo al SIFAR sono gli anni delle schedature di massa degli italiani: verranno raccolti oltre 157 mila fascicoli, molti dei quali abusivi e falsi, in gran parte del tutto superflui per la sicurezza, ma utili strumenti di pressione e di ricatto.
Nominato sul finire del 1962 comandante generale dell’Arma dei carabinieri e quindi costretto a lasciare la guida del servizio segreto, De Lorenzo riuscì comunque a mantenere il controllo del SIFAR, facendo in modo che al suo posto venisse nominato un suo fedelissimo, Egidio Viggiani e che i posti chiave del servizio stesso fossero occupati da suoi uomini di fiducia: Giovanni Allavena - responsabile, contemporaneamente, dell’ufficio D (informazioni) e del CCS (controspionaggio) ed in seguito egli stesso ai vertici del SIFAR– e Luigi Tagliamonte che assumerà il doppio (e incompatibile) incarico di responsabile dell’amministrazione del SIFAR e capo dell’ufficio programmazione e bilancio dell’Arma.
E’ con De Lorenzo ai vertici dei carabinieri che si acuisce la tensione in Alto Adige, una regione attraversata all’epoca da una forte vena irredentista filo-austriaca e, nel luglio del 1964, si ode il famoso "rumor di sciabole" di cui parlò l’allora segretario socialista Pietro Nenni, allorché la formazione del secondo governo di centro-sinistra, guidato da Aldo Moro, si realizzò sotto la minaccia, più o meno velata, di un colpo di stato: il Piano Solo.

NASCE IL SID

Anche se lo scandalo delle schedature del Sifar e del Piano Solo verranno alla luce solo tre anni dopo, nel 1967, grazie ad una campagna di stampa del settimanale L’Espresso, condotta dai giornalisti Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari, già nel 1965 il SIFAR viene sciolto.
E’ uno scioglimento solo di facciata, l’ennesimo: con un decreto del Presidente della Repubblica, il 18 novembre 1965, nasce il SID (Servizio Informazioni Difesa) che del vecchio servizio continuerà a mantenere uomini e strutture.
Il comando del SID viene affidato all’amm. Eugenio Henke, genovese, molto vicino al ministro dell’Interno dell’epoca Paolo Emilio Taviani, democristiano.
Sotto la gestione Henke – che resterà in carica fino al 1970 – prenderà l’avvio la strategia della tensione che avrà come primo, tragico, risultato la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969).
Henke lascia il SID il 18 ottobre 1970 per essere sostituito dal gen. Vito Miceli che già dal 1969 guidava il SIOS (il servizio informazioni) dell’Esercito. Non trascorrono neppure due mesi dal nuovo cambio della guardia ai vertici dei servizi segreti italiani, che nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 un gruppo di neofascisti, capeggiati dal "principe nero" Junio Valerio Borghese, ex comandante della X MAS, mette in atto un ancor oggi misterioso tentativo di colpo di stato, nome in codice "Tora, Tora", passato alla cronaca come il Golpe Borghese.
E’ noto che il tentativo di colpo di stato fallì, o meglio aveva al suo interno forze che ne avevano preventivato il fallimento. Di quel golpe che sapeva molto era proprio il neo capo del SID, il gen. Vito Miceli che nel sottile gioco delle alleanze politiche era legatissimo ad Aldo Moro e nemico giurato di una altro potente democristiano: Giulio Andreotti.
Miceli di quel tentativo di golpe tacque: in primis con la magistratura. Quando nel 1975 l’inchiesta giudiziaria sul Golpe Borghese arriverà alla sua stretta finale, Miceli avrà già lasciato il servizio, travolto da una serie di incriminazioni che porteranno al suo arresto per altri fatti ancora oggi non del tutto chiariti, come la creazione della Rosa dei Venti, un’altra struttura militare para-golpista e lo scontro durissimo che lo opporrà al capo dell’ufficio D, un fedelissimo di Andreotti, il gen. Gianadelio Maletti. Gli anni della gestione Miceli sono gli anni dello stragismo in Italia: da Peteano, alla strage alla Questura di Milano, da Brescia all’Italicus.
Come era già accaduto a De Lorenzo, anche Miceli finirà in parlamento: eletto, anche lui, nelle file del MSI-DN di Giorgio Almirante, così come anni dopo succederà ad un altro capo dei servizi segreti, il gen. Antonio Ramponi, nelle file di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini.

LA RIFORMA DEI SERVIZI SEGRETI

La prima riforma organica dei servizi segreti – ma anche fino ad oggi l’ultima – risale al 1977. Sempre più vicino all’area di governo, impegnato in una politica improntata al consociativismo, il PCI partecipa direttamente ed in prima persona, attraverso la figura del sen. Ugo Pecchioli, alla riforma.
Per la prima volta viene introdotta una figura di responsabile dell’attività dei servizi segreti di fronte al Parlamento: è il Presidente del Consiglio che si avvale della collaborazione di un consiglio interministeriale, il CESIS che ha anche un compito di coordinamento. Inoltre i servizi devono rispondere di quello che fanno ad un Comitato parlamentare.
Ma un importante novità introdotta dalla riforma dei servizi segreti riguarda lo sdoppiamento dei servizi stessi: al SISMI (Servizio d’Informazioni per la Sicurezza Militare) il compito di occuparsi della sicurezza nei confronti dell’esterno, al SISDE (Servizio d’Informazioni per la Sicurezza Democratica) quello di vigilare all’interno.
Con in più un’altra differenza: se il SISMI resta completamente affidato a personale militare, il SISDE diventa una struttura civile, affidata alla polizia che è diventato un corpo smilitarizzato.
Una riforma, quindi, buona nelle intenzioni, ma che negli anni a seguire produrrà soltanto risultati disastrosi, anche perché gli uomini che andranno a far parte del SISMI e del SISDE saranno gli stessi che hanno già fatto parte del SIFAR e del SID e, per quanto riguarda il servizio civile, del disciolto – e famigerato – Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno.
Retto dal 1974 al 1978 dall’amm. Mario Casardi, il SISMI vedrà l’ascesa, nello stesso anno, del gen. Giuseppe Santovito, già stretto collaboratore di De Lorenzo.
Il SISDE, la cui direzione sarebbe dovuta spettare ad Emilio Santillo, già capo dell’Ispettorato per l’antiterrosimo, pur essendo una struttura non militare finirà proprio ad un militare, generale dei carabinieri Giulio Grassini.
Il primo scandalo in cui incappano i servizi riformati è quello della Loggia P2. I nomi di tutti i vertici dei servizi segreti (SISMI, SISDE ed anche del CESIS, l’organo di coordinamento) sono compresi nella famosa lista del maestro venerabile Licio Gelli, scoperta il 17 marzo 1981 dai magistrati milanesi che indagano su Sindona.

IL RUOLO DEI SERVIZI SEGRETI NEI MISTERI DEGLI ANNI OTTANTA

E’ questa forse una pagina che non è stata ancora scritta del tutto. Di certo oggi sappiamo che entrambi i servizi segreti sono dentro fino al collo nel caso Moro, i 55 giorni che trascorsero fra il sequestro del presidente della DC da parte di un commando delle Brigate rosse e l’uccisione dell’uomo politico.
Omissioni, inefficienze, tacite connivenze, depistaggi, forse anche qualcosa di più.
Molto, ma molto di più invece nella strage di Bologna dove per depistaggio, con sentenza passato in giudicato, sono stati condannati, assieme a Gelli, alcuni uomini del SISMI, come il gen. Pietro Musumeci e il col. Giuseppe Belmonte. E con loro anche il faccendiere Francesco Pazienza, in seguito imputati anche per aver creato una superstruttura occulta (il c.d. SUPERSISMI) all’interno del servizio segreto militare, sospettato di aver operato in collegamento con elementi della criminalità organizzata.
C’è da aggiungere che uomini del SISMI sono rimasti implicati anche nell’inchiesta sulla strage di Ustica.
Nel 1984 arriva al vertice del SISMI colui che passa per un rinnovatore: è l’amm. Fulvio Martini. Resterà in carica fino al febbraio del 1991 quando, assieme al suo capo di stato maggiore, il gen. Paolo Inzerilli, finirà travolto dalla vicenda di Gladio.
Parallelamente al Sisde si succederanno i prefetti Vincenzo Parisi (1984-1987), che diventerà subito dopo capo della polizia e Riccardo Malpica (1987-1991), che verrà poi condannato per lo scandalo dei fondi neri del SISDE.
Il resto è storia recente. Gli uomini che siederanno ai vertici di SISMI e SISDE nell’ultimo decennio sono, per fortuna del Paese, tutte o quasi figure di scarso rilievo, ma, almeno all’apparenza, tutte dotate di saldo spirito democratico.
I servizi segreti italiani sembrano aver scelto la linea del basso profilo: forse servono a poco o a nulla. Ma almeno non fanno danni.
Anche se – bisogna aggiungere - trattandosi di apparati di sicurezza (sicurezza di chi?) bisogna sempre stare attenti a non pronunciare mai una parola definitiva.
(fonte principale: G. De Lutiis – Storia dei servizi segreti in Italia, Editori riuniti, varie edizioni)

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8 Anni 5 Mesi fa - 8 Anni 5 Mesi fa #3326 da Starburst
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LA STORIA DI GLADIO



Un ottimo articolo di Solange Manfredi,giurista e ricercatrice storica, da questo analizzeremo la nascita e lo sviluppo dell'organizzazione gladio, le sue operazioni ed i suoi inevitabili crimini.

1. Nascita Gladio.


Era il 1952 quando, grazie ad un patto segreto stipulato tra la CIA e il capo del Servizio informazioni forze armate (Sifar), nasceva l’organizzazione “Stay Behind” (“Gladio”).

La struttura, alle dipendenze dell’Ufficio R del Sifar, era articolata in 40 nuclei, dei quali sei informativi, dieci di sabotaggio, sei di propaganda, sei di evasione e fuga, dodici di guerriglia. Inoltre erano state costituite cinque unità di guerriglia di pronto impiego in regione di particolare interesse.

Una prima domanda sorge spontanea: dove e come venivano reclutati i gladiatori?

“Dirà il magistrato Libero Mancuso: «Il capo della “Gladio” statunitense Mike Sednaoui, vice capo della Cia a Roma, reclutava nella P2: se non si era della P2, difficilmente si dava quella garanzia di affidabilità richiesta.[1]».

Infatti dell’esistenza di questa struttura, proprio perché nata da un accordo segreto (ovvero in una situazione di assoluta illegittimità costituzionale) e non, come invece avrebbe dovuto essere, da un accordo internazionale del Governo e del Parlamento, ne erano a conoscenza solo poche persone. Ovvero: alcuni politici, alcuni ufficiali dei servizi segreti e la massoneria deviata (in logge massoniche collegate con la P2, troviamo anche uomini del calibro di Stefano Boutade, Michele Greco e Pino Mandatari, commercialista di Riina) Solo loro erano a conoscenza della struttura e solo loro, probabilmente, potevano attivarla. Questo per più di 30 anni.

Solo nel 1990, infatti, grazie ad un indagine del giudice Casson (che stava indagando sui depistaggi operati dai carabinieri e dai servizi segreti nell’inchiesta sulla strage di Peteano) si scoprirà dell’esistenza di Gladio.

Scoppia il caso. Andreotti, chiamato a riferire in Parlamento, ammetterà l’esistenza di Gladio affermando che la struttura, formata da 622 unità, aveva lo scopo di difendere l’Italia da una possibile invasione sovietica. Non essendoci mai stata un’occupazione sovietica, la struttura non fu mai attivata e, soprattutto, non avrebbe mai interferito con la vita democratica del Paese.

Il materiale documentale raccolto nel corso delle indagini dal G.I. di Venezia Casson e dai sostituti procuratori militari di Padova, Sergio Dini e Benedetto Roberti, però attesterebbe, in realtà, come fin dalla sua nascita Gladio si sia vista attribuire compiti di interesse nella vita politica interna del paese.

Dal materiale raccolto si evince:

1. come i gladiatori venissero addestrati a tutta una serie di attività terroristiche:

- con finalità intimidatorie (lancio di bombe contro sedi di partito);
- di provocazione, ovvero pestaggi e azioni che facessero degenerare delle manifestazioni pacifiche in scontri con la polizia (ricordate il G8?);
- atti di terrorismo da addossare ad altri.

2. Come la strutturata fosse organizzata su più livelli al fine di poter rendere opportunamente divulgabile alcuni settori in caso di necessità (ovvero di scoperta). Mentre, in posizione occulta e da tenere nascosta ad ogni costo, una struttura più profonda, formata da soggetti i cui nomi dovevano rimanere ignoti (e che tutt’ora in effetti lo sono). La struttura più profonda avrebbe avuto funzioni di turbativa della vita politica nazionale.

Purtroppo le indagini non sono state portate a compimento sia perché come si evince dalla sentenza e dalla perizie del processo Gladio:

“Alla direzione del Sismi si è tentato di cancellare le tracce della plurima attività di “Gladio” provvedendo a distruggere o manipolare i documenti d’archivio. Il magistrato veneziano Felice Casson ha scritto: “Gli archivi dei servizi segreti sono stati debitamente epurati, se non addirittura saccheggiati” [2]. Giuseppe De Lutiis, nella perizia effettuata sui documenti del Sismi sottoposti a sequestro, ha scritto: “..È inoltre da rilevare che nei registri di protocollo si riscontrano una abnorme mole di documenti distrutti col fuoco nei giorni intercorrenti tra il 29 luglio e l’8 agosto 1990, e cioè in concomitanza con l’accesso del giudice Casson al Servizio per la consultazione di documenti (27 luglio 1990) e con le dichiarazioni del presidente del Consiglio Andreotti dinanzi al Parlamento (il 2 agosto alla Camera, e il 3 alla Commissione parlamentare sul terrorismo e le stragi)” [3].


E sia perché, ai magistrati militari Sergio Dini e Benedetto Roberti: “l’inchiesta è stata loro sottratta quando hanno scoperto che l’organizzazione “Gladio” era articolata in più livelli: la parte dei 622 era “il coperchio legittimo, formato essenzialmente da gente in buona fede che ritenevano di operare solo in funzione antinvasione”, ma vi erano livelli più segreti fino al “nocciolo chiave”, “alle azioni “sporche” dei servizi”, un nocciolo attivato “al di là dei compiti istituzionali” [4].

Secondo quanto accertato nelle indagini della Procura militare di Padova, inoltre, intorno a metà degli anni ’80 la struttura Gladio sarebbe stata in un certo modo “riarticolata”, così da poter semiufficializzare parte della struttura (Gladio???), e, contemporaneamente, coprire ulteriormente il livello più occulto (Falange Armata????).

Insomma, come dice il giudice Imposimato:

“Gladio è il segreto della Repubblica. E’ materiale da maneggiare con cura…… una struttura occulta assolutamente incostituzionale avente mani libere per qualunque tipo di azione preventiva”[5].

La domanda da porsi, dunque, è: a quali azioni, preventive e non, ha preso parte Gladio? Ufficialmente a nessuna, non è mai stata attivata. Il problema però è che Gladio compare nelle pagine più buie della storia della nostra Repubblica. Vediamo quali:

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Ultima Modifica 8 Anni 5 Mesi fa da Starburst.
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8 Anni 5 Mesi fa #3331 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
Come il peggiore degli idioti non ho pensato di cercare qualcosa su Gladio nel vecchio sito!
Ebbene c'è un articolone datato 2014 scritto da m4x , a cui faccio i complimenti con un pochino di ritardo :ok: , che al tempo mi era sfuggito, eccolo:

Perché non si può dire la verità
www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=4409

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8 Anni 5 Mesi fa - 8 Anni 5 Mesi fa #3332 da Starburst
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Giano ha scritto: Come il peggiore degli idioti non ho pensato di cercare qualcosa su Gladio nel vecchio sito!
Ebbene c'è un articolone datato 2014 scritto da m4x , a cui faccio i complimenti con un pochino di ritardo :ok: , che al tempo mi era sfuggito, eccolo:

Perché non si può dire la verità
www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=4409


E' vero e' un ottimo articolo, ma noi siamo in possesso della cronologia completa delle azioni compiute da gladio,vado avanti?

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8 Anni 5 Mesi fa #3333 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta

Starburst ha scritto:
E' vero e' un ottimo articolo, ma noi siamo in possesso della cronologia completa delle azioni compiute da gladio,vado avanti?


Ma certo, non ci vorremo mica accontentare di una sola, per quanto autorevole, fonte! Avanti tutta! :snail:

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8 Anni 5 Mesi fa - 8 Anni 5 Mesi fa #3334 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
A gentile richiesta ecco una cronistoria delle azioni piu' significative operate da gladio sul territorio nazionale, si scoprira' ben presto che l'antisovietismo centra poco o nulla,naturalmente sono quelle azioni che si e' riusciti a desecretare o a salvare dalla distruzione.

2. Omicidio Enrico Mattei

E’ l’8 gennaio 1962. Enrico Mattei, presidente dell’Eni è atteso in Marocco per l’inaugurazione di una raffineria.

Il pilota del suo aereo personale prima della partenza si accorge di una lievissima sfumatura sonora proveniente da uno dei reattori. Cerca la causa dell’anomalia e si accorge di un giravite fissato con del nastro adesivo ad una delle pareti interne del motore: L'episodio, classificato come banale dimenticanza dei tecnici, poteva con ottima probabilità provocare la seguente dinamica: il calore del reattore avrebbe sciolto il nastro, il cacciavite sarebbe finito nel reattore stesso, che sarebbe esploso senza lasciar traccia dell'oggetto, potendo il tutto poi apparire come un normale incidente[6].

Questa, più che una dimenticanza dei tecnici, sembra proprio un lavoro da esperti in sabotaggio, proprio una delle tecniche cui erano esperti i gladiatori.

Quello che è certo è che Gladio era vicinissima al Presidente Mattei. Infatti proprio il capo scorta personale di Mattei, Giulio Paver, apparteneva al nucleo laziale di “Gladio”.

Dello stesso nucleo laziale di Gladio facevano parte anche Armando Degni (che verrà poi inquisito per il tentato golpe borghese), Lucio Grillo e Camillo Grillo. Proprio il sedicente ufficiale dei Carabinieri che di nome, guarda caso, fa proprio Grillo, si presenta, il 27 ottobre 1962, con altre due persone all’aeroporto di Catania per ispezionare l’aereo di Mattei, poco prima del decollo[7]. Sarà l’Ultimo. Poche ore dopo il bireattore esplode in volo. Con Mattei perdono la vita Irnerio Bertuzzi, e il giornalista di “Time Life” William McHale.

Pochi mesi dopo il capo scorta Giulio Paver, appartenente a Gladio, lascia il suo incarico all’Eni. Probabilmente perché il suo compito è terminato.


3. Piano Solo

E’ il 1964. Il Generale massone De Lorenzo, capo del Sifar e, praticamente, fondatore di Gladio, ha predisposto un piano per attuare un vero e proprio colpo di Stato militare nel caso in cui il Governo di centro sinistra (presieduto da Aldo Moro) non ridimensioni le sue istanze riformiste (vedi articolo su questo blog del 06 gennaio 2008).

Il Piano Solo prevede l’occupazione di obiettivi strategici nelle principali città italiane nonché l’arresto di 731 dirigenti comunisti e socialisti, sindacalisti, intellettuali di sinistra e esponenti della sinistra Dc da deportare poi in Sardegna nella base di Capo Marrangiu, ovvero nella base di Gladio.
Sulla vicenda il governo pone il segreto di Stato

4. L’omicidio del Commissario Luigi Calabresi.

Il commissario Luigi Calabresi viene ucciso il 17 maggio del 1972.
Da anni il commissario Calabresi è vittima di una vergognosa campagna stampa diffamatoria che lo vuole responsabile della morte dell’anarchico Pinelli, volato giù dalla finestra della questura di Milano il 15 dicembre 1969.
E’ il 1988 quando, dopo 17 giorni passati, all’insaputa della magistratura, con un colonnello dei Carabinieri, un rapinatore, ex di Lotta continua, Leonardo Marino confessa di aver ucciso, insieme ad Ovidio Bompressi, il Commissario Calabresi per ordine di Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani.
Le motivazioni del gesto sarebbero state quelle di una vendetta proprio per la morte dell’anarchico Pinelli.
I processi che ne seguiranno non solo saranno indiziari ma alcuni corpi di reato risulteranno scomparsi o distrutti (????)

Eppure in pochi hanno sottolineato che:
- quando il Commissario Calabresi fu ucciso stava portando avanti una delicata inchiesta su un traffico di armi di grosse dimensioni tra la svizzera e il veneto;
- dei rapporti del Commissario sulle indagini inerenti il traffico d’armi non si è trovata traccia;
- i principali indiziati del traffico d’armi erano estremisti di destra della cellula veneta (strage di Piazza Fontana);
- una delle prime persone ad essere sospettate dell’omicidio del commissario Calabresi è stato Gianni Nardi, estremista di destra più volte arrestato per detenzione e traffico di armi;
- Gianni Nardi è presente nelle liste Gladio con la sigla 0565;

Ma a chiudere l’indagine circa il coinvolgimento di Nardi nell’omicidio del commissario Calabresi ed il traffico d’armi interverrà la sua presunta morte in un incidente d’auto avvenuto a Palma di Majorca 10 settembre 1976 (Numerose sono le indagini che vedono coinvolte persone legate a Gladio e si concludono con la “morte” dell’indagato)

5. Strage della questura di Milano

E’ il 17 maggio 1973. Gianfranco Bertoli lancia una bomba a mano nel cortile della questura di via Fatebenefratelli a Milano durante l'inaugurazione di una lapide in memoria del commissario Luigi Calabresi. Sono presenti varie autorità tra cui il Ministro dell'Interno Mariano Rumor, obiettivo dell’attentato. Il Ministro Rumor rimane illeso ma la bomba causa 4 morti e 45 feriti.
Immediatamente arrestato Bertoli si dichiara anarchico e afferma che, con il suo gesto, voleva punire il Ministro Rumor per la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli (ancora!!!!)
Peccato però che Bertoli risulti in contatto con Freda (strage di Piazza Fontana), stipendiato dal Sifar fin dai primi anni ‘60 e legato a Gladio con la sigla 0375.


6. Argo 16

E’ il 30 ottobre 1973. Due arabi, Al Tayeb Ali Fergani (alias Atif Busaysu) e Ghassan Ahmed, arrestati per atti di terrorismo ad Ostia, ottengono, su cauzione, la libertà provvisoria e vengono ospitati in un appartamento a disposizione del Sid a Roma (avete letto bene: ospitati in un appartamento del SID).

Il 31 ottobre 1973 i terroristi vengono accompagnati a Ciampino e, sottratti alla giustizia italiana, imbarcati e trasportati segretamente in Libia sull’aereo militare Argo 16, in uso alla struttura segreta Gladio.

Ad accompagnare a casa i terroristi quattro ufficiali del Sid: il colonnello Giovan Battista Minerva, il capitano Antonio Labruna, il colonnello Stefano Giovannone, il tenente colonnello Enrico Dilani. Enrico Milani appartiene all’organizzazione segreta Gladio. Probabilmente né fa parte anche Giovannone.

Sulla vicenda il Governo pone il segreto di Stato.


7. Sequestro Sossi


Il giudice Sossi viene rapito dalle Br il 18 aprile 1974 dalle brigate rosse.
Due i brigatisti che afferrano materialmente Sossi. Uno è Bonavita, l’altro è l’infiltrato nelle Br dell’Ufficio Affari Riservati, Marra detto“Rocco”.

“...Rocco” è un paracadutista, addestratosi in Toscana e in Sardegna all'uso delle armi e degli esplosivi (proprio come gli appartenenti a “Gladio”) che, prima di infiltrarsi nelle Br, si era specializzato nella pratica della “gambizzazione”, un'arte per la quale farà da istruttore ai brigatisti… A differenza di Pisetta, dopo il sequestro Sossi, “Rocco” non venne bruciato…Proseguì alacremente la sua attività nelle Br per conto dell'Ufficio affari riservati; contribuì, per esempio, a preparare l’azione del commando brigatista che il 18 febbraio 1975 riuscì a liberare Renato Curcio detenuto nel carcere di Casale Monferrato “[8]

8. Omicidio Vittorio Occorsio

Il giudice Occorsio, che negli anni aveva indagato sul Golpe Borghese, sul Piano Solo, sullo scandalo Sifar, sulla strage di Piazza Fontana (insomma su tutte le vicende che hanno visto pesantentemente coinvolti i servizi segreti), aveva capito che, probabilmente, dietro a quella lunga scia di sangue vi era un unico comun denominatore e cercava di provarlo.

Nel 1975 Vittorio Occorsio disse al collega Ferdinando Imposimato:
“Molti sequestri avvengono per finanziare attentati o disegni eversivi…. Sono certo che dietro i sequestri ci siano delle organizzazioni massoniche deviate e naturalmente esponenti del mondo politico. Tutto questo rientra nella strategia della tensione: seminare il terrore tra gli italiani per spingerli a chiedere un governo forte, capace di ristabilire l’ordine, dando la colpa di tutto ai rossi…Tu devi cercare i mandanti di coloro che muovono gli autori di decine e decine di sequestri. I cui soldi servono anche a finanziare azioni eversive. I sequestratori spesso non sono che esecutori di disegni che sono invisibili ma concreti. Ricordati che loro agiscono sempre per conto di altri”[9].

“Il 09 luglio 1976, Occorsio viene assassinato. L’autore materiale del suo assassinio è un neofascista, Pierluigi Concutelli, la cui scheda, con l’indicazione della tessera n. 11.070, verrà ritrovata anni dopo da Giovanni Falcone a Palermo, nella sede della Loggia massonica Camea, retta da Michele Barresi e frequentata anche da uomini di Cosa nostra”[10].

“Il 26 dicembre del 1976 l’ingegner Francesco Siniscalchi (affiliato alla Massoneria dal 1951) invia un esposto-denuncia ai magistrati titolari dell’istruttoria per l’omicidio Occorsio: Siniscalchi fornisce alla magistratura notizie e documenti sulla Loggia P2 e sulla sua attività eversiva, e rivela l’oscuro ruolo di Licio Gelli e le “deviazioni” all’interno di Palazzo Giustiniani; per queste sue denunce, Siniscalchi verrà espulso dalla Massoneria”[11]. Gelli avrà la strada spianata.


9. Omicidio Mario Amato

I fascicoli del giudice Vittorio Occorsio vengono ereditati dal collega Mario Amato. Come Occorsio anche Amato capisce che, probabilmente, dietro tutte le sigle terroristiche c’è un’unica regia.

Davanti al CSM il giudice Amato, il 13 giugno 1980, afferma: “sto arrivando alla visione di una verità d'assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori materiali degli atti criminosi”.
Dieci giorni dopo, il 23 giugno 1980, poche settimane prima della strage di Bologna, il giudice Mario Amato viene ucciso a Roma.

10. Il caso Moro

Come abbiamo visto in articoli precedenti la presenza di Gladio nel caso Moro è imponente. Ricordiamola:

- L'azione militare di via Fani viene definita un “gioiello di perfezione” attuabile solo da uomini super addestrati;

- Le perizie hanno appurato che in via Fani vennero usate anche munizioni di provenienza speciale provenienti da forniture date solo a forze statali militari non convenzionali. Quando, anni dopo, verrano scoperti i depositi “Nasco” della struttura segreta “Gladio” si riscontreranno le stesse caratteristiche nelle munizioni di quei depositi;

- La mattina del 16 marzo alle ore 9 in via Stresa, a circa duecento metri da dove avviene la strage c’è il colonnello del Sismi Camillo Guglielmi, istruttore presso la base di “Gladio” di Capo Marrargiu, dove aveva insegnato ai “gladiatori” le tecniche dell’imboscata;

Ad agevolare la fuga del commando un improvviso black-out interrompe le comunicazioni telefoniche della zona. Circa la vicenda della Sip si legge (Unità dell’11 luglio 1991) in uno scritto di Vladimiro Settimelli :“Una Gladio della Sip allertata il giorno prima del sequestro Moro”;

- La stampatrice modello Ab Dick 360 T (matricola n° 938508) utilizzata dalle Br durante il sequestro Moro per stampare comunicati e altro materiale proveniva dall’Ufficio Rus (Raggruppamento Unità Speciali), ovvero l’ufficio più compartimentato del servizio segreto militare che provvedeva all’addestramento di “Gladio”;

- Da documento della X Divisione Stay Behind (Gladio) del 02 marzo 1978, si evincerebbe come questa fosse a conoscenza del rapimento di Moro ben 14 giorni che questo avvenga;

- l’argomento più spinoso che Moro affronta con i suoi carcerieri – e che non a caso verrà tenuto nascosto ancora per dodici anni dopo la sua morte – riguarda il nervo scoperto (tuttora nodo irrisolto) di Gladio”[12] Eppure le Br che avevano detto “Tutto verrà reso noto al popolo e al movimento rivoluzionario”, non riveleranno nulla degli interrogatori del Presidente della Dc e mentendo spudoratamente sosterranno che dagli stessi non era emerso nulla di importante;

- “Il 24 aprile 1978 (quindi15 giorni prima dell’assassinio di Moro n.d.r.) Infelisi emette alcuni ordini di cattura contro Morucci, Faranda, Gallinari. Gli ordini di cattura verranno bloccati… l’ipotesi è che ci sia stato un indebito intervento del ministro Cossiga per bloccar gli ordini di cattura, tramite il procuratore generale. Dirà Infelici, quasi trent’anni dopo. “Cossiga è stato il solo sottosegretario alla difesa ammesso a conoscere Stay Behind, cioè Gladio" [13];


- Il 16 marzo 1978 Cossiga decide di istituire dei comitati per gestire la crisi che pullulavano di iscritti alla loggia P2. “Oggi è possibile affermare che le strutture volute da Cossiga non solo non assunsero alcuna iniziativa diretta a salvare la vita di Moro, ma ostacolarono le indagini condotte dalla procura di Roma, bruciando le numerose occasioni che si presentarono agli inquirenti per liberare il leader DC e impedendo persino che l’inchiesta giudiziaria sul sequestro del presidente democristiano venisse formalizzata, ossia arrivasse nelle mani dei giudici naturali e logici destinatari”[14].
- “Con il passare degli anni e l’accertamento della verità nel processo sulle stragi e nei vari processi Moro, emerse che il Comitato crisi era un centro di potere di cui facevano parte i vertici di Gladio”[15].

- Per confutare la perizia sulla mitraglietta Skorpion utilizzata per uccidere Moro, Valerio Morucci e Adriana Faranda si sono avvalsi di un perito di parte legato al servizio segreto militare: tale Marco Morin, estremista di destra, appartenente a “Gladio” [16]. La perizia di Morin ha sostenuto che la Skorpion trovata in possesso di Morucci e Faranda non era l’arma che aveva ucciso Moro. Ma quella “perizia di parte” è stata smentita, rimanendo semplice testimonianza di una stranissima “convergenza”.[17]


11. Omicidio Toni De Palo


Il 2 settembre 1980, Graziella De Palo (giornalista di Paese Sera e de L'Astrolabio) e Italo Toni (redattore dell'Agenzia Notizie) vengono rapiti ed uccisi in Libano.

I due giornalisti stavano svolgendo un’inchiesta su:
- il traffico internazionale di armi tra l’OLP e l’Italia (vi sono varie note su società italiane e straniere);
- 5 campi di addestramento palestinesi situati nel sud del Libano nella zona di Tiro e Sidone.
Sulla loro morte l’opera di depistaggio operata dal Generale Giuseppe Santovito, massone iscritto alla loggia P2, direttore del Sismi, e dal Colonnello Giovannone capocentro del SISMI a Beirut dal 1972 al 1981, entrambi legati a Gladio, sarà vergognosa.

I due agenti del Sismi moriranno improvvisamente prima del processo a loro carico.

Il governo, poi, apporrà il segreto di Stato.



12. Omicidio Mauro Rostagno


E’ il 26 settembre del 1988 quando Mauro Rostagno viene ucciso a colpi di fucile.
Dentro la borsa teneva sempre delle registrazioni che non verranno mai più ritrovate.
Sono in molti a ritenere che sui nastri scomparsi vi siano le immagini, filmate di nascosto tra il giugno ed il settembre del 1988, di un traffico di armi che si svolgeva all'aeroporto abbandonato di Kinisia, che è a qualche decina di chilometri da Trapani proprio nelle stessa circoscritta zona in cui operava il centro Scorpione, un centro di Gladio rimasto in gran parte sconosciuto e dotato di un aereo super leggero in grado di volare al di sotto delle apparecchiature radar.

13. Omicidio Li Causi

Vincenzo Li Causi, uomo del Sismi (servizio segreto militare italiano), per un certo tempo attivo presso la struttura di Gladio operante a Trapani (il centro Scorpione) fu ucciso a Balad, in Somalia il 12 novembre 1993, pochi giorni prima di deporre davanti al Pm proprio sul Centro Scorpione.
Richieste di indagini da parte della Procura romana sono state bloccate da due ministri della Giustizia.

Da più persone il maresciallo Li causi viene indicato come l’informatore di Ilaria Alpi la giornalista che, insieme al suo operatore Miran Hrovatin, pochi mesi DOPO (20 marzo 1994) verrà uccisa sempre in Somalia.

14. Cambia il nome?


Dal breve excursus ora fatto si evince come appartenenti alle liste gladio compaiano a 360° nelle vicende più buie della storia italiana, vicende che influenzano grandemente la politica del paese.
Li troviamo “presenti” in:
- tentati colpi di stato;
- sequestri;
- stragi (sia di destra che di sinistra)
- omicidi;
- traffico di armi, ecc…

Li troviamo sempre presenti, ma la loro presenza è sempre dalla parte sbagliata: tirano bombe, fanno i periti di parte di assassini, depistano, mentono, ecc..

Inoltre, nelle vicende in cui troviamo coinvolti gladiatori vi sono anche sempre una serie di costanti: i testimoni muoiono, i magistrati muoiono, le inchieste vengono bloccate, atti e documenti vengono sottratti o distrutti, viene posto il segreto di stato, ecc…

Come abbiamo sottolineato in un precedente articolo di questo blog (dell’11 gennaio 2008) con modalità che troviamo costante, quando i servizi segreti vengono travolti da scandali che neanche l’apposizione del segreto di Stato riesce più ad arginare, il Governo li riforma, ovvero cambia il nome alla struttura ma, nella sostanza, uomini, mezzi e fini restano gli stessi.

Ciò che è lecito domandarsi oggi è se è possibile che per Gladio sia successa la stessa cosa. Ovvero: una volta scoperta la struttura Gladio è possibile che uomini e mezzi siano semplicemente stati “rinominati”? E se si oggi come si chiama la nuova Gladio? Forse Falange armata?

15. La Falange Armata.

Come già sottolineato in un articolo di questo blog (19 gennaio 2008) pochi mesi dopo la scoperta della struttura segreta Gladio sulla scena italiana compare un’altra sigla “strana”: Falange armata. La troviamo:

1991

Il 4 gennaio, a Bologna nel quartiere del Pilastro, vengono uccisi tre carabinieri.
La strage è rivendicata dalla Falange Armata.
Per compiere la strage viene usato un mitra Beretta SC 70 in dotazione soltanto a forze speciali di pronto intervento
Il 3 maggio in una armeria di Bologna vengono uccise tre persone.
La strage è rivendicata dalla Falange Armata.

1992

Febbraio. Craxi, a seguito dei tanti avvisi di garanzia, si dimette da segretario del PSI.
La Falange armata inizia le minacce contro mani pulite.
Il 23 maggio Giovanni Falcone viene ucciso insieme alla moglie ed alla scorta a Capaci.
La strage viene rivendicata dalla Falange Armata.
Sulla collina di Capaci viene trovato un biglietto con il numero di cellulare di un funzionario del Sisde.
Il 19 luglio Paolo Borsellino viene ucciso con alcuni agenti della sua scorta in via d'Amelio a Palermo.
La strage viene rivendicata dalla Falange Armata.
Alle spalle di Via D'Amelio, situato sul Monte Pellegrino, c'è Castel Utveggio.
E' il punto di osservazione migliore perchè si domina perfettamente la vista dell'ingresso dell'abitazione di via D'Amelio.A Castel Utveggio ha sede un ente regionale il C.E.R.I.S.D.I., dietro il quale avrebbe trovato copertura un organo del SISDE.

1993


Marzo. Rogatoria di Di Pietro a Hong Kong sui conti di Craxi e contemporaneo messaggio della Falange armata: "A Di Pietro uccideremo il figlio".
14 maggio esplode una autobomba in via Fauro a Roma. 15 feriti.
La strage viene rivendicata dalla Falange Armata.
27 maggio in Via Dei Georgofili a Firenze esplode una autobomba. 5 morti e 48 feriti.
La strage viene rivendicata dalla Falange Armata.
02 giugno a Roma, in via dei Sabini, a 100 metri da Palazzo Chigi viene scoperta una autobomba.
L'attentato viene rivendicato dalla Falange Armata.
16 settembre La Procura della Repubblica di Roma apre una inchiesta ed individua in 16 ufficiali del SISMI i telefonisti che hanno rivendicato le azioni della Falange Armata.
21 ottobre Attentato a Padova durante la notte contro il palazzo di Giustizia che viene in parte distrutto.
L'attentato viene rivendicato dalla Falange armata.

1994

15 marzo, Di Pietro stringe per la rogatoria a Hong Kong sul bottino di Craxi: la prova che Bettino gestiva il proprio, tramite Giancarlo Troielli, qualche decina di miliardi. Riecco puntuale la Falange armata: "Ammazzeremo Di Pietro".
Giugno. Di Pietro s'imbatte nelle mazzette degli industriali alla Guardia di Finanza. C'è anche la Fininvest. Nuove minacce a Di Pietro dalla Falange armata
Il 17 settembre, nuovo messaggio della Falange armata: "La vita politica e umana di Di Pietro sarà breve e verrà fermata".
1 ottobre. Ancora la Falange Armata: "Di Pietro è cotto a puntino".
Novembre"Di Pietro ha i giorni contati", annuncia la Falange armata.
Il 27 novembre la Falange armata comunica: "Di Pietro è un uomo morto”

Proprio come Gladio, la sigla falange armata la troviamo, negli anni ‘90, impegnata a 360°.
Rivendica di tutto: omicidi, stragi, attentati, ecc...Pare non abbia una particolare “predilezione” né per un obiettivo, né una strategia politica. Compare qua e là…proprio come Gladio.
Visti gli obiettivi, nonché i tempi di esecuzione delle stragi e degli attentati, pare quasi che sia preposta più che altro a condizionare (sarebbe meglio dire destabilizzare) la vita politica del paese.

Ma le analogie con Gladio non finiscono qui.

Infatti, secondo quanto scritto da un ex parà della Folgore: Fabio Piselli ( fabiopiselli.blogspot.com/2008/05/due-pa...razione-falange.html )
La Falange armata non sarebbe una sigla terroristica , ma una:
“..operazione modello, continuata e mai inquinata, compartimentata e soprattutto posta in sonno e mai disattivata…la falange armata era formata da ex operatori della Folgore e dei servizi, reclutati dopo il loro congedo…Omicidi, rapine, attentati, sequestri, introduzione in opere militari e politiche, trafugamento di armi istituzionali, addestramento di civili in attività militari, spionaggio politico e militare, intercettazioni illecite, violazione ed utilizzazione di un segreto d'ufficio, peculato, attentanto alla democrazia ed altro ancora è ciò che l'operazione falange armata ha posto in essere fra il 1985 ed il 1994 attraverso gli operatori attivati, singolarmente o in piccole squadre...”.
Non si sa se quanto scritto da Fabio Piselli sia vero, sarà compito della magistratura accertarlo (sempre che nel frattempo, come già successo, non vengano distrutti i documenti).
Quello che è certo è che le analogie tra Gladio e la Falange Armata sono veramente tante….troppe
Ma forse qualche magistrato ha già capito e forse non è un caso che nel 1996, il procuratore capo della repubblica di Firenze Vigna, abbia affermato, con riferimento specifico alle bombe dell’estate del 1993: “Per diversi collaboratori di giustizia, Totò Riina si sarebbe incontrato con persone più importanti di lui. C’era una strategia che doveva portare a dei colpi all’assetto politico dell’epoca. Ci ha particolarmente colpito la singolarità degli obiettivi che non sono propri di cosa nostra, come le chiese ed i musei. Questo fattore ci ha stimolato ad investigare se al di fuori di Cosa nostra ci fossero stati degli input, tenendo presente che Cosa nostra è un tassello di un più ampio mosaico criminale dove possono concorrere imprenditoria criminale, politici con la “P” maiuscola, logge massoniche deviate[18]”.

Chi ha orecchie per intendere…..

16. Conclusioni.

Probabilmente è, quindi, Gladio (la Gladio militare ???) che sta dietro alla maggioranza dei fatti di sangue irrisolti della nostra Repubblica

Una struttura articolata in 40 nuclei, e strutturata a gradi, o comparti, di cui i più elevati erano sconosciuti anche alla totalità delle istituzioni, compreso – solo per fare un esempio lo stesso Capo Dello Stato.

Struttura non alle dipendenze, quindi, delle nostre istituzioni, ma direttamente della CIA, e dei vertici della P2? Probabilmente si.

Come dire: i vertici della P2 al di sopra dello stato, del governo e del parlamento, con una propria struttura militare? Probabilmente si.
E’ questo che molti chiamano l’”antistato”? Probabilmente si.
Ed è per essersi avvicinati a questa verità, consapevolmente o inconsapevolmente, che hanno perso la vita magistrati, giornalisti, uomini delle istituzioni? E' grazie a questa istituzione che hanno perso le vita centinaia di comuni cittadini, vittime di un disegno sconosciuto anche alla maggioranza dei politici, mentre quei pochi che sanno la verità continuano a parlare di “terrorismo rosso”, “terrorismo nero”… ben sapendo che la realtà è un’altra? Probabilmente si.




FONTI

[1] Sergio Flamigni, Trame atlantiche, storia della loggia massonica P2, Edizioni Kaos
[2] Sergio Flamini, Convergenze parallele, Edizioni Kaos: Sentenza istruttoria del 10 ottobre 1991, pag. 5.

[3] Giuseppe De Lutiis, Perizia nei procedimenti penali del Tribunale di Bologna n° 219/A/86. Rggi e n° 1329/A/84 Rggi, consegnata il 1° luglio 1994, pag. 3.

[4] Sergio Flamini, Convergenze parallele, Edizioni Kaos: Cs, inchiesta sulle vicende connesse alla “operazione Gladio”, stenografico dell’audizione di Sergio Dini e Benedetto Roberti, pagg. 14-18. Ha dichiarato Roberti: “I 622 erano elementi che all’apparenza non potevano far sorgere dubbi sia per la loro moralità sia per la loro attività e finalità. In realtà l’organizzazione, come è stato appurato, si avvaleva dell’opera anche di elementi ad altri livelli. È soprattutto molto interessante far notare che alcuni manualetti recanti i resoconti di esercitazioni realmente svolte dall’organizzazione “Gladio” rendono chiaro che tale organizzazione, avente certe finalità istituzionali, in realtà perseguiva anche altre finalità di controllo interno del Paese, come chiaramente detto in vari documenti – basta leggerli – affinché certe forze di sinistra non raggiungessero il potere, neanche in via legale, cioè tramite libere elezioni”.

[5] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere, Pg. 139
[6] wikipedia
[7] Sergio Flamini, op cit.
[8] Sergio Flamini, Convergenze parallele, Edizioni Kaos. Interrogato solo nel 1997 Marra ha negato di aver mai fatto parte delle br,
[9] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere , Pg.36
[10] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere, Pg. 37
[11] Sergio Flamigni, Trame atlantiche, storia della loggia massonica P2, Edizioni Kaos
[12] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere, Pg. 137
[13] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere, Pg. 140
[14] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere, Pg. 72
[15] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere, Pg. 140
[16] Sergio Flamini, Convergenze parallele, Edizioni Kaos: Morin è stato autore della perizia sull’esplosivo usato nella strage di Peteano nel 1972 (che uccise tre carabinieri), perizia tendente a dimostrare che quell’esplosivo proveniva da un deposito delle Br, poi clamorosamente smentita dal reo confesso Vincenzo Vinciguerra.

[17] Sergio Flamini, Convergenze parallele, Edizioni Kaos.
[18] Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia, Editori Riuniti, pg. 347

NO FAITHS NO PAIN
Ultima Modifica 8 Anni 5 Mesi fa da Starburst.
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8 Anni 5 Mesi fa - 8 Anni 5 Mesi fa #3401 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
A completare l'argomento gladio la storia del suo opposto, come nella classica medaglia a due facce , la gladio rossa creata per contrastare un eventuale golpe di destra o per supportare una rivolta o rivoluzione di sinistra in italia.

L'APPARATO MILITARE DEL PCI

L'apparato paramilitare del PCI indica una struttura paramilitare italiana di natura clandestina, presumibilmente organizzata nel 1945 e sciolta nel 1974, costituita da ex partigiani e militanti del Partito Comunista Italiano. Per il suo carattere insieme offensivo e difensivo, l'apparato paramilitare del PCI comprendeva la struttura che, dal 1992, la stampa ha soprannominato «Gladio rossa», descrivendo in tal modo l'apparato come simmetrico ed opposto alla funzione anticomunista dell'organizzazione Gladio, che era stata scoperta pochi anni prima.
Nel 1994 il settimanale satirico La peste pubblicò per diversi numeri lunghi elenchi con nomi e cognomi e città di residenza degli appartenenti a tale supposta "Gladio Rossa"[1], molti dei quali ancora in vita; nessuno di essi ha smentito o querelato il settimanale.

Storia

Prima fase: 1945-1954
La formazione dell'apparato paramilitare
Secondo le ricerche di Gianni Donno (consulente della Commissione Mitrokhin e Professore ordinario di Storia contemporanea presso l'Università del Salento), al momento del disarmo delle disciolte formazioni partigiane imposto dagli alleati, le armi più moderne ed efficienti non furono restituite. Venne invece costituito un nucleo di azione clandestino, con base soprattutto nel centro e nel nord del paese (teatro della guerra di liberazione dopo l'8 settembre), nucleo costituito in maggioranza di ex-membri delle brigate partigiane «Garibaldi». Tale forza clandestina sarebbe stata direttamente dipendente dalle strutture dirigenti del Partito Comunista Italiano, in particolare da Pietro Secchia, braccio destro di Palmiro Togliatti[2].
Secondo i dirigenti del PCI tale forza poteva essere utilizzata in un intervento armato volto alla costituzione di uno Stato comunista in Italia, che doveva essere appoggiato da un sollevamento della popolazione. In seguito agli accordi di Jalta avvenuti nel febbraio 1945, l'URSS avrebbe tuttavia considerato che, se fosse scoppiata in Italia una guerra civile, i Paesi occidentali sarebbero intervenuti in forze. E l'URSS non era ancora pronta per fronteggiare un confronto con l'Occidente. Mosca indicò quindi a Palmiro Togliatti quale dovesse essere la nuova linea strategica da tenere[3].
Il fatto che Mosca fosse costantemente informata dell'esistenza della forza paramilitare è confermato in un rapporto dell'ambasciatore sovietico ai suoi superiori, 15 giugno 1945, il quale riferisce che "i partigiani del Nord continuano a nascondere le loro armi".[4] L'organizzazione fu approntata al momento della smobilitazione delle formazioni partigiane ufficiali, nel 1945[2]. La prima relazione "occidentale" conosciuta sull'articolazione dell'organizzazione venne redatta a Milano, nel (febbraio 1947), dal console degli USA:
« A capo dell'apparato vi sarebbero Longo, Sereni e Grieco, a loro volta comandanti dalla sezione Comintern di Lubiana-Ginevra-Lisbona.
Le operazioni militari sono gestite dall'ex-partigiano Cino Moscatelli. L'articolazione interna è suddivisa in vari nuclei e settori comandati dalla legazione sovietica in Milano di Via Filodrammatici 5.[5] »
Secondo le fonti americane la forza così costituita avrebbe contato tra i 130.000 e 160.000 miliziani, mentre altre stime ritenute più attendibili valuterebbero circa 77.000[2].
L'organizzazione paramilitare comunista avrebbe ottenuto aiuti di uomini, armi e mezzi dalla Jugoslavia e sarebbe stata guidata da combattenti addestrati dai sovietici o da ex-comandanti partigiani.[6]. Secondo altre fonti l'apparato ebbe contatti anche con la Politická škola soudruha Synka, formazione armata attiva in Cecoslovacchia[7]. Che le strutture paramilitari del partito fossero finalizzate a compiti offensivi lo dimostra il fatto che i militanti comunisti italiani venivano militarmente addestrati oltre cortina a tre livelli (guerriglia, sabotaggio, intercettazione), del tutto sproporzionati se si accettasse l'ipotesi dei soli compiti difensivi[8].
La struttura paramilitare del PCI fu predisposta al fine di sostenere una possibile insurrezione armata; ad operare come "quinta colonna" in caso d'attacco da parte dell'Unione Sovietica sul continente europeo[9]. Il 28 novembre 1947 si verificò un grave episodio, descritto da alcuni cronisti dell'epoca, come una vera prova di colpo di Stato[10].
A Milano Giancarlo Pajetta organizzò l'occupazione della prefettura a seguito della rimozione del prefetto Ettore Troilo, ultimo tra i prefetti politici della Resistenza ancora in carica. Pajetta però non fu appoggiato dal suo partito. Il PCI nazionale, infatti, sconfessò apertamente l'iniziativa. La prima decisione presa dal ministro dell'Interno, Mario Scelba (DC), fu di ordinare alla Divisione Legnano di assumere temporaneamente i poteri prefettizi e il comando della città. La decisione finale del governo, invece, fu di trattare. Una delegazione del PCI fu inviata a Roma per parlare con Scelba e De Gasperi. Da questo incontro arrivò la soluzione: gli occupanti avrebbero accettato la destituzione del prefetto, in cambio della mancata denuncia per il reato commesso. In applicazione dell'accordo, la sera del 28 novembre giunse a Milano il sottosegretario Achille Marazza (DC), conosciuto e ben visto dai partigiani, il quale ottenne lo sgombero della prefettura senza spargimento di sangue[11][12]. «Non si può negare che si trattò comunque della prova della tenuta della DC di fronte a situazioni di rottura»[13].
Il 5 febbraio 1948 il governo emanò nuovi provvedimenti per l'ordine pubblico. In particolare pene più severe per i detentori di armi e per le manifestazioni che vedono l'uso di armi o di esplosivi; inoltre, il divieto assoluto di dar vita ad associazioni paramilitari e la condanna per omessa denuncia dell'ospitalità data agli stranieri[14].

Dal 1948 al 1954

Il 1948 fu un anno cruciale per la stabilità politica dell'Italia. In quell'anno elettorale avvenne il primo determinante scontro tra le forze centriste (in primo luogo la Democrazia Cristiana) e quelle della sinistra, coalizzate in un'alleanza social-comunista, denominata Fronte Democratico Popolare creata per vincere le elezioni politiche del 18 aprile. Il Fronte era dato nettamente per favorito, come confermarono alcune elezioni locali tenutesi nei mesi precedenti nel centro Italia e vinte largamente. Tra i due schieramenti non c'era riconoscimento reciproco. Il PCI credeva fermamente che la DC non avrebbe riconosciuto la probabile vittoria. L'apparato paramilitare fu quindi tenuto in stato di allerta per tutta la durata della campagna elettorale, pronto ad intervenire nel caso in cui la vittoria elettorale del Fronte popolare fosse stata negata dalle forze avversarie[15].
Nell'imminenza delle elezioni Togliatti chiese un incontro con l'ambasciatore sovietico Kostylev per chiedere «se si deve, nel caso di una o più provocazioni da parte dei democristiani, iniziare l'insurrezione armata delle forze del Fronte democratico popolare per prendere il potere[16]». Nel corso del colloquio, che ebbe luogo il 23 marzo in un luogo segreto fuori Roma, riferì che i membri dell'apparato paramilitare erano stati allertati (soprattutto nell'Italia settentrionale), rassicurandolo sul fatto che prima di lanciare un'eventuale insurrezione armata avrebbe chiesto il consenso di Mosca. La risposta del governo sovietico giunse il 26 marzo: Mosca fece sapere che soltanto in caso di attacco alle sedi del PCI i militanti avrebbero dovuto imbracciare le armi, ma «per quanto riguarda la presa del potere attraverso un'insurrezione armata, consideriamo che il PCI in questo momento non può attuarla in nessun modo[17]». Alle elezioni politiche del 18 aprile la Democrazia Cristiana vinse con il 48,5% dei voti, battendo il Fronte popolare, che si fermò al 31%. La sconfitta fu un duro colpo per le forze social-comuniste, soprattutto per le proporzioni con cui si verificò.
L'attentato a Togliatti

Il 14 luglio 1948 lo studente Antonio Pallante tentò di uccidere Palmiro Togliatti. I militanti del PCI reagirono immediatamente e tutto il Paese fu teatro di disordini: vennero occupate fabbriche ed edifici pubblici, furono attuati blocchi stradali, scioperi, requisizioni di mezzi militari, assalti alle forze dell'ordine, con morti e feriti. La CGIL indisse immediatamente il giorno stesso uno sciopero generale. Secondo alcune interpretazioni, tale reazione fu il segno dell'attivazione dell'organizzazione paramilitare del partito, la quale ritenne che fosse giunto il momento di agire[18]. Secondo altre, si trattò di una reazione popolare a quella che venne ritenuta una gravissima provocazione politica[19]
Ricoverato in ospedale, ferito ma allarmato per le possibili conseguenze sociali e politiche, il capo del PCI mandò un messaggio ai propri compagni di partito: «State attenti, non perdete la testa»[20]. Il gruppo dirigente comunista, riunitosi la sera stessa, ribadì il no ad ogni ipotesi di insurrezione armata, che pure aveva cominciato a manifestarsi. Di quella riunione non esiste tuttavia alcun verbale: secondo la testimonianza del figlio Matteo, fu Pietro Secchia a dare le direttive per bloccare ogni tentativo rivoluzionario, argomentando che «non vogliamo la guerra civile, anche perché non la vogliono i nostri amici»[21]. Lo stesso Secchia indicherà la posizione del PCI riguardo all'ipotesi insurrezionale in un dettagliato resoconto di quelle giornate:
« [...] Il compagno Togliatti ha avuto occasione di spiegare ripetutamente e l'ultima volta alla Camera nel suo discorso del 10 luglio 1948 che "quando un Partito Comunista ritiene che le circostanze oggettive e soggettive pongono all'ordine del giorno la necessità per le forze popolari avanzanti di prendere il potere con le armi, cioè con un'insurrezione, esso proclama questa necessità, lo dice apertamente. Così fecero i bolscevichi nel 1917 e marciarono alla insurrezione a vele spiegate, così abbiamo fatto noi comunisti italiani a partire dal settembre 1943, senza nascondere a nessuno la via che avevamo presa e proponevamo al popolo". "Non si portano - ha detto giustamente il compagno Longo nel forte discorso alla Camera - milioni di uomini alla battaglia e alla vittoria con circolari segrete e ridicoli piani K". Per mobilitare e portare alla lotta armata milioni e milioni di uomini, anche quando le circostanze oggettive e soggettive pongono all'ordine del giorno tale necessità, occorre che l'appello alle armi sia lanciato apertamente a tutto il popolo. [...][22] »
Nella riunione del Consiglio dei ministri del 29 luglio 1948 si affermò:
« Il tentativo insurrezionale c'è stato, tanto che a Milano i carabinieri hanno fatto denunce per atto di insurrezione contro i poteri dello Stato. Dopo aver visto in un'ora assumere dai comunisti posizioni di battaglia, non si può negare l'esistenza di programmi prestabiliti. »
(Aldo G. Ricci, «I timori di guerra civile nelle discussioni dei governi De Gasperi», in (a cura di) Fabrizio Cicchitto, L'influenza del comunismo nella storia d'Italia, Rubbettino, 2008, pag. 86.)
Nella successiva riunione del Consiglio dei ministri, Mario Scelba, titolare degli Interni, portò un'imponente documentazione che mostrava non solo i reati compiuti dai singoli, ma rendeva evidente che essi poggiavano sull'esistenza di una rete organizzata. Si pose il problema di un partito, quello comunista che, con la sua organizzazione ed i suoi metodi di lotta politica, si allontanava da un piano di legalità. La questione della messa al bando del partito venne chiusa dal presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, che si mostrò subito contrario all'ipotesi[23].
"I documenti attestano in modo inequivocabile che l'organizzazione paramilitare era parte integrante del partito e rimase subordinata alla sua autorità"[2]. Secondo un rapporto SIFAR del dicembre 1950[24], i dirigenti dell'apparato militare del partito erano:
Arrigo Boldrini, che ricopriva le cariche di presidente dell'ANPI e comandante dei comitati rivoluzionari dell'Italia settentrionale;
Vincenzo Moscatelli, capo dell'organizzazione delle ex brigate partigiane piemontesi e responsabile dei quadri e delle brigate autonome;
Ilio Barontini, responsabile del controllo militare dell'Emilia e dell'organizzazione dei GAP e dei gruppi di sabotatori addestrati per l'azione nei centri abitati per l'azione nei centri abitati delle più importanti città;
Giorgio Amendola, responsabile dell'organizzazione militare dell'Italia centro-meridionale.....segue

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STORIA DELLA "GLADIO ROSSA"

Seconda fase: 1955-1974
Dopo la costituzione nel 1955 del Patto di Varsavia, il PCI decise di riorganizzare il suo apparato militare clandestino, formando squadre ristrette di specialisti addestrati nei campi oltre Cortina, destinate a fungere da "quinte colonne" a sostegno di forze d'invasione del Patto[25]. Al vecchio esercito di massa di derivazione partigiana si sostituì una struttura più agile e coesa. Parallelamente, nel partito la responsabilità dell'organizzazione passò dalle mani di Secchia a quelle di Giorgio Amendola.
Nel 1958, documenti di Questure e Prefetture dimostrano che l'organizzazione, alla fine degli anni cinquanta, era ancora in vita. Solo a partire dagli anni sessanta la struttura perse importanza strategica; fu quindi lasciata ad un lento, ma continuo, declino. I depositi di armi esistenti furono liquidati segretamente dai detentori[2]. Alla fine degli anni sessanta la struttura non era ancora stata smobilitata, tanto che nel 1967 Giorgio Amendola fu incaricato dal partito di “chiedere formalmente l'assistenza sovietica per preparare il partito alla sopravvivenza come movimento illegale e clandestino nel caso di un colpo di Stato”[Aiuto:Chiarezza][26].
Documenti, ricerche ed inchieste
Dossier del Sifar
Il primo documento in possesso del Ministero dell'Interno sull'organizzazione clandestina del PCI è il dossier del SIFAR (allora servizio segreto militare), risalente al febbraio del 1950. Nel documento sono riportati i nomi dei quadri dirigenti e gli obiettivi da colpire, la dislocazione delle forze in campo regione per regione, le strutture d'appoggio. Secondo il SIFAR, nel dopoguerra il PCI poteva contare su un esercito occulto di 250 000 unità, che sarebbero quadruplicate in caso di invasione da Est da parte delle forze del Patto di Varsavia[27].
Anche il ministro Mario Scelba chiese più volte di mettere fuori legge il PCI per i suoi programmi eversivi, ma in Consiglio dei Ministri prevalse la linea morbida per non trascinare il paese nella guerra civile[28], come dichiarato anche da Francesco Cossiga nella sua audizione parlamentare sotto riportata.
La rivelazione de L'Europeo: la «Gladio rossa»
Con la caduta del muro di Berlino e la successiva dissoluzione dell'Unione Sovietica è stato possibile accedere a documenti in precedenza coperti da segreto che provano l'esistenza di un'organizzazione segreta composta da fiancheggiatori del Partito Comunista Italiano con l'appoggio del KGB. Tale apparato esclusivamente operante in Italia, ma presente in modo autonomo in altri paesi occidentali senza legami reciproci, sarebbe stato organizzato immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale e ristrutturato circa un decennio dopo con forti riduzioni degli organici[senza fonte].
Su questo aspetto nascosto della storia comunista si sono cominciate ad avere notizie più approfondite a partire dal 1991 per uno scoop del settimanale L'Europeo. L'articolo, uscito nel nº 22 del 31 maggio, s'intitolava Di Gladio ne esisteva un'altra: quella rossa. A partire da questo momento l'apparato paramilitare del PCI è stato giornalisticamente denominato Gladio rossa[29].
Firmata da Romano Cantore e Vittorio Scutti, l'inchiesta rivela quanto segue:
«Suddivisi in nuclei autonomi, ognuno dei quali composto da dieci elementi, i gladiatori rossi erano distribuiti in tutte le più importanti federazioni provinciali del partito, dove figuravano come semplici attivisti. Ma solo gli uomini dell'ufficio organizzazione conoscevano il loro vero ruolo e potevano mobilitarli e provvedere a mantenerli in addestramento. Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria e Toscana erano le regioni dove esisteva il massimo concentramento di gladiatori rossi».
«I depositi clandestini di armi erano in caverne, casolari abbandonati e cimiteri».
L'articolo comprende un'intervista a Siro Cocchi, ex dirigente della federazione fiorentina del PCI. Cocchi rivela che i membri del partito chiamavano la struttura Vigilanza rivoluzionaria. Cocchi sostiene che l'organizzazione avesse solo compiti difensivi. Nei primi anni dopo la fine della guerra, in Francia era stato arrestato uno dei segretari del PCF, Jacques Duclos; i comunisti erano stati messi fuori legge in Grecia. L'organizzazione doveva proteggere i dirigenti del PCI in caso di messa al bando del partito in Italia. Per quanto riguarda chi dava gli ordini, Cocchi premette che «PCI e Vigilanza si muovevano su due piani paralleli, senza alcun punto ufficiale di contatto».
Poi aggiunge che i capi della Vigilanza «erano i dirigenti dell'ufficio organizzazione, diretto fino al 1955 da Pietro Secchia, vicesegretario generale del partito e fautore della lotta armata. Con lui c'erano ex partigiani di grande esperienza militare e clandestina come suo fratello Matteo». Poi Cocchi elenca alcune personalità locali; l'elenco finisce con «Pietro Verga, uno dei vice di Secchia, e Giulio Seniga, ex partigiano della Val d'Ossola, braccio destro di Secchia». L'anno in cui ci si avvicinò di più ad imbracciare le armi fu il 1948, non solo per le elezioni politiche, ma anche per l'attentato a Togliatti. [I capi del partito] «Volevano avere la capacità di difendersi militarmente senza che gli avversari lo sapessero».
L'Europeo però fa notare come, «nonostante l'assoluta segretezza, il controspionaggio Usa aveva intuito l'esistenza dell'organizzazione». «Le corrispondenze riservate inviate nel 1950 al Dipartimento di Stato da due agenti che operavano in Italia dicevano che l'armata clandestina del PCI era forte di 75 mila uomini, i quali si addestravano sull'Appennino tosco-emiliano». «Un rapporto del Ministero dell'Interno denuncia che negli anni tra il 1955 e il 1965 vennero ritrovati casualmente 73 cannoni, 319 mortai, 3.500 mitra, 3.700 pistole, 250 mila bombe a mano, molti chili di esplosivi di ogni tipo e ben 109 radiotrasmittenti». A cosa servissero le radiotrasmittenti, lo spiega ancora Siro Cocchi: servivano per comunicare di nascosto con i compagni rifugiati a Praga, cui venivano chiesti «aiuti e consigli per addestrare e tenere in efficienza la macchina militare della Vigilanza rivoluzionaria». Cocchi stesso trasportò per anni con la sua automobile un membro della Vigilanza da Firenze fino al Passo della Futa, punto da cui lanciava i segnali radio in Cecoslovacchia.
Nel numero successivo, uscito il 7 giugno 1991, giungono nuove rivelazioni relative agli ultimi anni dell'organizzazione paramilitare del PCI[30]:
Nel 1969 esistevano ancora dei depositi di armi, in luoghi imprecisati dell'Appennino ligure (forse anche nella parte appenninica compresa nella provincia di Pavia);
Luigi Longo era il "capo ideale" dell'organizzazione. Sosteneva in privato che bisognasse "organizzarsi" per resistere contro "un golpe della reazione". Dopo il colpo di Stato di Augusto Pinochet in Cile nel 1973, si diffuse infatti nel PCI l'idea che un golpe di destra fosse possibile anche in Italia. Scrive L'Europeo: "La doppiezza comunista ebbe di nuovo una sua grande stagione in quel "radioso" 1973. Da una parte Enrico Berlinguer e il suo riformismo; dall'altra la vecchia base stalinista-partigiana e la nuova, gruppettara-operaista, unite nella paura autoritaria e pronte a reagire militarmente contro le provocazioni "da qualunque parte provenienti"[31].
L'inverno 1973-1974 trascorse nella costante vigilanza operativa, uno o due gradini sotto il livello di allarme.
Il 12 ottobre 1974 il generale Vito Miceli, al vertice del SID, il servizio segreto militare, fu arrestato, accusato di cospirazione contro lo Stato. "Secondo la rete informativa del PCI occultata dentro le forze armate, vi era la possibilità di un tentativo autoritario"[32].
Nell'organizzazione clandestina scattò l'allarme rosso. L'ordine di mobilitazione partì il 1º novembre 1974 direttamente da Via delle Botteghe oscure (sede nazionale del PCI), emesso dall'ufficio organizzazione del partito. "Tutti i compagni più sicuri dovevano dormire fuori casa, in rifugi insospettabili". Fu dato ordine alle cellule occultate nella Rai e nel Corriere della Sera di sabotare telecomunicazioni e giornale in caso di golpe. I "gladiatori scarlatti" misero sotto tiro il trasmettitore Rai di Monte Penice, mentre i "compagni" nascosti sull'appennino si schierarono nelle zone di rispettiva competenza, ritirando fuori le mitragliatrici Sten e i mortai. Tutto ciò fu fatto all'insaputa di Enrico Berlinguer e di molti dirigenti regionali a lui fedeli. Quando il segretario venne a sapere della mobilitazione, ordinò un'inchiesta. E alla fine dell'indagine Berlinguer decise di sciogliere le "Commissioni antifascismo" (dietro le quali si celavano gli uomini dell'apparato paramilitare del partito). Era il novembre del 1974[33].
L'inchiesta della Procura di Roma
A seguito delle rivelazioni del settimanale L'Europeo, la Procura della Repubblica di Roma decise di avviare un'inchiesta (8393/92 poi 8393/92B), protrattasi dal 1991 al 1994. I PM Luigi de Ficchy e Franco Ionta poterono indagare solo su fonti di tipo indiretto, in cui l'organizzazione veniva descritta nella sua articolazione generale. Da esse non vennero individuati reati attribuibili a singole persone. L'indagine preliminare si concluse nel maggio 1994. I due magistrati, e il G.I.P. Claudio D'Angelo che nel luglio dello stesso anno dispose l'archiviazione dell'indagine, rilevarono l'effettiva esistenza di una organizzazione armata occulta facente capo al PCI attiva fin dall'immediato dopoguerra e come alcuni suoi militanti fossero stati addestrati al sabotaggio ed alla guerriglia al di là della Cortina di ferro, anche se "l'accertata predisposizione da parte del PCI di meccanismi difensivi in vista del temuto cambiamento del clima politico in Italia" non avrebbe assunto "dimensioni tali da costituire un serio, concreto pericolo per lo Stato"[34]. Eventuali richieste di rinvio a giudizio per banda armata si sarebbero comunque scontrate con i tempi di prescrizione, già ampiamente scaduti.
Rimane peraltro ineludibile che i dossier esaminati dai PM, sia quelli dei servizi sia quelli della polizia hanno dato della Gladio Rossa descrizioni analoghe.[senza fonte]
Della struttura paramilitare del PCI si è occupata inoltre la "Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi" (Commissione stragi), che nel 1998 ha affidato ricerche a Victor Zaslavsky e a Bradley Smith rispettivamente sugli archivi del KGB e della CIA.
Le relazioni della "Commissione stragi"
Nel 1999 venne divulgato da parte della stampa inglese il cosiddetto "dossier Mitrokhin", consistente in una serie di schede trascritte dall'archivista Vasilij Mitrochin dagli archivi del KGB, relativi alle attività di questo in Italia. Il dossier, conosciuto anche come "materiale" o "rapporto Impedian", venne trasmesso dai servizi segreti britannici a quelli italiani tra il 1995 e il novembre del 1998, e venne quindi inviato dal Governo alla "Procura della Repubblica" e quindi da questa alla "Commissione stragi".
La Commissione stragi ha quindi affidato ulteriori incarichi di ricerca nel 1999 a Victor Zaslavzky e altri, si è inoltre pronunciata a favore dell'istituzione di una nuova separata commissione d'inchiesta parlamentare su questo argomento. La nuova commissione ("Commissione parlamentare d'inchiesta concernente il "dossier Mitrokhin" e l'attività d'intelligence italiana") è stata in seguito costituita nella successiva legislatura nel 2002[35].
Nel 2000 la "Commissione stragi" constatata l'impossibilità di produrre un'unica relazione condivisa, al termine dei suoi lavori, ha pubblicato 18 diverse relazioni firmate da singoli membri o da gruppi di essi, rinunciando a trarne una sintesi unitaria. La relazione di un altro consulente della commissione, Gianni Donno, consegnata nel 2001 e riguardante la "Gladio rossa", fu trasmessa dal vicepresidente della Commissione stessa, Vincenzo Manca (Forza Italia) alla Procura della Repubblica di Roma: fu aperta una seconda inchiesta che si concluse nuovamente nel 2002 con una richiesta di archiviazione.
Audizione dell'ammiraglio Fulvio Martini
Secondo l'ammiraglio Fulvio Martini, già direttore del Sismi, ascoltato dalla Commissione stragi, lo stesso KGB aveva interesse che in Italia, Paese assegnato dagli accordi di Jalta alla sfera d'influenza statunitense, ci fosse un partito comunista molto forte, ma che questo mai andasse al potere per non sconvolgere gli equilibri ottenuti con gli accordi stessi:
« MARTINI. "Krjuchkov (il capo del KGB) mi disse, ad esempio, che loro erano i più precisi osservanti degli accordi di Jalta. Ed era verosimile per il semplice motivo che i tre paesi confinanti, Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria, che si erano ribellati, loro non volevano che fossero aggrediti dalla propaganda americana. A loro faceva comodo che ci fosse in Italia un forte Partito comunista. Mi disse Krjuchkov: il Partito comunista in Italia non arriverà mai al potere perché noi cominceremmo a preoccuparci veramente, visto che è stato assegnato a Jalta agli americani, non è un paese grigio come la Jugoslavia, è un paese bianco; noi arriveremmo persino a prendere misure attive. Misure attive nel gergo dei servizi significa fare la disinformation: introdurre documenti falsi ed altre cose del genere. Quindi loro avevano interesse che ci fosse un forte Partito comunista, ma non che potesse arrivare al potere perché avrebbe turbato l'equilibrio al quale loro tenevano molto, perché secondo loro l'Italia non valeva i tre paesi confinanti, che si erano già ribellati a loro." »
(Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 54ª seduta, Audizione dell'ammiraglio Fulvio Martini, già direttore del Sismi, su recenti notizie concernenti attività spionistiche collegate a fenomeni eversivi e sul caso Moro. [36])
La forza militare clandestina sarebbe stata tuttavia mantenuta per intervenire contro un'eventuale opposizione armata ad una legittima vittoria elettorale del PCI: in tal caso sarebbero potuti intervenire in appoggio anche gli eserciti della Jugoslavia e dell'Ungheria senza disattendere gli accordi di Jalta.
Audizione di Francesco Cossiga
Le conclusioni dei magistrati Ionta e Covatta hanno suscitato critiche, in ragione del fatto che l'equivoco di fondo tra formazioni clandestine (volte alla vigilanza e difesa del PCI) e formazioni paramilitari del partito, era stato alla fine messo alla luce con evidenza. A ciò aveva contribuito la lunga testimonianza in commissione Stragi del presidente Francesco Cossiga, in passato Ministro dell'interno e Presidente del Consiglio, nell'audizione del novembre 1997, allorché aveva parlato di tre differenti strutture legate al PCI:
1. ufficiale
2. clandestina
3. paramilitare
Francesco Cossiga, ascoltato dalla Commissione stragi a proposito dell'apparato paramilitare e della politica parlamentare del PCI, disse:
« PRESIDENTE. Per la sua esperienza di Governo, che inizia nel 1966 come sottosegretario alla difesa e poi prosegue con l'assunzione del Dicastero dell'interno, su queste strutture clandestine del Pci che informazioni avevate?
COSSIGA. "Secondo il briefing che sostenni quando divenni sottosegretario alla difesa (non mi chieda chi me lo fece perché onestamente non me lo ricordo che poi fu lo stesso che tenne anche, per incarico del ministro Tremelloni, il briefíng su «Stay behind») mi fu detto che a quell'epoca il Partito comunista italiano era strutturato ancora su tre livelli.
La struttura del Partito comunista vera e propria entro cui, come poi ha dichiarato con molta onestà ed ha confermato Zagladin, esisteva la cosiddetta amministrazione speciale di cui erano al corrente in un secondo momento solo il segretario del Partito e il capo della segreteria (quindi prima Longo e Cossutta e poi Berlinguer e Cervetti).
Esistevano due altre strutture.
La struttura paramilitare, sia ben chiaro, nulla ha a che fare con il cosiddetto «Triangolo rosso». Tant'è vero che, come è noto, Togliatti, quando accaddero questi episodi, si precipitò a parlare in quelle federazioni. Sono amico di quel povero sindaco il quale, pur di tenere fuori il partito, si è fatto sbattere in galera per l'omicidio di don Pessina, mentre lui non c'entrava niente: gli dissero che era meglio se andava in galera lui piuttosto che far scoprire tutti gli altri e lui è rimasto in galera. Solo la grande onestà dei discendenti delle persone coinvolte ha portato ad una soluzione del caso, anche se credo che non abbiano neppure fatto la revisione del processo.
L'altra struttura era quella di cui avete senz'altro letto perché se ne può trovare traccia in qualunque testo sulla storia del Partito comunista: si trattava di una struttura clandestina, un partito parallelo che veniva tenuto dormiente per il caso - e comprendo benissimo la prudenza - che il Partito comunista venisse dichiarato illegale, in modo che potesse essere subito sostituito da una struttura in grado di funzionare. È quella per la quale si è parlato di una cosiddetta «Gladio rossa» che non era tale, tanto è vero che è intervenuta la richiesta di archiviazione da parte dei magistrati, approvata dal Gip. Si trattava di una struttura difensiva del Partito comunista, organizzata certamente dal Comitato per la politica estera del Partito comunista dell'Unione Sovietica con l'aiuto del Kgb. Non è stata considerata illegale in quanto era una struttura puramente difensiva: una Gladio alla rovescia, dotata di stazioni trasmittenti. Mandarono in Unione Sovietica a fare dei corsi quindici o venti persone, come risulta dagli atti della procura della Repubblica, nell'eventualità che il Partito comunista legale fosse dichiarato illegale."
PRESIDENTE. Ed anche nell'ipotesi in cui potesse verificarsi una involuzione autoritaria della situazione italiana.
COSSIGA. "Sì, certamente. Tant'è vero che, benché si trattasse di una struttura clandestina, l'autorità giudiziaria di Roma ha chiesto l'archiviazione anche dopo aver accertato che i fatti contestati erano veri: si trattava infatti di una attività non rivolta contro lo Stato italiano, perché prepararsi a far fuggire delle persone dall'aeroporto dell'Urbe, addestrarsi a truccarle o altre attività del genere non vedo in quale altro modo potevano essere giudicate. Se io fossi stato un dirigente del Partito comunista avrei fatto io stesso. Come lei capisce, signor Presidente, ho una grande simpatia nei confronti di queste organizzazioni clandestine del Partito comunista."
PRESIDENTE. Del resto lei lo ha detto, parlando di se stesso: spione una volta, spione per sempre. Ammiro questa sua sincerità e l'amicizia cui lei accennava prima nasce proprio dall'ammirazione per la sua sincerità.
COSSIGA. "Sono cose vere, che però devono essere inquadrate."
PRESIDENTE. Storicizzate.
COSSIGA. "Se noi cominciamo a dire che il Partito comunista mandava venti o trenta giovani nell'Unione Sovietica ad addestrarsi per far scappare la gente, a fare corsi di cifrario, sembra che stessero facendo attività di spionaggio. Invece il Partito comunista si trovava da una parte del mondo dove se fosse scoppiata la guerra i dirigenti comunisti sarebbero finiti tutti in galera: che il Partito comunista si preparasse a farli scappare mi sembra assolutamente logico e non tale da far scandalizzare nessuno."
......
PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo. Lei esclude che subito dopo la strage di piazza Fontana l'idea di dichiarare lo stato di emergenza sia stata esaminata in sede politica?
COSSIGA. "Assolutamente."
PRESIDENTE. Quindi anche quello che racconta Moro sul suo ritorno da Parigi non sarebbe vero.
COSSIGA. "No. Proclamare lo stadio di assedio o cose del genere? Assolutamente. Tra l'altro ho l'impressione che la gente non comprenda che la proclamazione dello stato di assedio avrebbe voluto dire lo scoppio della guerra civile in Italia. Quando mi sono chiesto per quale motivo il Partito comunista non si sia impadronito del potere con la forza, dato l'alto grado di penetrazione che aveva in tutti gli apparati dello Stato, la spiegazione è stata solo una: la scelta irrevocabilmente democratica e parlamentare fatta da Togliatti e la divisione del mondo in due. Lo Stato italiano non sarebbe stato assolutamente in grado di impedire una presa del potere per infiltrazione o per violenza da parte del Partito comunista. Di questo non ho dubbio alcuno. Ecco il motivo del mio giudizio di democraticità sul Partito comunista: perché il Partito comunista non ha fatto quello che avrebbe potuto facilmente fare. E non lo ha fatto per due motivi: perché Mosca non glielo avrebbe permesso, anzi li avrebbe mollati, e in secondo luogo perché la scelta democratica e parlamentare di Togliatti (la «via nuova») era irrevocabile. La «Bolognina» non è stata fatta da Occhetto, ma da Togliatti." »
(Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 27ª seduta, Inchiesta su stragi e depistaggi: audizione del senatore Francesco Cossiga, Presidenza del Presidente Pellegrino[37])
Ricerche pubblicate dopo il 2010
Rocco Turi ha ricostruito la storia dei rapporti tra PCI e Partito comunista cecoslovacco durante la Guerra fredda ed è giunto alla conclusione che un ruolo di raccordo fondamentale tra le due organizzazioni e il PCUS fu svolto dalla «Scuola politica del compagno Synka» (Politicka Skola Soudruha Synka), un'emanazione del partito comunista ceco. Tale organismo, istituito a Praga nel 1950, celava dietro al nome ufficiale una struttura occulta che si occupava di insegnare ai comunisti italiani tecniche di sabotaggio e preparazione di attentati. Il PCI si occupava di inviare in Cecoslovacchia gli elementi fidati. Tutto il processo si svolgeva sotto il controllo del PCUS. Questa struttura fu chiusa alla metà degli anni settanta, ma rimase segreta fino al 1990.
Nel 1990, com'è noto, emerse allo scoperto la struttura NATO «Stay Behind», formata per contrastare le operazioni illegali del PCI in Cecoslovacchia. Poco tempo dopo venne coniata la denominazione "Gladio Rossa", che ricomprende gli aderenti a PCI, PCC e "Scuola politica del compagno Synka" in un unicum compatto. Secondo la ricostruzione di Rocco Turi, "Gladio Rossa" è quindi una denominazione nata a posteriori.[38]

Fonte wikipedia

Altre fonti :

Professore Gianni Donno, consulente della commissione Mitrokhin (e in precedenza della commissione stragi) e ordinario di Storia contemporanea presso l'Università di Lecce, La gladio rossa del PCI (1945-1967), edito da Rubbettino nel 2001, che presenta la prima documentazione organica sulla struttura paramilitare del PCI con ampio contributo in termini di documenti d'archivio.

l fatto che Mosca fosse costantemente informata dell'esistenza della forza paramilitare è confermato in un rapporto dell'ambasciatore sovietico ai suoi superiori, 15 giugno 1945, il quale riferisce che «i partigiani del Nord continuano a nascondere le loro armi» e la circostanza è confermata anche da Victor Zaslavsky nel suo libro Lo stalinismo e la sinistra italiana (edito da Mondadori nel 2004) a proposito delle elezioni del 18 aprile 1948, alla vigilia delle quali il PCI riteneva che la DC non avrebbe riconosciuto un esito elettorale favorevole al Fronte popolare.

"I timori di guerra civile nelle discussioni dei governi De Gasperi», di Aldo G. Ricci, in AA.VV,

L'influenza del comunismo nella storia, Rubbettino 2008, p.86

Salvatore Sechi Compagno cittadino - Il PCI tra via parlamentare e lotta armata, edito da Rubbettino nel 2006, che investiga il tema della struttura paramilitare del PCI alla luce delle fonti d'archivio dei rappresentanti statunitensi in Italia.

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8 Anni 5 Mesi fa #3461 da gnaffetto
Risposta da gnaffetto al topic La storia nascosta
non conoscevo la storia della gladio rossa...

da quello che mi sembra di capire è che pero' la sua esistenza è stata solo preventiva, di deterrenza mentra la gladio "USA" è stata effettivamente impiegata in funzione terroristica e di manipolazione dei processi democratici.

la gladio "nera" ha impedito un cambio politico (terrorismo) e lo avrebbe impedito anche se fosse stato ottenuto per via democratica (golpe) mentre la gladio rossa, da quel che ho capito, sarebbe servita solo per proteggere una "conquista" del potere ottenuta democraticamente (elezioni).

c'e' una bella differenza ....

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8 Anni 5 Mesi fa - 8 Anni 5 Mesi fa #3463 da Starburst
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gnaffetto ha scritto: non conoscevo la storia della gladio rossa...

da quello che mi sembra di capire è che pero' la sua esistenza è stata solo preventiva, di deterrenza mentra la gladio "USA" è stata effettivamente impiegata in funzione terroristica e di manipolazione dei processi democratici.

la gladio "nera" ha impedito un cambio politico (terrorismo) e lo avrebbe impedito anche se fosse stato ottenuto per via democratica (golpe) mentre la gladio rossa, da quel che ho capito, sarebbe servita solo per proteggere una "conquista" del potere ottenuta democraticamente (elezioni).

c'e' una bella differenza ....


Certo che c'e' differenza ma se fosse riuscita la "conquista" rossa saremmo entrati giocoforza nel patto di varsavia, a livello dell'ex jugoslavia, ma avremmo gravitato nell'orbita di mamma russia,quindi ancora una volta saremmo stati colonia di qualcuno, mica ci avrebbero lasciati liberi e giocondi,(il supporto armato sarebbe servito per rintuzzare gli attacchi della gladio nera) :neo:
sarebbe stato meglio o peggio? Lascio a te decidere, io non ne ho assolutamente idea,ma come dico sempre ....timeo danaos et dona ferentes.

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8 Anni 5 Mesi fa - 8 Anni 5 Mesi fa #3464 da gnaffetto
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ancora una volta saremmo stati colonia di qualcuno


forse se fossimo stati governati dal pci italiano (che era molto diverso dal pci russo) magari sarebbero stati messi in discussione i trattati di pace della guerra persa contro gli americani, sarebbero state smantellate le basi militari usa e ci sarebbe sato un clima meno intimidatorio (un po' di pressione te li mettono i militari ...).
magari la via italiana non sarebbe stato un comunismo (che comunque assicura un minimo a tutti, a contrario del liberismo dove se non hai niente è perche' te lo meriti, non sei capace di guadagnartelo...) alla russa ma un socialismo dove lo stato e la libera impresa convivessero in settori diversi (fino alla fine degli anni 70 ci furono grandi conquiste di diritti e autonomia industriale statale).

l'atteggiamento della "destra" è sempre stato : le regole devono essere seguite finche' vinco io, se non vinco allora faccio in modo di vincere lo stesso perche' l'altro non DEVE vincere: è proprio la concezione di avere sempre ragione la differenza ANTROPOLOGICA.
Da questo punto di vista i politici che si definiscono o occupano posizioni a sinistra sono in realta' di destra perche' in realta' DESTRA e SINISTRA sono un diverso ATTEGGIAMENTO e CONSIDERAZIONE verso gli altri.
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8 Anni 5 Mesi fa - 8 Anni 5 Mesi fa #3468 da Starburst
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gnaffetto ha scritto:

ancora una volta saremmo stati colonia di qualcuno


forse se fossimo stati governati dal pci italiano (che era molto diverso dal pci russo) magari sarebbero stati messi in discussione i trattati di pace della guerra persa contro gli americani, sarebbero state smantellate le basi militari usa e ci sarebbe sato un clima meno intimidatorio (un po' di pressione te li mettono i militari ...).
magari la via italiana non sarebbe stato un comunismo (che comunque assicura un minimo a tutti, a contrario del liberismo dove se non hai niente è perche' te lo meriti, non sei capace di guadagnartelo...) alla russa ma un socialismo dove lo stato e la libera impresa convivessero in settori diversi (fino alla fine degli anni 70 ci furono grandi conquiste di diritti e autonomia industriale statale).

l'atteggiamento della "destra" è sempre stato : le regole devono essere seguite finche' vinco io, se non vinco allora faccio in modo di vincere lo stesso perche' l'altro non DEVE vincere: è proprio la concezione di avere sempre ragione la differenza ANTROPOLOGICA.
Da questo punto di vista i politici che si definiscono o occupano posizioni a sinistra sono in realta' di destra perche' in realta' DESTRA e SINISTRA sono un diverso ATTEGGIAMENTO e CONSIDERAZIONE verso gli altri.


Carissimo ho paura che non sarebbe stato propio cosi',ma non nelle intenzioni del pci, per rimettere in discussione tali trattati all'epoca avresti dovuto avere le spalle coperte da qualche potenza militare avversa alla nato,altrimenti hai davanti a te la fine di allende, l'embargo a cuba che come crollo' l'unione sovietica divenne ancora piu' crudele, gli attacchi al venezuela di chavez rintuzzati non solo dalla volonta' popolare ma anche perche' aveva il petrolio da vendere alle altre nazioni.
Negli anni 70 in italia ci furono grandi conquiste ma anche la strategia della tensione e siamo andati a tanto cosi' dall'instaurazione di una dittatura nazi-fascista stile spagna o grecia ed eravamo in "democrazia" pensa se ci fosse stato un governo di sinistra,quindi per difendere tali conquiste saremmo stati costretti a chiedere l'aiuto militare ed economico di qualcuno e nessuno te lo da' senza interessi...timeo danaos et dona ferentes.

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8 Anni 4 Mesi fa - 8 Anni 4 Mesi fa #3791 da Starburst
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CHI HA UCCISO VITTORIO ARRIGONI?

A cinque anni dal suo assassinio messo sotto silenzio fin da subito, un libro inchiesta tenta di svelare una possibile pista per arrivare ai mandanti ed agli esecutori materiali di un omicidio rimasto insoluto, come quello di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin tra gli altri.
L'autrice Monica Mistretta mette l'accento come al solito sull'intreccio di intelligence tra cui quella italiana e fazioni poltiche , tra delegazioni diplomatiche e maneggioni di ogni razza e colore.

Chi ha ucciso Vittorio Arrigoni?
“Restiamo umani”, due parole, quasi un monito, con cui Vittorio Arrigoni chiudeva i suoi articoli.
Non è rimasto umano, però, chi lo ha ucciso nella notte tra il 14 e il 15 aprile 2011, strangolandolo. Ritrovato in un appartamento di Gaza city; la sera di mercoledì, uscito dalla palestra dove era solito recarsi, aveva prenotato un tavolo in una trattoria gestita da amici per le 22; alle 22:30 non vedendolo ancora giungere, viene cercato al cellulare, che risulta staccato.
 Ad ucciderlo, dirà dopo le indagini la Sicurezza di Hamas, è stata una cellula terroristica fuori controllo, il gruppo salafita al-Tawhid wa’al-Jihad.
 È la fine di un 'amico del popolo Palestinese', insignito della cittadinanza onoraria: “Per uno come me, venuto su a pane e antifascismo, la lotta per la liberazione della Palestina è l’arena più congeniale per esprimere ciò in qui più credo.
L’unico, l’ultimo popolo al mondo ancora oppresso da una egemonia coloniale.”
Attivista umanitario, reporter con accesso alla Striscia di Gaza, praticamente l’unico giornalista in contatto con quelle realtà, tutto raccontato nel suo blog Guerrila Radio, sgradito ad Israele, che lo ferma e lo espelle più volte, picchiato dai soldati dell’esercito israeliano.
Arrestato e torturato per il suo impegno pacifista: un eroe, un martire dei nostri tempi.
Ma Vittorio è solo l’apologia che ci è stata raccontata?
I suoi assassini sono davvero i membri di una cellula salafita fuori controllo, Brigata Muhammad Ibn Muslim, che neppure esisteva?
Sono alcune delle domande che si pone la giornalista Monica Mistretta nel suo libro ‘Vittorio Arrigoni, il cono d’ombra’, edito da A3books. Ed è con le domande, più che con le risposte che si arriva alla verità e l’obiettivo del libro è rischiarare il cono d’ombra sulla morte del giovane attivista.
Omicidio sul quale si è trattato molto, ma solo in una direzione univoca e superficiale.
Vittorio sarebbe stato ucciso dai jihadisti salatiti perché diffondeva a Gaza i vizi propri dell’occidente, un po’ debole e riduttiva come motivazione per una morte eccellente sulla quale sembra stagliarsi l’ombra di Fatah
Un processo anomalo, istruito da una Corte composta da militari, ragione per cui gli avvocati della famiglia Arrigoni non possono costituirsi parte civile, confessioni rese da imputati che in pratica non dicono nulla.
Tante, troppe stranezze e nessuna risposta sul perché Vittorio è stato rapito e ucciso: ma chi aveva interesse ad ucciderlo?
Un personaggio scomodo, scaricato dall’Italia e amato da Hamas, ufficialmente un movimento terroristico che però segretamente incontra i rappresentanti di tutti i governi europei.
Quindi tutto semplice, acclarato, Vittorio Arrigoni è stato ucciso dai salafiti o da Hamas!  Forse non è così, forse è quanto si è tentato di far credere, con un certosino lavorio di depistaggi.
Depistaggio ovviamente italiano, che si potrebbe rivelare un boomerang: Hamas non ci sta e si difende raccontando la sua verità a Monica Mistretta, i responsabili dell’omicidio di Arrigoni sono Fatah e gli americani.
E un’inquietante rivelazione di Muhammad Hannun, presidente ABSPP e API “Non auguro a nessuno di scoprire che l’Italia è coinvolta in questo omicidio, stare lontano da questo caso significa nascondere la vergogna”, lasciando intendere che l’esecuzione è stata attuata con il consenso italiano.
L’Italia. La procura di Roma apre un fascicolo per sequestro di persona con finalità di terrorismo aggravato dalla morte dell’ostaggio il 15 aprile.
 Impraticabile la collaborazione giudiziaria: Hamas è nella lista europea delle organizzazioni terroristiche, un’inchiesta senza strumenti per procedere.
Silenzio anche da parte del Copasir e della politica, un silenzio strano, dal momento che un italiano è stato assassinato.
Ad accogliere la salma di Vittorio, il 20 aprile, nessun rappresentante istituzionale, sulla bara non c’è la bandiera italiana, solo quella palestinese e una kefiah, eppure Arrigoni aveva ottimi rapporti con il mondo della politica, in special modo con Massimo D’Alema.
E  il pensiero corre al traffico d’armi, armi provenienti dalla Libia dirette verso il Sudan con destinazione Gaza, un funzionario del ministero dell’Interno di Gaza confida a Monica Mistretta che Vittorio, attivo sui pescherecci palestinesi, è stato ucciso per impedire il traffico d’armi nella Striscia.
Cosa trasportavano quei pescherecci?
Interrogativi irrisolti, ma alla verità si arriva più con le domande che con le risposte

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8 Anni 4 Mesi fa - 8 Anni 4 Mesi fa #3937 da Starburst
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IL PAESE DEI FANTOCCI

Si allunga ulteriormente la lista di politici,industriali,faccendieri, maneggioni e massoni italioti al soldo di intelligence e potenze straniere, tempo fa baffetto d'alema si lascio' sfuggire ma senza volerlo eh! Che il boyscout fiorentino avesse amici nel mossad israeliano con qualche spruzzatina di cia e mi6, noi che frequentiamo questo blog sappiamo bene di vivere in colonia fin dalla nascita e quindi non ci stupiamo di certe notizie,anzi scommettiamo sui modi e sui tempi del reclutamento di certa gente.
Tal leeden ex piduista e in qualche modo coinvolto nell'affare moro, fa parte del cosidetto governo renzi fin dalla sua nascita,infatti e' lui e qualche altro che preparano i compitini da svolgere per il fonzie dell'arno,che dopo essersi parato il culo comprandosi la rai per la propaganda, adesso mira al controllo nominando carrai ai servizi segreti o quello che sembrano, carrai e' quello che fa da tramite tra leeden e il mossad.
Parleremo dopo di leeden,scopriremo chi e' stato e chi e' ancora oggi,intanto posto l'articolo che sembra interessante ma che al solito non spiega mai tutto nel dettaglio.

www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/23/marc...zza-litalia/2665774/

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8 Anni 4 Mesi fa - 8 Anni 4 Mesi fa #3944 da Starburst
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UN ALTRO ELEMENTO DEL TRIO MONDEZZA

Famoso per il suo "amore" per l'italia, ingerente fino alla nausea, lavora affinche' la politica italiota sposti le sue preferenze per israele, il trio mondezza (kissinger,luttwak,leeden), ha un occhio speciale per il nostro paese, reclutatore di fantocci di ogni mestiere,il trio ancora oggi tiene in mano le sorti politico-diplomatiche dell'area mediterranea.
Di luttwak ne abbiamo accennato,il beone ebreo ogni tanto spara cazzate che chiama opinioni e poi come dice lui stesso "corre a farsi una vodka", scrittore di saggi su come rovesciare governi non amici,famosa la sua frase..con il golpe in cile abbiamo impedito una probabile dittatura!! Infatti al potere ci ando' pinochet!!!!Ha formato con kissinger per molto tempo l'anima nera di israele,ora kissinger ha un po mollato per via dell'eta' e molto cordialmente gli auguriamo una morte lenta e dolorosa.
Oggi ci occuperemo del terzo elemento del trio, michael leeden, per lungo tempo persona non gradita in italia,come vedremo dagli articoli redatti da tre diversi giornalisti che hanno in comune il non far parte dell'informazione mainstream.
Ho preferito mettere gli articoli in ordine cronologico,cosi' da distinguere il tempismo di tali articoli con quelli del fatto quotidiano,che sembra sempre sul punto di fare rivelazioni bomba,ma che ogni volta si ferma a pochissimo dal concludere,chissa' forse per il fattore "equilibrio".

Ecco chi si nasconde nell'ombra di Renzi
La destra repubblicana neocon e quella israeliana, l'Arabia Saudita, Morgan Stanley, Mediobanca, De Benedetti e Caltagirone. Dietro Renzi non c'è spazio per il Quinto Stato

venerdì 14 febbraio 2014
di Franco Fracassi


Quando negli anni Ottanta Michael Ledeen varcava l'ingresso del dipartimento di Stato, al numero 2401 di E Street, chiunque avesse dimestichezza con il potere di Washington sapeva che si trattava di una finta. Quello, per lo storico di Los Angeles, rappresentava solo un impiego di facciata, per nascondere il suo reale lavoro: consulente strategico per la Cia e per la Casa Bianca. Ledeen è stato la mente della strategia aggressiva nella Guerra Fredda di Ronald Reagan, è stato la mente degli squadroni della morte in Nicaragua, è stato consulente del Sismi negli anni della Strategia della tensione, è stato una delle menti della guerra al terrore promossa dall'Amministrazione Bush, oltre che teorico della guerra all'Iraq e della potenziale guerra all'Iran, è stato uno dei consulenti del ministero degli Esteri israeliano. Oggi Michael Ledeen è una delle menti della politica estera del segretario del Partito democratico Matteo Renzi.

Forse è stato anche per garantirsi la futura collaborazione di Ledeen che l'allora presidente della Provincia di Firenze si è recato nel 2007 al dipartimento di Stato Usa per un inspiegabile tour. Non è un caso che il segretario di Stato Usa John Kerry abbia più volte espresso giudizi favorevoli nei confronti di Renzi.

.Ma sono principalmente i neocon ad appoggiare Renzi dagli Stati Uniti. Secondo il "New York Post", ammiratori del sindaco di Firenze sarebbero gli ambienti della destra repubblicana, legati alle lobby pro Israele e pro Arabia Saudita.

In questa direzione vanno anche il guru economico di Renzi, Yoram Gutgeld, e il suo principale consulente politico, Marco Carrai, entrambi molti vicini a Israele. Carrai ha addirittura propri interessi in Israele, dove si occupa di venture capital e nuove tecnologie. Infine, anche il suppoter renziano Marco Bernabè ha forti legami con Tel Aviv, attraverso il fondo speculativo Wadi Ventures e, il cui padre, Franco, fino a pochi anni fa è stato arcigno custode delle dorsali telefoniche mediterranee che collegano l'Italia a Israele.

Forse aveva ragione l'ultimo cassiere dei Ds, Ugo Sposetti, quando disse: «Dietro i finanziamenti milionari a Renzi c'è Israele e la destra americana». O perfino Massimo D'Alema, che definì Renzi il terminale di «quei poteri forti che vogliono liquidare la sinistra».

Dietro Renzi ci sono anche i poteri forti economici, a partire dalla Morgan Stanley, una delle banche d'affari responsabile della crisi mondiale. Davide Serra entrò in Morgan Stanley nel 2001, e fece subito carriera, scalando posizioni su posizioni, in un quinquennio che lo condusse a diventare direttore generale e capo degli analisti bancari.
La carriera del giovane broker italiano venne punteggiata di premi e riconoscimenti per le sue abilità di valutazione dei mercati. In quegli anni trascorsi dentro il gruppo statunitense, Serra iniziò a frequentare anche i grandi nomi del mondo bancario italiano, da Matteo Arpe (che ancora era in Capitalia) ad Alessandro Profumo (Unicredit), passando per l'allora gran capo di Intesa-San Paolo Corrado Passera.

Nel 2006 Serra decise tuttavia che era il momento di spiccare il volo. E con il francese Eric Halet lanciò Algebris Investments.
Già nel primo anno Algebris passò da circa settecento milioni a quasi due miliardi di dollari gestiti.
L'anno successivo Serra, con il suo hedge fund, lanciò l'attacco al colosso bancario olandese Abn Amro, compiendo la più importante scalata bancaria d'ogni tempo.

Poi fu il turno del banchiere francese Antoine Bernheim a essere fatto fuori da Serra dalla presidenza di Generali, permettendo al rampante finanziere di mettere un piede in Mediobanca.

Definito dall'ex segretario Pd Pier Luigi Bersani «il bandito delle Cayman», Serra oggi ha quarantatré anni, vive nel più lussuoso quartiere di Londra (Mayfair), fa miliardi a palate scommettendo sui ribassi in Borsa (ovvero sulla crisi) ed è il principale consulente finanziario di Renzi, nonché suo grande raccoglietore di denaro, attraverso cene organizzate da Algebris e dalla sua fondazione Metropolis.

E così, nell'ultimo anno il gotha dell'industria e della finanza italiane si sono schierati uno a uno dalla parte di Renzi. A cominciare da Fedele Confalonieri che, riferendosi al sindaco di Firenze, disse: «Non saranno i Fini, i Casini e gli altri leader già presenti sulla scena politica a succedere a Berlusconi, sarà un giovane». Poi venne Carlo De Benedetti, con il suo potentissimo gruppo editoriale Espresso-Repubblica («I partiti hanno perduto il contatto con la gente, lui invece quel contatto ce l'ha»). E ancora, Diego Della Valle, il numero uno di Vodafone Vittorio Colao, il fondatore di Luxottica Leonardo Del Vecchio e l'amministratore delegato Andrea Guerra, il presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera con la moglie Afef, l'ex direttore di Canale 5 Giorgio Gori, il patron di Eataly Oscar Farinetti, Francesco Gaetano Caltagirone, Cesare Romiti, Martina Mondadori, Barbara Berlusconi, i banchieri Fabrizio Palenzona e Claudio Costamagna, il numero uno di Assolombarda Gianfelice Rocca, il patron di Lega Coop Giuliano Poletti, Patrizio Bertelli di Prada, Fabrizio Palenzona di Unicredit, Il Monte dei Paschi di Siena, attraverso il controllo della Fondazione Montepaschi gestita dal renziano sindaco di Siena Bruno Valentini, e, soprattutto, l'amministratore delegato di Mediobanca Albert Nagel, erede di Cuccia nell'istituto di credito.

Proprio sul giornale controllato da Mediobanca, "Il Corriere della Sera", da sempre schierato dalla parte dei poteri forti, è arrivato lo scoop su Monti e Napolitano, sui governi tecnici. Il Corriere ha ripreso alcuni passaggi dell'ultimo libro di Alan Friedman, altro uomo Rcs. Lo scoop ha colpito a fondo il governo Letta e aperto la strada di Palazzo Chigi a Renzi.

Il defunto segretario del Psi Bettino Craxi diceva: «Guarda come si muove il Corriere e capirai dove si va a parare nella politica». Gad Lerner ha, più recentemente, detto: «Non troverete alla Leopolda i portavoce del movimento degli sfrattati, né le mille voci del Quinto Stato dei precari all'italiana. Lui (Renzi) vuole impersonare una storia di successo. Gli sfigati non fanno audience»....Segue

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8 Anni 4 Mesi fa #3955 da Starburst
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UN ALTRO ELEMENTO DEL TRIO MONDEZZA


Chi è Michael Ledeen?
Di Manlio Di Stefano
10 settembre 2014


Michael Ledeen, faccendiere e persona dichiarata non gradita all’Italia già negli anni ’80, coinvolto in scandali internazionali, complicati rapporti diplomatici tra stati e azioni riferibili ai servizi segreti italiani, americani e israeliani, è oggi annoverato tra i collaboratori del Primo Ministro Matteo Renzi e rappresenta il consigliere “a stelle e strisce” per la politica estera italiana. La sua figura, molto nebulosa, potrebbe rappresentare la causa delle “discutibili” scelte politiche del nostro Paese nelle recenti controversie in Medioriente e Russia.
E’ proprio questo uno dei motivi per cui dovremmo interessarci di Ledeen: se le nostre aziende sono messe in ginocchio dall’embargo russo, potrebbe essere anche “merito” di questo equivoco personaggio che Renzi ha voluto con sè.
Chi è Ledeen? Michael Ledeen è uno storico e giornalista dal passato alquanto oscuro negli ambienti dell’intelligence americana e italiana. Negli anni Ottanta senza ricoprire nessun incarico ufficiale è, di fatto, consulente strategico per i servizi americani lavorando nelle Amministrazioni di Ronald Regan e di George W. Bush. Neoconservatore e, da sempre, “appassionato” di Italia, ha anche lavorato come consulente storico per il SISMI (servizio informazioni e sicurezza militare italiano). Nel 1980, infatti, è stato al servizio di Giuseppe Santovito, il generale pidduista all’epoca capo del SISMI. In quegli anni ha coltivato alcune “pesanti” amicizie tra le quali Bettino Craxi e Francesco Cossiga, quest’ultimo ritenuto tra i più grandi protettori di GLADIO (organizzazione paramilitare clandestina italiana di tipo “stay behind” promossa dalla NATO per contrastare una possibile invasione dell’Europa occidentale da parte dell’Unione Sovietica).
Ledeen è membro dell’American Enterprise Institute uno degli organismi che, dopo l’11 Settembre, hanno forzato la politica estera Usa nell’attuale e rovinosa guerra al terrorismo globale, hanno indotto l’invasione dell’Afghanistan, l’occupazione dell’Iraq, hanno provato ripetutamente l’aggressione dell’Iran. Consulente di vari ministri israeliani, Ledeen è stato anche tra i capi del Jewish Institute for National Security Affairs (JINSA), ossia la cupola semi-segreta in cui si allacciano i rapporti inconfessabili tra l’esercito israeliano, alcuni settori del Pentagono e l’apparato militare industriale americano.
Ledeen e l’Italia. Come detto, Ledeen è stato anche attratto dal mondo dei servizi segreti italiani e la sua abilità di depistaggio è stata riservata anche al nostro paese. Il suo nome appare in alcuni “misteri” nostrani: da “esperto” in aiuto di Cossiga al tempo del sequestro Moro, a consulente del già citato SISMI al quale avrebbe venduto dei “corsi” antiterrorismo. Il suo nome è legato anche all’attentato al Papa Giovanni Paolo II: allora Leeden concepì la pista bulgara, in gran parte considerata falsa, per nascondere alcune verità inconfessabili. Ciò sarà confermato dalla spia Francesco Pazienza che nel corso del processo del 1986-1988, in cui fu imputato e poi condannato per i depistaggi nella strage di Bologna, ha raccontato che Ledeen era nel Supersismi prima che lui ci entrasse. Pazienza si espresse così: “Il Supersismi non era una struttura ma un’organizzazione. […] tra loro c’era Michael Ledeen, che era già lì prima che arrivassi io, e continuò a collaborare con i servizi, tanto che io arrivai a sapere con assoluta certezza che nel 1985 lui ottenne tutto il materiale dell’inchiesta sull’attentato al Papa”. Il Supersismi, quindi, fu la struttura segreta sovrimposta ai servizi militari dalla P2 di Licio Gelli. Dalle indagini sulla strage di Bologna risulta che gli insabbiamenti furono coordinati dalla P2, soprattutto con i suoi uomini nel SISMI. A metà degli anni ottanta, l’allora capo del SISMI, Fulvio Martini allontanò Ledeen dal paese definendolo “persona non gradita all’Italia”.
Ledeen riappare in un altro scandalo italiano: “Mani Pulite”. Invitò più volte Antonio Di Pietro, immediatamente dopo essersi tolto la toga per approdare alla politica, a Washington all’American Enterprise Institute, il think tank neoconservatore di cui Ledeen era membro di punta.
Da alcuni appunti di Craxi si legge: “Ciò che si può onestamente dire è che l’azione di Di Pietro nel corso delle sue inchieste e delle sue attività di presentazione internazionale è stata fortemente sostenuta dal governo americano. Di certo, in alcuni dei suoi viaggi negli Usa, secondo notizie riportate dalla stampa, Di Pietro apparve accompagnato da un personaggio notoriamente legato agli ambienti informativi Usa (CIA)”. Il personaggio in questione è, neanche a dirlo, Michael Ledeen vecchio amico di Craxi.
Proprio con Craxi, Ledeen, fu protagonista di un altro inquietante episodio italoamericano. Nell’autunno del 1985, durante la cosiddetta crisi di Sigonella, gli USA decisero arbitrariamente di dirottare l’aereo che trasportava quattro terroristi palestinesi sulla base Naval Air Station di Sigonella, in Sicilia. Durante il colloquio telefonico tra Craxi e il presidente Regan, Ledeen si inserì nella traduzione simultanea in inglese e alla domanda di Craxi del “perché in Italia?”, Ledeen rispose così: “per il vostro clima perfetto, la vostra favolosa cucina e le tradizioni culturali che la Sicilia può offrire”. Il traduttore ufficiale Thomas Longo jr, capo dell’Italian Desk del dipartimento di Stato protestò vivamente e ottenne l’allontanamento di Ledeen.
Il passato di Ledeen. Il Sole24Ore riporta alcune iniziative di Ledeen finite fra gli episodi più imbarazzanti nella storia dell’Italia. Nel 1985-1986 è stato al centro dello scandalo Iran-Contras (più noto col nome di Irangate) ovvero un traffico illegale di armi con l’Iran (su cui vigeva l’embargo), allo scopo di facilitare il rilascio di sette ostaggi statunitensi in quel momento nelle mani degli Hezbollah (storicamente legati all’Iran) in Libano. Col ricavato si è finanziata in modo occulto l’opposizione violenta dei Contras al governo sandinista del Nicaragua, legittimamente eletto, ma inviso agli USA perché filo-cubano. Una commissione d’inchiesta parlamentare definirà la faccenda come “episodio imbarazzante” ed “esemplare dei rischi di iniziative fuori dai canoni“. Anche perché che l’iraniano individuato e patrocinato da Ledeen come perno dell’intera operazione, era risultato un inaffidabile faccendiere e acclarato bugiardo.
Quindici anni dopo, il nome di Ledeen è riemerso in un’altra inchiesta parlamentare su un’altra operazione da lui escogitata. Parliamo di un “summit” segreto organizzato a Roma nell’ottobre del 2011 tra due funzionari del Pentagono e i vertici del SISMI per valutare un’operazione di spionaggio in Iran. E chi era il perno di quell’operazione? Ancora Ghorbanifar.
Il nome di Ledeen appare al centro di un altro scandalo, Nigergate, legato a presunti contatti tra Niger e Iraq in merito alla fornitura di uranio per la fabbricazione di armi nucleari. La vicenda venne alla luce con un’inchiesta svolta dai giornalisti italiani Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, secondo cui l’intelligence militare italiana il SISMI, avrebbe consegnato alla CIA falsi documenti che avrebbero dovuto provare l’importazione di uranio dal Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein. Tali documenti sarebbero stati, poi, utilizzati dal Presidente degli Stati Uniti George W. Bush come prova dei tentativi del dittatore iracheno di procurarsi armamenti nucleari. Da questo falso si costruì la seconda guerra del Golfo.
Ledeen e Renzi. Secondo il “New York Post”, ammiratori del sindaco di Firenze sarebbero gli ambienti della destra repubblicana, legati alle lobby pro Israele come anche pro Arabia Saudita. In questa direzione va anche il suo principale consulente politico, Marco Carrai (ricordate l’imprenditore/amico che pagò l’affitto della casa di Firenze a Renzi per ben 34 mesi?) magicamente impegnato in Israele in venture capital e nuove tecnologie.
Ledeen ha spesso difeso Berlusconi, mentre seguiva la crescita politica di Renzi del quale oggi è consigliere. Una storia che si ripete dopo Craxi e Di Pietro. I suoi interessi sembrano cambiare continuamente.
Mi chiedo, gli italiani sanno che questo personaggio incontra periodicamente il Presidente del Consiglio italiano per parlare di “cose che forse m’illudo di conoscere – Medio Oriente, Russia, chi sale e chi scende nella scena politica americana” (sue parole al Sole 24Ore)?
Ritengo doverose alcune domande. E aspetto delle risposte:
Ogni nazione ha facoltà di scegliere i propri consulenti, ma l’amministrazione del Democratic Party di Obama, non ha niente di meglio da fare che “piazzare” in Italia, oggi, un vecchio trombone della destra neoconservatrice repubblicana?Un uomo così controverso su cui è stato versato un mare d’inchiostro. E se Ledeen non obbedisse a direttive e interessi coincidenti con quelli della Casa Bianca? Certo, bisognerebbe porre domande analoghe anche a Renzi, ma lui, si sa, è un habitué della non risposta…
Perché l’ammiraglio Fulvio Martini, capo dei servizi segreti italiani, uomo che nessuno può definire nemico degli USA (incastrò i sovietici di Kruscev sugli aiuti militari negati da Mosca nella crisi Cuba/Kennedy dando a Washington le prove degli aiuti russi!), espulse Ledeen dall’Italia? Chi ha deciso, e quando, che Ledeen fosse riabilitato nella nostra nazione? E con quale motivazione?
Qualcuno ci risponderà oppure dovremo aspettare 1000 giorni?....Segue

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8 Anni 4 Mesi fa #3985 da Starburst
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UN ALTRO ELEMENTO DEL TRIO MONDEZZA


LO SPIONE FASCISTA LEDEEN: MINISTRO OMBRA DI RENZI


11/03/2015
di Gianni Lannes


L’anima nera, il fervente sionista, l’americano indesiderato nel giardino d’Europa, giace addirittura indisturbato nel cerchio magico renziano, ad impartire lezioni di politica estera, e non solo, all’inquilino di Palazzo Chigi non eletto dal "popolo sovrano". In altri termini, un pericoloso faccendiere spione matricolato Cia, già collaboratore dei guerrafondai Kissinger, Haig, Reagan e Bush, implicato in stragi che hanno insanguinato l’Italia (Ustica, Bologna, Moro), cacciato ufficialmente dallo Stivale a metà degli anni Ottanta, eppure, apparso e riapparso sulla scena del belpaese, a dettare legge al governante di turno per conto di Washington (ad esempio: la disastrosa posizione italiana sull’Ucraina). Allora, chi è? Il famigerato Michael Ledeen. In un’intervista pubblicata il 10 marzo 2015 dal quotidiano Il Giornale l’interlocutore gli chiede: «In Italia il suo nome è stato associato a quello di Matteo Renzi, per la sua amicizia con Marco Carrai, suo consigliere economico. È vero? C’è un rapporto tra lei e il neo presidente del Consiglio?». E la spia della Central Intelligence Agency risponde testualmente: «Ci conosciamo da circa dieci anni, quando i nomi di Renzi e di Carrai non erano noti al grande pubblico. Ci vediamo due-tre volte all’anno in Italia e in America».

Insomma, il classico supporto a stelle e strisce nella colonia delle banane tricolori. Non è tutto. Ledeen ha confermato anche in una precedente intervista al “Sole 24 Ore” come svolga mansioni di consulente sui temi di politica estera e di politica interna statunitense, nei  rapporti che intrattiene con il presidente del Consiglio, piazzato alla presidenza del consiglio dei ministri dal presidente illegittimo Napolitano (sentenza della Corte Costituzionale numero 1 dell’anno 2014), ottimo amico del criminale internazionale impunito, tale Henry Kissinger.



Il Sole 24 ore del 15 gennaio 2014 in un articolo titolato “I due consiglieri atlantici (e opposti) del sindaco” mai smentito da Renzi, riporta: « Matteo Renzi e il suo collaboratore Marco Carrai amano molto l'America. E nella vasta rete di contatti che vi hanno costruito spiccano due figure quasi opposte: Matt Browne e Michael Ledeen…».

A suo dire, dunque, Ledeen è sostenitore di Berlusconi nonché mentore di Renzi, quello spuntato dal nulla a minacciare di trattamento sanitario obbligatorio gli avvistatori di scie chimiche iscritti al piddì. In effetti, la frequentazione fra i due è datata: l’11 novembre 2005 troviamo a Firenze (salone dei 500) Michael A. Ledeen, presentato in qualità di «Studioso di politica internazionale presso l’American Enterprise Institute (AEI). Già consulente del Pentagono e del Dipartimento di Stato Americano» all’Eunomia master. Lo stesso giorno di dieci anni fa, al cosiddetto “incontro straordinario”  va in onda una tavola rotonda denominata “La politica di Europa e Stati Uniti di fronte alle sfide della globalizzazione”. Alla kermesse partecipano: Matteo Renzi (presidente della provincia), Robert Kagan, “Commentatore politico e studioso, membro del Council on Foreign Relations” (un’organizzazione terroristica a livello planetario), Richard Perle (“Consigliere politico del Presidente degli U.S.A. George W. Bush, presiede la Foundation for the Defense of Democracies. È stato Presidente del Defense Policy Board”), nonché Massimo D’Alema e altri. Nell’annessa brochure dell’associazione Eunomia è scritto che «Marco Carrai Resp. Relazioni Esterne Responsabile dello staff del Presidente della Provincia di Firenze e consigliere comunale a Firenze. È stato assessore al bilancio e alle politiche del lavoro del Comune di Greve in Chianti». Marco Carrai è l’imprenditore-amico che pagò l’affitto della casa di Firenze a Renzi per ben 34 mesi, magicamente impegnato in Israele in venture capital e nuove tecnologie.

«LO STORICO LEDEEN 'SI TENGA LONTANO DALL' ITALIA'» è il titolo a caratteri cubitali apparso sul  giornale La Repubblica il 31 luglio 1984, che riprende un’inchiesta del settimanale L’espresso. Ma ecco cosa si legge in dettaglio: «Non è ufficialmente un "indesiderabile, ma poco ci manca. In ogni caso, per l' ammiraglio Fulvio Martini responsabile del controspionaggio militare (Sismi) Michael Ledeen, cittadino americano con studi in Italia, esperto del nostro paese, storico del fascismo, consulente del dipartimento di Stato, già consigliere di Kissinger e di Haig, grande amico di quel personaggio inquietante che è il faccendiere-ricercato Francesco Pazienza è bene che si tenga lontano dalle frontiere italiane. Anzi, Ledeen, secondo il desiderio manifestato dall' ammiraglio Martini all' ambasciatore americano, Maxwell Rabb, non deve più tornare in Italia. Un giudizio clamoroso, destinato ad avere echi nelle due capitali e ripercussioni nei rapporti tra i due paesi. Forse anche per questo l' ammiraglio Martini ha scelto, per renderlo noto, una sede istituzionale altamente qualificata come il Comitato interparlamentare di controllo sui servizi di informazione. A rivelare i contenuti dell' audizione è il settimanale "L' Espresso", nel suo numero in edicola. Il fatto è che dietro i panni dello storico contemporaneo e dell' ascoltato consigliere politico si celerebbe, secondo i nostri servizi di controspionaggio, un mestatore e la diffida a tornare in Italia viene presentata come un momento dell' operazione-pulizia, già avviata da Lugaresi. Titolare di una rivista intitolata "Washington Quarterly", Ledeen vanta tra l' altro di aver messo a segno un colpo giornalistico rivelando i traffici di Billy Carter, fratello dell' allora presidente degli Stati Uniti con la Libia, un dossier - si dice - messo insieme soprattutto a Roma».

Chi vuole farsi un’idea più approfondita su Leeden può sfogliare i documenti della “commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi”, oppure dare un’occhiata ai resoconti ufficiali nordamericani sullo scandalo Iran-Contra. In alternativa il libro Trame atlantiche dell'ex parlamentare Sergio Flamigni offre un quadro documentato sugli intrighi di Leeden (pagine 232, 260, 344, 372-374).

Michael A. Ledeen appare anche nelle motivazioni giudiziarie sulla strage di Ustica. La citazione in questione, è un ulteriore ritratto illuminato: 
«Veniva anche trasmesso un carteggio concernente Mike Ledeen, relativo alla richiesta di pagamento di onorario per 30.000 dollari da lui avanzata al nostro Governo. L’onorario richiesto risaliva ad un incarico ricevuto nel 1978 dall’allora Ministro dell’Interno prima che questi lasciasse il dicastero, pertanto prima o durante il sequestro dell’onorevole Aldo Moro. L’incarico era relativo ad uno studio sul “terrorismo”. Sul punto non possono non richiamarsi le affermazioni del prefetto D’Amato rese alla Commissione P2, in cui riferendosi a Ledeen precisa che “era stato addirittura collaboratore dei Servizi italiani, perché aveva tenuto, insieme a due ex elementi della CIA, dei corsi dopo il caso Moro” (v. audizione Federico Umberto D’Amato, Commissione P2, 29.10.82). Ledeen al fine di ricevere il compenso scrive in data 25 luglio 80 su carta intestata “The Center for Strategic and International Studies” [un centro studi che annovera, nel suo board, il nome di Edward Luttwak, ndr] al Presidente del Consiglio Giulio Andreotti: “Vorrei ringraziarla per la Sua gentilezza con me, e spero di poter incontrarLa di nuovo quest’autunno, quando verrò a Roma. Mi è arrivata una comunicazione dal Ministro Rognoni dicendo che il progetto concordato a Washington durante il vertice della NATO è stato annullato. Capisco benissimo che un nuovo ministro vorrebbe fare i suoi progetti in piena libertà, e la decisione è completamente comprensibile. Ma io purtroppo avevo preso degli impegni, e sulla base dell’incarico dato a me a Washington, io ho garantito lavoro a tre esperti americani, uno dei quali si è dovuto dimettere dal Governo americano per poter lavorare con me. Tutti questi signori hanno dovuto rifiutare altri progetti, e spero, Signor Presidente, che Lei sarà d’accordo con me che c’è un debito nei riguardi di questi colleghi. Secondo la prassi locale, essi dovrebbero avere circa $30,000 per il lavoro e il tempo perso. Vorrei sottolineare, Signor Presidente, che io non voglio assolutamente niente per me stesso, e sono fiero della stima da Lei mostrata quando mi ha dato un incarico così importante. Spero che in un prossimo futuro mi sarà possibile essere utile al Governo italiano. E se il Governo non è d’accordo sulla questione del debito verso questi miei colleghi, in qualche modo troverò i soldi per rimborsarli. Spero che Lei troverà la possibilità di passare un’estate tranquilla, e che le vacanze Le offriranno un po’ di quella pace che Lei merita dopo tanti mesi di crisi e di tensione. Con la più grande stima per il lavoro da Lei compiuto, per l’Italia e per l’amicizia tra i nostri Paesi, rimango”. Come si vede il Ministro Rognoni, che nel frattempo aveva sostituito il dimissionario Cossiga, non aveva ritenuto di dar seguito ai progetti intercorsi tra Ledeen e il suo predecessore. Ciononostante il Presidente Andreotti stimò di dover risolvere la vicenda senza però ricorrere ai fondi riservati. In tal senso diede disposizioni di contattare il Capo della Polizia Coronas al fine di verificare la possibilità che quel Dicastero prendesse a suo carico la metà del costo dell’operazione. In un appunto del Capo di Gabinetto del P.C.M. datato 04.01.79 la vicenda è così riepilogata: “Il Ministro Cossiga – qualche tempo prima di lasciare l’incarico di Ministro dell’Interno – ebbe ad incontrarsi con il Sig. Ledeen, il quale gli prospettò l’idea di uno studio sul “terrorismo”. Il Ministro Cossiga si dichiarò convinto della bontà dell’idea, lasciando intendere che la ricerca sarebbe stata opportunatamente compensata, a ristoro delle spese sostenute. Sta di fatto che – di seguito all’uscita del Ministro Cossiga dal Governo - la cosa rimase sospesa. Riprospettata al Ministro Rognoni, questi - data l’indeterminatezza dei precedenti rapporti – non ritenne di dar seguito (è attendibile l’opinione che, a parte l’indeterminatezza della situazione precedente, la perplessità è derivata dal fatto che - a quanto riferito - il Sig. Ledeen è persona vicina agli ambienti di Kissinger e quindi in posizione di contrapposizione alla attuale Amministrazione USA). I cauti approcci fatti per trovare una soluzione agli aspetti amministrativi - così come prospettava nella sua lettera dal Sig. Ledeen - non hanno portato a risultati pratici, per intuibili motivi (l’eccezione è stata quella della mancanza di fondi; risposta questa avuta sia dall’Interno sia dalla Difesa)”. Il carteggio si conclude con una nota del Segretario Generale del Cesis, Walter Pelosi, datata 14 gennaio 79 del seguente contenuto “Caro Vincenzo (Vincenzo Milazzo Capo di Gabinetto della Presidenza del Consiglio; nde), ho preceduto per la questione Ledeen nel senso concordato e ti sarò grato se vorrai assicurare al riguardo l’Onorevole Presidente del Consiglio”. (v. atti trasmessi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con missiva del 3 giugno 97). È facile intuire dal tenore della missiva che il Presidente Andreotti si sia infine rivolto al Cesis, così attingendo ai suoi fondi riservati, per compensare il Ledeen”».

In altri termini, Michael A. Ledeen risulta oggettivamente coinvolto in molte trame oscure: dalla loggia P2, agli insabbiamenti delle stragi legate alla strategia della tensione, dai finanziamenti agli squadroni delle morte nicaraguensi allo scandalo Iran-Contras, dai dossier truccati, alla base della seconda guerra in Iraq, al caldeggiamento dell'aggressione all'Iran. In Italia Leeden ha infilato le sue grinfie nelle ferite più purulente: strategia della tensione, strage di Bologna, strage di Ustica, brigate rosse, rapimento Moro, pistolettata di Ali Agca al pontefice, falsa storia dello yellowcake (la torta di uranio del Niger che l’Iraq avrebbe segretamente importato, ovvero il pretesto formale per aggredire Saddam Hussein e sostenere la menzogna di Bush junior, che l’Iraq aveva armi di distruzione di massa. Appunto: documenti fabbricati dai servizi italiani, su suggerimento di Ledeen. Durante il rapimento Moro, Leeden faceva la spola al Viminale, per consigliare il ministro Cossiga. La spia Francesco Pazienza,nel processo del 1986-1988,in cui fu imputato per i depistaggi nella strage di Bologna, ha raccontato che «Ledeen era nel Supersismi prima che lui ci entrasse. E aggiunse:Il Supersismi non era una struttura ma un’organizzazione.(…) tra loro c’era Michael Ledeen,che era già lì prima che arrivassi io,e continuò a collaborare con i servizi, tanto che io arrivai a sapere con assoluta certezza che nel 1985 lui ottenne tutto il materiale dell’inchiesta sull’attentato al Papa». Dalle indagini sulla strage di Bologna risulta che gli insabbiamenti furono coordinati dalla P2, soprattutto con i suoi uomini nel SISMI.Gelli e Francesco Pazienza sono stati condannati per le loro responsabilità nella vicenda.Per dirla con Reseau Voltaire. un soggetto-chiave nella rete occulta della NATO in Europa, negli anni della strategia della tensione in cui tutta una serie di attentati, di brigatisti rosso-neri, furono organizzati, in gran parte da quella rete, per mantenere l’Italia sotto il tallone atlantista. Scoppia mani pulite? Ed ecco che Ledeen invita a Washington Antonio Di Pietro: a cena, e poi a farsi applaudire all’American Enterprise. Ledeen, inoltre, ha diretto il Jewish Institute for National Security Affairs (JINSA),ovvero la cupola in cui si allacciano i rapporti occulti tra l’esercito israeliano,il Pentagono e l’apparato militare industriale nord-americano. Michael A. Ledeen,è anche propagatore di un’ideologia che ha denominato "universal fascism". 


Ho verificato oggi nella banca dati del parlamento italidiota. Su Michael A. Leeden, compare un solo atto, vale a dire l’interrogazione parlamentare numero 4/09684, indirizzata dal deputato Oskar Paterlini al presidente del consiglio dei ministri e al ministro della difesa. Da allora l’iter è ancora “in corso”, ossia nessun governo (Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi) ha ancora fornito delucidazioni. 

Perché Renzi a parte le sparate progandistiche, non ha desecretato ben 12.500 documenti sull'assassinio di Aldo Moro?


Frasi celebri di Michael A. Leaden: «Il miglior programma in assoluto di educazione alla democrazia si chiama “Esercito degli Stati Uniti”.  La stabilità è una missione indegna per l’America, ed anche un concetto fuorviante. Non vogliamo la stabilità in Iran, Iraq, Siria, Libano, e perfino nell’Arabia Saudita, vogliamo che le cose cambino. Il vero problema non è se, ma come destabilizzare. La potenza formidabile di una società libera dedicata ad una sola missione è qualcosa che [i nostri nemici] non riescono a immaginare … La nostra vittoria inaspettatamente rapida in Afghanistan è il preludio di una guerra molto più vasta, che con tutta probabilità trasformerà il Medio Oriente per una generazione almeno, e ridefinirà la politica di molti paesi più vecchi in tutto il mondo».
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8 Anni 2 Mesi fa #4826 da Starburst
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QUANDO LO STATO CREA L'EVERSIONE

Riprendendo il discorso aperto nel post riguardante l'attentato di Orlando in Florida,di seguito troviamo una disamina su quello che rappresenta la piu' grossa organizzazione eversiva mondiale l' f.b.i. letteralmente federal bureau investigation, la sua nascita e la sua vita e' costellata di operazioni sia alla luce del sole che nascoste di chiara marca eversiva ed omicida, la preparazione di attentati sia a persone singole che di massa, la delazione e la messa in circolazione di notizie false atte a screditare i malcapitati di turno sono la spina dorsale della sua esistenza.Al di la' di chi abbia commesso l'ennesimo attentato colorato per l'occasione con il colore dello spauracchio di turno,della tecnica usata, dell'obiettivo scelto,c'e' una cosa che rimane fissa ed invariabile,l'uso degli apparati dello stato contro i suoi stessi cittadini nonche' dei cittadini degli altri stati.

8 luglio 2014
Come l'FBI organizza i terroristi
di Pino Cabras.
da Megachip.


C’è una clamorosa notizia, appena divulgata in questo caldo luglio 2014 dall'informazione mainstream, che dimostra quanto traviante sia la definizione di “complottista”, usata per screditare chi fa normale giornalismo d'inchiesta. La notizia, per chi la voleva vedere, c'era già cinque anni fa, ed è semplice e terribile: gran parte degli attentati terroristici sul suolo USA sono indotti dalla stessa organizzazione che li dovrebbe combattere: l’FBI.
Noi quella notizia l’avevamo voluta vedere già nel 2009, quando pubblicammo – tra gli altri - un articolo intitolato «Retroscena di un falso attentato» (leggete più avanti e confrontate).
A quel tempo, invece, la Rai e la Repubblica ripetevano le veline dell'FBI: fanno così molto spesso, senza correggersi mai, o facendolo solo molti anni dopo, quando chi voleva raggiungere un certo effetto lo ha già raggiunto. Così, le notizie che possono smentire l’allarme gridato spariscono. Rimane invece la prima impressione dell’allarme, quando la notizia urlata e falsa si deposita nella coscienza di lettori e spettatori. Ed è per colpa di questa informazione - che si è preoccupata solo di aizzare (quando glielo ordinavano), o di sopire e troncare (quando faceva comodo) - che ogni giorno ci è stato rubato un pezzo di libertà, di sovranità, e infine imposto lo spionaggio totalitario della NSA.
Non stiamo parlando di un generico sottofondo di notizie: si tratta dei modi con cui si è lanciato un allarme sicurezza permanente che ha fatto da base giuridica e premessa politica delle guerre di aggressione intraprese dal 2001 in poi, nonché delle leggi che hanno consentito lo spionaggio onnipervasivo e reintrodotto gli arresti extralegali e la tortura.
In questo quadro emerge chiaramente che il terrorismo in USA è un’interminabile catena di azioni false flag (sotto falsa bandiera), in cui gli attori hanno sempre il fiato sul collo dell’FBI, che li manipola per i propri fini. Era così già dal primo attentato alle Torri gemelle di New York, nel 1993, fu così per una parte dei soggetti implicati nei mega-attentati dell’11 settembre 2001, è stato così per Mutanda Bomber e per la maratona di Boston.
L’indagine di Human Rights Watch sarebbe già sufficiente da sola per dire che questo è un metodo di governo e che il cosiddetto terrorismo è in prevalenza una forma di manipolazione di massa coperta da entità statali e usata con l’accordo dei pochi proprietari della quasi totalità dei grandi organi di informazione che sono adibiti a organizzare l’isteria collettiva a comando.
La realtà è tuttavia con ogni probabilità ancora più vasta e incancrenita, tanto che l’indagine sarebbe da estendere anche oltre gli USA (pensiamo agli attentati di Londra del 2005), oltre l’FBI (pensiamo al terrorismo internazionale segnato e finanziato da un intreccio di servizi segreti di vari paesi), e oltre i piccoli episodi (pensiamo anche all’11 settembre e all’allarme antrace del 2001).Segue.....

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8 Anni 2 Mesi fa #4845 da Starburst
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QUANDO LO STATO CREA L'EVERSIONE


Human Rights Watch denuncia:

"Fbi pagava musulmani per attentati"

Secondo un'indagine su 27 processi e 215 interviste, l'agenzia di intelligence interna americana "ha creato dei terroristi sollecitando i loro obiettivi ad agire e compiere atti di terrorismo"

da RAINews.it  – 22 luglio 2014.



Musulmani incoraggiati per compiere atti di terrorismo. A volte anche retribuiti. A denunciare l'operato dell'Fbi, la polizia federale americana è una ong statunitense, Human Rights Watch.In un rapporto pubblicato in rete, l'organizzazione accusa l'Fbi di aver violato la legge e di non aver perseguito le reali minacce (qui la versione pdf scaricabile, in inglese).

Con la collaborazione dell'Istituto per i diritti umani dell'Università della Colombia, Human Rights Watch ha esaminato 27 casi di indagini che sono passate attraverso un processo, intervistando 215 persone, incluse quelle accusate o condannate per atti di terrorismo.

«In molti casi il governo, usando i suoi informatori, ha sviluppato falsi complotti terroristici, persuadendo e in alcuni casi facendo pressione su individui, per farli partecipare e fornire risorse per attentati», scrive Hrw. Per l'organizzazione, metà dei casi esaminati fa parte di operazioni portate avanti con l'inganno e nel 30% dei casi un agente sotto copertura ha giocato un ruolo attivo nel complotto.

«Agli americani è stato detto che il loro governo veglia sulla loro sicurezza prevenendo e perseguendo il terrorismo all'interno degli Stati Uniti», ha detto Andrea Prasow, vice direttore di HRW a Washington. «Ma se si osserva da vicino si scopre che molte di queste persone non avrebbero mai commesso crimini se non fossero stati incoraggiati da agenti federali, a volte anche pagati».

Secondo Hrw, l'FBI spesso individua soggetti vulnerabili, con problemi mentali o dalla scarsa intelligenza, come Rezwan Ferdaus, un 27enne condannato a 17 anni di carcere perché accusato di voler attaccare il Pentagono e il Congresso con piccoli droni carichi di esplosivo, in un falso complotto organizzato dagli stessi agenti americani.

Il ministro della Giustizia, Eric Holder, cui l'Fbi risponde, ha difeso l'operato dei 'federali' e delle loro "operazioni sotto copertura". Segue....

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8 Anni 2 Mesi fa - 8 Anni 2 Mesi fa #4858 da Starburst
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Retroscena di un falso attentato





"Attentato sventato a New York", strombazzavano i media il 20 maggio 2009. La notizia ha meritato titoloni e tanti commenti che hanno riempito le "breaking news" e qualche paginone, ma finora si è indagato poco.

Per la maggior parte dei media è scattato il riflesso di chi dice "non abbassiamo la guardia". E Dick Cheney, l'anima nera della precedente amministrazione USA, ne ha approfittato per l'ennesima tirata contro chi vuole smantellare il sistema da lui messo in piedi. Ma cosa è successo davvero a New York? Un'analisi appena più approfondita rivela sorprese clamorose.

Le vicende di "attentati sventati" degli ultimi anni mostrano in comune il ruolo ambiguo dei servizi di sicurezza.

Non fa eccezione l'ultimo caso newyorchese.

Scopriamo che i quattro «terroristi islamici» hanno una biografia da sfigati ricattabili, delinquenti abituali statunitensi di facile manipolabilità, e dal profilo jihadista improbabile. Il loro ordigno al plastico disposto dinnanzi a una sinagoga non è esploso, era "inerte". Gli era stato fornito da un quinto elemento, un agente dell'FBI infiltratosi con la promessa di fornire un kit del perfetto terrorista che comprendeva anche un falso missile (per abbattere un aereo). Le mosse erano seguite passo dopo passo, di fatto governate, da molti mesi, in sinergia con altre agenzie federali.

Un importante elemento di raccordo fra i quattro e l'FBI era il cinquantaduenne pakistano Shahed Hussain, diventato informatore dell'agenzia federale dopo che nel 2002 era stato incriminato per banali reati legati a questioni d'immigrazione, e reso così prono ai ricatti. Hussein si presentava ai quattro con molta disponibilità di denaro e con promesse di procurare armi e ordigni speciali.
Ma il pezzo grosso dell'FBI è un altro. Risponde al nome di Robert Fuller. È un agente che ricompare in diverse vicende controverse, sin dalle circostanze legate agli eventi dell'11 settembre 2001.
Fuller nell'agosto del 2001 ebbe l'incarico di rintracciare e arrestare due persone molto sospette, Khalid al-Mindhar e Nawaf al-Hamzi. La segnalazione era giunta dalla CIA il 23 agosto dopo che i due erano giunti sul suolo USA. Qualche settimana ancora, e i loro nomi sarebbero stati ricompresi nella lista dei presunti dirottatori dell'11/9. La ricerca di Fuller fu talmente svogliata, che finanche la Commissione sull'11/9 ebbe a menzionarne l'indolente inefficacia.

Fuller riappare in cronaca nel novembre 2004. A Washington, sul marciapiede davanti alla Casa Bianca, un uomo si dà fuoco. È lo yemenita Mohamed Alanssi. Sopravvive con il trenta per cento del corpo coperto di ustioni. Nel frattempo emerge un documento di suo pugno nel quale spiega in qualche modo l'insano gesto. È una lettera per Robert Fuller, eccolo lì di nuovo, il quale lo aveva reclutato come informatore. Alanssi scrive di voler vedere la sua famiglia in Yemen prima di dover testimoniare in un tribunale USA su spinta di Fuller perché si dice certo che, dopo quella deposizione, la sua famiglia e lui stesso moriranno. Al «Washington Post» rivela: «Ho fatto un grosso errore a collaborare con l'FBI. L'FBI ha distrutto la vita mia e della mia famiglia, intanto che mi prometteva l'ottenimento della cittadinanza e di pagarmi 100 mila dollari». La somma fu erogata, ma Alanssi non acquisì la cittadinanza USA. La moneta di scambio era una testimonianza a carico di svariati imputati islamici.

Robert Fuller lo rivediamo in Afghanistan, all'aeroporto di Bagram, dove interroga - con i metodi disumani consentiti in questi anni di torture e pressioni - un quattordicenne afghano, Omar Khadr, orbo di un occhio dopo il combattimento in cui è stato catturato. A Khadr sono mostrate diverse foto di presunti guerriglieri, e gli viene chiesto un qualche riconoscimento. Fuller riesce a estorcere al giovane l'identificazione di un uomo canadese di origine mediorientale, Maher Arar, che a quel punto deve rispondere all'accusa di essere stato fra i guerriglieri afghani. Arar è arrestato sul suolo canadese e diventa uno dei tanti casi di «extraordinary rendition». Nell'incertezza giuridica sul grado di copertura sulle pratiche di tortura, Arar è consegnato alla Siria, dove ci sono meno esitazioni costituzionali sui supplizi di Stato (e questo è uno dei più stupefacenti casi di collaborazione fra paesi che altrimenti non si risparmiano atti ostili). Lì Arar viene torturato per mesi e mesi, come è avvenuto in tanti altri casi. Il ragazzo che lo ha accusato finisce intanto nel campo di Guantanamo, dove la commissione militare speciale lo processa nel gennaio 2009. Fuller è chiamato a testimoniare e l'agente FBI ribadisce che il riconoscimento di Arar è avvenuto sulla base di una foto. Il controesame del testimone spinge Fuller ad ammettere che all'inizio il riconoscimento non era stato così netto, anzi era proprio vago, e che solo una protratta «intensa pressione» aveva spinto Khadr a ricomporre in modo più assertivo il ricordo.

Peccato che nel frattempo gli inquirenti canadesi trovano le prove che il loro concittadino, proprio nel periodo in cui secondo Khadr e Fuller si trovava in Afghanistan, era invece in patria. Le autorità si rivolgono alla Siria per riavere Arar, evidentemente innocente. La sua storia viene raccontata dalla cronista Kerry Pither in un libro (Dark Days: The Story Of Four Canadians Tortured In The Name Of Fighting Terrorism).

E poi arriviamo all'ultima vicenda.

I quattro terroristi "islamici" fatti arrestare da Robert Fuller nel 2009 sono: James Cromtie, 44 anni, di cui 12 in prigione, un bugiardo patologico, un violento; David Williams, 28 anni, pluripregiudicato, il quale possiede una pistola da quando se ne compra una coi soldi datigli dall'FBI; Onta Williams, 32 anni, una vita dentro e fuori le prigioni; Laguerre Payen, 27 anni, pregiudicato, schizofrenico sottoposto a trattamento con psicofarmaci.

I quattro hanno incontrato questa caricatura di jihadismo soltanto perché un agente provocatore glielo ha proposto, con insistenze e azioni perseveranti, prospettando loro denaro e armi. Li ha messi insieme lui, insomma. L'allegra compagnia "islamista" non si priva di droghe, banchetti e sontuose bevute.



Il ritratto che emerge somiglia a quello di altri personaggi bizzarri che abbiamo imparato a riconoscere anche nelle cronache sulle deviazioni dei servizi segreti italiani nel corso degli anni, anche di recente, come nei casi di Mario Scaramella o Igor Marini. Sempre oltre il filo dell'impostura e della millanteria, questi soggetti compiono atti che si muovono macchiettisticamente lungo le frange esterne delle trame dei servizi segreti, con coperture, depistaggi, manovre che creano confusione, ma sempre disseminate di riconoscibili contatti con autorità governative. La commistione di vero e falso dei loro racconti e delle schede che li riguardano sembra indicare anche una loro strutturale indifferenza psicologica rispetto al confine tra verità e inganno. Basterebbe poco a smascherare le trame.

Tutta la vicenda dei quattro balordi di New York somiglia maledettamente a un sistema messo in piedi qualche anno fa nell'ambito della Guerra al Terrore. Un comitato di consulenti in seno al Pentagono, il Defense Science Board, nell'estate del 2002 ha proposto la creazione di una squadra di un centinaio di uomini, il P2OG (Proactive, Preemptive Operations Group, ossia Gruppo azioni attive e preventive), con il compito di eseguire missioni segrete miranti a 'stimolare reazioni' nei gruppi terroristici, spingendoli a commettere azioni violente che poi li metterebbero nelle condizioni di subire il 'contrattacco' delle forze statunitensi.

Il paradosso di una simile operazione è spinto fino a limiti estremi. Pare che il piano debba in qualche modo opporsi al terrorismo causandolo.

In base al documento prodotto presso il Dipartimento della Difesa statunitense, altre strategie comprendono il furto di denaro a delle cellule di terroristi o azioni di depistaggio attraverso comunicazioni false. Viene subito alla mente il caso del falso comunicato n. 7 delle Brigate Rosse durante il sequestro di Aldo Moro, nel lontano 1978, uno dei tanti depistaggi degli 'anni di piombo', quando erano in incubazione su scala limitata i metodi poi estesi alla globalizzazione della paura.

Gli atti precisi cui ricorrere per 'stimolare reazioni' nei gruppi terroristici non sono stati svelati, il tutto in ragione della riservatezza di fonti e contatti da non compromettere.

Un'organizzazione come questa è perfetta per creare confusione e depistaggi, quel genere di caos che si determina nel passaggio dall'«infiltrazione» alla «provocazione».

Il documento del Pentagono si spinge poi a spiegare che l'uso di questa tattica consentirebbe di considerare responsabili degli atti terroristici provocati quei paesi che ospitassero i terroristi, a quel punto considerati dei paesi a rischio sovranità.

Il grande giornalista investigativo Seymour Hersh, una mosca bianca fra la grande stampa, ha rivelato già all'inizio del 2005 che il P2OG è stato rimesso all'opera. Cosa svelava Hersh?

«Sotto il nuovo approccio di Rumsfeld, mi è stato riferito (da fonti interne ai servizi americani, ndr) che agenti militari USA sarebbero stati autorizzati all'estero a fingersi uomini d'affari stranieri corrotti, intenti a comprare pezzi di contrabbando che possano essere utilizzabili per sistemi d'armamento atomici. In certi casi, stando alle fonti del Pentagono, dei cittadini locali potrebbero essere reclutati per entrare a far parte di gruppi guerriglieri o terroristici. Ciò potrebbe comprendere l'organizzazione e l'esecuzione di operazioni di combattimento, o perfino attività terroristiche.»

Evidenziamo: «perfino attività terroristiche».

Anche il prossimo libro di Hersh, di imminente pubblicazione, sarà incentrato sull'esistenza di un mondo pseudo-terroristico e para-terroristico che ha pericolosi punti di contatto con strutture dotate di una qualche patina di legalità.

La recente vicenda di New York, così come le vicende degli attentati londinesi reali o sventati tra il 2005 e il 2007, e altri episodi ancora, sembrano indicare un metodo di lavoro molto consolidato, in grado di inquinare la scena pubblica con una paura indotta.

Fonte: megachip.globalist.it/Detail_News_Displa...i-un-falso-attentato .

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Ultima Modifica 8 Anni 2 Mesi fa da Starburst.

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8 Anni 2 Mesi fa #4929 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
PERCHE' MORO DOVEVA MORIRE

Un altro piccolo tassello in uno dei casi piu' intrigati del nostro paese,l'articolo scritto da S.Limiti una delle autorita' nella competenza sulla storia nascosta d'italia,racconta di come anche per il movito sotto elencato Moro ando' incontro a morte sicura, Kissinger (ricordate uno degli elementi del trio mondezza) raggiunse il suo obiettivo, e' inutile pensare che la persona indicata nell'articolo possa essere un altro,aveva sia il potere che le capacita' per ordinare che non fosse fatto nulla per salvare lo statista italiano.

Caso Moro, in documento riservato la trattativa “palestinese” per la sua liberazione e perché fallì

Si tratta dell’informativa inviata a metà aprile (la data esatta che ci è stata riferita è il 24) dal Centro Sismi di Beirut acquisita della Commissione parlamentare d’inchiesta.
di Stefania Limiti | 19 giugno 2016


Carte, carte e ancora carte. Sul caso Moro esiste una montagna di carte da dove, ogni tanto, esce qualche perla. Come quella che apre un nuovo squarcio sull’effettiva, reale possibilità di una via negoziale per risolvere lo stallo del sequestro più drammatico della storia politica italiana. E che conferma quanto disse al il fattoquotidiano lo scorso ottobre Bassam Abu Sharif, l’ex portavoce del Fronte popolare per la Liberazione della Palestina, un pezzo radicale dell’Olp di Yasser Arafat: “A Beirut era pronto un aereo per i brigatisti dopo la liberazione del presidente Dc. Ma intervenne una terza parte e il telefono non squillò più”.
Il documento, riservato, è stato acquisito della Commissione parlamentare d’inchiesta e un’autorevole fonte conferma la sua importanza. Si tratta dell’informativa inviata a metà aprile (la data esatta che ci è stata riferita è il 24) dal Centro Sismi di Beirut alla direzione centrale di Roma nella quale si riferisce dello stato delle trattative avviate dai Palestinesi per ottenere la salvezza del loro amico Aldo Moro. La situazione era davvero a buon punto, tanto che il capo centro, l’ormai molto noto colonnello Stefano Giovannone, rientra a Roma con un aereo messo a disposizione niente di meno che dall’Eni. La conclusione di un accordo per liberare Moro era molto vicina, tutto era giunto ad una fase molto avanzata di dialogo, come in effetti ci disse Mister Sharif: “L’aereo a Beirut era pronto. … ma tutto fu improvvisamente interrotto … Una terza parte, fortemente contraria, anzi intenzionata a liberarsi di Aldo Moro e della sua politica d’indipendenza, riuscì ad impedire le trattative. Per questo quel telefono non squillò più”. Dunque, non ha più senso chiedersi: ci furono le trattative per la liberazione di Moro oppure no? La domanda giusta, e che pesa come un macigno, è: chi intervenne per impedire una positiva conclusione dell’affaire?
Il documento, ritenuto di “estremo interesse”, conferma la solidità dell’alleanza stretta da Aldo Moro con la leadership palestinese, sfociata nel cosiddetto Lodo Moro, un accordo che legittimava la resistenza palestinese imponendo ai suoi gruppi armati di salvaguardare la sicurezza del nostro Paese. Uno dei rari casi in cui una scelta di politica estera è stata intrapresa in nome della nostra sovranità nazionale. Un’intesa vitale per i palestinesi che non potevano certo stare a guardare che Moro venisse cancellato dalla scena politica: di qui il loro frenetico, ancorché inutile, sforzo diplomatico, testimoniato più volte da Bassam Sharif, che era molto addentro alle cose italiane, e non solo da lui. Il Lodo Moro ha resistito abbastanza dopo l’uccisione del suo inventore.
Dal relativo fascicolo messo a disposizione della Commissione, classificato “segretissimo” - è stato fatto cadere il segreto di Stato ma resta un alto livello di riservatezza perché quelle carte si riferiscono ai rapporti con altri Stati – sono emerse carte che provano il buon andamento dei rapporti tra leadership palestinese e Italia e la “buona tenuta” del Lodo fino almeno all’ottobre del 1980, periodo al quale i documenti si riferiscono. Cioè sicuramente dopo le stragi di Ustica e Bologna: per questo chi parla di quei tragici eventi in chiave di una ritorsione palestinese contro l’Italia, come hanno fatto recentemente i senatori Carlo Giovanardi e Maurizio Gasparri, mesta nel torbido. Lo conferma il loro collega e storico Paolo Corsini: “Non vi è alcun elemento che colleghi a nessun titolo e in alcun modo quelle carte a Ustica e Bologna”, lo ha ribadito più volte un altro commissario dell’organismo parlamento, Paolo Bolognesi: “Nulla, neppure una virgola può essere collegato in quelle carte alle stragi”. Non ci resta che aspettare nuovi e auspicabili elementi investigativi, oltre che la possibilità di poter liberamente consultare questi materiali.

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