La storia nascosta

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8 Anni 7 Mesi fa #2645 da Starburst
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I PAPI: LA VIA CRIMINALE A DIO. IL SACCO DI ROMA E IL CONCILIO DI TRENTO

1545 - 1563 IL CONCILIO DI TRENTO

SECONDA E ULTIMA PARTE :


Dato il discredito del papato e l'ormai obsoleta dipendenza dalle incoronazioni e dalle autorizzazioni papali, Carlo V aveva firmato il 25 settembre 1555 la Pace di Augusta, senza appunto farne partecipe la Chiesa. Era una pace religiosa tra tutti i principi tedeschi secondo la quale era possibile nei territori del Sacro Romano Impero scegliere tra cattolicesimo e luteranesimo (e basta). Inoltre la popolazione doveva aderire alla religione del principe di quel territorio oppure doveva cambiare regione. Infine i beni ecclesiastici passavano nella disponibilità dei vescovi che passavano al luteranesimo senza che il principato potesse incamerarli. Contestualmente a ciò Carlo V abdicò a favore di suo figlio Felipe II in Spagna e di suo fratello Ferdinando I d'Asburgo come successore imperiale. Il Papa era furioso perché veniva decretata la sua marginalità oltre alla presa d'atto dello scisma luterano che, alla fin fine, rendeva superfluo il Concilio per una qualche pace religiosa tanto più che Ferdinando aveva accettato tutto il contenuto della Pace di Augusta. Tentò mosse tanto disperate quanto stupide: decretò in un concistoro che l'atto di abdicazione di Carlo non era valido e quindi che Ferdinando non era legittimato al trono dell'Impero. Per portare avanti questa crociata non si servì dei vari uomini della Chiesa ma solo dei suoi parenti. Un «duce» agisce così, per Giove ! Il fatto è che il poveretto non capiva nulla di politica ed era guidato solo dal suo egocentrismo che si coniugava con uno sfrenato nepotismo (i parenti non offuscano il padre padrone). Anche qui Rendina coglie bene la situazione: "Appare gratuito giustificare questo nepotismo di Paolo IV, adducendo motivi di stampo patriottico [come aveva fatto quello storico fai da te, ndr], perché il fatto che egli abbia costituito possedimenti per i nipoti con territori ecclesiastici, che abbia innalzato un soldato alla direzione degli affari religiosi, che abbia compiuto atti di guerra e versato del sangue è pur sempre lontano dallo spirito puro del cristianesimo. L'etichetta patriottica è una maschera che nasconde ragioni ecclesiastico-personali".
        Rendina, quando parla del soldato elevato alla direzione degli affari ecclesiastici, si riferisce al nipote (siamo certi ?) Carlo Carafa, suo preferito. Era uno sregolato capitano di ventura, spregiudicato e di malaffare, che lo zio fece subito cardinale (assolvendolo a priori dei mali che aveva fatto e avrebbe potuto fare) per passarlo poi a Segretario di Stato (Primo Ministro) del Vaticano. ERa un abile personaggio che seppe tenere in pugno Paolo trattandolo da marionetta. Le gestioni fallimentari dei rapporti di Felipe II con Ferdinando I furono opera sua. Riuscì a creare un incidente nel porto di Civitavecchia, invischiando con alcune lettere, che avrebbe scritto a Ferdinando I, il cardinale Ascanio Colonna che mise l'uno contro l'altro i due eredi di Carlo V e condì il tutto con un'alleanza dello Stato Pontificio con la Francia (fine del 1555), che s'impegnava a difendere lo Stato Pontificio, anche se il Papa aveva un pessimo giudizio sia di spagnoli che di francesi con i quali ultimi avrebbe, secondo lui, regolato le cose a suo tempo. Ed anche se mostrò di avere una memoria cortissima che gli aveva fatto dimenticare il Sacco di Roma. L'utile immediato fu la confisca delle terre dei cardinali legati all'Impero, terre che passavano al nipote.
         La Spagna colse l'imbroglio della politica casereccia del Papa e da Napoli fece partire un esercito, guidato dal Duca d'Alba, verso Roma. Le truppe francesi dovettero ritirarsi per impegni su altri fronti (battaglia di San Quintino). Di nuovo Roma era potenzialmente in balìa di un esercito invasore per colpa di alcuni imbecilli che operavano per maggior gloria di Gesù. Per una provvidenziale mediazione di Venezia l'esercito spagnolo si fermò sotto le mura della città ma il Papa dovette riconoscere Felipe II come buon sovrano cattolico e dovette rinunciare all'alleanza con la Francia dichiarandosi neutrale (Pace di Cave del settembre 1557).
        Altra bestialità la fece Paolo IV con l'Inghilterra. Nel 1559 l'ambasciatore inglese Edward Carne lo informò che Elisabetta I Tudor aveva seguito Maria I sul trono d'Inghilterra. Paolo che odiava tutte le donne, ritenendole come Tommaso d'Aquino uomini "abortiti", e che aveva avuto un debole per Maria, perché  aveva riesumato e bruciato il cadavere del padre in quanto eretico, ed operando con il rogo con i protestanti. Paolo chiese all'ambasciatore se Elisabetta si rendeva conto che l'Inghilterra era una proprietà della Santa Sede fino dall'epoca di Re Giovanni? Sapeva che un illegittima non può ereditare? Non aveva letto la sua ultima Bolla? Capiva che era pura audacia la sua di pretendere di governare l'Inghilterra, che apparteneva di diritto al papa? No, non poteva permetterle di continuare. Forse se la bastarda, l'usurpatrice, l'eretica avesse rinunciato alle sue ridicole pretese e si fosse presentata immediatamente a lui per chiedere perdono.... Elisabetta, due mesi dopo, ruppe le relazioni diplomatiche con Roma.
        Intanto Carlo Carafa, il cardinale condottiero ed imbroglione, spopolava in Curia e la sua omosessualità era divenuta intollerabile scandalo denunciato a più riprese dal cardinale di Lorena(3). Questo fatto (e non altri !) fece cambiare atteggiamento a Paolo che nel concistoro del gennaio 1559 condannò pubblicamente il comportamento dei nipoti e riprese i propositi di Riforma sia dello Stato che della Chiesa. E come fece il ducetto a riformare ? Non certo riprendo le sessioni del Concilio ma affidandosi ad un potenziamento ed inasprimento feroce dell'Inquisizione Romana ed ad uno dei peggiori crimini contro l'umanità, l'introduzione dell'Indice dei Libri Proibiti.
        Una delle prime iniziative dell'Inquisizione Romana sotto la direzione di Paolo IV, insieme al problema del catechismo(4) e della riforma dei libri liturgici, riguardò la redazione dell'Index librorum prohibitorum(5) (noto come Indice Paolino) il primo dei quali venne pubblicato nel 1559. Ad esso seguirono nel 1564 quello realizzato da Pio IV e nel 1596 quello di Clemente VIII (l'Indice clementino), il Papa antisemita che fece assassinare Giordano Bruno. Per completezza devo dire che un Indice era richiesto anche da insospettabili come quel Francesco Maurolico, matematico e meccanico, che ebbe a che fare con la formazione di Galileo. Questi proponeva non solo l'eliminazione di tutti i libri di autori sospetti ma anche l'auspicio che da Roma si portasse avanti l'edizione di opere di autori ortodossi perché in Italia si era diffusa la peste degli scritti luterani, eretici ed antropophagi tedeschi. Ma di Indici ve ne erano stati dei precedenti pubblicati a Roma (Cathalogus librorum Haereticorum con libri luterani ed anche con i Commentari di Pio II al Concilio di Basilea), Venezia (1549), Milano, Parigi e Lovanio nel 1554 (ma anche altri in epoca precedente e successiva comunque antecedente al 1559). Questi Indici avevano comunque validità locale molto limitata e non si avevano pene come quelle previste per l'indice del 1559.
        L'operazione era perfettamente in linea con l'avanzare inarrestabile della cultura, della conoscenza che son0o sempre state le peggiori nemiche della Chiesa che vive in un'abissale ignoranza del gregge. Occorreva stroncare le fonti e l'Index serviva a questo(6). I decreti che definivano l'Index contenevano, tra le altre cose, il divieto di stampare, leggere e possedere versioni della Bibbia in lingua volgare senza previa autorizzazione personale e scritta del vescovo, dell'inquisitore o addirittura dell'autorità papale (nel primo indice venivano vietate 45 versioni della Bibbia e del Nuovo Testamento in lingua volgare; tale divieto resterà fino al 1758 quando fu abrogato da Papa Benedetto XIV). Come conseguenza di questo provvedimento la produzione di Bibbie in italiano subì un brusco arresto. E' utile avere un qualche riferimento degli autori che comparivano nel primo Index: Luciano di Samosata, Dante, Petrarca, Boccaccio, Ockham, Machiavelli, Erasmo, Rabelais. Più in generale erano all'Indice tutti gli autori non cattolici, 126 testi di 117 autori cattolici, 322 opere anonime, tutte le opere di astrologia e magia. La Bibbia si poteva leggere solo su permesso scritto di qualche prelato ed il permesso era concesso ai soli uomini che conoscessero il latino. Nel 1564, dopo la chiusura del Concilio, l'Indice viene aggiornato e diventa Indice Tridentino. La novità qui consisteva nella possibilità di togliere dai libri i passi ritenuti offensivi alla fede cattolica. Ciò comportò un altro elenco di libri da affiancare a quello dei libri proibiti, quello dei libri da espurgare, l'Index Librorum Expurgatorius, con la conseguenza che molti libri così ritagliati risultavano incomprensibili e contraddittori. Si e avanzavano qualche teoria in disaccordo con l'Aristotele della Scolastica, quello di Tommaso d'Aquino che, proprio in quegli anni (1567), veniva da Pio V nominato Dottore della Chiesa. Un'altra bolla del 1564 si inseriva in una questione estremamente delicata, il controllo di coloro i quali iniziavano ad alfabetizzarsi attraverso il controllo degli insegnanti da parte di esami del vescovo, dei luoghi in cui si svolgeva e dei testi che utilizzavano (la Chiesa, come accennavo, è sempre stata contraria all'alfabetizzazione di massa ritenuta un grave pericolo).
        La costruzione di un Indice non era però cosa facile che potesse fare qualcuno di sua iniziativa. Fu necessario istituire un gruppo di persone che fosse in grado di decidere cosa proibire o espurgare. Nel 1571 Papa Pio V, il Papa che vietò la pubblicazione di opere nelle lingue volgari (1567), che abrogò il carnevale, che con una bolla fece chiudere tutte le sinagoghe di Roma, che fece convocare il Veronese perché desse spiegazioni sul suo dipinto Cena in casa di Levi obbligandolo alla modifica e che espulse gli ebrei dai territori dello Stato della Chiesa, organizzò ed istituì la  Congregazione per l’Indice, costituita da alcuni cardinali e vari consultori esterni, con lo scopo di tenere aggiornato l'Indice e di diffonderlo in ogni luogo della cristianità attraverso gli inquisitori locali (tanto per mostrare la valenza dell'Indice). Per parte sua il Sant'Uffizio, che aveva preso il posto dell'Inquisizione, voleva gestire in proprio la scelta dei libri da porre all'Indice. Riuscirà nel suo scopo solo nel 1916 quando la Congregazione verrà abolita con il Sant'Uffizio ancora vivo e vegeto (con un cambiamento di nome nel 1965, Congregazione per la Dottrina della Fede.
        Questo Papa ebbe molto di più da fare contro gli ebrei, gli assassini [loro ! ndr] di Gesù.  Il 12 luglio del 1555 emise la Bolla Cum nimis absurdum che istituiva la creazione del Ghetto di Roma, il serraglio degli ebrei; gli ebrei vennero quindi costretti a vivere reclusi in una specifica zona del rione Sant'Angelo. Anche in altre città dello stato pontificio gli ebrei furono rinchiusi in ghetti e obbligati a portare un copricapo giallo (glauci coloris), per essere immediatamente individuati. Agli ebrei veniva  proibito di esercitare qualunque commercio ad eccezione di quello degli stracci e dei vestiti usati. Inizialmente erano previste due porte che venivano chiuse al tramonto e riaperte all'alba.
Paolo IV fu un acceso antisemita che impose conversioni forzate, in alternativa all'espulsione, battesimi di bimbi ebrei e altre infamità. Aveva addirittura mandato ad Ancona due commissari straordinari per arrestare e processare gli ebrei apostati che dal 1540 erano fuggiti dal Portogallo e si erano stabiliti in città. Nel 1556 furono impiccati e bruciati al rogo 24 marrani che si erano rifiutati di convertirsi alla religione cattolica. Per maggiore gloria di Gesù.
        Queste erano le armi che Paolo IV voleva utilizzare per la Riforma che però, in tal modo, divenne solo una Controriforma che volle imporre il credo (non quello religioso) della Chiesa a tutta l'umanità e chi non si adattava doveva essere affidato all'Inquisizione come eretico. L'operazione sarebbe servita forse a rafforzare la Chiesa al suo interno ma certamente ad escludere più che ad unire.
        Ancora in cose di Chiesa nel 1558 fece un ripetitivo ed inutile intervento. Con la bolla Cum secundum Apostolorum tentò di evitare che la scelta di un pontefice avvenisse al di fuori del Conclave evitando in sommo grado la simonia.
        E da ubriacone qual era diventato lasciò questa valle di lacrime.
Di più vuoi tu saperne? Fu papa e tanto basta, Fece posto ad un candidato di compromesso mite e schivo, infatti il conclave che seguì, durato 4 mesi, elesse al Soglio Pontificio Giovan Angelo de' Medici che assunse il nome di Pio IV (1559-1565). Va subito detto che questo Papa non aveva nulla a che fare con la famiglia Medici di Firenze che aveva dato prove tanto disastrose nel papato. Egli proveniva da umile famiglia milanese che aveva raggiunto un certo grado di agiatezza grazie all'abilità ed al lavoro del fratello maggiore che si era distinto in una brillante carriera militare fino a diventare marchese e sposare una Orsini, cognata del cardinale Farnese. Ma i romani, sentito che l'eletto era un Medici, pensarono di tornare alle vacche grasse di Leone X e si scatenarono in riti sacrileghi per le strade. Appena eletto, il nuovo Papa, da persona comprensiva qual era, perdonò gli eccessi e, fatto molto più importante, criticò l'operato dell'Inquisizione riportandola all'ambito originale e moderò le iniziative dell'Indice. Egli era un assertore della Riforma da fare con il Concilio, che fece riaprire e che sotto il suo pontificato si concluse, e non con i metodi dell'Inquisizione.

IL CONCILIO SI CONCLUDE

        Pio IV iniziò a muoversi con vero spirito ecumenico. Non ebbe da rivendicare nulla con i sovrani cattolici. Li riconobbe tutti come entità esistenti indipendentemente dalla volontà della Chiesa e con loro iniziò a cercare accordi per riprendere le sessioni del Concilio di Trento. Dopo aver contattato Ferdinando I e Felipe II ed avere preso atto che tra Asburgo (corona imperiale) e Valois (corona francese) si era stabilita la pace tra cristiani sottoscritta nel 1559 nel Trattato di Cateau-Cambrésis, alla fine di novembre del 1560 annunciò con una Bolla la riapertura del Concilio di Trento per la Pasqua del 1561 anche se poi di fatto riaprì solo a gennaio del 1562. Uno dei motivi che spinsero Pio alla convocazione rapida della terza sessione del Concilio fu la nascita del movimento calvinista in Svizzera che stava dilagando anche in Francia. Nei colloqui tra Felipe II e Pio IV era nata la preoccupazione che in Francia si sarebbe potuto convocare un Concilio Nazionale per sanare i contrasti che dividevano lo Stato e ciò avrebbe potuto significare una nuova lacerazione nella Chiesa (quel Concilio Nazionale fu poi convocato a Poissy nel 1561 ma i vescovi francesi non furono d'accordo con il Re nel riformare la Chiesa in Francia in modo da trovare accordi con i calvinisti). Insomma vi erano contagi in tutta Europa ma Pio confidava di mantenere l'integrità di Italia e Spagna. E la Francia si accodò mandando suoi rappresentanti a Trento. Vi furono infinite dispute iniziali anche relative all'accettazione o meno di quanto già deciso. Ci volle molto tempo, con un paio di presidenti del Concilio (Ercole Gonzaga e Seripando), che morirono essendo fisicamente esausti, prima di incanalare, con la presidenza del cardinale Morone, il Concilio su una strada fruttifera. Servì una trattativa con i sovrani dei maggiori Paesi cattolici per stabilire che gli argomenti all'ordine del giorno erano di competenza autonoma della Chiesa e non emanazione di cardinali al servizio di quei Paesi. Dopo estenuanti incontri e scontri di lavoro nelle diverse commissioni religiose e teologiche, che evidenziarono l grande divisione tra la Curia ed i Vescovi, il Concilio arrivò a conclusione, sotto la spinta di Morone anche per voci che davano il Papa in fin di vita.
        Tra i vari possibili temi vennero affrontatati quelli: del sacrificio della Messa come "ripresentazione" del sacrificio di Gesù, condannando con ciò le idee luterane e calviniste della Messa come semplice "ricordo" dell'ultima cena e del sacrificio di Cristo; della Chiesa come gerarchia che discende da Pietro, con il Papa vicario di Cristo e con i vescovi successori degli apostoli; dell'indissolubilità del matrimonio e del celibato degli ecclesiastici; della natura del Purgatorio; del culto dei santi, delle reliquie e delle immagini sacre; delle indulgenze. Altre questioni non trattate per mancanza di tempo, tra cui quella dell'Indice, furono demandate alla Curia.
        A giugno del 1564 il Concilio fu dato per concluso con la Bolla Benedictus Deus, e Pio IV approvò tutti i decreti conciliari incaricando una commissione di vigilare sulla corretta interpretazione e attuazione degli stessi.
        Tutto era andato secondo i voleri della Curia romana che aveva vinto sui vescovi. Riforme marginali (ma in ben 250 punti rispetto ai vari diritti precedentemente in vigore), rafforzamento dell'ortodossia e della centralizzazione di ogni minima decisione a Roma e dura condanna del protestantesimo. Seppur vi fosse stato un qualche cambiamento nel senso dell'apertura e della riconciliazione, venne fagocitato dal Papa che, con il solito metodo pretesco, di fronte a chi interpretava alcuni dettami conciliari in senso vicino a chi voleva cambiare e chi in senso vicino alla curia romana, decise salomonicamente che ogni interpretazione poteva essere solo demandata a LUI. Ed un primo risultato si ebbe subito: gli atti del Concilio furono bloccati alla pubblicazione e si seppe di loro solo alla fine del XIX secolo (!). Ciò permise al Papa completa discrezione anche perché quella commissione che doveva vigilare sulla corretta interpretazione e attuazione dei decreti conciliari, era fatta da cardinali e personale della curia romana e chi avesse voluto protestare per la non applicazione di qualche decreto, non poteva farlo perché non lo conosceva. In ogni caso la fine del Concilio di Trento segnava la data d'inizio della Controriforma (o Riforma Cattolica). Il Concilio comunque riformulò e ribadì la dottrina cattolica riguardo ai punti che erano stati posti in discussione: la giustificazione (ossia i mezzi per la salvezza dell'anima), l'interpretazione delle Sacre scritture da parte della chiesa, i sacramenti (in particolare, si riaffermò la transustanziazione, secondo cui nell'Eucarestia si ha la presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nel pane e nel vino consacrati), la liturgia, il culto dei santi e della Madonna, l'uso delle indulgenze e l'obbedienza alla chiesa e al pontefice. E fece qualcosa di gravissimo, equiparò le Sacre Scritture alla tradizione della Chiesa elevando quest'ultima ad una Sacra Scrittura, con cioè una medesima autorità.

Dalla Germania venne subito nel 1565 una risposta con l'Examen Concilii Tridentini del luterano Martin Chemnitz. Era una totale stroncatura del Concilio, che ebbe profonda influenza per secoli, che, in più, con citazioni teologiche molto dotte entrava in polemiche dottrinali sui sacramenti divaricando sempre più il solco tra le due Chiese. I difensori dell'ortodossia cattolica (domenicani e gesuiti) non sapevano bene cosa rispondere perché non conoscevano i decreti conciliari ... che non potevano conoscere perché non potevano accedervi. Intanto gli anni passavano ed anche gli anziani testimoni conciliari sparivano con la conseguenza che ogni memoria del Concilio spariva. Intanto i luterani, a cui si associarono i calvinisti, già del 1562 negarono ogni validità al Concilio il cui scopo era perfettamente raggiunto, la divisione tra le Chiese era definitiva e sempre più incarognita. Ed anche l'Impero, Sacro e Romano, con Ferdinando I, per la prima volta non accettò il responso di una istituzione ecclesiastica.
E non sembri che tutto marciava con dispute, magari violente, ma solo con manifestazioni verbali. Le guerre, soprattutto se di religione, sono le peggiori e chi ha forza e mezzi li usa. E la seconda metà del Cinquecento fu un terreno fertile per farne. Nel 1562 i cattolici massacrarono la comunità protestante di Vassy in Francia; nel 1572 ancora i cattolici massacrarono i protestanti Ugonotti (erano i francesi protestanti di tendenza calvinista) nella Notte di S. Bartolomeo (sette guerre fossero necessarie prima che terminasse in Francia la contesa tra cattolici e ugonotti); nel 1587 la protestante Elisabetta I di Inghilterra fece uccidere la cattolica Maria Stuart per problemi di successione al trono. Oltre a questo compito molto importante anche se fallimentare per l' unità della Chiesa (e non per colpa di Pio IV) vi sono altre vicende di questo Papa che meritano attenzione.
Durante la sede vacante che portò all'elezione di Pio IV, Giovanni Carafa, fratello del più volte citato Carlo, ambedue nipoti di Paolo IV, aveva ammazzato personalmente il presunto amante di sua moglie che aveva avuto uguale sorte essendo stata fatta strangolare. Pio IV volle dare una punizione esemplare ai nipoti, più delinquenti che sregolati, del suo predecessore. Li fece arrestare tutti con l'accordo di tutti i cardinali meno uno, Ghisleri, che era stato l'Inquisitore Generale con Paolo IV. Vennero tutti condannati a morte con il sequestro di ogni loro bene e solo il più giovane, il cardinale Alfonso, ottenne la grazia (anticipo solo che Ghisleri sarà il successore di Pio IV con il nome di Pio V e che rivedrà il processo annullando la sentenza e, soprattutto, restituendo i beni ai Carafa). Non era comunque un processo al nepotismo perché, quando ho parlato bene di questo Papa, non ho detto che fosse contrario al nepotismo. Anzi ! Egli fu nepotista come gli altri estendendo il nepotismo non solo alla sua famiglia m anche a quelle in qualche modo legate alla sua: i Serbelloni, gli Hohenems ed i Borromeo. Sull'ultima famiglia in particolare andarono moltissimi favori ed in modo rilevante a Carlo Borromeo, fatto cardinale e fiduciario di Pio IV (fu Borromeo che spinse nel senso della Restaurazione cattolica). Anche Roma ebbe qualche beneficio, ancora con l'opera di Michelangelo, che dalle Terme di Diocleziano ricavò la Basilica di Santa Maria degli Angeli (anche Borgo Pio, il quartiere che lega Castel Sant'Angelo con la Basilica di San Pietro, sorse sotto il suo pontificato).Amava il lusso e lo sfarzo ma si sa che donò ai poveri e morì senza arricchimenti personali. successore sarà un altro criminale ed incallito assassino, l'Inquisitore Generale sotto Paolo IV, il cardinale domenicano Michele Ghisleri.

NO FAITHS NO PAIN

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8 Anni 7 Mesi fa #2651 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
10 Marzo 1208, con bolla papale, Innocenzo III indice la crociata contro gli Albigesi (catari).

Il 21 Luglio dell' anno successivo, nel 1209, si compì quello che viene ricordato come "il massacro di Béziers"; copio da wiki:

"[...]Dopo aver circondato la città, i crociati chiesero che i càtari venissero banditi oltre le mura cittadine, ma ricevettero un deciso rifiuto. La città cadde il giorno successivo, quando un fallito tentativo di sortita da parte degli assediati permise alle truppe crociate di penetrare nella città. Sebbene Béziers non contasse una cifra superiore alle 500 persone appartenenti alla religione càtara, molti abitanti vennero massacrati (Lo stesso Amaury scrisse che i morti furono circa ventimila, ma le ricostruzioni sono contrastanti e diversi storici ritengono difficilmente plausibile tale cifra).
È divenuta leggendaria la risposta che in quell'occasione Arnaud Amaury avrebbe rivolto a un soldato che gli chiedeva come poter distinguere nell'azione gli eretici dagli altri: "uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi". L'autenticità di tale frase, però, è messa in dubbio in quanto non risulta in nessuna delle pur numerose cronache degli eventi; si trova invece in forma leggermente diversa («Cedite eos. Novit enim Deus qui ejus sunt» e cioè "Uccideteli. Dio infatti conosce coloro che sono suoi") e introdotta da un prudenziale ”«fertur dixisse» ("si dice") nel Dialogus Miraculorum, il Libro dei Miracoli, scritto circa sessanta anni dopo gli avvenimenti dal monaco tedesco Cesario di Hesisterbach
. [...]"


Su questi fragili resoconti pochi anni fa c'è stata una breve disputa tra il Vaticanista Vittorio Messori (già colto in fallo a sminuire i crimini della chiesa, ad es. negando o minimizzando le stragi durante la conquista del sud America) e Francesco Zambon, filologo e accademico tra l' altro esperto dell' "eresia catara".
Si parte con l' articolo di Messori seguito da tre repliche.
Buon divertimento (garantito dalla richiesta di creare una lega anti calunnia! )



di Vittorio Messori, Corriere della sera, 31 gennaio 2007
"Sostengo da tempo che i cattolici, ridotti ormai a minoranza (almeno sul piano culturale) dovrebbero seguire l’esempio di un’altra minoranza, quella ebraica . Dovrebbero, cioè, creare anch’essi un’Anti Defamation League che intervenga sui media a ristabilire le verità storiche deformate,  senza peraltro   pretendere alcuna   censura o   privilegio , bensì  soltanto la possibilità di rettifiche basate sui dati esatti e sui  documenti autentici.

La lotta ai catari fu la lotta contro l’oscurantismo
Prendiamo, ad esempio, quei Càtari (Albigesi, in Francia) di moda anche perché hanno gran parte nel Codice da Vinci e che si vorrebbero rivalutare, dimenticando che erano seguaci di una cupa, feroce,  sanguinosa setta di origine  asiatica.  Paul Sabatier - storico del Medio Evo e insospettabile in quanto pastore calvinista – ha scritto: «Il papato non è stato sempre dalla parte della reazione e dell’oscurantismo: quando sbaragliò i càtari la sua vittoria fu quella della civiltà e della ragione».
E un altro protestante, radicalmente anticattolico e celebre  studioso delle crociate, l’americano Henry C. Lea: «Una vittoria dei càtari avrebbe riportato l’Europa ai tempi selvaggi primitivi».

La presa di Beziers
Della campagna cattolica contro quei settari (appoggiati dai nobili del Midi francese non per motivi religiosi, ma perchè volevano mettere le mani sulle terre della Chiesa) è ricordato soprattutto l’assedio e la presa di Béziers, nel luglio del 1209. Vedo ora, su il Messaggero,  che un divulgatore di storia come Roberto Gervaso non esita a dare per buona la replica di dom Arnaldo Amalrico, abate di Citeaux  e  “assistente spirituale“ dei Crociati, ai baroni che gli chiedevano che cosa fare della città conquistata. La risposta è stata resa famosa dagli innumerevoli ripetitori: «Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi». Ne seguì un massacro che, stando a Gervaso – seguace, anche qui, della vulgata corrente – avrebbe fatto fino a quarantamila morti. Il divulgatore è comunque in sorprendente compagnia: persino uno specialista vero del Medio Evo come Umberto Eco, ne Il nome della Rosa, accredita la frase terribile dell’abate e il numero spropositato delle vittime.
Ebbene: si dà il caso che possediamo molte cronache contemporanee della caduta di Béziers , ma in nessuna di esse vi è traccia di quell‘ “uccideteli tutti“. La realtà è che più di sessant’anni dopo, un monaco, Cesario di Heisterbach, che viveva in un’abbazia del Nord della Germania da cui mai si era mosso, scrisse un centone fantasioso conosciuto come Dialogus Miracolorum. Tra i “miracoli“ pensò di inventare anche questo: mentre i crociati facevano strage a Béziers (che fra’ Cesario neppure sapeva dove fosse) Dio aveva “riconosciuto i suoi”, permettendo a coloro che non erano càtari di sfuggire alla mattanza.
Insomma, la frase attribuita a dom Arnaldo ha la stessa credibilità dell’ «Eppure si muove!» che sarebbe stato  pronunciato fieramente da Galileo Galilei davanti ai suoi giudici  e che fu invece inventato a Londra, nel 1757, quasi un secolo e mezzo dopo, da uno dei padri del giornalismo, Giuseppe Baretti.

I cattolici non volevano la strage
In realtà, a Béziers, in quel 1209 i cattolici volevano così poco una strage che inviarono ambasciatori agli assediati perchè si arrendessero, avendo salva la vita e i beni. Del resto, dopo una lunga tolleranza, il papa Innocenzo III si era deciso alla guerra solo quando i Càtari, l’anno prima, avevano assassinato il suo legato che proponeva un accordo e una pace. Erano falliti pure i tentativi pacifici di grandi santi come Bernardo e Domenico.

Ai catari fu fatale lo scontro con i Ribaldi
Anche a Béziers, i Càtari replicarono con la violenza del loro fanatismo all’offerta di negoziare: tentarono, infatti, una sortita improvvisa ma, per loro sventura, i primi che incontrarono furono les Ribauds, i Ribaldi, il cui nome ha assunto il significato inquietante che sappiamo. Erano, infatti, compagnie di mercenari e di avventurieri dalla pessima fama. Questa masnada di irregolari, non solo respinse gli assalitori ma li inseguì sin dentro la città. Quando i comandanti cattolici accorsero con le truppe regolari, il massacro era già iniziato e non ci fu modo di fermare quei “ribaldi“ inferociti.
Venti, addirittura quarantamila morti? La strage ci fu, comprensibile con la mentalità di allora (lo storico vero non giudica il passato con le categorie del suo tempo) ed è spiegabile con l’esasperazione provocata dalla crudeltà dei càtari. Comunque, l’eccidio principale ebbe luogo tra coloro che si erano rifugiati nella chiesa della Maddalena, nella quale non potevano affollarsi più di mille persone. Béziers spopolata e diroccata? Non sembra proprio, visto che la città si organizzò poco dopo per ulteriori resistenze e occorse un nuovo assedio.
Insomma: un episodio, tra mille altri, di manipolazione ideologica. Una “Lega anticalunnia“ non gioverebbe solo ai cattolici, ma a un giudizio equo e attendibile sul passato di un’Europa forgiata per tanti secoli anche dalla Chiesa
."
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8 Anni 7 Mesi fa #2652 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
Replica Francesco Zambon:
Il vero massacro dei Catari
di Francesco Zambon - 08/02/2007

-Assurde enormità su una setta antica
"Sul Corriere della Sera di mercoledì 31 gennaio, Vittorio Messori propone la costituzione di una "Lega anticalunnia" in difesa dei cattolici, allo scopo di rettificare - basandosi «sui dati esatti e sui documenti autentici» - alcune verità storiche che sarebbero deformate da "falsi miti".
Il "falso mito" che Messori prende di mira nell´articolo è lo sterminio dei catari, con particolare riferimento a un episodio della Crociata scatenata da papa Innocenzo III per debellare l´eresia catara nel Mezzogiorno francese, la presa e il sacco di Béziers (1209). Ma altro che dati esatti e documenti autentici! Gran parte di quelle che ammannisce Messori sono delle vere enormità dal punto di vista storico. Sorvoliamo su pure invenzioni a scopo di calunnia (queste sì!), come il fatto che i catari sarebbero stati seguaci di una «cupa, feroce, sanguinaria setta di origine asiatica». È ben noto da innumerevoli fonti, per lo più cattoliche, che essi praticavano la forma più rigorosa di non violenza, astenendosi dall´uccisione sia degli uomini sia degli animali. Alcuni contadini impiccati a Goslar nel 1051, fra le prime vittime della repressione cattolica, furono accusati di eresia e condannati solo per aver rifiutato di un uccidere un pollo!

Ma veniamo alla strage perpetrata dai crociati a Béziers il 22 luglio 1209, all´inizio della Crociata albigese. Messori afferma che se eccidio ci fu, esso fu giustificato «dall´esasperazione provocata dalla crudeltà dei càtari, che non solo a Béziers da anni perseguitavano i cattolici».
Ora, a parte il paradosso di presentare come persecutori coloro che furono perseguitati per oltre un secolo in tutta Europa, proprio il caso di Béziers mostra esattamente il contrario di quanto vorrebbe farci credere Messori: i cattolici erano così poco esasperati dai catari, che la ragione per cui la città fu attaccata e distrutta fu il rifiuto da parte dei suoi abitanti, fedeli alla propria autonomia municipale e ai propri princìpi di tolleranza, di consegnare ai crociati i circa duecento sospetti di eresia (tanti erano) di cui il vescovo Renaud de Montpeyroux aveva provveduto a stilare la lista.

Ma tutta la ricostruzione del sacco di Béziers proposta nell´articolo è pura deformazione storica, costellata di clamorosi errori e falsificazioni.
In particolare per quanto riguarda la frase che avrebbe pronunciato il legato pontificio Arnaldo Amalrico, allora alla guida dei crociati, in risposta ai suoi uomini che gli chiedevano che cosa fare della popolazione, in maggioranza cattolica: «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi», avrebbe risposto.
Messori nega l´autenticità di questa frase, che è riportata da un autore tedesco, il monaco cistercense Cesario di Heisterbach, nel suo Dialogus miraculorum. Per svalutarne l´attendibilità, egli afferma che l´opera di Cesario sarebbe stata scritta sessant´anni dopo i fatti. Peccato che a quest´epoca Cesario fosse già morto da quasi trent´anni. In realtà il Dialogus fu scritto fra il 1219 e il 1223, appena una decina d´anni dopo il sacco di Béziers.
Certo, l´autenticità della frase attribuita ad Arnaldo è stata molto discussa dagli storici; ma oggi si tende a ritenerla del tutto plausibile, essendo stata dimostrata la molteplicità e attendibilità delle fonti dirette di cui disponeva Cesario. Comunque, autentica o no, la frase (che in realtà suona così nel testo di Cesario: «Massacrateli tutti, perché il Signore conosce i suoi», con una riconoscibile citazione della Seconda lettera a Timoteo di san Paolo), corrisponde esattamente a ciò che avvenne e, contrariamente a quanto sostiene Messori, trova riscontro in numerose altre fonti contemporanee. La più sconvolgente è proprio la lettera ufficiale che Arnaldo in persona, insieme all´altro legato pontificio Milone, scrisse al papa per riferirgli l´accaduto e che si può leggere nel volume 216 della Patrologia latina: «La città di Béziers fu presa e, poiché i nostri non guardarono a dignità, né a sesso, né a età, quasi ventimila uomini morirono di spada. Fatta così una grandissima strage di uomini, la città fu saccheggiata e bruciata: in questo modo la colpì il mirabile castigo divino».

I nostri, dice Arnaldo: siano stati tutti gli assalitori a compiere la strage o solo i cosiddetti "ribaldi" (ossia i mercenari al seguito dell´esercito crociato), Arnaldo se ne assume pienamente e trionfalmente la responsabilità, parlando di "mirabile castigo divino". Il numero di morti di cui si vanta è sicuramente esagerato, come lo è quello fornito da altri testimoni e cronisti (qualcuno parlò addirittura di centomila): si voleva indicare solo una mattanza straordinaria, che restò a lungo nella memoria della gente. Ciò che avvenne fu proprio quel che lascia intendere la frase attribuita ad Arnaldo: fu compiuto uno sterminio indiscriminato degli abitanti di Béziers, cattolici ed eretici, uomini e donne, vecchi e bambini.

Se gli argomenti della "Lega anticalunnia" che Messori propone di costituire sono quelli addotti nel suo articolo, temo che per essa non si aprano grandi prospettive. E credo che la Chiesa non abbia davvero bisogno di questa nuova e goffa forma di "negazionismo" per difendere i propri valori e propri princìpi
."
www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=8553



Controreplica di Messori:
-La disputa sul massacro dei Catari
"Vedo la replica di Francesco Zambon al mio articolo per il Corriere della Sera sulla crociata contro gli Albigesi e la presa di Béziers. E vedo la riproposta di una " mitezza " catara che dimentica come la loro causa fosse militarmente sostenuta dai Signori del Midi, i quali si abbandonarono a massacri non inferiori a quelli dei Baroni del Nord, che miravano alla conquista della Linguadoca. Tanto che, già all' inizio del 1213, il papa Innocenzo III scriveva all' arcivescovo di Narbonne che, essendo oramai conseguiti i fini religiosi, la crociata doveva terminare. Se la guerra durò ancora 16 anni, ciò fu contro le intenzioni della Santa Sede e fu condotta per fini politici ed economici. In quel periodo la Chiesa fu scavalcata e si verificarono gli episodi peggiori, mancando l' opera moderatrice dei religiosi.

Quanto al sacco di Béziers e al malfamato "Tuez-les tous" dell' abate di Ciateaux: assediata dalla polemica della Terza Repubblica anticlericale, la Chiesa di Francia mise al lavoro i suoi storici migliori e la questione fu chiarita in modo che sembra definitivo, almeno nelle linee portanti, già all' inizio del XX secolo. In particolare, fondamentali furono i contributi di Jean Baptiste Guiraud, cattedratico di storia medievale all' università di Besancon e, come nativo di Carcassonne, specialista proprio della vicenda catara. Nel primo volume della sua solida, scientifica Histoire partiale, histoire vraie (ristampata di recente dalle Edtons Saint Rémi) , Guiraud dedica due densi capitoli agli albigesi e a Béziers che concordano con quanto da me scritto.
Tra gli altri, è da citare Amand Rastoul, paleografo degli Archivi Nazionali di Parigi che (in Revue d' apologétique, 1905) propone la mia stessa lettura dei fatti. Studi sospetti perché di parte credente? In realtà, studi basati su una documentazione che gli storici avversi non hanno potuto smentire e che confermano la necessita di una "Lega anticalunnia" cattolica. Grazie dell' ospitalità.
"
VITTORIO MESSORI


-Controcontroreplica di Zambon:
"Nel mio articolo non ho presentato interpretazioni, ma documenti; e molti altri se ne sarebbero potuti aggiungere. A questi Messori non ha di meglio da contrapporre che alcuni studi dei primi anni del Novecento: una rivelatrice nota bibliografica al suo articolo. Peccato che poi ci sia stato un secolo di ricerca storica, che egli sembra ignorare del tutto, con centinaia di lavori fondamentali che hanno rinnovato completamente la nostra conoscenza del catarismo e della Crociata albigese. Quanto alle ragioni e alle fasi della Crociata stessa, ci sarebbe molto da discutere. Comunque, il sacco di Béziers (con un massacro indiscriminato - ripetiamolo: è lo stesso legato pontificio che se ne vanta nella sua lettera al papa - di migliaia di persone) è precedente il 1213: quali "episodi peggiori" vi furono dopo?" FRANCESCO ZAMBON
ricerca.repubblica.it/repubblica/archivi...acro-dei-catari.html
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8 Anni 7 Mesi fa #2658 da Pyter
Risposta da Pyter al topic La storia nascosta
Interessante disputa tra Messori e Zambon sui Càtari, veramente intensa e
portata avanti a colpi di documenti alla mano.
A proposito, ma i documenti quali sarebbero e, soprattutto, dove sono?

Come può l'acqua memoria serbare se dalle nuvole cade? (poeta del dugento)
Ci sposiamo sessiamo insieme sessista bene perché no (progetto anti gender 2016)

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8 Anni 7 Mesi fa #2659 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta

Pyter ha scritto: Interessante disputa tra Messori e Zambon sui Càtari, veramente intensa e
portata avanti a colpi di documenti alla mano.
A proposito, ma i documenti quali sarebbero e, soprattutto, dove sono?



Mi fa piacere che l' abbia trovata "interessante, veramente intensa e portata avanti a colpi di documenti" io l' avevo presentata come "una breve disputa"...:hatchet:

Ma valeva la pena leggerla anche solo per venire a conoscenza della "lega anticalunnia". :poke:

P.S.
Ho quasi finito di leggere Magnani, mi sono dovuto fermare per alcuni giorni.

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #2803 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
Quale e' stata la risposta della chiesa cattolica alla massoneria? I gesuiti, che scindendosi in due parti formarono la parte sudamericana nettamente favorevole alla teologia della liberazione,seppellita dal papa polacco quando visito' il sudamerica benedicendo anche il macellaio pinochet, e la parte europea e statunitense che fondo' l'opus dei, con tutti i crismi della massoneria reazionaria,ebbene per ramificare l'ideologia gesuitica,furono fondate scuole sopratutto per la cosidetta classe dirigente,in questo articolo vengono svelati i nomi di alcuni di questi rampolli che formeranno e formano la nostra ahime' classe dirigente...buona lettura.

DAL SITO TUTTI GLI SCANDALI DEL VATICANO

I GESUITI CHE IN ITALIA ALLEVANO LA CLASSE DIRIGENTE, COMPRESO MARIO DRAGHI


"Frequentare il Massimo vuol dire entrare in contatto con le scuole dei Gesuiti presenti in Italia (a Milano, Torino, Napoli, Palermo e Messina), in Europa e in tutto il mondo, con le quali i nostri ragazzi ogni anno vivono esperienze di confronto didattico, di scambio culturale, di competizione sportiva e di iniziative umanitarie in comune."

Dal sito dell' Istituto Massimiliano Massimo.
Mario Draghi fu un allievo dei Gesuiti, e con lui molta della classe dirigente italiana, come Luca Cordero di Montezemolo, Luigi Abete, Gianni de Gennaro, Francesco Rutelli, compreso anche direttori di giornali "alternativi" come Piero Sansonetti, direttore di Liberazione. Non sono le solite idee "complottiste", è la pura realtà dei fatti, guardate voi stessi l'intervista allo stesso Draghi e leggete l'articolo del Corriere della Sera "Quelli del Massimo: si trova all’ Eur la scuola dei campioni È l’ istituto che ha allevato la futura classe dirigente". L’Istituto Massimiliano Massimo è una scuola privata cattolica della Compagnia di Gesù, sita a Roma, che si ispira ai principi pedagogici di Ignazio di Loyola. E' da qui che sono nati molti dei nomi di spicco che oggi detengono le leve del potere in Italia e non solo, compreso lo stesso Draghi, che ricordiamo essere "Governatore della Banca d'Italia.
Il 24 giugno 2011 è stata formalizzata la sua investitura alla Presidenza della Banca Centrale Europea a partire dal 1º novembre 2011". Noi di questo blog abbiamo da tempo portato avanti un'analisi del potere dei Gesuiti, analisi che riscontriamo in ben pochi altri siti e blog che denunciano i mali del Nuovo Ordine Mondiale. Questa carenza di analisi ci appare molto sospetta, tanto più che viviamo in un paese, l'Italia, che appare essere il centro mondiale del potere Vaticano-Gesuiti. Le notizie sull'istituto di formazione dei gesuiti che trovate sotto, prese da un giornale di rilievo nazionale come il corriere della sera, quando vengono divulgate da codesti organi di propaganda, sono inquadrate nel contesto che è caro a chi detiene le leve del potere; cioè, si dice che i Gesuiti hanno formato la classe dirigente italiana ma, attenti, nessun complotto, solo un metodo di lavoro che è caratteristico delle scuole dei Gesuiti, che sarebbe:

«La persona che esce da questa scuola dovrebbe essere non solo competente, ma anche una persona che ama, che si prende cura di sé, degli altri, del mondo, che si impegna per la giustizia, che ha fede...Un uomo o una donna per gli altri e con gli altri»
Leggiamo la missione dell'Istituto Massimo dal loro stesso sito:

"Aspiriamo all’eccellenza accademica e umana per formare donne e uomini non solo competenti, ma anche coscienziosi, compassionevoli e testimoni della propria fede vissuta nella giustizia, nel servizio e nel rispetto del creato.
Ricercare il rigore negli studi, valorizzare le ricchezze della tradizione pedagogica di Sant’Ignazio di Loyola, innovare nei metodi e nei linguaggi, aprire il cuore alle nuove frontiere, basare l’educazione sulla centralità della persone e delle relazioni, promuovere la creatività; tutto ciò costituisce il Nostro Modo di Procedere per imparare a saper essere per gli altri e con gli altri."
E noi dovremmo credere a queste panzane!
Quindi, se non si conosce la storia dei Gesuiti, le loro Istruzioni Segrete, il loro controllo delle istituzioni globaliste, la loro immensa ricchezza, il loro controllo dell'opposizione al nuovo ordine mondiale ecc. non si potranno mai inquadrare nella giusta angolazione ne gli articoli ne il video sotto riportati. Il nostro suggerimento è quello invece di connettere i puntini e trarne le giuste conclusioni, individuando il vero obiettivo degli istituti di formazione dei gesuiti, come il Massimiliano Massimo, cioè l'aspirazione al potere mondiale. Sotto vi riporto un passo tratto dalle Istruzioni Segrete della Compagnia di Gesù tanto per rinfrescarvi la memoria:

"Tuttavia la setta dei Gesuiti venne collocata da Loyola sotto un governo dispotico e rigorosamente militare. In effetti, il vecchio soldato ferito prese le sue leggi e la disciplina dalla sua esperienza militare. Come un capo militare, il loro generale veniva scelto per la vita. Ad ogni suo membro veniva fatto prestare giuramento sulla croce, per ottenere la sua implicita obbedienza. Come soldato, il Gesuita concedeva il suo corpo, la sua anima, i suoi desideri e le sue volontà al suo generale. Egli non aveva alcun diritto di consultare un amico o di esercitare addirittura il proprio giudizio. La volontà del generale era la sua volontà; egli doveva andare ovunque il suo capo, residente a Roma, avrebbe ordinato - Asia o Africa, o qualsiasi parte del globo. Egli non faceva nessuna domanda; non chiedeva nessuna ragione. Il generale era il suo dio sovrano. Egli navigava con ordini sigillati. Egli doveva insegnare, ma non quello che credeva essere giusto. Egli non aveva nessuna scelta nella sua fede, doveva credere nel suo cuore, nella sua anima e nella sua coscienza, quello che il suo generale ordinava. Egli doveva compiere qualsiasi atto a lui ingiunto, senza fare domande. Egli non doveva rifuggire da qualsiasi atto di sangue. Se il generale lo ingiungeva, egli doveva inviare la Armada Spagnola a rovesciare l'Inghilterra; doveva far saltare in aria il Parlamento Inglese con la polvere da sparo; doveva assassinare il Re Enrico di Francia, o sparare al Principe d'Orange; o avvelenare il Papa Ganganelli; o ingiungere a Carlo IX di perpetrare il massacro di San Bartolomeo; o a Luigi XIV di revocare l'editto di Nantes, e coprire l'onesta Francia di sangue e caos, e riempire le nazioni con i lamenti del loro miserabile esilio! Se essi fallivano, ritentavano più e più volte."
E adesso buona visione e buona lettura


Da Mario Draghi a Montezemolo, da Franco Coppi a De Rita.Quelli del Massimo: si trova all'Eur la scuola dei campioni.È l' istituto che ha allevato la futura classe dirigente.

«Negli anni Sessanta c' era un gruppo di ragazzi che andavano tutti a scuola insieme, avevano la stessa età e facevano la stessa classe. Prima le medie, poi il ginnasio e il liceo...». Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, il quotidiano di Rifondazione comunista, ha raccontato ieri nel suo editoriale questa storia: «Uno si chiamava Luca (Cordero di cognome), un altro si chiamava Mario (Draghi di cognome), un altro ancora Gianni (di cognome faceva De Gennaro)...Poi Luca da grande fece il presidente della Fiat, Gianni il capo della polizia e Mario, forse, il governatore centrale». Sembra una favola: Montezemolo, De Gennaro, Draghi. La scuola - lo ricorda Sansonetti, anche lui ex alunno - era una delle più prestigiose di Roma: l' istituto Massimiliano Massimo, retto dai padri gesuiti. Stava all' Eur. È ancora lì. Ma la storia, volendo, potrebbe continuare: perchè tra gli ex alunni del Massimo sono molti quelli che nella vita hanno avuto fortuna. Banchieri e industriali, da Luigi Abete (Bnl) a Rudy Peroni (dell' omonima birra), principi del foro (Franco Coppi), diplomatici e ambasciatori (Staffan de Mistura, Giovanni Dominedò, Silvio Fagiolo). E poi il presidente del Censis Giuseppe De Rita, l' ex presidente della Corte Costituzionale Riccardo Chieppa, il vicepresidente della Federcalcio Giancarlo Abete. Potere politico e potere economico. Una classe dirigente quasi al completo. «Non pensate a una lobby, però, vi sbagliereste - avverte il presidente degli ex alunni, Paolo Gaudenzi, 44 anni, professore ordinario alla Scuola di ingegneria aerospaziale dell' università La Sapienza - Se Mario Draghi arriverà a sedersi sulla poltrona di Governatore di Bankitalia, lo dovrà solo al suo valore eccezionale. Nessuna azione lobbistica lo porterà mai a palazzo Koch, nessuno di noi si sta muovendo in tal senso. Il segreto del Massimo è un altro: c' è dietro un metodo di lavoro...». Quale? Nel sito internet ( www.istitutomassimo.it ) viene spiegato chiaramente: «La persona che esce da questa scuola dovrebbe essere non solo competente, ma anche una persona che ama, che si prende cura di sé, degli altri, del mondo, che si impegna per la giustizia, che ha fede...Un uomo o una donna per gli altri e con gli altri». È il metodo ignaziano, la scuola dei gesuiti. Etica e studio, libri e morale. Dall' asilo al liceo. «Ma i valori cristiani qua si propongono, non si impongono mica», chiosa convinto l' ingegner Gaudenzi. Scuola cattolica, privata, esclusiva. «La numero uno di Roma», sentenzia orgoglioso Giulio Viola, 67 anni, ex Pirelli, Italcable, Telecom, oggi consulente economico internazionale, presidente uscente degli ex alunni. Professori mitici: «Nella classe di Draghi, De Gennaro e Montezemolo c' era Padre Chemeri - racconta Sansonetti - Un latinista fine e un personaggio molto carismatico coi giovani». Ma Franco Coppi, che vi studiò quando ancora la sede era quella di Palazzo Massimo alle Terme (Stazione Termini), ricorda sopra tutto la figura di Giovanni Faure, professore (laico) di Scienze. «Un fuoriclasse - dice Coppi - Arrivava alle 5 del mattino col suo sigaro in bocca e riempiva la lavagna di classificazioni: protozoi, metazoi... Ero affascinato. Sinceramente avrei voluto seguire i suoi passi. Ma poi, più per motivi contingenti che per vocazione, scelsi il diritto e quando andai a dirglielo s' infuriò. Mi schiaffeggiò in mezzo al corridoio e da quel giorno non mi rivolse più la parola». Quelli del Massimo non saranno una lobby, ma certo dopo la scuola rimangono molto amici. Giusto stasera il professor Coppi sarà a cena con gli ambasciatori Silvio Fagiolo e Giovanni Dominedò. Sono passati gli anni, ma non la voglia di raccontarseli.

Fabrizio Caccia Pagina 9 (22 dicembre 2005) - Corriere della Sera

I compagni di classe, da Montezemolo a Magalli: «Snider il più bravo, ma Mario ci faceva copiare»
ROMA - Uno scherzo che già rivelava un destino da showman (aggiunto alla bocciatura in prima liceo) costò a Giancarlo Magalli l' espulsione dall' Istituto Massimiliano Massimo, severa scuola retta dai gesuiti, erede di quel Collegio Romano espropriato dal Regno d' Italia ai padri di sant' Ignazio nel 1870 e trasformato nel laico «Visconti». Racconta Magalli, allora compagno di classe di Mario Draghi (e non solo): «C' era non so che ingrato compito in classe. Passai la notte a comporre un cartello: "Comune di Roma-Aula chiusa per disinfestazione". Perfetto, avrebbe ingannato chiunque. Durante la messa del mattino, il corridoio era deserto. Sigillai la porta della classe col nastro adesivo, appesi la scritta. Successe il finimondo, qualche professore ci credette. Poi mi beccarono. E addio. Mario, che spesso ci passava i compiti in pullman, sicuramente se la ricorderà, quella mattinata...». Il Massimo di quegli anni produsse una manciata di sezioni piene di future personalità. Fino al V ginnasio Draghi studiò in classe con Luca Cordero di Montezemolo e Cristiano Rattazzi: «Poi Luca e Cristiano traslocarono al Morosini di Venezia. Luca non resistette moltissimo, sospetto per via della disciplina. Restammo sempre in contatto. Soprattutto dopo. Con Mario e Luca è sempre saldo un legame formidabile», racconta Paolo Vigevano, fondatore di Radio Radicale e ora capo delle relazioni istituzionali di Cos-Finsiel, licenza liceale classica nel 1966 (Draghi, invece, nel 1965). Ancora Vigevano: «Un altro collante era la squadra di pallacanestro dell' Istituto. Ci giocavamo Mario, io e Giovanni De Gennaro, oggi capo della polizia, che era in classe con me. Mario aveva un bel tiro, il suo modello era Bill Bradley, gran campione e poi senatore Usa». Nella terza sezione B del classico, maturità 1965, c' era Giuseppe Petochi, raffinato orafo romano (lavoro di famiglia dal 1884): «Il primo della classe era Francesco Snider, ora professore di chirurgia vascolare alla Cattolica. Però anche Mario era molto bravo in latino e in matematica. Diciamo uno di quelli che, quando sei in difficoltà, ti aiuta». A passare i compiti? «Piuttosto a capire». Non un secchione, giura Francesco Lovatelli, ingegnere, manager di aziende informatiche: «Era molto preciso, anche nell' abbigliamento, ma non ossessionato dallo studio. Era sportivissimo, mi pare che la corsa fosse la sua specialità». Altri nomi dalle altre sezioni (ma alla fine fu tutto un gruppone, concordano gli amici). Nella A Staffan de Mistura, uomo-chiave dell' Onu in Iraq, e Giuseppe Sangiorgi, ex direttore del «Popolo» ed ex membro dell' Autorità delle Telecomunicazioni. Nella C Luigi Abete, presidente di Bnl, e Giovanni Lelli, direttore generale dell' Enea. E nella B di Draghi anche Ezio Bussoletti, consulente del ministero dell' Ambiente, e Alberto Francesconi, presidente dell' Agis. Invece con Vigevano e De Gennaro studiò fino al II liceo Pippo Pepe, capo ufficio stampa del ministero delle Comunicazioni. Nella maturità 1966, Vigevano-De Gennaro, appare anche il nome di Antonio Mennini, ora monsignore e rappresentante della Santa Sede a Mosca. E le donne? Domanda non da poco, in un liceo allora rigorosamente maschile. Magalli: «Le donne? Ovviamente non si parlava d' altro. Ma purtroppo ci si limitava a quello e non si passava, ahimè, all' atto pratico. Erano tempi durissimi, da quel punto di vista». Anche Paolo Vigevano ricorda la tipica ansia da festa del sabato sera: «Ce le cercavamo come tutti. Si finiva nel solito giro. Fatalmente si gravitava intorno ai Parioli». Chi era il più bravo a concludere? «Ma nessuno, allora.

La verità era che eravamo una massa di imbranati. Chiunque avrebbe diffidato di un nugolo di maschietti in azione». Altre tipiche mete erano le uscite di due scuole femminili vicine all' Eur, dal 1960 sede del Massimo: ovvero le Suore di Nevers e l' Istituto Maria Adelaide, magari col pericolo di incappare in legioni di sorelle e cugine. Bisognava aspettare l' università per sottrarsi al corto-circuito e finalmente affrancarsi. In quanto al calcio, rammenta Petochi, il più bravo era sicuramente Piero Paoloni, poi diventato medico, scomparso tempo fa. Accanto alle donne (sognate) l' altro chiodo fisso era lo studio (una dura realtà). Le memorie collettive ricostruiscono un parco insegnanti composto quasi esclusivamente da gesuiti: Franco Rozzi, preside del liceo classico, ai tempi temutissimo custode della disciplina, ancora oggi attivo confessore nella chiesa del Gesù. Poi Paolo Taggi, formidabile grecista, allievo di quel Lorenzo Rocci (ovviamente gesuita) autore del dizionario italiano-greco.
Giuseppe Giannella, italianista, storico dell' arte, appassionato musicista. Il rettore Sabino Maffeo, astrofisico, che dopo il Massimo diresse a lungo la specola vaticana di Castel Gandolfo dove tuttora vive. Interrogazioni serrate, compiti in classe a sorpresa, inclusi quelli di matematica «col botto» del professor Eraldo Tani che ossessionò generazioni di massimini (incluso quindi Draghi) con quel suo ritmare i cinque minuti residui per la consegna con una canna di legno sbattuta sulla cattedra. Ancora Francesco Lovatelli: «Allora era un autentico incubo. Ma ci allenò, a ben pensarci, a mantenere saldi i nervi nella vita». E adesso, con la nomina alla Banca d' Italia di Mario Draghi (già premiato nel 1995 con il riconoscimento annuale dell' istituto) ci sarà una rimpatriata di ex? Magalli sorride: «Non lo so. Io forse gli manderò un biglietto di auguri. Tanto non posso essere sospettato di piaggeria. Lui non è diventato direttore generale della Rai. E io non guido una banca né ho Ope da progettare. A proposito: si dice Ope? Chissà. Devo chiederlo a Mario.» Paolo Conti


Conti Paolo

NO FAITHS NO PAIN
Ultima Modifica 8 Anni 7 Mesi fa da Starburst.

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #2962 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
IL GOLPE BORGHESE

Nel topic sul sequestro Moro si e' accennato ad uno dei piu' famosi tentativi di colpo di stato o golpe o come dicono gli spagnoli intentona, il personaggio in questione e' stato uno degli esponenti di spicco prima della repubblica sociale di mussolini e poi agente al soldo di intelligence straniere,salvato dal carcere nel secondo dopoguerra da un agente dell'oss divenuto poi cia,( sottolineo ancora una volta come in questo blog si tenti di mistificare la storia criticando gli atlantisti occidentali , sapendo benissimo che certi personaggi nazi-fascisti furono salvati proprio da loro)
Come leggeremo in seguito fu uno dei tentativi di golpe meglio organizzato,nel tempo poi si demoli' anche quella caricatura comica che venne affibiata a detto tentativo, non ci fu nulla da ridere,anzi parecchi protagonisti della vicenda scamparono ancora una volta al carcere rifugiandosi come borghese nel paese "amico"spagnolo,retto da una dittatura fascista.
Facciamo un salto indietro nel tempo per spiegare i principi di fondazione del fronte nazionale,una delle tante sigle che costellarono l'universo dell'eversione nera in questo caso , ma sempre funzionale alle intelligence nazionali ed internazionali.

Tratto da un documento di Aldo Pietro Domenico Daghetta

LA FONDAZIONE DEL FRONTE NAZIONALE

Nel 1967 Junio Valerio Borghese fondo' il Fronte Nazionale con i soci del Circolo dei Selvattici (Roma Via dell'Anima 55). Il circolo era stato sino allora la copertura culturale del Fronte Grigioverde un'associazione che comprendeva, come ancora oggi il Fronte Nazionale, ex ufficiali della Decima Mas, della Monterosa e della Etnea, piu' altri, in pensione e in servizio, di armi e corpi diversi.
Il programma politico del Fronte Nazionale: "I partiti non devono piu' essere protagonisti attivi della politica, essi vanno esclusi da ogni partecipazione di governo". "Costituzione di uno stato forte...liberta' dei cittadini intesa come osservanza assoluta e immediata delle leggi...critica concessa se qualificata ed espressa nel quadro degli interessi nazionali". "Assemblea legislativa nazionale formata dai rappresentanti di categoria... ..nonche' da cittadini chiamati a tale funzione per meriti eccezionali.
Valerio Borghese non amava la propaganda politica esplicita e ha sempre cercato di crearsi una fama di uomo al di sopra della mischia, evitando la grossolana apologia del fascismo e di rimanere invischiato nelle beghe che tradizionalmente dilaniavano il MSI e i vari gruppi di estrema destra. Questa riservatezza del "principe nero" aveva degli scopi ben precisi. Ad essa si adeguarono anche i principali sostenitori del Fronte Nazionale, molti dei quali ancora oggi non sono conosciuti.
Tra quelli noti ci sono Benito Guadagni industriale, ex repubblichino, segretario del Fronte Nazionale e finanziatore del bollettino interno che, in dicembre, qualche giorno dopo gli attentati, litigo' violentemente con Borghese, e, almeno ufficialmente, abbandono' l'associazione facendo cessare la pubblicazione del bollettino; l'aiutante di campo di Borghese, Arillo, il comandante Bianchini e il vice comandante Santino Viaggio (i due che avvicinarono Evelino Loi proponendogli di compiere delle "azioni"). Nella seconda meta' di dicembre anche Viaggio abbandono' il Fronte Nazionale, o almeno cosi' dichiaro'. Poi c'era il comandante Marzi, ex repubblichino, residente a Milano: l'11 dicembre si reco' a Roma e' ci rimase sino alla sera del giorno dopo. E c'era, infine, anche Armando Calzolari, l'uomo scomparso la mattina di Natale e ritrovato un mese dopo, cadavere, in fondo a un pozzo della periferia romana.

CHI ERA JUNO VALERIO BORGHESE

Neofascisti, fascisti, paracadutisti, ex repubblichini, destra parlamentaree extraparlamentare, campeggi paramilitari, squadre d'azione, attentati, complotti in Valtellina, armi, finanziamenti industrialli, rapporti con le forze armate, coi servizi segreti italiani e stranieri, coi fascisti greci, riunioni riservate alla vigilia delle bombe del 12 dicembre, un uomo che scompare qualche giorno dopo (Armando Calzolari).
Se c'era una persona in Italia che, silenziosa, spettrale, muovendosi discretamente dietro le quinte, sembrava tenere in mano i fili della complessa ragnatela che collegava i vari punti di forza e d'azione della destra, questa persona era Junio Valerio Borghese, il principe nero, presidente del Fronte Nazionale.
Pluridecorato per le azioni svolte contro la flotta inglese ad Alessandria, Malta e Gibilterra durante l'ultima guerra, nei diciotto mesi della Repubblica Sociale e' stato il comandante della Decima Mas (rastrellamenti, massacri di partigiani e popolazione civile, fianco a fianco con le SS: 800 omicidi secondo la sentenza pronunciata nel 1949 dalla Corte Speciale d'Assise) condannato come criminale di guerra nel 1946 rimesso in liberta'dall'amnistia il 18 febbraio 1949. Fu reclutato dall'allora agente dell'oss poi divenuto cia, James Angleton in prospettiva Nato.
Uno dei primi presidenti onorari dell'MSI. Al tempo della crisi di Trieste raduno' un migliaio dei suoi ex maro' nei pressi di Treviso armati e pronti a marciare per l'"azione Fiumana".
Borghese ha sempre cercato di dimostrare che i suoi rapporti con il Movimento Sociale erano autonomi anche se, nella campagna elettorale del 1958, quando la FNCRI (Federazione Nazionalle Combattenti Repubblica Sociale Italiana) invito' i suoi aderenti a votare scheda bianca per polemica contro il MSI che giudicava "borghese e reazionario", egli accorse in aiuto di Arturo Michelini fondando la UNCRSI (Unione Nazionale Combattenti Repubblica Sociale Italiana) su posizioni ortodosse rispetto al partito....Segue

NO FAITHS NO PAIN
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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #3082 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
IL GOLPE BORGHESE

CHI ERA JUNO VALERIO BORGHESE :


Junio VAlerio Borghese era proprietario di una tenuta in Calabria, di un castello ad Artena, nel Lazio, di una villa a Nettuno e di alcuni immobili a Roma, oltre che di una famosa collezione di quadri. Ma non risulta che egli attingesse al suo patrimonio, per altro non solidissimo per finanziare il Fronte Nazionale. In compenso aveva rapporti molto stretti con alcuni grossi nomi della finanza e dell'industria americana e inglese e, in Italia, con ambienti industriali di Milano, Genova, La Spezia, Livorno e, tramite il principe Filippo Orsini ex assistente del soglio pontificio, con il Vaticano.

Tra la fine del '68 e la primavera-estate del '69 fece un lungo giro nelle citta' italiane. A La Spezia prese contatti con alcuni esponenti dell'unione industriale, come a Milano.

Il 12 aprile '69 a Genova, tenne una riunione alla quale presero partei figli di un grosso armatore, un dirigente dell'IMI, tale Fedelini, e altri esponenti del'industria.

Ai primi di maggio, seconda riunione genovese (Borghese alloggio' al Jolly Hotel assieme alla guardia del corpo composta da quattro fedelissimi. e il 9 gigno la terza. Questa volta erano presenti anche l'armatore Roberto Cao di San Marco e un importante petroliere della Val Polcevera. Qualcosa comunque non deve aver funzionato nel corso di questo "raid" perche' qualche anno dopo alcuni industriali di La Spezia denunciarono per truffa (sembra 50 milioni) due esponenti del Fronte Nazionale.

Junio Valerio Borghese riusci' ad allacciare buoni rapporti con le forze armate, in questo favorito dalla sua fama di "valoroso" ex combattente. Vi sono almeno due episodi che testimoniano la popolarita' che godeva tra i soldati.

Il 26 settembre 1966, a una manifestazione del Comitato Tricolore indetta aRoma dall'MSIe dalla Nuova Repubblica di Randolfo Pacciardi, Borghese pronuncio' un discorso per denunciare il "trradimento del governo sulla questione dell' Alto Adige", ricevendo un entusiastico consenso non solo dai dirigenti delle associazioni combattentistiche ma anche da parte dei molti ufficiali in servizio che erano presenti.

Il 23 ottobre 1969, alla celebrazione della battaglia di El Alamein, in Piazza Venezia a Roma, fu letto un messaggio di Borghese tra i grandi applausi non solo degli ex paracadutisti ma anche di numerori alti ufficiali della repubblica italiana.

Inotre Borghese aveva collegamenti con l'AUCA (Associazione Ufficiali Combattentistici Attivi denunciata nel luglio '69 dal sindaco di Bologna per un documento che incitava al colpo di stato militare, rivolgendosi anche a "chi ha militato nel campo opposto" e con la Comunita' dei Ragazzi del 3° Corso di Modena un'altra associazione di militari in servizio.

Quando manca il contatto diretto, viene usato questo sistema per stabilire contatti con gli ufficiali: i sottoufficiali reclutati dal Fronte Nazionale segnalarono, con rapporti periodici, tutti quegli elementi - discorsi, letture, telefonate ecc. - utili a stabilire la predisposizione "sicuramente anticomunista" del possibile candidato. Se il soggetto alla fine era giudicato idoneo veniva avvicinato da un aderente del Fronte Nazionale suo pari grado.

Uno dei punti di maggiore forza di Valerio Borghese restava naturalmente la Marina. A La Spezia dove egli era particolarmente introdotto esiste una grossa officina di riparazione di carri armati. i carri guasti in giacenza sono molti e tutti forniti di regolare "bassa" ma sembra che per la maggior parte sarebbe sufficiente la rapida sostituzione di qualche pezzo e sarebbero in grado di funzionare.

Nonostante l'apparente distacco il Fronte Nazionale era strettamente collegato a quasi tutte le forze di estrema destra a partire dall'MSI. Borghese infatti fu uno dei finanziatori del suo organo ufficiale "Il Secolo d'Italia", ed era legato personalmente ad alcuni personaggi come Luigi Turchi (figlio di Franz, direttore della "Piazza d'Italia" Grande elettore del presidente Nixon in favore del quale ha compiuto un viaggio di propaganda tra gli immigrati degli stati uniti) e Giulio Caradonna organizzatore dello squadrismo romano.

Turchi e Caradonna erano tra gli uomini di fiducia dei colonnelli greci, cosi' come lo stesso Borghese che risultava aver avuto rapporti con Costantino Plevris, l'uomo del KYP incaricato della "questione italiana".

Oltre all'aspetto "aristocratico" della sua figura che gli permetteva di stabilire contatti ad alto livello, Borghese utilizzava anche la fama di uomo d'azione per rscuotere la fiducia di tutti i gruppi di estrema destra extraparlamentare. Il gioco gli riusci' quasi sempre , specie con Ordine Nuovo di Pino Rauti il giornalista amico di Costantino Plevris che fu indicato come il "signor P." citato nel rapporto inviato al Ministero degli Esteri greco al suo ambasciatore a Roma.

Buoni i rapporti con Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie i cui aderenti hanno frequentato per molto tempo il Circolo dei Selvatici di Via dell'Anima.

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8 Anni 6 Mesi fa #3145 da Starburst
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IL GOLPE BORGHESE

Con golpe Borghese (o golpe dei forestali o golpe dell'Immacolata) si indica un tentativo di colpo di Stato avvenuto in Italia nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 (chiamata anche notte di Tora Tora, in ricordo dell'attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941) ed organizzato da Junio Valerio Borghese, sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto rapporto con Avanguardia Nazionale.

IL PIANO

Il golpe era stato progettato da diversi anni nei minimi particolari: dal 1969 erano stati formati gruppi clandestini armati con stretti rapporti con le Forze Armate. In accordo con diversi vertici militari e membri dei Ministeri, il golpe prevedeva l'occupazione del Ministero dell'Interno, del Ministero della Difesa, delle sedi RAI e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento.

Nei piani c'erano anche il rapimento del capo dello stato Giuseppe Saragat e l'assassinio del capo della polizia Angelo Vicari. A tutto questo sarebbe stato accompagnato un proclama ufficiale alla nazione, che Borghese stesso avrebbe letto dagli studi RAI occupati:

« Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo [...]. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo economico e morale ha cessato di esistere. Le forze armate, le forze dell'ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per intendersi, volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi [...]. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso tricolore, vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d'amore: Italia, Italia, Viva Italia! »

(Proclama dittatoriale - in forma breve)

ATTUAZIONE E ANNULLAMENTO

Il piano cominciò ad essere attuato tra il 7 e l'8 dicembre 1970, con il concentramento nella Capitale di diverse centinaia di congiurati, con azioni simili in diverse città italiane, tra cui Milano( Sesto S. Giovanni).

All'interno del Ministero degli Interni iniziò anche la distribuzione di armi e munizioni ai cospiratori; il generale dell'Aeronautica militare italiana Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio presero posizione al Ministero della Difesa, mentre un gruppo armato della Guardia Forestale, di 187 uomini, guidato dal maggiore Luciano Berti si appostò non lontano dalle sedi televisive della RAI. A Milano, invece, si organizzò l'occupazione di Sesto San Giovanni tramite un reparto al comando del colonnello dell'esercito Amos Spiazzi.

Il golpe era in fase di avanzata esecuzione quando, improvvisamente, Valerio Borghese ne ordinò l'immediato annullamento.

Le motivazioni di Borghese per questo improvviso ordine a poche ore dall'attuazione effettiva del piano non sono ancora certe ed esenti da una possibile smentita.

Secondo la testimonianza di Amos Spiazzi[1], il golpe sarebbe stato in realtà fittizio: immediatamente represso dalle forze governative, sarebbe stato ideato come scusa per consentire al governo democristiano di emanare leggi speciali, secondo un piano che sarebbe stato chiamato Esigenza Triangolo.

Borghese, tuttavia, si sarebbe reso conto (o sarebbe stato avvertito) della trappola e si sarebbe dunque fermato in tempo. Il movimento di Amos Spiazzi a Sesto San Giovanni non è da confondersi: esso faceva parte della legittima operazione Esigenza triangolo, non del golpe. Egli testimoniò di aver incrociato durante il tragitto in autostrada quella notte numerose autocolonne militari oltre la sua. Oltre a lui, altri militari avvisarono Borghese del piano di ordine pubblico.

Colpi di stato di questo tipo sono avvenuti in altri paesi: il più famoso è il Colpo di stato in Spagna del 1981.

Recentemente in un programma di Giovanni Minoli si è presentata la documentata visione dello stop del golpe come di un ordine proveniente dai servizi americani, che avrebbero dato il loro beneplacito al proseguimento del colpo di mano solo nel caso che al vertice del nuovo assetto politico fosse stato posto Giulio Andreotti (che invece avrebbe rifiutato). Questa ipotesi, ovviamente, non esclude la precedente, ma piuttosto la integra.




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8 Anni 6 Mesi fa #3185 da Starburst
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IL GOLPE BORGHESE

LE INDAGINI


Gli italiani scoprirono il tentato golpe tre mesi dopo.

Paese Sera titolò: "Piano eversivo contro la repubblica, scoperto piano di estrema destra". Il 18 marzo 1971 il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone firmò i mandati di arresto con l'accusa di usurpazione dei poteri dello stato e cospirazione per il costruttore edile Remo Orlandini, Mario Rosa, Giovanni De Rosa, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio e Junio Valerio Borghese.

In seguito al fallimento del golpe, Borghese si rifugiò in Spagna dove rimase fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974, non rientrando in Italia neanche dopo che, nel 1973, fu revocato l'ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dalla magistratura italiana.

Il ruolo del SID, della mafia e della P2

Il 15 settembre 1974 Giulio Andreotti, all'epoca Ministro della Difesa, consegnò alla magistratura romana un dossier del SID diviso in tre parti che descriveva il piano e gli obiettivi del golpe, portando alla luce nuove informazioni.

Il dossier fu redatto dal numero due del SID, il generale Gianadelio Maletti, che avviò un'inchiesta sulle cospirazioni mantenendolo nascosto anche a Vito Miceli, direttore del servizio. Aiutato dal capitano Antonio La Bruna, furono registrate le dichiarazioni di Remo Orlandini, quest'ultimo coordinatore per Borghese verso collegamenti all'estero e in Italia.

Durante un colloquio, Orlandini fece il nome di Vito Miceli, come una figura coinvolta direttamente come Borghese. A questo punto Maletti fu costretto a scavalcare Miceli e a parlare direttamente con Andreotti.

Miceli si giustificò affermando che doveva acquisire delle informazioni. Venne subito destituito insieme ad altri 20 generali e ammiragli, senza particolari spiegazioni.

La Magistratura fece partire altri 32 arresti, tra cui anche quello di Adriano Monti. Nel 1974 Monti negò tutto e, scarcerato per motivi di salute, fuggì all'estero e vi rimase latitante per 10 anni.

Nel 1991 si scoprì che le registrazioni consegnate nel 1974 da Andreotti alla magistratura non erano la versione integrale.

In origine, Remo Orlandini faceva il nome di numerosi personaggi di spicco in ambito politico e militare, ma Andreotti ha recentemente dichiarato che ritenne di dover tagliare quelle parti per non renderle pubbliche, in quanto tali informazioni erano «inessenziali» per il processo in corso e, anzi, avrebbero potuto risultare «inutilmente nocive» per i personaggi ivi citati.

Le parti cancellate includevano il nome di Giovanni Torrisi, successivamente Capo di Stato Maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981; inoltre venivano fatti riferimenti a Licio Gelli e alla loggia massonica P2, che si doveva occupare del rapimento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Infine si facevano rivelazioni circa un "patto" stretto da Borghese con alcuni esponenti di Cosa nostra secondo cui alcuni sicari della mafia, in effetti presenti a Roma la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, avrebbero ucciso il capo della polizia Angelo Vicari.

L'esistenza di tale patto sarebbe poi stata confermata da vari pentiti di mafia tra i quali Tommaso Buscetta. Grazie alle rivelazioni di Buscetta e di Antonino Calderone sono emersi anche i legami tra il progetto golpista e l'organizzazione mafiosa.I due collaboratori hanno rievocato la vicenda nel corso del cosiddetto processo Andreotti.

La loro audizione è stata riassunta in questi termini nella requisitoria dei Pubblici Ministeri Scarpinato e Lo Forte:
« Il primo a riferire la vicenda di queste trattative (già in data 3 dicembre 1984) è stato Tommaso Buscetta, il quale - anche in questo dibattimento, all'udienza del 9 gennaio 1996 - ha precisato che:

nel 1970 — nello stesso periodo di tempo in cui si svolgevano i campionati mondiali di calcio in Messico — egli si era recato a Catania insieme a Salvatore Greco "ciaschiteddu" (giunto appositamente dal Sud-America, ove soggiornava) per incontrare Giuseppe Calderone e Giuseppe Di Cristina. Nell'occasione, entrambi avevano preso alloggio in casa di "Pippo" Calderone, il quale frattanto - in una villetta di San Giovanni La Punta - ospitava il latitante Luciano Leggio. Oggetto di questo incontro era la discussione della proposta di partecipazione ad un "golpe", avanzata dal principe Borghese; il progetto di "golpe" prevedeva un ruolo attivo degli affiliati all'organizzazione Cosa Nostra, a cui Tommaso Buscetta sarebbe stata affidata la "gestione" del territorio ricompreso nel mandamento di ciascuna famiglia mafiosa, per «calmare e far vedere al popolo siciliano che noi eravamo d'accordo, ognuno per la sua sfera di influenza che avevamo nelle nostre terre»; in contropartita del ruolo attivo di Cosa Nostra, il principe Borghese aveva offerto la revisione di molti processi in corso a carico di esponenti dell'organizzazione criminale, facendo un particolare riferimento al "processo Rimi" (si rammenti che, in quel momento, i due Rimi erano già stati condannati all'ergastolo anche in Appello). al progetto di "golpe" era interessata la Massoneria, e l'allora Capitano dei Carabinieri Giuseppe Russo — anch'egli massone — era informato del tentativo insurrezionale ed avrebbe avuto, anzi, il compito di arrestare il Prefetto di Palermo; il principe Borghese — in caso di accettazione della proposta di partecipazione al "golpe" da parte del vertice di Cosa Nostra — avrebbe richiesto un elenco di tutti gli uomini d'onore partecipanti alle operazioni golpiste o — in subordine — avrebbe voluto che durante l'insurrezione armata gli uomini d'onore si rendessero riconoscibili agli altri golpisti mediante una fascia di colore verde da portare al braccio; proprio queste ultime richieste del principe Borghese avevano indotto i partecipanti alla riunione di Catania (Buscetta, Leggio, Giuseppe Calderone, Salvatore Greco) a diffidare della proposta e ad esprimere disinteresse; tuttavia, poiché una delle contropartite all'intervento di Cosa Nostra offerte dal principe Borghese riguardava proprio la revisione del "processo Rimi", i convenuti avevano deciso di coinvolgere nella decisione definitiva Gaetano Badalamenti, ben consapevoli di quanto egli avesse a cuore la sorte del cognato Filippo e del di lui padre, già condannati all'ergastolo. Per questo motivo avevano stabilito di incontrare il Badalamenti a Milano, nei cui pressi egli si trovava in soggiorno obbligato; in occasione dell'incontro di Milano — al quale, insieme a Buscetta, avevano partecipato Salvatore Greco "Ciaschiteddu", Salvatore Riina, Gerlando Alberti e Giuseppe Calderone — pure Riina aveva apertamente espresso il proprio dissenso. Al termine dell'incontro — nel quale si era convenuto di rifiutare l'offerta — alcuni dei partecipanti, tra cui lo stesso Buscetta, si erano allontanati con una vettura ed erano stati fermati ed identificati dalla Polizia, sfuggendo all'arresto perché muniti di documenti falsi (25 giugno 1970); tuttavia, la famiglia Rimi aveva autonomamente continuato ad interessarsi del progetto di "golpe", tanto che Natale Rimi — figlio di Vincenzo Rimi, a cui premeva la revisione del processo a carico del padre — era tra coloro che nella notte tra il 7 e l'8 dicembre del 1970 si erano recati a prendere le armi in una caserma militare di Roma; questo dettaglio era stato riferito al Buscetta da da Gaetano Badalamenti; egli aveva saputo, comunque, del fallimento del tentativo insurrezionale, bloccato in extremis perché in quel giorno o in quel periodo c'era una flotta russa nel Mediterraneo ed agli americani questo non piaceva. Quindi era stata rimandata a nuova data, senza che poi più si fece, perché la flotta russa era presente nel Mediterraneo.

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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #3238 da Starburst
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LA STRATEGIA DELLA TENSIONE

LE FORMAZIONI CLANDESTINE DI DESTRA
:

Oggi piu che mai occorre rinfrescarsi la memoria su come agisce ed opera la strategia della tensione,che a torto reputiamo soltanto un fenomeno italiano, cambiando gli attori ed i protagonisti,ripercorrendo le pagine di storia passata e nascosta ci accorgeremo di come gli accostamenti siano azzeccati,il modus operandi e le strategie siano maledettamente simili,come simili se non uguali sono i criteri di reclutamento delle persone che poi in un modo o in un altro sacrificheranno la loro vita per degli ideali fittizi e per delle religioni che niente hanno di misericordioso.
Questa volta ci occuperemo delle formazioni clandestine ed armate di destra che nell'immaginario collettivo si ponevano all'opposto delle b.r. e di tutte le sigle delle formazioni clandestine ed armate di sinistra.
Come dira' la storia anche esse furono da subito infiltrate e manovrate (nella maggior parte dei casi volutamente dai suoi affiliati),dai servizi segreti occidentali e dalla nato in prospettiva anti sovietica.
Anche loro si macchiarono di delitti atroci,anche loro spararono nel mucchio causando vere e proprie stragi,con bombe ed attentati armati uccisero decine di persone, la vera differenza tra gli attentati di oggi e' che gli autori erano italiani figli , nipoti e pronipoti di italiani, le vittime italiane figli, nipoti e pronipoti di italiani! A dimostrazione del fatto che l'odio non ha confini e se oggi sentiamo parlare di nemici cresciuti in casa nostra non ci dimentichiamo che quasi 40 anni fa, la vittima e il carnefice erano italiani da generazioni.

LA STRATEGIA DELLA TENSIONE
TENTÒ IL RITORNO AL POTERE NERO

di RENZO PATERNOSTER


Rosso sangue per il terrorismo nero. Il 25 aprile del 1969, con le bombe che esplosero alla Fiera Campionaria di Milano gli Italiani entrarono in una fase storica che sarebbe durata per più di un decennio: il terrorismo nero. L'anno prima c'era stato il Sessantotto, con le rivolte studentesche in tutto il mondo, seguite dall'Autunno caldo degli operai, con le loro idee di cambiamento delle condizioni di lavoro. Lo scossone provocato dal movimento di contestazione studentesca e di quella degli operai ebbe effetti destabilizzanti sull'assetto politico e sociale italiano. Sono gli anni di profonde trasformazioni e di grandi speranze collettive, che coinvolsero in un unico grande movimento tante persone di origini diverse. Certamente i giovani italiani diventarono un soggetto politico nuovo e, almeno per il momento, autonomo.
La sera del 25 aprile del 1969 a Milano, alle sette e alle nove, degli ordigni esplosero rispettivamente nel padiglione della Fiat alla Fiera Campionaria e all'Ufficio Cambi della Borsa, il Palazzo del Viminale, dove ha
sede il ministero dell'Interno,
la Banca Nazionale delle Comunicazioni, all'interno della stazione centrale. Si contarono per fortuna solo una ventina di feriti. Nella notte fra l'8 e il 9 agosto dello stesso anno si replicò, questa volta sui treni, nei vagoni di prima classe delle linee ferroviarie Pescara-Roma, Roma-Venezia, Roma-Lecce, Trieste-Roma, Milano-Venezia e viceversa, Trieste-Domodossola, Bari-Trieste. Su una decina di bombe, solo otto esplosero, causando anche questa volta solo feriti. Poi arrivò quel maledetto 12 dicembre 1969 che segnò per sempre l'inizio del terrore criminale. Quel giorno, alle 16.30, una bomba ad alto potenziale esplose all'interno della sede della Banca dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano. Si contarono 27 morti e 88 feriti. In quella stessa giornata, alcuni minuti prima della deflagrazione nella Banca dell'Agricoltura, un impiegato della Banca Commerciale Italiana trovò nei locali dell'istituto un'altra bomba di cui il sistema d'innesco non funzionò. Venti minuti più tardi, a Roma, un ordigno esplose nel sottopassaggio della Banca Nazionale del Lavoro, facendo solo sedici feriti. Alle 17.22 e 17.30, sempre a Roma, esplosero altre bombe: una davanti all'Altare della Patria, l'altra all'entrata del museo del Risorgimento in piazza Venezia. Fortunatamente si contarono solo quattro feriti.

Gli anarchici come capo espiatorio. Per piazza Fontana e gli altri attentati fu subito creata una pista ad hoc: si volle far credere che la strage e le bombe di Milano e Roma fossero opera degli anarchici. Uno di loro il ferroviere Giuseppe Pinelli, dopo il fermo giudiziario e durante l'interrogatorio, volò inspiegabilmente da una finestra della questura di Milano (quella stessa Questura in cui uno dei dirigenti era il commissario Calabresi). Per lo Stato quella di Pinelli fu "una morte accidentale". Assieme a Pinelli fu fermato il ballerino Pietro Valpreda, che rimase in carcere innocente per oltre otto anni. Tuttavia il castello di sabbia costruito intorno alla pista anarchica ben presto crollò. Subentrò invece la pista nera, tenuta fuori dallo scenario opponendo e studiando ogni sorta d'espedienti.
Da qualche parte nell'estrema sinistra si ricavò dagli attentati, specie quello di piazza Fontana, materiale più che sufficiente per alimentare il sospetto e la paura di un rischio di "golpe neofascista". La strage, intesa anche come un atto di guerra contro le lotte e il movimento del Sessantotto, spinse le tensioni sociali che alimentavano la protesta di sinistra ad assumere più intensamente forme eversive e rivoluzionarie, come dimostra la personale esperienza di Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dei Gruppi di Azione Partigiana (GAP).
Alle bombe di Milano, Roma e dei treni seguirono quelle del 22 luglio 1970 sul treno La Freccia del Sud (6 morti e 139 feriti), del 31 maggio 1972 a Peteano (3 morti e un ferito, tutti carabinieri), del 17 maggio 1973 davanti alla questura di Milano (4 morti), del 28 maggio 1974 in piazza della Loggia a Brescia (8 morti e 94 feriti), del 4 agosto 1974 sul treno Italicus, a San Benedetto Val di Sambro (12 morti e un centinaio di feriti), del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna (80 morti e centinaia di feriti).
Tutti questi attentati facevano indubbiamente parte di un "qualcosa" di concertato e oscuro, di cui già si percepiva la potenza, insomma l'inizio di un piano criminale ben organizzato. Qualcuno evidentemente credette di ripercorrere le strade sperimentate con successo da Hitler e dai nazisti con l'incendio del Reichstag: compiere stragi, pilotare le inchieste verso obiettivi depistanti per attribuirne la colpa alle sinistre, utilizzare il terrore per creare smarrimento e incertezza dei cittadini per dar vita ad un governo autoritario. Tutte quelle esplosioni, infatti, hanno rappresentato l'inizio della "strategia della tensione" operata dalla manovalanza del "terrorismo nero". E le stragi nere del periodo 1969-1974 non sono state altro che piccoli tasselli di un grande mosaico cospiratorio e golpista, oltre che criminale.

Nell'immediato dopoguerra, già dai primi anni della Repubblica, si costituirono svariate formazioni paramilitari o parallele alle Forze Armate (ad esempio Gladio) che avevano nel principe Valerio Borghese
il ruolo di procedere in azioni di guerriglia in caso d'invasione da parte delle forze del "Patto di Varsavia" e soprattutto agire nel nord Italia specialmente nella pianura Padana contro il Partito Comunista Italiano che avrebbe sicuramente appoggiato l'offensiva sovietica. Parallelamente, per merito di vecchi nostalgici, sorsero le prime organizzazioni neofasciste italiane.
Il neofascismo italiano sino al 1968 si caratterizzò come un movimento certamente violento in alcune sue manifestazioni, con aggressioni squadriste o attentati ai monumenti dedicati alla Resistenza. Certo, avventure criminali ma non operazioni terroristiche. Alla fine degli anni Sessanta del Novecento gli attentati rappresentarono il cambio di strategia. Così a partire dalla fine del 1969, alla reiterazione delle spedizioni squadriste con raid di violenza nelle università, nelle scuole e nelle piazze, si sovrappose drammaticamente l'esplosivo. Tendenzialmente in posizione critica nei riguardi delle contestazioni del Sessantotto, i gruppi eversivi di destra si appoggiavano sui valori di "autorità" e di "gerarchia sociale". L'ideale era in sostanza lo "Stato forte".
Fino alla metà degli anni Settanta del Novecento, lo scenario delle organizzazioni dell'estrema destra è dominato da Ordine Nuovo (On) e Avanguardia Nazionale (An). Le differenze tra le due organizzazioni riguardano unicamente l'atteggiamento che assumevano nella lotta politica. Ordine Nuovo prediligeva la strategia della rivoluzione a lungo termine, mentre Avanguardia Nazionale seguiva la strada dell'azione immediata.

Tutta la storia dell'estrema destra italiana attraversa per intero quella della cosiddetta "Prima Repubblica", intrecciandosi costantemente con molte vicende oscure italiane. Sino al 1974, quando ancora i neofascisti non colpivano i rappresentanti dello Stato, ci fu indubbiamente un rapporto privilegiato da parte degli estremisti di destra con una parte del potere. Parallelamente alla rete di collegamenti tra eversione nera e alcuni dirigenti dello Stato, si sviluppò anche una profonda attività di copertura da parte di una fazione dei servizi segreti italiani.
I rapporti tra l'eversione nera e un parte dei servizi segreti, risalgono già ai primi anni Sessanta del secolo scorso. In quel periodo l'organizzazione Avanguardia Nazionale fu coinvolta in un'operazione progettata da alcuni dirigenti dell'Ufficio Affari Riservati del ministero dell'Interno. L'operazione consisteva nell'affissione clandestina di alcuni "manifesti cinesi". In pratica fu organizzata una campagna d'attacco al Partito Comunista Italiano apparentemente proveniente dalla sua sinistra. Non solo, è stato appurato anche una "certa" collaborazione di servizi segreti di altri Paesi nel quadro NATO. Dagli atti dell'inchiesta condotta dal giudice milanese Guido Salvini, emerge il concorso fra ufficiali del Counter Intelligence Corp (il servizio segreto statunitense dell'Esercito), la CIA e il Comando delle Forze Alleate per il Sud Europa di Verona. Scrive nella sentenza il giudice Salvini: «[.] la presente istruttoria, oltre a far venire alla luce le modalità e i materiali esecutori di molti attentati, stava dirigendosi verso l'individuazione delle collusioni in tali attentati e delle attività di controllo del nostro Paese, negli anni della strategia della tensione, da parte delle strutture dell'Alleanza Atlantica».
Come le varie inchieste hanno appurato, in quegli anni le "deviazioni" non furono un'iniziativa personale di alcuni uomini, ma l'attuazione di ordini predefiniti provenienti da catene di comando "irregolari". Insomma, i neofascisti sono stati la manovalanza di un più grande organismo complesso e segreto, di un vero e proprio disegno eversivo fondato sulla creazione e sul mantenimento di un clima di disordine sociale insanguinato, in cui una parte del potere potesse trovare buon gioco.
Dalla monumentale inchiesta condotta dal giudice Salvini, durata oltre dieci anni, si rileva chiaramente che gli uomini delle organizzazioni eversive neofasciste degli anni della "tensione", non erano altro che manovalanza di una regia occulta. La CIA non solo aveva degli infiltrati nelle organizzazioni eversive nere, ma "incoraggiava" in qualche modo questi gruppi perché perseguivano lucidamente il medesimo scopo del governo statunitense: l'anticomunismo. L'ordinovista veneto Carlo Digilio era un infiltrato della CIA, il suo nome in codice era "Erodoto" (uno dei suoi referenti in Italia era il capitano David Carret, ufficiale statunitense in servizio nelle basi NATO di Vicenza e Verona. Il capitano David Carret è stato inquisito in Italia per spionaggio politico militare e concorso nella strage di piazza Fontana).

I depistaggi sono stati il lato più oscuro e vergognoso della storia democratica dell'Italia del secolo scorso.
Alle simbiosi tra eversione neofascista e alcune strutture dello Stato, che utilizzavano le stragi per finalità d'influenza della politica, veniva apposto incredibilmente il segreto di Stato. Scrisse Aldo Moro dalla "prigione del Popolo" delle Brigate Rosse: «E' doveroso alla fine rilevare che quello della strategia della tensione fu un periodo di autentica e alta pericolosità, con il rischio di una deviazione costituzionale che la vigilanza delle masse popolari fortunatamente non permise».
Come se non bastasse, il tragico bilancio della "strategia della tensione" s'incrocia con quello di altre misteriose tragedie su cui i vertici della Repubblica, dei servizi segreti e delle Forze Armate italiane hanno più di qualche segreto sepolto da qualche parte: aerei finiti in mare durante scenari di guerra, persone alla conoscenza di segreti che stranamente si suicidano, giornalisti strangolati e fatti sparire, piani di golpe progettati e mai realizzati, e così via. A questo punto è opportuno far entrare in scena anche il "Piano Tora Tora", un nuovo tentativo di colpo di Stato (dopo il progettato golpe del generale de Lorenzo). Il golpe fu fissato per l'Immacolata del 1970, ed era guidato dall'ex comandante fascista della "Decima Mas" nella Repubblica di Salò, il principe Junio Valerio Borghese.

Il Fronte Nazionale e il golpe. Tutto ha inizio nella tarda serata del 7 dicembre, quando gruppi di militanti dell'estrema destra, militari e civili si radunano in alcuni luoghi di importanza strategica nella capitale, in Lombardia, nel Veneto, in Toscana, Umbria e Calabria. Questo gran numero d'uomini era stato raccolto e organizzato da Junio Valerio Borghese sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto collegamento con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale.
Il Fronte Nazionale fu costituito dal principe Borghese nel settembre 1968 con un regolarissimo atto notarile. Finalità dell'organizzazione era quella di perseguire qualsiasi azione utile alla difesa e al ripristino dei massimi valori della civiltà italiana. Il Fronte Nazionale fu costituito con una doppia struttura: una pubblica, denominata "Gruppo A", ed una occulta, chiamata "Gruppo B". Quest'ultima era composta di reparti irregolari armati da impiegare nell'ambito di una strategia di stabilizzazione attraverso la destabilizzazione: le azioni criminose portate a termine da questi reparti avrebbero determinato la richiesta da parte dell'opinione pubblica italiana un forte desiderio di ordine. Questo avrebbe generato l'intervento delle Forze Armate portando il Paese a destra.
A partire dal 1969, il Fronte Nazionale del principe Borghese aveva favorito la fondazione di gruppi clandestini armati, aveva stretto relazioni con uomini e settori delle Forze Armate, aveva coltivato rapporti con faccendieri e intermediari collegati all'amministrazione statunitense ed ai comandi Nato. Sin da questo periodo si erano già succedute riunioni segrete tenutesi in più parti d'Italia, con la partecipazione di non pochi esponenti del mondo industriale, finanziario, militare, politico e mafioso, in cui si cercarono alleanze e si abbozzò un organigramma golpista. Il 4 luglio 1970, invece, fu costituita una "Giunta nazionale". Nelle riunioni si decisero anche gli obiettivi strategici da occupare (il Ministero degli Interni, il Ministero della Difesa, la sede della televisione italiana, gli impianti telefonici e di radiocomunicazione), l'elenco delle persone da arrestare e il luogo della loro deportazione.il proclama alla Nazione da leggere in diretta televisiva.

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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #3274 da Starburst
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EUROPA,EUROPA,EUROPA E ANCORA EUROPA

Questo di seguito e' un articolo preso dal blog di Antonino Arconte ex agente gladio, tratta degli attentati di parigi e bruxelles,si puo' essere piu' o meno d'accordo ma per chi avra' la pazienza di leggerlo anche tra le righe, lo trovera' interessante anche in prospettiva futura:


Un attacco terroristico al cuore dell’Europa non è stato sferrato a Parigi, a Roma o a Berlino, ma a Bruxelles. Segno che i califfi mediorientali credono nell’Europa più di quanto non facciano gli stessi europei!
Un Europa che ha cessato da tempo di chiamare ala costituzione di una nuova Unione Federale mentre, invece, questa sarebbe la risposta giusta: Gli Stati Uniti d'Europa.
Questo gigante, un Giano bifronte fatto da un lato da nazionalismi vetero etnici e nostalgie per vecchie patrie che non esistono più e fuori dalla storia da un pezzo, dall’altra il volto dei banchieri intrallazzoni e affamatori che riescono solo a far odiare l’idea dell’Unione Europea che non è stata fatta per arricchire i Paperoni, ma per dare sicurezza, benessere, Diritti ed evitare nuove guerre fratricide in terra europea… entrambe sognando un inverosimile mondo fatto di pace e benessere, quando il vero mondo, invece,  è pericoloso come non lo è mai stato.
Per me è facile crederci, fin dagli anni settanta, dopo mesi d’isolamento nelle giungle e altopiani centrafricani, ricordo il giorno che, dopo un’ansa del Niger, mi ritrovai davanti, all’improvviso, un bianco come me, biondissimo, chiaramente europeo, Scandinavo. Lo salutai contento, come se avessi incontrato un paesano e anche lui istintivamente fece lo stesso. Fu un attimo, poi smorzato dal fatto che evidentemente non eravamo compatrioti. dissi, però, come per giustificare i moti naturali d’animo: European!  
E lui rispose sorridendo, con quell’aspirazione che avevo conosciuto in Scandinavia e che usavano come segno d’assenso. Era un marinaio di un mercantile Svedese, ormeggiato poco distante.
Da allora so che esiste una Patria Europea, hanno voglia gli stolti a negarla, ma quando rientravo in un qualsiasi paese europeo, Lisbona, Parigi, Bruxelles, Amburgo, Amsterdam, Madrid … non ero in Italia e in Sardegna, ma ero in Europa, comunque a casa.  

E allora, cos’altro occorre attendere nell’UE per fare l’Europa? C’è voluta una carneficina immane, quella della seconda guerra mondiale, con l’Europa trasformata in un campo di battaglia, un cumulo di macerie, per convincere Spinelli, un confinato dall'Italia fascista, a pensare e proporre agli altri prigionieri un trattato che unificasse le nazioni europee per evitare che si facessero ancora la guerra tra loro. E’ lì, nell'isola di Ponza, dove confinavano gli antifascisti, che nacque l’ideale dell’Unione Europea. Non fu certo facile convincere la generazione dei nostri padri a sotterrare l’ascia millenaria della perenne guerra civile europea. Sì Guerra civile, anche questa un’eredità della civiltà greco-romana. Le guerre civili dell’antica Hellade (greche) che vedevano ogni Polis (le città Stato) una contro l’altra, in un alternanza di alleanze per lunghissime guerre; i massacri tra legioni romane al comando di questo o quel generale, console  o tribuno; che dire della guerra dei cent’anni tra l’Inghilterra e la Francia, per la successione dinastica della Normandia? perchè iniziasse un esperimento, quello delle Comunità Economiche Europee, prima timidamente,  con il mercato comune del Carbone e dell’Acciaio, poi trasformate in Unione che, in poco più di 60 anni,a avrebbe portato il vecchio continente al premio Nobel per la Pace. La volontà nobilissima di portare a una maggiore integrazione non solo economica, ma anche di Diritto con la Costituzione di una apposita Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo a Strasburgo, poi divenuta Corte Europea per dare la possibilità ai cittadini europei di far rispettare agli Stati membri i Diritti garantiti e la Corte di Giustizia del Lussemburgo, per dirimere civilmente le contese tra Stati, senza conflitti se non nelle aule della giustizia europea. Oggi non si sente altro che astio e rancore verso l’Europa, tutti vorrebbero uscirne, si da colpa alla moneta unica se ci sono problemi economici e perdita di potere d’acquisto dei salari … come se una moneta non fosse solo un pezzo di carta che rappresenta quello che i governi d’Europa vogliono che rappresenti. Come se i problemi di malgoverno e corruzione fossero responsabilità della moneta unica e non, invece, di chi la gestisce.

Potrà questa situazione d’assedio di un vile terrorismo di matrice islamista spingere i governi e i popoli europei a superare la titubanza, per passare alla fase successiva del progetto europeo?
Cos’altro serve a convincere tutti che il tempo dell’attesa e dei ritardi è finito?  Che quest’Europa, così com’è, è fragile sotto tutti i punti di vista, Politici: non c’è nemmeno la possibilità di dare un numero di telefono alle potenze extraeuropee perché possano mettersi in contatto diretto con il Presidente dell’Unione Europea, con chi comanda … a Bruxelles pascolano migliaia di burocrati ruminanti, che non sanno come reagire alle sfide di questi tempi difficilissimi!  
Militari: se qualcuno volesse attaccarla chi comanderebbe le truppe, chi organizzerebbe tattiche e strategie? e quale degli eserciti europei dovrebbe intervenire per primo e come, guidato da chi? …
La sicurezza: tutto ciò che si riesce a fare, per paura, è di sospendere il trattato di Schengen, quello che ci permette di circolare in Europa senza passi di frontiera, perché siamo in Patria, la Patria degli Europei. Ci sarebbe da chiedersi, peraltro, quale risultato utile potrebbe avere la chiusura delle frontiere Inter-europee di fronte a dei terroristi islamici che hanno la cittadinanza dei paesi europei in cui vivono e dove spesso sono nati!
Questo gigante bicefalo, ma forse tricefalo, che non riesce a decidere nulla e quando decide qualcosa si capisce solo lui … Non vede, perché ha smarrito il senso della realtà e non può capire che si sta suicidando per l’egoismo dei pochi sulla pelle dei molti.
Si parla, si canta e si balla addosso di  un inverosimile luogo di pace e benessere, quando il vero mondo, quello che la circonda e ormai la pervade è mostruoso, corrotto e crudele, spietato e disperato, che va affrontato con i ferri del mestiere: la politica, i soldi, le armi, l’intelligence, i servizi segreti che aveva e …superbi!, sia all’est che all’ovest. Quando li usava contro se stessa!
Sono ferri che l’Europa ha messo in cantina da decenni, specie all’ovest, considerandoli inutili, quasi vergognandosene, nascondendoli sotto il tappeto e guai a chi protestava … sia perseguitato come merita! Un accusa falsa non si nega a nessuno… Chi vuoi che gli creda a quelli? Bisogna sbarazzarsi di tutto ciò che ci ricordi quei tempi, non servono più ora che l’URSS è crollata, pensando che la pace e il benessere, realizzati all’interno delle sue frontiere, garantite da quell’esercito segreto che ormai non serve più, fossero un bene universale da poter condividere impunemente con altri, senza più bisogno di proteggerlo, i comunisti non facevano più paura evvai con la globalizzazione! …  che  fa aumentare a dismisura i guadagni dei Paperoni con la delocalizzazione.
L’evidenza diceva  che le cose non stavano così.
Quei ferrivecchi, la politica vera, i soldi, le armi e soprattutto l’Intelligence, nel pericoloso mondo attuale sono indispensabili più che mai per sopravvivere ma … non ci sono più… c’è altro adesso. I paesi europei potranno utilizzarli in modo giusto ed efficace solo quando saranno riusciti a ricostruirli, non sarà facile, non sarà immediato. 
Personalmente penso che la trasformazione dell’Unione in Stati Uniti d’Europa accelererebbe molto il processo … ma con ciò che dicono tutti sulle varie exit strategy, uscite dall’UE … si federerebbero negli Stati Uniti d’Europa?
Possibile che queste capitali ricchissime di storia e di cultura, di ricchezze umane ed economiche immense, le Londra, Parigi, Bruxelles, Berlino, Roma, Madrid, Varsavia, non capiscano che sono “sotto schiaffo” … tutte nel mirino?  Che formidabili magli, mortali come la crisi finanziaria, la recessione, la pressione dei chiedenti asilo alle frontiere meridionali, il continuo, vile  e beffardo attacco del terrorismo nelle nostre città, si abbattono ormai con sin troppa regolarità su quel po’ di Unione rimasta, cercando di scardinarla nelle fondamenta, perché ne conoscono bene la debolezza e che si tratta di un gigante dai piedi d’argilla. Un gigante malato che vogliono evidentemente distruggere e così annichilire l’Europa, relegando gli europei ai confini del mondo e nell’irrilevanza finale?
Chi ha messo il 22 marzo ’15, alle 9,30, l’ordigno alla stazione metro di Maelbeek che serve, con Schuman, la zona dove hanno sede gli uffici di Parlamento, Commissione e Consiglio europei ha, evidentemente, voluto aggredire le istituzioni democratiche di un’Europa che, primo caso nella storia umana, sta costruendo dal basso e pacificamente un’unione tra popoli diversi che cercano pace e giustizia.
E’ irritante il balbettio confuso dei nostri capi di stato e di governo, in queste ore orribili che seguono l’aggressione contro la capitale delle istituzioni comuni europee. Battono il tasto delle misure nazionali e della sicurezza nazionale, il Belgio chiude le frontiere con la Francia e viceversa. Anche Berlino fa altrettanto e non capiscono che solo rafforzando le istituzioni comuni, gli europei potranno vincere la guerra al terrorismo islamista... Beninteso se queste istituzioni comuni riusciranno a dotarsi nuovamente di un Intelligence adeguata alle grandi sfide del futuro. Professionisti seri, agguerriti, preparati, determinati e sostenuti da fede e ideali in cui credere. Non certo in questi valori su carta moneta, fatti di truffe e grassazioni ai denari pubblici, tra mega appannaggi e pensioni di platino e diamanti.
Ho visto con tristezza il pianto su Le Monde di due figurine, abbracciati, un francese e un belga, vestiti con i colori delle bandiere nazionali. Errore imperdonabile: i morti sono europei caduti prima in Francia, oggi in Belgio.
Quando Mitterrand e Kohl si abbracciarono a Verdun, in quei giorni formidabili, vollero dire ai popoli: i nostri morti sono ora europei, non appartengono più alle patrie di origine!
Purtroppo, se non ci daremo velocemente un’autentica politica comune di sicurezza, troppi altri europei dovranno ancora abbracciarsi e piangere i loro morti di terrorismo… la guerra non è iniziata ora, ma possiamo finirla solo noi.
Nell’Aprile 2005, ad Alghero, partecipando a un convegno, mi si chiese di parlare, dire qualcosa sulle basi militari, i poligoni di tiro in Sardegna. Io protestai per i bombardamenti che, come fossimo ancora in guerra, erano imposti alla mia terra natale, la Sardegna. Oggi, provare le armi con le esplosioni al suolo o in mare, non è più necessario. Persino le bombe H sono provate con simulazioni ai mega computer, perché non farlo anche per gli esplosivi e le munizioni convenzionali?  Soprattutto, però, mi fu chiesto di esprimere la mia opinione sulla morte di Calipari, l’agente del SISMI che era stato ucciso a un Cheek Point a Bagdad mentre liberava la giornalista che era stata sequestrata dai terroristi. Lo feci e illustrai il problema negli esatti termini in cui era configurato dai fatti. Calipari era stato ucciso a causa del fatto che era un poliziotto, bravo finché si vuole, ma un poliziotto, non un agente segreto. Non sapeva nulla dei protocolli da utilizzare in zona di guerra, nessuno glielo aveva detto che ce n’era qualcuno. Lui sapeva come comportarsi da poliziotto, dopo aver preso in consegna l’ostaggio in seguito alla liberazione: Correre al primo posto di polizia e procedere all’interrogatorio a caldo, prima ancora di una visita medica, per raccogliere le informazioni utili all’identificazione dei banditi. Calipari, però, non era a Roma o Milano, era a Bagdad, zona di guerra e che guerra. Spietata, nessuna mercé era riconosciuta ne chiesta. Tutti violavano tutto il violabile. I prigionieri erano torturati da una parte, uccisi dall’altra, le donne stuprate, si usavano le bombe al fosforo bianco … i kamikaze si facevano esplodere tutti i giorni nei mercati, nelle caserme, con le auto ai posti di blocco, addirittura qualche innocuo asinello esplodeva al passare delle pattuglie occupanti, l’odio che era stato scatenato era incommensurabile. La città era suddivisa in quadranti, ogni quadrante aveva una diversa forza di pace a controllarla. Il protocollo imponeva che chi dovesse attraversarlo aveva l’obbligo di avvicinarsi lentamente e attendere di essere identificati e presi in consegna, poi accompagnati così all’altro cheek point, che avrebbe fatto altrettanto. Calipari non ne sapeva nulla. Le scuole di Intelligence erano state chiuse. Ora per fare l’agente segreto bastava essere cooptato ed era tutto qui. Obbedire agli ordini, non c’era altro da sapere.
Così è morto lui e, un altro, in Afghanistan, fu ucciso dal taxista sul quale era montato a Kabul … in zona operazioni … !? … sarebbe stato bocciato all’ABC, ma non sarebbe morto così.
Quei miei disinteressati consigli non piacquero a chi comandava i servizi del tipo B di cui stiamo parlando. Scatenarono una campagna mediatica incredibile ma vera, con perquisizioni in tutt’Italia e uno scandalo diramato da giornali e televisioni nazionali per quella che veniva chiamata dai media “Inchiesta DSSA”: servizi deviati, Gladio, polizie parallele… era tutta una bufala! Non era vero niente e finì tutto archiviato. Querelammo, io e Franz, i giornalisti che furono anche condannati in via definitiva al risarcimento danni per diffamazione aggravata ma lo scopo era quello di mettere a tacere la proposta di riapertura della Scuola di Gladio, dei servizi segreti che funzionavano durante la guerra fredda. Obiettivo raggiunto perfettamente. A questo servivano adesso i servizi segreti: organizzare campagne diffamatorie, simulazioni, sequestri, partecipare a cose indegne, perché indegni erano gli interessi di chi li comandava  … ma … è l’Intelligence? Non serviva più a nulla, ora era tutta una questione di creste sulle spese dei fondi neri, come ordinavano i corrotti. Non serviva altro per guadagnarsi lo stipendio.
Ecco, stamattina, sentendo e vedendo le notizie tragiche da Bruxelles. Non posso non commentarle, senza però approfondire più di tanto, perché sto cercando di sganciarmi, non di coinvolgermi.
Quando hanno fatto le stragi a Parigi, vedendo la rapidità con la quale la polizia ha identificato i terroristi mi complimentai simbolicamente con la Suretè per questo, riferito alla polizia francese. Dobbiamo ammettere che, se fosse accaduto in Italia, sarebbe tutto un fiorire incasinato di ipotesi fantasiose quanto inverosimili e di indicazioni di ogni tipo, depistaggi, opinioni strampalate dei giornalisti spacciate per fatti, che portavano in ogni direzione, fuorché in quella  giusta. La storia dei “misteri d’Italia” fa testo. Anche al momento dell'arresto del ricercato principale, quello che non si è fatto saltare da kamikaze, mi sono complimentato idealmente con la polizia Belga ... ma devo dire che sono davvero preoccupato che, per l'appunto,  quello che ho potuto notare è che tutto è affidato alla polizia.. polizia +++ se vogliamo. Nel senso che hanno dimostrato di essere bravi e ben addestrati, anche se difettano di coordinamento europeo per i motivi già detti.
Però, di Servizi segreti e azioni di Intelligence non se ne vede l'ombra!
Non chiedetemi perché, potrei dirlo ma, ripeto, non mi voglio coinvolgere più di tanto.
Tutto questo, però,  che indubitabilmente risulta dalle operazioni di polizia, denota abilità investigative proprie, appunto, della polizia, non di Intelligence.
Sono modus operandi diversi e di quelli dei servizi propriamente detti non c'è manco l'ombra. Questo è davvero preoccupante, per organizzare un servizio d'Intelligence efficace e addestrare gli operatori in maniera adeguata occorrono anni, a patto di poter scegliere in base ai meriti e ai talenti naturali, non in base alle raccomandazioni ...
Una domanda sorgerebbe spontanea se potessi farla a chi di dovere:
Chi avete Stay behind? … Chi avete dietro le linee? … Chi avete nelle fila dell’Isis?
Noi, in epoca di guerra fredda, avevamo nostri agenti infiltrati dappertutto, a Sirte, in Libia, in una base militare e aerea, alcuni operai e il macellaio della base, Altri a Praga, Karlovy vary, U’Brno, a Galatzi, in Romania, in Libano durante la guerra civile, a Beirut e a Sidone ma, questi servizi segreti delle potenze europee … chi hanno dove? E a far che?
Io ho passato un guaio da oltre vent’anni per aver detto e provato che Noi sapevamo prima del sequestro dell’On. Moro, almeno dal 27 febbraio 1978… sarebbe stato rapito il successivo 16 Marzo. Ma io chiedo a voi, che non sarete del mestiere ma avrete sicuramente un cervello funzionante: ma a cosa servono i Servizi segreti, l’Intelligence!  se non riescono a sapere prima che accadano … le cose che accadranno?

Un capitolo a parte meriterebbe la considerazione che anche la Russia e la sua comunità di Stati Indipendenti è Europa a tutti gli effetti. Dai tempi di Pietro il Grande e Ivan il Terribile la grande Russia ha fatto la scelta di essere una nazione Europea. Lo sono, sono Cristiani ortodossi e si sono considerati, dalla caduta dell'Impero romano d'oriente, la terza Roma. Vi immaginate la potenza degli Stati Uniti d'Europa se si allargasse l’Unione federale alla CSI?  La Russia non ha distrutto i vecchi servizi segreti, li ha ristrutturati, ammodernati, ma non li ha distrutti. Non sono folli, sarebbero rimasti tutti vittime delle forze centrifughe cecene e delle piccole repubbliche islamiche, in cerca di consolidamento di Stati da controllare con la Sharia e il Corano. Buon per noi che non l’abbiano fatto, o a Damasco sventolerebbe la bandiera nera del Califfato dell’Isis.
Invece, questi somari calzati e vestiti, abdicano la gestione dei migranti profughi, che hanno provocato loro stessi con le guerre insensate che hanno ridotto il medioriente e nord africa in queste condizioni, alla Turchia, che non è uno Stato Europeo... sospettata di avere anche legami e simpatie con l'ISIS, alla quale sono stati dati anche una montagna di Euro per occuparsene lei... Incommentabile!
Nel frattempo questo è tutto!

Antonino Arconte

NO FAITHS NO PAIN
Ultima Modifica 8 Anni 6 Mesi fa da Starburst.

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8 Anni 6 Mesi fa #3314 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
Ogni commento a questo articolo e' superfluo.Tratto da un saggio del sac. Don Luigi Villa :


LO IOR TRA MAFIA E MASSONERIA


Ufficialmente la Banca Vaticana è nota come l’Istituto per le Opere di Religione o IOR. In ogni caso la religione ha ben poco a che fare con la Banca, a meno che ci si riferisca ai cambiavalute che si sono nella Chiesa. Mentre i cambiavalute stavano semplicemente fornendo un servizio, in modo che le tasse del tempio potessero essere pagate, la Banca Vaticana è stata coinvolta in evasione fiscale, imbrogli finanziari e riciclaggio di oro nazista. Il Papa, come unico azionista della Banca Vaticana, è uno degli uomini più ricchi al mondo e, per associazione, uno dei meno etici.
L’Istituto è un organismo finanziario vaticano – secondo una definizione data dal cardinale Agostino Casaroli – ma non è una banca nel senso comune del termine. Lo Ior utilizza i servizi bancari, però l’utile non va, come nelle banche normali, agli azionisti (che nel caso dello Ior non ci sono) ma risulta a favore delle “opere di religione”. La Banca Vaticana non è responsabile né verso la Banca Centrale del Vaticano né verso il Ministero dell’Economia; infatti, funziona in modo indipendente con tre consigli d’amministrazione: uno è costituito da cardinali di alto livello, un altro è costituito da banchieri internazionali che collaborano con impiegati della Banca Vaticana e per ultimo un consiglio d’amministrazione che si occupa degli affari giornalieri.
Tali strutture organizzative così chiuse sono la norma nella Santa Sede e sono utili per mascherare le operazioni della Banca. Lo IOR funziona come banchiere privato della Chiesa, dal momento che si adatta perfettamente alle esigenze di una Banca diretta dal Papa. A ogni cliente viene fornita una tessera di credito con un numero codificato: né nome né foto. Con questa si viene identificati: alle operazioni non si rilasciano ricevute, nessun documento contabile. Non ci sono libretti di assegni intestati allo Ior: chi li vuole dovrà appoggiarsi alla Banca di Roma, convenzionata con l’istituto vaticano.
I clienti dello Ior possono essere solo esponenti del mondo ecclesiastico: ordini religiosi, diocesi, parrocchie, istituzioni e organismi cattolici, cardinali, vescovi e monsignori, laici con cittadinanza vaticana, diplomatici accreditati alla Santa Sede. A questi si aggiungono i dipendenti del Vaticano e pochissime eccezioni, selezionate con criteri non conosciuti. Il conto può essere aperto in euro o in valuta straniera: circostanza, questa, inedita rispetto alle altre banche. Aperto il conto, il cliente può ricevere o trasferire i soldi in qualsiasi momento da e verso qualsiasi banca estera. Senza alcun controllo. Per questo, negli ambienti finanziari, si dice che lo Ior è l’ideale per chi ha capitali che vuole far passare inosservati.
I suoi bilanci sono noti a una cerchia ristrettissima di cardinali, qualsiasi passaggio di denaro avviene nella massima riservatezza, senza vincoli né limiti. Nonostante sia di proprietà del Papa, la Banca, sin dal proprio inizio, è stata più volte coinvolta nei peggiori scandali, corruzione e intrighi. Sotto felice auspicio, l’apertura della banca nel 1941 per ordine di Pio XII, altresì chiamato il Papa di Hitler, ha fornito convenienti sbocchi bancari ai fascisti italiani, all’aristocrazia e alla mafia. (da «Tutto quello che sai è falso», Di Jonathan Levy).
Già dai primi del Novecento i Rothschild di Londra e di Parigi trattavano con il Vaticano, ma con la gestione Nogara gli affari e i partner bancari aumentarono vertiginosamente: Credit Suisse, Hambros Bank, Morgan Guarantee Trust, The Bankers Trust di New York (di cui Nogara si serviva quando voleva comprare e vendere titoli a Wall Street), Chase Manhattan, Continental Illinois National Bank.
Nel 1954 Bernardino Nogara decide di ritirarsi senza tuttavia interrompere l’attività di consulente finanziario del Vaticano, che continuò fino alla morte, avvenuta nel 1958. La stampa dedicò poco spazio alla sua scomparsa, ma il cardinale Francis Spellmann di New York pronunciò per lui un memorabile epitaffio: «Dopo Gesù Cristo la cosa più grande che è capitata alla Chiesa cattolica è Bernardino Nogara». Al geniale banchiere, nel corso della sua lunga attività, venne affiancato il principe Massimo Spada. Anche lui mostrò lungimiranza e spregiudicatezza nella gestione degli interessi del Vaticano e si lanciò in varie operazioni, la maggior parte delle quali – come si è visto – in collaborazione con Michele Sindona.
Lo Ior, in quanto istituto che opera con modalità proprie, non è mai stato tenuto a nessun tipo di informativa – né verso i propri clienti, né verso terzi – né tanto meno a pubblicare un bilancio o un consuntivo sulle proprie attività.


 All’epoca del caso Calvi-Ambrosiano, l’istituto doveva rispondere, in via puramente teorica, a una commissione esterna di cinque cardinali, ma di fatto gli amministratori si muovevano senza alcun vincolo. A favore di chi, allora, operava lo Ior? Marcinkus dichiarò che i profitti erano realizzati «a favore di opere di religione» e che «qualsiasi guadagno dello Ior è a disposizione del Papa». Ma come osserva Bellavite Pellegrini: «Con le sue caratteristiche, lo Ior veniva veramente ad assomigliare a un inter-mediario che agisce su una piazza off shore» (da Ferrucci Pinotti “Poteri Forti” ).
Lo Ior, che ha una personalità giuridica propria, è retto da un “Consiglio di soprintendenza” controllato da una Commissione di cinque cardinali: si tratta del nucleo di vigilanza. I porporati, però, non hanno generalmente alcuna competenza finanziaria. Il loro dovrebbe essere un controllo morale. Un ruolo più tecnico è svolto dal “Consiglio di amministrazione” composto di cinque laici ed un direttore generale. L’Istituto intrattiene rapporti valutari e creditizi con clienti e banche italiane, opera attivamente sul mercato finanziario internazionale, gioca in borsa, investe, raccoglie capitali; tuttavia, come istituto estero, non è sottoposto ad alcun controllo da parte delle autorità di vigilanza italiane. La Banca Vaticana afferma di non aver nessun documento relativo al periodo della Seconda Guerra Mondiale; infatti, secondo il procuratore della Banca Vaticana, Franzo Grande Stevens, lo IOR distrugge tutta la documentazione ogni dieci anni, un’affermazione alla quale nessun banchiere responsabile crederebbe. Ciononostante, altre documentazioni esistono in Germania e presso gli archivi americani, che dimostrano i trasferimenti nazisti di fondi allo IOR dalla Reichsbank, e altri dallo IOR alle banche svizzere controllate dai nazisti. Un famoso procuratore specializzato nelle restituzioni dell’Olocaustoha documentato i trasferimenti di denaro dai conti delle SS a un’innominata banca romana nel settembre 1943, proprio quando gli Alleati si stavano avvicinando alla città.
Dalla fine degli anni Settanta, lo IOR era divenuto uno dei maggiori esponenti dei mercati finanziari mondiali. Sotto la tutela del vescovo americano (uno spilungone di 191 cm) Paul Marcinkus, il vescovo Paolo Hnilica, Licio Gelli, Roberto Calvi e Michele Sindona, la Banca Vaticana divenne parte integrante dei numerosi programmi papali e mafiosi per il riciclaggio del denaro, in cui era difficile determinare dove finiva l’opera del Vaticano e dove cominciava quella della mafia. Il Banco Ambrosiano dei Calvi e numerose società fantasma dirette dallo IOR di Panama e del Lussemburgo presero il controllo degli affari bancari italiani e funsero da canale sot-terraneo per il flusso di fondi verso l’Europa dell’Est, in appoggio all’Unione nazionale anti-comunista.
Marcinkus, capo dello IOR, fu Direttore del Banco Ambrosiano (a Nassau e alle Bahamas), ed esisteva una stretta relazione personale e bancaria fra Calvi e Marcinkus. Sfortunatamente, molti di quelli coinvolti non erano solo collegati alla mafia, ma erano anche membri della famigerata loggia massonicaP2, con il risultato finale della spartizione del denaro di altre persone, inclusa una singola transazione di 95 milioni di dollari (documentata dalla Corte Suprema irlandese).
Non appena le macchinazioni vennero a galla a causa di un errore di calcolo attribuito a Calvi, le teste cominciarono letteralmente a rotolare. L’impero bancario Ambrosiano fu destabilizzato da uno scontro ai vertici del potere interno, che coinvolgeva la Banca Vaticana, la mafia e il braccio finanziario dell’oscuro ordine cattolico dell’Opus Dei. L’Opus Dei, in ogni caso, decise di non garantire per il Banco Ambrosiano e Calvi fu trovato «suicidato», impiccato sotto il ponte di Blackfriars a Londra, con alcuni sassi nascosti nelle tasche, una scena ricca di simbolismo massonico.

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8 Anni 6 Mesi fa #3315 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
Ciao Starburst, nonostante sia indietro con la lettura degli ultimi tuoi post (ma ce la farò) ti annuncio solennemente che, visti i tuoi interessi, mi aspetto un interessante post su Gladio, magari libero dai soliti depistaggi dei gladiatori!
Coraggio (non sentirti assolutamente "in dovere" :smash: )!
Ciao!

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8 Anni 6 Mesi fa #3319 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta

Giano ha scritto: Ciao Starburst, nonostante sia indietro con la lettura degli ultimi tuoi post (ma ce la farò) ti annuncio solennemente che, visti i tuoi interessi, mi aspetto un interessante post su Gladio, magari libero dai soliti depistaggi dei gladiatori!
Coraggio (non sentirti assolutamente "in dovere" :smash: )!
Ciao!


Beh , a mio parere Antonino Arconte e' degno di fiducia visto che come tanti altri che hanno "servito" lo stato e' stato masticato e sputato, per quanto riguarda la tua proposta mi attivo immediatamente, non ti preoccupare e' un piacere non un dovere,semmai il dovere e' verso la storia "nascosta".

Grazie e a presto.

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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #3320 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
Come da richiesta ecco di nuovo un capitolo mai chiuso di storia italica nascosta e non potrebbe essere altrimenti visto che tratteremo di servizi segreti e di gladio in particolare, , dobbiamo pero' fare un resoconto di cosa hanno significato e cosa significano ancora nel nostro paese i "servizi segreti", di quali reati gravissimi si sono macchiati e di come le connivenze e le alleanze portate alle estreme conseguenze hanno condizionato la vita politica e sociale italiana.

I SERVIZI SEGRETI E GLADIO

Nati ufficialmente nel 1866, cinque anni dopo l’Unità risorgimentale, i servizi segreti italiani hanno da sempre una caratteristica che li contrad- distingue dagli altri strumenti d’intel- ligence internazionale: non solo è stata sempre riservata la loro attività – fatto, questo, almeno giustificabile – e di conseguenza elevata alla massima potenza la loro irresponsabilità, ma sono sempre state oscure e misteriose la loro formazione, le logiche di comando, i compiti, le funzioni. Se c’è in Italia un organismo dove la trasparenza è meno di un optional, questi sono i servizi segreti, un’area dove regna l’impunibilità più assoluta. Formalmente esistenti per proteggere la sicurezza, interna ed esterna del paese, i servizi segreti italiani – nonostante i continui cambiamenti di nome – continuano a rimanere uno strumento per i giochi politici della classe di volta in volta dominante. Se quest’ultima affermazione è riscon- trabile in molti paesi dell’area civile, in Italia è sempre esistita una sua variante specifica, ben riassunta in questa     frase   di     un     importante magistrato, Giovanni Tamburino, che, proprio con i servizi, si è scontrato più di una volta:
<<Le deviazioni delle polizie segrete non sono un fenomeno accidentale, ma nascono contemporaneamente alle polizie segrete. La potenza di una polizia segreta fa sì che, da strumento in mano al Principe per perseguire gli scopi di sicurezza del regime, essa si trasformi in potere separato che persegue i propri scopi di sicurezza o, quanto meno, interpreta a suo modo la “sicurezza necessaria” al regime>>

BREVE STORIA DEI SERVIZI SEGRETI ITALIANI


Non esistono i servizi segreti deviati, ma le deviazioni dei servizi segreti

I servizi segreti dell’Italia democratica nascono ufficialmente il 1 settembre 1949, sulle ceneri - ma mantenendo in pieno uomini e strutture - del vecchio SIM, il servizio d’informazione militare, nato durante il regime fascista: il suo nome è SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate).
Già nella costituzione del SIFAR c’è qualcosa di anomalo: nessun dibattito parlamentare, ma solo una circolare interna, firmata dall’allora ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, repubblicano.
Dalla nascita della Repubblica, l’Italia ha atteso più di tre anni, quindi, per dar vita all’organismo che dovrebbe tutelarne la sicurezza, il tempo necessario a "scaricare" le sinistre dal governo e ad aderire al Patto Atlantico.
Il primo direttore del SIFAR è il generale di brigata Giovanni Carlo Del Re che opera sotto l’esplicita supervisione dall’emissario della CIA in Italia, Carmel Offie.
In carica per tre anni, Del Re viene sostituito nel 1951 dal gen. Umberto Broccoli – l’uomo che – almeno sulla carta - darà l’avvio a Gladio, sostituito, neppure un anno e mezzo dopo, dal gen. Ettore Musco.
Anche Musco, che nel 1947 aveva formato l’AIL (Armata Italiana per la Libertà) - una formazione diretta da militari, sostenuta economicamente e militarmente dai servizi segreti americani, incaricata di vigilare su un’eventuale insurrezione comunista – fu uomo di stretta osservanza CIA e proprio sotto il controllo americano portò a termine l’acquisto dei terreni di Capo Marrargiu, in Sardegna, dove sarebbe sorta la base di Gladio.

GLI ANNI DI DE LORENZO

Ma è con l’avvento ai vertici del Sifar del gen. Giovanni De Lorenzo che i servizi segreti italiani si trasformano e cominciano a giocare un ruolo preponderante sulla scena politica italiana. La nomina di De Lorenzo non è casuale: a caldeggiarla, con insistenza, è l’ambasciatrice degli USA Claire Booth Luce, ma il generale è uomo molto gradito anche alle sinistre che per anni equivocheranno sui suoi meriti resistenziali.
De Lorenzo assume le redini del SIFAR nel gennaio del 1956. Resterà in carica fino all'ottobre del 1962: quasi sette anni filati, fatto mai accaduto, neppure in seguito, nella storia dei servizi segreti italiani. E’ sotto la gestione De Lorenzo che l’Italia sottoscriverà il piano, redatto dalla CIA, denominato "Demagnetize" il cui assunto è:
«La limitazione del potere dei comunisti in Italia e in Francia è un obiettivo prioritario: esso deve essere raggiunto con qualsiasi mezzo».
Gli anni di De Lorenzo al SIFAR sono gli anni delle schedature di massa degli italiani: verranno raccolti oltre 157 mila fascicoli, molti dei quali abusivi e falsi, in gran parte del tutto superflui per la sicurezza, ma utili strumenti di pressione e di ricatto.
Nominato sul finire del 1962 comandante generale dell’Arma dei carabinieri e quindi costretto a lasciare la guida del servizio segreto, De Lorenzo riuscì comunque a mantenere il controllo del SIFAR, facendo in modo che al suo posto venisse nominato un suo fedelissimo, Egidio Viggiani e che i posti chiave del servizio stesso fossero occupati da suoi uomini di fiducia: Giovanni Allavena - responsabile, contemporaneamente, dell’ufficio D (informazioni) e del CCS (controspionaggio) ed in seguito egli stesso ai vertici del SIFAR– e Luigi Tagliamonte che assumerà il doppio (e incompatibile) incarico di responsabile dell’amministrazione del SIFAR e capo dell’ufficio programmazione e bilancio dell’Arma.
E’ con De Lorenzo ai vertici dei carabinieri che si acuisce la tensione in Alto Adige, una regione attraversata all’epoca da una forte vena irredentista filo-austriaca e, nel luglio del 1964, si ode il famoso "rumor di sciabole" di cui parlò l’allora segretario socialista Pietro Nenni, allorché la formazione del secondo governo di centro-sinistra, guidato da Aldo Moro, si realizzò sotto la minaccia, più o meno velata, di un colpo di stato: il Piano Solo.

NASCE IL SID

Anche se lo scandalo delle schedature del Sifar e del Piano Solo verranno alla luce solo tre anni dopo, nel 1967, grazie ad una campagna di stampa del settimanale L’Espresso, condotta dai giornalisti Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari, già nel 1965 il SIFAR viene sciolto.
E’ uno scioglimento solo di facciata, l’ennesimo: con un decreto del Presidente della Repubblica, il 18 novembre 1965, nasce il SID (Servizio Informazioni Difesa) che del vecchio servizio continuerà a mantenere uomini e strutture.
Il comando del SID viene affidato all’amm. Eugenio Henke, genovese, molto vicino al ministro dell’Interno dell’epoca Paolo Emilio Taviani, democristiano.
Sotto la gestione Henke – che resterà in carica fino al 1970 – prenderà l’avvio la strategia della tensione che avrà come primo, tragico, risultato la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969).
Henke lascia il SID il 18 ottobre 1970 per essere sostituito dal gen. Vito Miceli che già dal 1969 guidava il SIOS (il servizio informazioni) dell’Esercito. Non trascorrono neppure due mesi dal nuovo cambio della guardia ai vertici dei servizi segreti italiani, che nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 un gruppo di neofascisti, capeggiati dal "principe nero" Junio Valerio Borghese, ex comandante della X MAS, mette in atto un ancor oggi misterioso tentativo di colpo di stato, nome in codice "Tora, Tora", passato alla cronaca come il Golpe Borghese.
E’ noto che il tentativo di colpo di stato fallì, o meglio aveva al suo interno forze che ne avevano preventivato il fallimento. Di quel golpe che sapeva molto era proprio il neo capo del SID, il gen. Vito Miceli che nel sottile gioco delle alleanze politiche era legatissimo ad Aldo Moro e nemico giurato di una altro potente democristiano: Giulio Andreotti.
Miceli di quel tentativo di golpe tacque: in primis con la magistratura. Quando nel 1975 l’inchiesta giudiziaria sul Golpe Borghese arriverà alla sua stretta finale, Miceli avrà già lasciato il servizio, travolto da una serie di incriminazioni che porteranno al suo arresto per altri fatti ancora oggi non del tutto chiariti, come la creazione della Rosa dei Venti, un’altra struttura militare para-golpista e lo scontro durissimo che lo opporrà al capo dell’ufficio D, un fedelissimo di Andreotti, il gen. Gianadelio Maletti. Gli anni della gestione Miceli sono gli anni dello stragismo in Italia: da Peteano, alla strage alla Questura di Milano, da Brescia all’Italicus.
Come era già accaduto a De Lorenzo, anche Miceli finirà in parlamento: eletto, anche lui, nelle file del MSI-DN di Giorgio Almirante, così come anni dopo succederà ad un altro capo dei servizi segreti, il gen. Antonio Ramponi, nelle file di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini.

LA RIFORMA DEI SERVIZI SEGRETI

La prima riforma organica dei servizi segreti – ma anche fino ad oggi l’ultima – risale al 1977. Sempre più vicino all’area di governo, impegnato in una politica improntata al consociativismo, il PCI partecipa direttamente ed in prima persona, attraverso la figura del sen. Ugo Pecchioli, alla riforma.
Per la prima volta viene introdotta una figura di responsabile dell’attività dei servizi segreti di fronte al Parlamento: è il Presidente del Consiglio che si avvale della collaborazione di un consiglio interministeriale, il CESIS che ha anche un compito di coordinamento. Inoltre i servizi devono rispondere di quello che fanno ad un Comitato parlamentare.
Ma un importante novità introdotta dalla riforma dei servizi segreti riguarda lo sdoppiamento dei servizi stessi: al SISMI (Servizio d’Informazioni per la Sicurezza Militare) il compito di occuparsi della sicurezza nei confronti dell’esterno, al SISDE (Servizio d’Informazioni per la Sicurezza Democratica) quello di vigilare all’interno.
Con in più un’altra differenza: se il SISMI resta completamente affidato a personale militare, il SISDE diventa una struttura civile, affidata alla polizia che è diventato un corpo smilitarizzato.
Una riforma, quindi, buona nelle intenzioni, ma che negli anni a seguire produrrà soltanto risultati disastrosi, anche perché gli uomini che andranno a far parte del SISMI e del SISDE saranno gli stessi che hanno già fatto parte del SIFAR e del SID e, per quanto riguarda il servizio civile, del disciolto – e famigerato – Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno.
Retto dal 1974 al 1978 dall’amm. Mario Casardi, il SISMI vedrà l’ascesa, nello stesso anno, del gen. Giuseppe Santovito, già stretto collaboratore di De Lorenzo.
Il SISDE, la cui direzione sarebbe dovuta spettare ad Emilio Santillo, già capo dell’Ispettorato per l’antiterrosimo, pur essendo una struttura non militare finirà proprio ad un militare, generale dei carabinieri Giulio Grassini.
Il primo scandalo in cui incappano i servizi riformati è quello della Loggia P2. I nomi di tutti i vertici dei servizi segreti (SISMI, SISDE ed anche del CESIS, l’organo di coordinamento) sono compresi nella famosa lista del maestro venerabile Licio Gelli, scoperta il 17 marzo 1981 dai magistrati milanesi che indagano su Sindona.

IL RUOLO DEI SERVIZI SEGRETI NEI MISTERI DEGLI ANNI OTTANTA

E’ questa forse una pagina che non è stata ancora scritta del tutto. Di certo oggi sappiamo che entrambi i servizi segreti sono dentro fino al collo nel caso Moro, i 55 giorni che trascorsero fra il sequestro del presidente della DC da parte di un commando delle Brigate rosse e l’uccisione dell’uomo politico.
Omissioni, inefficienze, tacite connivenze, depistaggi, forse anche qualcosa di più.
Molto, ma molto di più invece nella strage di Bologna dove per depistaggio, con sentenza passato in giudicato, sono stati condannati, assieme a Gelli, alcuni uomini del SISMI, come il gen. Pietro Musumeci e il col. Giuseppe Belmonte. E con loro anche il faccendiere Francesco Pazienza, in seguito imputati anche per aver creato una superstruttura occulta (il c.d. SUPERSISMI) all’interno del servizio segreto militare, sospettato di aver operato in collegamento con elementi della criminalità organizzata.
C’è da aggiungere che uomini del SISMI sono rimasti implicati anche nell’inchiesta sulla strage di Ustica.
Nel 1984 arriva al vertice del SISMI colui che passa per un rinnovatore: è l’amm. Fulvio Martini. Resterà in carica fino al febbraio del 1991 quando, assieme al suo capo di stato maggiore, il gen. Paolo Inzerilli, finirà travolto dalla vicenda di Gladio.
Parallelamente al Sisde si succederanno i prefetti Vincenzo Parisi (1984-1987), che diventerà subito dopo capo della polizia e Riccardo Malpica (1987-1991), che verrà poi condannato per lo scandalo dei fondi neri del SISDE.
Il resto è storia recente. Gli uomini che siederanno ai vertici di SISMI e SISDE nell’ultimo decennio sono, per fortuna del Paese, tutte o quasi figure di scarso rilievo, ma, almeno all’apparenza, tutte dotate di saldo spirito democratico.
I servizi segreti italiani sembrano aver scelto la linea del basso profilo: forse servono a poco o a nulla. Ma almeno non fanno danni.
Anche se – bisogna aggiungere - trattandosi di apparati di sicurezza (sicurezza di chi?) bisogna sempre stare attenti a non pronunciare mai una parola definitiva.
(fonte principale: G. De Lutiis – Storia dei servizi segreti in Italia, Editori riuniti, varie edizioni)

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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #3326 da Starburst
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LA STORIA DI GLADIO



Un ottimo articolo di Solange Manfredi,giurista e ricercatrice storica, da questo analizzeremo la nascita e lo sviluppo dell'organizzazione gladio, le sue operazioni ed i suoi inevitabili crimini.

1. Nascita Gladio.


Era il 1952 quando, grazie ad un patto segreto stipulato tra la CIA e il capo del Servizio informazioni forze armate (Sifar), nasceva l’organizzazione “Stay Behind” (“Gladio”).

La struttura, alle dipendenze dell’Ufficio R del Sifar, era articolata in 40 nuclei, dei quali sei informativi, dieci di sabotaggio, sei di propaganda, sei di evasione e fuga, dodici di guerriglia. Inoltre erano state costituite cinque unità di guerriglia di pronto impiego in regione di particolare interesse.

Una prima domanda sorge spontanea: dove e come venivano reclutati i gladiatori?

“Dirà il magistrato Libero Mancuso: «Il capo della “Gladio” statunitense Mike Sednaoui, vice capo della Cia a Roma, reclutava nella P2: se non si era della P2, difficilmente si dava quella garanzia di affidabilità richiesta.[1]».

Infatti dell’esistenza di questa struttura, proprio perché nata da un accordo segreto (ovvero in una situazione di assoluta illegittimità costituzionale) e non, come invece avrebbe dovuto essere, da un accordo internazionale del Governo e del Parlamento, ne erano a conoscenza solo poche persone. Ovvero: alcuni politici, alcuni ufficiali dei servizi segreti e la massoneria deviata (in logge massoniche collegate con la P2, troviamo anche uomini del calibro di Stefano Boutade, Michele Greco e Pino Mandatari, commercialista di Riina) Solo loro erano a conoscenza della struttura e solo loro, probabilmente, potevano attivarla. Questo per più di 30 anni.

Solo nel 1990, infatti, grazie ad un indagine del giudice Casson (che stava indagando sui depistaggi operati dai carabinieri e dai servizi segreti nell’inchiesta sulla strage di Peteano) si scoprirà dell’esistenza di Gladio.

Scoppia il caso. Andreotti, chiamato a riferire in Parlamento, ammetterà l’esistenza di Gladio affermando che la struttura, formata da 622 unità, aveva lo scopo di difendere l’Italia da una possibile invasione sovietica. Non essendoci mai stata un’occupazione sovietica, la struttura non fu mai attivata e, soprattutto, non avrebbe mai interferito con la vita democratica del Paese.

Il materiale documentale raccolto nel corso delle indagini dal G.I. di Venezia Casson e dai sostituti procuratori militari di Padova, Sergio Dini e Benedetto Roberti, però attesterebbe, in realtà, come fin dalla sua nascita Gladio si sia vista attribuire compiti di interesse nella vita politica interna del paese.

Dal materiale raccolto si evince:

1. come i gladiatori venissero addestrati a tutta una serie di attività terroristiche:

- con finalità intimidatorie (lancio di bombe contro sedi di partito);
- di provocazione, ovvero pestaggi e azioni che facessero degenerare delle manifestazioni pacifiche in scontri con la polizia (ricordate il G8?);
- atti di terrorismo da addossare ad altri.

2. Come la strutturata fosse organizzata su più livelli al fine di poter rendere opportunamente divulgabile alcuni settori in caso di necessità (ovvero di scoperta). Mentre, in posizione occulta e da tenere nascosta ad ogni costo, una struttura più profonda, formata da soggetti i cui nomi dovevano rimanere ignoti (e che tutt’ora in effetti lo sono). La struttura più profonda avrebbe avuto funzioni di turbativa della vita politica nazionale.

Purtroppo le indagini non sono state portate a compimento sia perché come si evince dalla sentenza e dalla perizie del processo Gladio:

“Alla direzione del Sismi si è tentato di cancellare le tracce della plurima attività di “Gladio” provvedendo a distruggere o manipolare i documenti d’archivio. Il magistrato veneziano Felice Casson ha scritto: “Gli archivi dei servizi segreti sono stati debitamente epurati, se non addirittura saccheggiati” [2]. Giuseppe De Lutiis, nella perizia effettuata sui documenti del Sismi sottoposti a sequestro, ha scritto: “..È inoltre da rilevare che nei registri di protocollo si riscontrano una abnorme mole di documenti distrutti col fuoco nei giorni intercorrenti tra il 29 luglio e l’8 agosto 1990, e cioè in concomitanza con l’accesso del giudice Casson al Servizio per la consultazione di documenti (27 luglio 1990) e con le dichiarazioni del presidente del Consiglio Andreotti dinanzi al Parlamento (il 2 agosto alla Camera, e il 3 alla Commissione parlamentare sul terrorismo e le stragi)” [3].


E sia perché, ai magistrati militari Sergio Dini e Benedetto Roberti: “l’inchiesta è stata loro sottratta quando hanno scoperto che l’organizzazione “Gladio” era articolata in più livelli: la parte dei 622 era “il coperchio legittimo, formato essenzialmente da gente in buona fede che ritenevano di operare solo in funzione antinvasione”, ma vi erano livelli più segreti fino al “nocciolo chiave”, “alle azioni “sporche” dei servizi”, un nocciolo attivato “al di là dei compiti istituzionali” [4].

Secondo quanto accertato nelle indagini della Procura militare di Padova, inoltre, intorno a metà degli anni ’80 la struttura Gladio sarebbe stata in un certo modo “riarticolata”, così da poter semiufficializzare parte della struttura (Gladio???), e, contemporaneamente, coprire ulteriormente il livello più occulto (Falange Armata????).

Insomma, come dice il giudice Imposimato:

“Gladio è il segreto della Repubblica. E’ materiale da maneggiare con cura…… una struttura occulta assolutamente incostituzionale avente mani libere per qualunque tipo di azione preventiva”[5].

La domanda da porsi, dunque, è: a quali azioni, preventive e non, ha preso parte Gladio? Ufficialmente a nessuna, non è mai stata attivata. Il problema però è che Gladio compare nelle pagine più buie della storia della nostra Repubblica. Vediamo quali:

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8 Anni 6 Mesi fa #3331 da Giano
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Come il peggiore degli idioti non ho pensato di cercare qualcosa su Gladio nel vecchio sito!
Ebbene c'è un articolone datato 2014 scritto da m4x , a cui faccio i complimenti con un pochino di ritardo :ok: , che al tempo mi era sfuggito, eccolo:

Perché non si può dire la verità
www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=4409

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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #3332 da Starburst
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Giano ha scritto: Come il peggiore degli idioti non ho pensato di cercare qualcosa su Gladio nel vecchio sito!
Ebbene c'è un articolone datato 2014 scritto da m4x , a cui faccio i complimenti con un pochino di ritardo :ok: , che al tempo mi era sfuggito, eccolo:

Perché non si può dire la verità
www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=4409


E' vero e' un ottimo articolo, ma noi siamo in possesso della cronologia completa delle azioni compiute da gladio,vado avanti?

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8 Anni 6 Mesi fa #3333 da Giano
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Starburst ha scritto:
E' vero e' un ottimo articolo, ma noi siamo in possesso della cronologia completa delle azioni compiute da gladio,vado avanti?


Ma certo, non ci vorremo mica accontentare di una sola, per quanto autorevole, fonte! Avanti tutta! :snail:

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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #3334 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
A gentile richiesta ecco una cronistoria delle azioni piu' significative operate da gladio sul territorio nazionale, si scoprira' ben presto che l'antisovietismo centra poco o nulla,naturalmente sono quelle azioni che si e' riusciti a desecretare o a salvare dalla distruzione.

2. Omicidio Enrico Mattei

E’ l’8 gennaio 1962. Enrico Mattei, presidente dell’Eni è atteso in Marocco per l’inaugurazione di una raffineria.

Il pilota del suo aereo personale prima della partenza si accorge di una lievissima sfumatura sonora proveniente da uno dei reattori. Cerca la causa dell’anomalia e si accorge di un giravite fissato con del nastro adesivo ad una delle pareti interne del motore: L'episodio, classificato come banale dimenticanza dei tecnici, poteva con ottima probabilità provocare la seguente dinamica: il calore del reattore avrebbe sciolto il nastro, il cacciavite sarebbe finito nel reattore stesso, che sarebbe esploso senza lasciar traccia dell'oggetto, potendo il tutto poi apparire come un normale incidente[6].

Questa, più che una dimenticanza dei tecnici, sembra proprio un lavoro da esperti in sabotaggio, proprio una delle tecniche cui erano esperti i gladiatori.

Quello che è certo è che Gladio era vicinissima al Presidente Mattei. Infatti proprio il capo scorta personale di Mattei, Giulio Paver, apparteneva al nucleo laziale di “Gladio”.

Dello stesso nucleo laziale di Gladio facevano parte anche Armando Degni (che verrà poi inquisito per il tentato golpe borghese), Lucio Grillo e Camillo Grillo. Proprio il sedicente ufficiale dei Carabinieri che di nome, guarda caso, fa proprio Grillo, si presenta, il 27 ottobre 1962, con altre due persone all’aeroporto di Catania per ispezionare l’aereo di Mattei, poco prima del decollo[7]. Sarà l’Ultimo. Poche ore dopo il bireattore esplode in volo. Con Mattei perdono la vita Irnerio Bertuzzi, e il giornalista di “Time Life” William McHale.

Pochi mesi dopo il capo scorta Giulio Paver, appartenente a Gladio, lascia il suo incarico all’Eni. Probabilmente perché il suo compito è terminato.


3. Piano Solo

E’ il 1964. Il Generale massone De Lorenzo, capo del Sifar e, praticamente, fondatore di Gladio, ha predisposto un piano per attuare un vero e proprio colpo di Stato militare nel caso in cui il Governo di centro sinistra (presieduto da Aldo Moro) non ridimensioni le sue istanze riformiste (vedi articolo su questo blog del 06 gennaio 2008).

Il Piano Solo prevede l’occupazione di obiettivi strategici nelle principali città italiane nonché l’arresto di 731 dirigenti comunisti e socialisti, sindacalisti, intellettuali di sinistra e esponenti della sinistra Dc da deportare poi in Sardegna nella base di Capo Marrangiu, ovvero nella base di Gladio.
Sulla vicenda il governo pone il segreto di Stato

4. L’omicidio del Commissario Luigi Calabresi.

Il commissario Luigi Calabresi viene ucciso il 17 maggio del 1972.
Da anni il commissario Calabresi è vittima di una vergognosa campagna stampa diffamatoria che lo vuole responsabile della morte dell’anarchico Pinelli, volato giù dalla finestra della questura di Milano il 15 dicembre 1969.
E’ il 1988 quando, dopo 17 giorni passati, all’insaputa della magistratura, con un colonnello dei Carabinieri, un rapinatore, ex di Lotta continua, Leonardo Marino confessa di aver ucciso, insieme ad Ovidio Bompressi, il Commissario Calabresi per ordine di Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani.
Le motivazioni del gesto sarebbero state quelle di una vendetta proprio per la morte dell’anarchico Pinelli.
I processi che ne seguiranno non solo saranno indiziari ma alcuni corpi di reato risulteranno scomparsi o distrutti (????)

Eppure in pochi hanno sottolineato che:
- quando il Commissario Calabresi fu ucciso stava portando avanti una delicata inchiesta su un traffico di armi di grosse dimensioni tra la svizzera e il veneto;
- dei rapporti del Commissario sulle indagini inerenti il traffico d’armi non si è trovata traccia;
- i principali indiziati del traffico d’armi erano estremisti di destra della cellula veneta (strage di Piazza Fontana);
- una delle prime persone ad essere sospettate dell’omicidio del commissario Calabresi è stato Gianni Nardi, estremista di destra più volte arrestato per detenzione e traffico di armi;
- Gianni Nardi è presente nelle liste Gladio con la sigla 0565;

Ma a chiudere l’indagine circa il coinvolgimento di Nardi nell’omicidio del commissario Calabresi ed il traffico d’armi interverrà la sua presunta morte in un incidente d’auto avvenuto a Palma di Majorca 10 settembre 1976 (Numerose sono le indagini che vedono coinvolte persone legate a Gladio e si concludono con la “morte” dell’indagato)

5. Strage della questura di Milano

E’ il 17 maggio 1973. Gianfranco Bertoli lancia una bomba a mano nel cortile della questura di via Fatebenefratelli a Milano durante l'inaugurazione di una lapide in memoria del commissario Luigi Calabresi. Sono presenti varie autorità tra cui il Ministro dell'Interno Mariano Rumor, obiettivo dell’attentato. Il Ministro Rumor rimane illeso ma la bomba causa 4 morti e 45 feriti.
Immediatamente arrestato Bertoli si dichiara anarchico e afferma che, con il suo gesto, voleva punire il Ministro Rumor per la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli (ancora!!!!)
Peccato però che Bertoli risulti in contatto con Freda (strage di Piazza Fontana), stipendiato dal Sifar fin dai primi anni ‘60 e legato a Gladio con la sigla 0375.


6. Argo 16

E’ il 30 ottobre 1973. Due arabi, Al Tayeb Ali Fergani (alias Atif Busaysu) e Ghassan Ahmed, arrestati per atti di terrorismo ad Ostia, ottengono, su cauzione, la libertà provvisoria e vengono ospitati in un appartamento a disposizione del Sid a Roma (avete letto bene: ospitati in un appartamento del SID).

Il 31 ottobre 1973 i terroristi vengono accompagnati a Ciampino e, sottratti alla giustizia italiana, imbarcati e trasportati segretamente in Libia sull’aereo militare Argo 16, in uso alla struttura segreta Gladio.

Ad accompagnare a casa i terroristi quattro ufficiali del Sid: il colonnello Giovan Battista Minerva, il capitano Antonio Labruna, il colonnello Stefano Giovannone, il tenente colonnello Enrico Dilani. Enrico Milani appartiene all’organizzazione segreta Gladio. Probabilmente né fa parte anche Giovannone.

Sulla vicenda il Governo pone il segreto di Stato.


7. Sequestro Sossi


Il giudice Sossi viene rapito dalle Br il 18 aprile 1974 dalle brigate rosse.
Due i brigatisti che afferrano materialmente Sossi. Uno è Bonavita, l’altro è l’infiltrato nelle Br dell’Ufficio Affari Riservati, Marra detto“Rocco”.

“...Rocco” è un paracadutista, addestratosi in Toscana e in Sardegna all'uso delle armi e degli esplosivi (proprio come gli appartenenti a “Gladio”) che, prima di infiltrarsi nelle Br, si era specializzato nella pratica della “gambizzazione”, un'arte per la quale farà da istruttore ai brigatisti… A differenza di Pisetta, dopo il sequestro Sossi, “Rocco” non venne bruciato…Proseguì alacremente la sua attività nelle Br per conto dell'Ufficio affari riservati; contribuì, per esempio, a preparare l’azione del commando brigatista che il 18 febbraio 1975 riuscì a liberare Renato Curcio detenuto nel carcere di Casale Monferrato “[8]

8. Omicidio Vittorio Occorsio

Il giudice Occorsio, che negli anni aveva indagato sul Golpe Borghese, sul Piano Solo, sullo scandalo Sifar, sulla strage di Piazza Fontana (insomma su tutte le vicende che hanno visto pesantentemente coinvolti i servizi segreti), aveva capito che, probabilmente, dietro a quella lunga scia di sangue vi era un unico comun denominatore e cercava di provarlo.

Nel 1975 Vittorio Occorsio disse al collega Ferdinando Imposimato:
“Molti sequestri avvengono per finanziare attentati o disegni eversivi…. Sono certo che dietro i sequestri ci siano delle organizzazioni massoniche deviate e naturalmente esponenti del mondo politico. Tutto questo rientra nella strategia della tensione: seminare il terrore tra gli italiani per spingerli a chiedere un governo forte, capace di ristabilire l’ordine, dando la colpa di tutto ai rossi…Tu devi cercare i mandanti di coloro che muovono gli autori di decine e decine di sequestri. I cui soldi servono anche a finanziare azioni eversive. I sequestratori spesso non sono che esecutori di disegni che sono invisibili ma concreti. Ricordati che loro agiscono sempre per conto di altri”[9].

“Il 09 luglio 1976, Occorsio viene assassinato. L’autore materiale del suo assassinio è un neofascista, Pierluigi Concutelli, la cui scheda, con l’indicazione della tessera n. 11.070, verrà ritrovata anni dopo da Giovanni Falcone a Palermo, nella sede della Loggia massonica Camea, retta da Michele Barresi e frequentata anche da uomini di Cosa nostra”[10].

“Il 26 dicembre del 1976 l’ingegner Francesco Siniscalchi (affiliato alla Massoneria dal 1951) invia un esposto-denuncia ai magistrati titolari dell’istruttoria per l’omicidio Occorsio: Siniscalchi fornisce alla magistratura notizie e documenti sulla Loggia P2 e sulla sua attività eversiva, e rivela l’oscuro ruolo di Licio Gelli e le “deviazioni” all’interno di Palazzo Giustiniani; per queste sue denunce, Siniscalchi verrà espulso dalla Massoneria”[11]. Gelli avrà la strada spianata.


9. Omicidio Mario Amato

I fascicoli del giudice Vittorio Occorsio vengono ereditati dal collega Mario Amato. Come Occorsio anche Amato capisce che, probabilmente, dietro tutte le sigle terroristiche c’è un’unica regia.

Davanti al CSM il giudice Amato, il 13 giugno 1980, afferma: “sto arrivando alla visione di una verità d'assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori materiali degli atti criminosi”.
Dieci giorni dopo, il 23 giugno 1980, poche settimane prima della strage di Bologna, il giudice Mario Amato viene ucciso a Roma.

10. Il caso Moro

Come abbiamo visto in articoli precedenti la presenza di Gladio nel caso Moro è imponente. Ricordiamola:

- L'azione militare di via Fani viene definita un “gioiello di perfezione” attuabile solo da uomini super addestrati;

- Le perizie hanno appurato che in via Fani vennero usate anche munizioni di provenienza speciale provenienti da forniture date solo a forze statali militari non convenzionali. Quando, anni dopo, verrano scoperti i depositi “Nasco” della struttura segreta “Gladio” si riscontreranno le stesse caratteristiche nelle munizioni di quei depositi;

- La mattina del 16 marzo alle ore 9 in via Stresa, a circa duecento metri da dove avviene la strage c’è il colonnello del Sismi Camillo Guglielmi, istruttore presso la base di “Gladio” di Capo Marrargiu, dove aveva insegnato ai “gladiatori” le tecniche dell’imboscata;

Ad agevolare la fuga del commando un improvviso black-out interrompe le comunicazioni telefoniche della zona. Circa la vicenda della Sip si legge (Unità dell’11 luglio 1991) in uno scritto di Vladimiro Settimelli :“Una Gladio della Sip allertata il giorno prima del sequestro Moro”;

- La stampatrice modello Ab Dick 360 T (matricola n° 938508) utilizzata dalle Br durante il sequestro Moro per stampare comunicati e altro materiale proveniva dall’Ufficio Rus (Raggruppamento Unità Speciali), ovvero l’ufficio più compartimentato del servizio segreto militare che provvedeva all’addestramento di “Gladio”;

- Da documento della X Divisione Stay Behind (Gladio) del 02 marzo 1978, si evincerebbe come questa fosse a conoscenza del rapimento di Moro ben 14 giorni che questo avvenga;

- l’argomento più spinoso che Moro affronta con i suoi carcerieri – e che non a caso verrà tenuto nascosto ancora per dodici anni dopo la sua morte – riguarda il nervo scoperto (tuttora nodo irrisolto) di Gladio”[12] Eppure le Br che avevano detto “Tutto verrà reso noto al popolo e al movimento rivoluzionario”, non riveleranno nulla degli interrogatori del Presidente della Dc e mentendo spudoratamente sosterranno che dagli stessi non era emerso nulla di importante;

- “Il 24 aprile 1978 (quindi15 giorni prima dell’assassinio di Moro n.d.r.) Infelisi emette alcuni ordini di cattura contro Morucci, Faranda, Gallinari. Gli ordini di cattura verranno bloccati… l’ipotesi è che ci sia stato un indebito intervento del ministro Cossiga per bloccar gli ordini di cattura, tramite il procuratore generale. Dirà Infelici, quasi trent’anni dopo. “Cossiga è stato il solo sottosegretario alla difesa ammesso a conoscere Stay Behind, cioè Gladio" [13];


- Il 16 marzo 1978 Cossiga decide di istituire dei comitati per gestire la crisi che pullulavano di iscritti alla loggia P2. “Oggi è possibile affermare che le strutture volute da Cossiga non solo non assunsero alcuna iniziativa diretta a salvare la vita di Moro, ma ostacolarono le indagini condotte dalla procura di Roma, bruciando le numerose occasioni che si presentarono agli inquirenti per liberare il leader DC e impedendo persino che l’inchiesta giudiziaria sul sequestro del presidente democristiano venisse formalizzata, ossia arrivasse nelle mani dei giudici naturali e logici destinatari”[14].
- “Con il passare degli anni e l’accertamento della verità nel processo sulle stragi e nei vari processi Moro, emerse che il Comitato crisi era un centro di potere di cui facevano parte i vertici di Gladio”[15].

- Per confutare la perizia sulla mitraglietta Skorpion utilizzata per uccidere Moro, Valerio Morucci e Adriana Faranda si sono avvalsi di un perito di parte legato al servizio segreto militare: tale Marco Morin, estremista di destra, appartenente a “Gladio” [16]. La perizia di Morin ha sostenuto che la Skorpion trovata in possesso di Morucci e Faranda non era l’arma che aveva ucciso Moro. Ma quella “perizia di parte” è stata smentita, rimanendo semplice testimonianza di una stranissima “convergenza”.[17]


11. Omicidio Toni De Palo


Il 2 settembre 1980, Graziella De Palo (giornalista di Paese Sera e de L'Astrolabio) e Italo Toni (redattore dell'Agenzia Notizie) vengono rapiti ed uccisi in Libano.

I due giornalisti stavano svolgendo un’inchiesta su:
- il traffico internazionale di armi tra l’OLP e l’Italia (vi sono varie note su società italiane e straniere);
- 5 campi di addestramento palestinesi situati nel sud del Libano nella zona di Tiro e Sidone.
Sulla loro morte l’opera di depistaggio operata dal Generale Giuseppe Santovito, massone iscritto alla loggia P2, direttore del Sismi, e dal Colonnello Giovannone capocentro del SISMI a Beirut dal 1972 al 1981, entrambi legati a Gladio, sarà vergognosa.

I due agenti del Sismi moriranno improvvisamente prima del processo a loro carico.

Il governo, poi, apporrà il segreto di Stato.



12. Omicidio Mauro Rostagno


E’ il 26 settembre del 1988 quando Mauro Rostagno viene ucciso a colpi di fucile.
Dentro la borsa teneva sempre delle registrazioni che non verranno mai più ritrovate.
Sono in molti a ritenere che sui nastri scomparsi vi siano le immagini, filmate di nascosto tra il giugno ed il settembre del 1988, di un traffico di armi che si svolgeva all'aeroporto abbandonato di Kinisia, che è a qualche decina di chilometri da Trapani proprio nelle stessa circoscritta zona in cui operava il centro Scorpione, un centro di Gladio rimasto in gran parte sconosciuto e dotato di un aereo super leggero in grado di volare al di sotto delle apparecchiature radar.

13. Omicidio Li Causi

Vincenzo Li Causi, uomo del Sismi (servizio segreto militare italiano), per un certo tempo attivo presso la struttura di Gladio operante a Trapani (il centro Scorpione) fu ucciso a Balad, in Somalia il 12 novembre 1993, pochi giorni prima di deporre davanti al Pm proprio sul Centro Scorpione.
Richieste di indagini da parte della Procura romana sono state bloccate da due ministri della Giustizia.

Da più persone il maresciallo Li causi viene indicato come l’informatore di Ilaria Alpi la giornalista che, insieme al suo operatore Miran Hrovatin, pochi mesi DOPO (20 marzo 1994) verrà uccisa sempre in Somalia.

14. Cambia il nome?


Dal breve excursus ora fatto si evince come appartenenti alle liste gladio compaiano a 360° nelle vicende più buie della storia italiana, vicende che influenzano grandemente la politica del paese.
Li troviamo “presenti” in:
- tentati colpi di stato;
- sequestri;
- stragi (sia di destra che di sinistra)
- omicidi;
- traffico di armi, ecc…

Li troviamo sempre presenti, ma la loro presenza è sempre dalla parte sbagliata: tirano bombe, fanno i periti di parte di assassini, depistano, mentono, ecc..

Inoltre, nelle vicende in cui troviamo coinvolti gladiatori vi sono anche sempre una serie di costanti: i testimoni muoiono, i magistrati muoiono, le inchieste vengono bloccate, atti e documenti vengono sottratti o distrutti, viene posto il segreto di stato, ecc…

Come abbiamo sottolineato in un precedente articolo di questo blog (dell’11 gennaio 2008) con modalità che troviamo costante, quando i servizi segreti vengono travolti da scandali che neanche l’apposizione del segreto di Stato riesce più ad arginare, il Governo li riforma, ovvero cambia il nome alla struttura ma, nella sostanza, uomini, mezzi e fini restano gli stessi.

Ciò che è lecito domandarsi oggi è se è possibile che per Gladio sia successa la stessa cosa. Ovvero: una volta scoperta la struttura Gladio è possibile che uomini e mezzi siano semplicemente stati “rinominati”? E se si oggi come si chiama la nuova Gladio? Forse Falange armata?

15. La Falange Armata.

Come già sottolineato in un articolo di questo blog (19 gennaio 2008) pochi mesi dopo la scoperta della struttura segreta Gladio sulla scena italiana compare un’altra sigla “strana”: Falange armata. La troviamo:

1991

Il 4 gennaio, a Bologna nel quartiere del Pilastro, vengono uccisi tre carabinieri.
La strage è rivendicata dalla Falange Armata.
Per compiere la strage viene usato un mitra Beretta SC 70 in dotazione soltanto a forze speciali di pronto intervento
Il 3 maggio in una armeria di Bologna vengono uccise tre persone.
La strage è rivendicata dalla Falange Armata.

1992

Febbraio. Craxi, a seguito dei tanti avvisi di garanzia, si dimette da segretario del PSI.
La Falange armata inizia le minacce contro mani pulite.
Il 23 maggio Giovanni Falcone viene ucciso insieme alla moglie ed alla scorta a Capaci.
La strage viene rivendicata dalla Falange Armata.
Sulla collina di Capaci viene trovato un biglietto con il numero di cellulare di un funzionario del Sisde.
Il 19 luglio Paolo Borsellino viene ucciso con alcuni agenti della sua scorta in via d'Amelio a Palermo.
La strage viene rivendicata dalla Falange Armata.
Alle spalle di Via D'Amelio, situato sul Monte Pellegrino, c'è Castel Utveggio.
E' il punto di osservazione migliore perchè si domina perfettamente la vista dell'ingresso dell'abitazione di via D'Amelio.A Castel Utveggio ha sede un ente regionale il C.E.R.I.S.D.I., dietro il quale avrebbe trovato copertura un organo del SISDE.

1993


Marzo. Rogatoria di Di Pietro a Hong Kong sui conti di Craxi e contemporaneo messaggio della Falange armata: "A Di Pietro uccideremo il figlio".
14 maggio esplode una autobomba in via Fauro a Roma. 15 feriti.
La strage viene rivendicata dalla Falange Armata.
27 maggio in Via Dei Georgofili a Firenze esplode una autobomba. 5 morti e 48 feriti.
La strage viene rivendicata dalla Falange Armata.
02 giugno a Roma, in via dei Sabini, a 100 metri da Palazzo Chigi viene scoperta una autobomba.
L'attentato viene rivendicato dalla Falange Armata.
16 settembre La Procura della Repubblica di Roma apre una inchiesta ed individua in 16 ufficiali del SISMI i telefonisti che hanno rivendicato le azioni della Falange Armata.
21 ottobre Attentato a Padova durante la notte contro il palazzo di Giustizia che viene in parte distrutto.
L'attentato viene rivendicato dalla Falange armata.

1994

15 marzo, Di Pietro stringe per la rogatoria a Hong Kong sul bottino di Craxi: la prova che Bettino gestiva il proprio, tramite Giancarlo Troielli, qualche decina di miliardi. Riecco puntuale la Falange armata: "Ammazzeremo Di Pietro".
Giugno. Di Pietro s'imbatte nelle mazzette degli industriali alla Guardia di Finanza. C'è anche la Fininvest. Nuove minacce a Di Pietro dalla Falange armata
Il 17 settembre, nuovo messaggio della Falange armata: "La vita politica e umana di Di Pietro sarà breve e verrà fermata".
1 ottobre. Ancora la Falange Armata: "Di Pietro è cotto a puntino".
Novembre"Di Pietro ha i giorni contati", annuncia la Falange armata.
Il 27 novembre la Falange armata comunica: "Di Pietro è un uomo morto”

Proprio come Gladio, la sigla falange armata la troviamo, negli anni ‘90, impegnata a 360°.
Rivendica di tutto: omicidi, stragi, attentati, ecc...Pare non abbia una particolare “predilezione” né per un obiettivo, né una strategia politica. Compare qua e là…proprio come Gladio.
Visti gli obiettivi, nonché i tempi di esecuzione delle stragi e degli attentati, pare quasi che sia preposta più che altro a condizionare (sarebbe meglio dire destabilizzare) la vita politica del paese.

Ma le analogie con Gladio non finiscono qui.

Infatti, secondo quanto scritto da un ex parà della Folgore: Fabio Piselli ( fabiopiselli.blogspot.com/2008/05/due-pa...razione-falange.html )
La Falange armata non sarebbe una sigla terroristica , ma una:
“..operazione modello, continuata e mai inquinata, compartimentata e soprattutto posta in sonno e mai disattivata…la falange armata era formata da ex operatori della Folgore e dei servizi, reclutati dopo il loro congedo…Omicidi, rapine, attentati, sequestri, introduzione in opere militari e politiche, trafugamento di armi istituzionali, addestramento di civili in attività militari, spionaggio politico e militare, intercettazioni illecite, violazione ed utilizzazione di un segreto d'ufficio, peculato, attentanto alla democrazia ed altro ancora è ciò che l'operazione falange armata ha posto in essere fra il 1985 ed il 1994 attraverso gli operatori attivati, singolarmente o in piccole squadre...”.
Non si sa se quanto scritto da Fabio Piselli sia vero, sarà compito della magistratura accertarlo (sempre che nel frattempo, come già successo, non vengano distrutti i documenti).
Quello che è certo è che le analogie tra Gladio e la Falange Armata sono veramente tante….troppe
Ma forse qualche magistrato ha già capito e forse non è un caso che nel 1996, il procuratore capo della repubblica di Firenze Vigna, abbia affermato, con riferimento specifico alle bombe dell’estate del 1993: “Per diversi collaboratori di giustizia, Totò Riina si sarebbe incontrato con persone più importanti di lui. C’era una strategia che doveva portare a dei colpi all’assetto politico dell’epoca. Ci ha particolarmente colpito la singolarità degli obiettivi che non sono propri di cosa nostra, come le chiese ed i musei. Questo fattore ci ha stimolato ad investigare se al di fuori di Cosa nostra ci fossero stati degli input, tenendo presente che Cosa nostra è un tassello di un più ampio mosaico criminale dove possono concorrere imprenditoria criminale, politici con la “P” maiuscola, logge massoniche deviate[18]”.

Chi ha orecchie per intendere…..

16. Conclusioni.

Probabilmente è, quindi, Gladio (la Gladio militare ???) che sta dietro alla maggioranza dei fatti di sangue irrisolti della nostra Repubblica

Una struttura articolata in 40 nuclei, e strutturata a gradi, o comparti, di cui i più elevati erano sconosciuti anche alla totalità delle istituzioni, compreso – solo per fare un esempio lo stesso Capo Dello Stato.

Struttura non alle dipendenze, quindi, delle nostre istituzioni, ma direttamente della CIA, e dei vertici della P2? Probabilmente si.

Come dire: i vertici della P2 al di sopra dello stato, del governo e del parlamento, con una propria struttura militare? Probabilmente si.
E’ questo che molti chiamano l’”antistato”? Probabilmente si.
Ed è per essersi avvicinati a questa verità, consapevolmente o inconsapevolmente, che hanno perso la vita magistrati, giornalisti, uomini delle istituzioni? E' grazie a questa istituzione che hanno perso le vita centinaia di comuni cittadini, vittime di un disegno sconosciuto anche alla maggioranza dei politici, mentre quei pochi che sanno la verità continuano a parlare di “terrorismo rosso”, “terrorismo nero”… ben sapendo che la realtà è un’altra? Probabilmente si.




FONTI

[1] Sergio Flamigni, Trame atlantiche, storia della loggia massonica P2, Edizioni Kaos
[2] Sergio Flamini, Convergenze parallele, Edizioni Kaos: Sentenza istruttoria del 10 ottobre 1991, pag. 5.

[3] Giuseppe De Lutiis, Perizia nei procedimenti penali del Tribunale di Bologna n° 219/A/86. Rggi e n° 1329/A/84 Rggi, consegnata il 1° luglio 1994, pag. 3.

[4] Sergio Flamini, Convergenze parallele, Edizioni Kaos: Cs, inchiesta sulle vicende connesse alla “operazione Gladio”, stenografico dell’audizione di Sergio Dini e Benedetto Roberti, pagg. 14-18. Ha dichiarato Roberti: “I 622 erano elementi che all’apparenza non potevano far sorgere dubbi sia per la loro moralità sia per la loro attività e finalità. In realtà l’organizzazione, come è stato appurato, si avvaleva dell’opera anche di elementi ad altri livelli. È soprattutto molto interessante far notare che alcuni manualetti recanti i resoconti di esercitazioni realmente svolte dall’organizzazione “Gladio” rendono chiaro che tale organizzazione, avente certe finalità istituzionali, in realtà perseguiva anche altre finalità di controllo interno del Paese, come chiaramente detto in vari documenti – basta leggerli – affinché certe forze di sinistra non raggiungessero il potere, neanche in via legale, cioè tramite libere elezioni”.

[5] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere, Pg. 139
[6] wikipedia
[7] Sergio Flamini, op cit.
[8] Sergio Flamini, Convergenze parallele, Edizioni Kaos. Interrogato solo nel 1997 Marra ha negato di aver mai fatto parte delle br,
[9] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere , Pg.36
[10] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere, Pg. 37
[11] Sergio Flamigni, Trame atlantiche, storia della loggia massonica P2, Edizioni Kaos
[12] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere, Pg. 137
[13] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere, Pg. 140
[14] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere, Pg. 72
[15] Imposimato e Provvisionato, Doveva Morire, Edizioni Chiarelettere, Pg. 140
[16] Sergio Flamini, Convergenze parallele, Edizioni Kaos: Morin è stato autore della perizia sull’esplosivo usato nella strage di Peteano nel 1972 (che uccise tre carabinieri), perizia tendente a dimostrare che quell’esplosivo proveniva da un deposito delle Br, poi clamorosamente smentita dal reo confesso Vincenzo Vinciguerra.

[17] Sergio Flamini, Convergenze parallele, Edizioni Kaos.
[18] Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia, Editori Riuniti, pg. 347

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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #3401 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
A completare l'argomento gladio la storia del suo opposto, come nella classica medaglia a due facce , la gladio rossa creata per contrastare un eventuale golpe di destra o per supportare una rivolta o rivoluzione di sinistra in italia.

L'APPARATO MILITARE DEL PCI

L'apparato paramilitare del PCI indica una struttura paramilitare italiana di natura clandestina, presumibilmente organizzata nel 1945 e sciolta nel 1974, costituita da ex partigiani e militanti del Partito Comunista Italiano. Per il suo carattere insieme offensivo e difensivo, l'apparato paramilitare del PCI comprendeva la struttura che, dal 1992, la stampa ha soprannominato «Gladio rossa», descrivendo in tal modo l'apparato come simmetrico ed opposto alla funzione anticomunista dell'organizzazione Gladio, che era stata scoperta pochi anni prima.
Nel 1994 il settimanale satirico La peste pubblicò per diversi numeri lunghi elenchi con nomi e cognomi e città di residenza degli appartenenti a tale supposta "Gladio Rossa"[1], molti dei quali ancora in vita; nessuno di essi ha smentito o querelato il settimanale.

Storia

Prima fase: 1945-1954
La formazione dell'apparato paramilitare
Secondo le ricerche di Gianni Donno (consulente della Commissione Mitrokhin e Professore ordinario di Storia contemporanea presso l'Università del Salento), al momento del disarmo delle disciolte formazioni partigiane imposto dagli alleati, le armi più moderne ed efficienti non furono restituite. Venne invece costituito un nucleo di azione clandestino, con base soprattutto nel centro e nel nord del paese (teatro della guerra di liberazione dopo l'8 settembre), nucleo costituito in maggioranza di ex-membri delle brigate partigiane «Garibaldi». Tale forza clandestina sarebbe stata direttamente dipendente dalle strutture dirigenti del Partito Comunista Italiano, in particolare da Pietro Secchia, braccio destro di Palmiro Togliatti[2].
Secondo i dirigenti del PCI tale forza poteva essere utilizzata in un intervento armato volto alla costituzione di uno Stato comunista in Italia, che doveva essere appoggiato da un sollevamento della popolazione. In seguito agli accordi di Jalta avvenuti nel febbraio 1945, l'URSS avrebbe tuttavia considerato che, se fosse scoppiata in Italia una guerra civile, i Paesi occidentali sarebbero intervenuti in forze. E l'URSS non era ancora pronta per fronteggiare un confronto con l'Occidente. Mosca indicò quindi a Palmiro Togliatti quale dovesse essere la nuova linea strategica da tenere[3].
Il fatto che Mosca fosse costantemente informata dell'esistenza della forza paramilitare è confermato in un rapporto dell'ambasciatore sovietico ai suoi superiori, 15 giugno 1945, il quale riferisce che "i partigiani del Nord continuano a nascondere le loro armi".[4] L'organizzazione fu approntata al momento della smobilitazione delle formazioni partigiane ufficiali, nel 1945[2]. La prima relazione "occidentale" conosciuta sull'articolazione dell'organizzazione venne redatta a Milano, nel (febbraio 1947), dal console degli USA:
« A capo dell'apparato vi sarebbero Longo, Sereni e Grieco, a loro volta comandanti dalla sezione Comintern di Lubiana-Ginevra-Lisbona.
Le operazioni militari sono gestite dall'ex-partigiano Cino Moscatelli. L'articolazione interna è suddivisa in vari nuclei e settori comandati dalla legazione sovietica in Milano di Via Filodrammatici 5.[5] »
Secondo le fonti americane la forza così costituita avrebbe contato tra i 130.000 e 160.000 miliziani, mentre altre stime ritenute più attendibili valuterebbero circa 77.000[2].
L'organizzazione paramilitare comunista avrebbe ottenuto aiuti di uomini, armi e mezzi dalla Jugoslavia e sarebbe stata guidata da combattenti addestrati dai sovietici o da ex-comandanti partigiani.[6]. Secondo altre fonti l'apparato ebbe contatti anche con la Politická škola soudruha Synka, formazione armata attiva in Cecoslovacchia[7]. Che le strutture paramilitari del partito fossero finalizzate a compiti offensivi lo dimostra il fatto che i militanti comunisti italiani venivano militarmente addestrati oltre cortina a tre livelli (guerriglia, sabotaggio, intercettazione), del tutto sproporzionati se si accettasse l'ipotesi dei soli compiti difensivi[8].
La struttura paramilitare del PCI fu predisposta al fine di sostenere una possibile insurrezione armata; ad operare come "quinta colonna" in caso d'attacco da parte dell'Unione Sovietica sul continente europeo[9]. Il 28 novembre 1947 si verificò un grave episodio, descritto da alcuni cronisti dell'epoca, come una vera prova di colpo di Stato[10].
A Milano Giancarlo Pajetta organizzò l'occupazione della prefettura a seguito della rimozione del prefetto Ettore Troilo, ultimo tra i prefetti politici della Resistenza ancora in carica. Pajetta però non fu appoggiato dal suo partito. Il PCI nazionale, infatti, sconfessò apertamente l'iniziativa. La prima decisione presa dal ministro dell'Interno, Mario Scelba (DC), fu di ordinare alla Divisione Legnano di assumere temporaneamente i poteri prefettizi e il comando della città. La decisione finale del governo, invece, fu di trattare. Una delegazione del PCI fu inviata a Roma per parlare con Scelba e De Gasperi. Da questo incontro arrivò la soluzione: gli occupanti avrebbero accettato la destituzione del prefetto, in cambio della mancata denuncia per il reato commesso. In applicazione dell'accordo, la sera del 28 novembre giunse a Milano il sottosegretario Achille Marazza (DC), conosciuto e ben visto dai partigiani, il quale ottenne lo sgombero della prefettura senza spargimento di sangue[11][12]. «Non si può negare che si trattò comunque della prova della tenuta della DC di fronte a situazioni di rottura»[13].
Il 5 febbraio 1948 il governo emanò nuovi provvedimenti per l'ordine pubblico. In particolare pene più severe per i detentori di armi e per le manifestazioni che vedono l'uso di armi o di esplosivi; inoltre, il divieto assoluto di dar vita ad associazioni paramilitari e la condanna per omessa denuncia dell'ospitalità data agli stranieri[14].

Dal 1948 al 1954

Il 1948 fu un anno cruciale per la stabilità politica dell'Italia. In quell'anno elettorale avvenne il primo determinante scontro tra le forze centriste (in primo luogo la Democrazia Cristiana) e quelle della sinistra, coalizzate in un'alleanza social-comunista, denominata Fronte Democratico Popolare creata per vincere le elezioni politiche del 18 aprile. Il Fronte era dato nettamente per favorito, come confermarono alcune elezioni locali tenutesi nei mesi precedenti nel centro Italia e vinte largamente. Tra i due schieramenti non c'era riconoscimento reciproco. Il PCI credeva fermamente che la DC non avrebbe riconosciuto la probabile vittoria. L'apparato paramilitare fu quindi tenuto in stato di allerta per tutta la durata della campagna elettorale, pronto ad intervenire nel caso in cui la vittoria elettorale del Fronte popolare fosse stata negata dalle forze avversarie[15].
Nell'imminenza delle elezioni Togliatti chiese un incontro con l'ambasciatore sovietico Kostylev per chiedere «se si deve, nel caso di una o più provocazioni da parte dei democristiani, iniziare l'insurrezione armata delle forze del Fronte democratico popolare per prendere il potere[16]». Nel corso del colloquio, che ebbe luogo il 23 marzo in un luogo segreto fuori Roma, riferì che i membri dell'apparato paramilitare erano stati allertati (soprattutto nell'Italia settentrionale), rassicurandolo sul fatto che prima di lanciare un'eventuale insurrezione armata avrebbe chiesto il consenso di Mosca. La risposta del governo sovietico giunse il 26 marzo: Mosca fece sapere che soltanto in caso di attacco alle sedi del PCI i militanti avrebbero dovuto imbracciare le armi, ma «per quanto riguarda la presa del potere attraverso un'insurrezione armata, consideriamo che il PCI in questo momento non può attuarla in nessun modo[17]». Alle elezioni politiche del 18 aprile la Democrazia Cristiana vinse con il 48,5% dei voti, battendo il Fronte popolare, che si fermò al 31%. La sconfitta fu un duro colpo per le forze social-comuniste, soprattutto per le proporzioni con cui si verificò.
L'attentato a Togliatti

Il 14 luglio 1948 lo studente Antonio Pallante tentò di uccidere Palmiro Togliatti. I militanti del PCI reagirono immediatamente e tutto il Paese fu teatro di disordini: vennero occupate fabbriche ed edifici pubblici, furono attuati blocchi stradali, scioperi, requisizioni di mezzi militari, assalti alle forze dell'ordine, con morti e feriti. La CGIL indisse immediatamente il giorno stesso uno sciopero generale. Secondo alcune interpretazioni, tale reazione fu il segno dell'attivazione dell'organizzazione paramilitare del partito, la quale ritenne che fosse giunto il momento di agire[18]. Secondo altre, si trattò di una reazione popolare a quella che venne ritenuta una gravissima provocazione politica[19]
Ricoverato in ospedale, ferito ma allarmato per le possibili conseguenze sociali e politiche, il capo del PCI mandò un messaggio ai propri compagni di partito: «State attenti, non perdete la testa»[20]. Il gruppo dirigente comunista, riunitosi la sera stessa, ribadì il no ad ogni ipotesi di insurrezione armata, che pure aveva cominciato a manifestarsi. Di quella riunione non esiste tuttavia alcun verbale: secondo la testimonianza del figlio Matteo, fu Pietro Secchia a dare le direttive per bloccare ogni tentativo rivoluzionario, argomentando che «non vogliamo la guerra civile, anche perché non la vogliono i nostri amici»[21]. Lo stesso Secchia indicherà la posizione del PCI riguardo all'ipotesi insurrezionale in un dettagliato resoconto di quelle giornate:
« [...] Il compagno Togliatti ha avuto occasione di spiegare ripetutamente e l'ultima volta alla Camera nel suo discorso del 10 luglio 1948 che "quando un Partito Comunista ritiene che le circostanze oggettive e soggettive pongono all'ordine del giorno la necessità per le forze popolari avanzanti di prendere il potere con le armi, cioè con un'insurrezione, esso proclama questa necessità, lo dice apertamente. Così fecero i bolscevichi nel 1917 e marciarono alla insurrezione a vele spiegate, così abbiamo fatto noi comunisti italiani a partire dal settembre 1943, senza nascondere a nessuno la via che avevamo presa e proponevamo al popolo". "Non si portano - ha detto giustamente il compagno Longo nel forte discorso alla Camera - milioni di uomini alla battaglia e alla vittoria con circolari segrete e ridicoli piani K". Per mobilitare e portare alla lotta armata milioni e milioni di uomini, anche quando le circostanze oggettive e soggettive pongono all'ordine del giorno tale necessità, occorre che l'appello alle armi sia lanciato apertamente a tutto il popolo. [...][22] »
Nella riunione del Consiglio dei ministri del 29 luglio 1948 si affermò:
« Il tentativo insurrezionale c'è stato, tanto che a Milano i carabinieri hanno fatto denunce per atto di insurrezione contro i poteri dello Stato. Dopo aver visto in un'ora assumere dai comunisti posizioni di battaglia, non si può negare l'esistenza di programmi prestabiliti. »
(Aldo G. Ricci, «I timori di guerra civile nelle discussioni dei governi De Gasperi», in (a cura di) Fabrizio Cicchitto, L'influenza del comunismo nella storia d'Italia, Rubbettino, 2008, pag. 86.)
Nella successiva riunione del Consiglio dei ministri, Mario Scelba, titolare degli Interni, portò un'imponente documentazione che mostrava non solo i reati compiuti dai singoli, ma rendeva evidente che essi poggiavano sull'esistenza di una rete organizzata. Si pose il problema di un partito, quello comunista che, con la sua organizzazione ed i suoi metodi di lotta politica, si allontanava da un piano di legalità. La questione della messa al bando del partito venne chiusa dal presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, che si mostrò subito contrario all'ipotesi[23].
"I documenti attestano in modo inequivocabile che l'organizzazione paramilitare era parte integrante del partito e rimase subordinata alla sua autorità"[2]. Secondo un rapporto SIFAR del dicembre 1950[24], i dirigenti dell'apparato militare del partito erano:
Arrigo Boldrini, che ricopriva le cariche di presidente dell'ANPI e comandante dei comitati rivoluzionari dell'Italia settentrionale;
Vincenzo Moscatelli, capo dell'organizzazione delle ex brigate partigiane piemontesi e responsabile dei quadri e delle brigate autonome;
Ilio Barontini, responsabile del controllo militare dell'Emilia e dell'organizzazione dei GAP e dei gruppi di sabotatori addestrati per l'azione nei centri abitati per l'azione nei centri abitati delle più importanti città;
Giorgio Amendola, responsabile dell'organizzazione militare dell'Italia centro-meridionale.....segue

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STORIA DELLA "GLADIO ROSSA"

Seconda fase: 1955-1974
Dopo la costituzione nel 1955 del Patto di Varsavia, il PCI decise di riorganizzare il suo apparato militare clandestino, formando squadre ristrette di specialisti addestrati nei campi oltre Cortina, destinate a fungere da "quinte colonne" a sostegno di forze d'invasione del Patto[25]. Al vecchio esercito di massa di derivazione partigiana si sostituì una struttura più agile e coesa. Parallelamente, nel partito la responsabilità dell'organizzazione passò dalle mani di Secchia a quelle di Giorgio Amendola.
Nel 1958, documenti di Questure e Prefetture dimostrano che l'organizzazione, alla fine degli anni cinquanta, era ancora in vita. Solo a partire dagli anni sessanta la struttura perse importanza strategica; fu quindi lasciata ad un lento, ma continuo, declino. I depositi di armi esistenti furono liquidati segretamente dai detentori[2]. Alla fine degli anni sessanta la struttura non era ancora stata smobilitata, tanto che nel 1967 Giorgio Amendola fu incaricato dal partito di “chiedere formalmente l'assistenza sovietica per preparare il partito alla sopravvivenza come movimento illegale e clandestino nel caso di un colpo di Stato”[Aiuto:Chiarezza][26].
Documenti, ricerche ed inchieste
Dossier del Sifar
Il primo documento in possesso del Ministero dell'Interno sull'organizzazione clandestina del PCI è il dossier del SIFAR (allora servizio segreto militare), risalente al febbraio del 1950. Nel documento sono riportati i nomi dei quadri dirigenti e gli obiettivi da colpire, la dislocazione delle forze in campo regione per regione, le strutture d'appoggio. Secondo il SIFAR, nel dopoguerra il PCI poteva contare su un esercito occulto di 250 000 unità, che sarebbero quadruplicate in caso di invasione da Est da parte delle forze del Patto di Varsavia[27].
Anche il ministro Mario Scelba chiese più volte di mettere fuori legge il PCI per i suoi programmi eversivi, ma in Consiglio dei Ministri prevalse la linea morbida per non trascinare il paese nella guerra civile[28], come dichiarato anche da Francesco Cossiga nella sua audizione parlamentare sotto riportata.
La rivelazione de L'Europeo: la «Gladio rossa»
Con la caduta del muro di Berlino e la successiva dissoluzione dell'Unione Sovietica è stato possibile accedere a documenti in precedenza coperti da segreto che provano l'esistenza di un'organizzazione segreta composta da fiancheggiatori del Partito Comunista Italiano con l'appoggio del KGB. Tale apparato esclusivamente operante in Italia, ma presente in modo autonomo in altri paesi occidentali senza legami reciproci, sarebbe stato organizzato immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale e ristrutturato circa un decennio dopo con forti riduzioni degli organici[senza fonte].
Su questo aspetto nascosto della storia comunista si sono cominciate ad avere notizie più approfondite a partire dal 1991 per uno scoop del settimanale L'Europeo. L'articolo, uscito nel nº 22 del 31 maggio, s'intitolava Di Gladio ne esisteva un'altra: quella rossa. A partire da questo momento l'apparato paramilitare del PCI è stato giornalisticamente denominato Gladio rossa[29].
Firmata da Romano Cantore e Vittorio Scutti, l'inchiesta rivela quanto segue:
«Suddivisi in nuclei autonomi, ognuno dei quali composto da dieci elementi, i gladiatori rossi erano distribuiti in tutte le più importanti federazioni provinciali del partito, dove figuravano come semplici attivisti. Ma solo gli uomini dell'ufficio organizzazione conoscevano il loro vero ruolo e potevano mobilitarli e provvedere a mantenerli in addestramento. Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria e Toscana erano le regioni dove esisteva il massimo concentramento di gladiatori rossi».
«I depositi clandestini di armi erano in caverne, casolari abbandonati e cimiteri».
L'articolo comprende un'intervista a Siro Cocchi, ex dirigente della federazione fiorentina del PCI. Cocchi rivela che i membri del partito chiamavano la struttura Vigilanza rivoluzionaria. Cocchi sostiene che l'organizzazione avesse solo compiti difensivi. Nei primi anni dopo la fine della guerra, in Francia era stato arrestato uno dei segretari del PCF, Jacques Duclos; i comunisti erano stati messi fuori legge in Grecia. L'organizzazione doveva proteggere i dirigenti del PCI in caso di messa al bando del partito in Italia. Per quanto riguarda chi dava gli ordini, Cocchi premette che «PCI e Vigilanza si muovevano su due piani paralleli, senza alcun punto ufficiale di contatto».
Poi aggiunge che i capi della Vigilanza «erano i dirigenti dell'ufficio organizzazione, diretto fino al 1955 da Pietro Secchia, vicesegretario generale del partito e fautore della lotta armata. Con lui c'erano ex partigiani di grande esperienza militare e clandestina come suo fratello Matteo». Poi Cocchi elenca alcune personalità locali; l'elenco finisce con «Pietro Verga, uno dei vice di Secchia, e Giulio Seniga, ex partigiano della Val d'Ossola, braccio destro di Secchia». L'anno in cui ci si avvicinò di più ad imbracciare le armi fu il 1948, non solo per le elezioni politiche, ma anche per l'attentato a Togliatti. [I capi del partito] «Volevano avere la capacità di difendersi militarmente senza che gli avversari lo sapessero».
L'Europeo però fa notare come, «nonostante l'assoluta segretezza, il controspionaggio Usa aveva intuito l'esistenza dell'organizzazione». «Le corrispondenze riservate inviate nel 1950 al Dipartimento di Stato da due agenti che operavano in Italia dicevano che l'armata clandestina del PCI era forte di 75 mila uomini, i quali si addestravano sull'Appennino tosco-emiliano». «Un rapporto del Ministero dell'Interno denuncia che negli anni tra il 1955 e il 1965 vennero ritrovati casualmente 73 cannoni, 319 mortai, 3.500 mitra, 3.700 pistole, 250 mila bombe a mano, molti chili di esplosivi di ogni tipo e ben 109 radiotrasmittenti». A cosa servissero le radiotrasmittenti, lo spiega ancora Siro Cocchi: servivano per comunicare di nascosto con i compagni rifugiati a Praga, cui venivano chiesti «aiuti e consigli per addestrare e tenere in efficienza la macchina militare della Vigilanza rivoluzionaria». Cocchi stesso trasportò per anni con la sua automobile un membro della Vigilanza da Firenze fino al Passo della Futa, punto da cui lanciava i segnali radio in Cecoslovacchia.
Nel numero successivo, uscito il 7 giugno 1991, giungono nuove rivelazioni relative agli ultimi anni dell'organizzazione paramilitare del PCI[30]:
Nel 1969 esistevano ancora dei depositi di armi, in luoghi imprecisati dell'Appennino ligure (forse anche nella parte appenninica compresa nella provincia di Pavia);
Luigi Longo era il "capo ideale" dell'organizzazione. Sosteneva in privato che bisognasse "organizzarsi" per resistere contro "un golpe della reazione". Dopo il colpo di Stato di Augusto Pinochet in Cile nel 1973, si diffuse infatti nel PCI l'idea che un golpe di destra fosse possibile anche in Italia. Scrive L'Europeo: "La doppiezza comunista ebbe di nuovo una sua grande stagione in quel "radioso" 1973. Da una parte Enrico Berlinguer e il suo riformismo; dall'altra la vecchia base stalinista-partigiana e la nuova, gruppettara-operaista, unite nella paura autoritaria e pronte a reagire militarmente contro le provocazioni "da qualunque parte provenienti"[31].
L'inverno 1973-1974 trascorse nella costante vigilanza operativa, uno o due gradini sotto il livello di allarme.
Il 12 ottobre 1974 il generale Vito Miceli, al vertice del SID, il servizio segreto militare, fu arrestato, accusato di cospirazione contro lo Stato. "Secondo la rete informativa del PCI occultata dentro le forze armate, vi era la possibilità di un tentativo autoritario"[32].
Nell'organizzazione clandestina scattò l'allarme rosso. L'ordine di mobilitazione partì il 1º novembre 1974 direttamente da Via delle Botteghe oscure (sede nazionale del PCI), emesso dall'ufficio organizzazione del partito. "Tutti i compagni più sicuri dovevano dormire fuori casa, in rifugi insospettabili". Fu dato ordine alle cellule occultate nella Rai e nel Corriere della Sera di sabotare telecomunicazioni e giornale in caso di golpe. I "gladiatori scarlatti" misero sotto tiro il trasmettitore Rai di Monte Penice, mentre i "compagni" nascosti sull'appennino si schierarono nelle zone di rispettiva competenza, ritirando fuori le mitragliatrici Sten e i mortai. Tutto ciò fu fatto all'insaputa di Enrico Berlinguer e di molti dirigenti regionali a lui fedeli. Quando il segretario venne a sapere della mobilitazione, ordinò un'inchiesta. E alla fine dell'indagine Berlinguer decise di sciogliere le "Commissioni antifascismo" (dietro le quali si celavano gli uomini dell'apparato paramilitare del partito). Era il novembre del 1974[33].
L'inchiesta della Procura di Roma
A seguito delle rivelazioni del settimanale L'Europeo, la Procura della Repubblica di Roma decise di avviare un'inchiesta (8393/92 poi 8393/92B), protrattasi dal 1991 al 1994. I PM Luigi de Ficchy e Franco Ionta poterono indagare solo su fonti di tipo indiretto, in cui l'organizzazione veniva descritta nella sua articolazione generale. Da esse non vennero individuati reati attribuibili a singole persone. L'indagine preliminare si concluse nel maggio 1994. I due magistrati, e il G.I.P. Claudio D'Angelo che nel luglio dello stesso anno dispose l'archiviazione dell'indagine, rilevarono l'effettiva esistenza di una organizzazione armata occulta facente capo al PCI attiva fin dall'immediato dopoguerra e come alcuni suoi militanti fossero stati addestrati al sabotaggio ed alla guerriglia al di là della Cortina di ferro, anche se "l'accertata predisposizione da parte del PCI di meccanismi difensivi in vista del temuto cambiamento del clima politico in Italia" non avrebbe assunto "dimensioni tali da costituire un serio, concreto pericolo per lo Stato"[34]. Eventuali richieste di rinvio a giudizio per banda armata si sarebbero comunque scontrate con i tempi di prescrizione, già ampiamente scaduti.
Rimane peraltro ineludibile che i dossier esaminati dai PM, sia quelli dei servizi sia quelli della polizia hanno dato della Gladio Rossa descrizioni analoghe.[senza fonte]
Della struttura paramilitare del PCI si è occupata inoltre la "Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi" (Commissione stragi), che nel 1998 ha affidato ricerche a Victor Zaslavsky e a Bradley Smith rispettivamente sugli archivi del KGB e della CIA.
Le relazioni della "Commissione stragi"
Nel 1999 venne divulgato da parte della stampa inglese il cosiddetto "dossier Mitrokhin", consistente in una serie di schede trascritte dall'archivista Vasilij Mitrochin dagli archivi del KGB, relativi alle attività di questo in Italia. Il dossier, conosciuto anche come "materiale" o "rapporto Impedian", venne trasmesso dai servizi segreti britannici a quelli italiani tra il 1995 e il novembre del 1998, e venne quindi inviato dal Governo alla "Procura della Repubblica" e quindi da questa alla "Commissione stragi".
La Commissione stragi ha quindi affidato ulteriori incarichi di ricerca nel 1999 a Victor Zaslavzky e altri, si è inoltre pronunciata a favore dell'istituzione di una nuova separata commissione d'inchiesta parlamentare su questo argomento. La nuova commissione ("Commissione parlamentare d'inchiesta concernente il "dossier Mitrokhin" e l'attività d'intelligence italiana") è stata in seguito costituita nella successiva legislatura nel 2002[35].
Nel 2000 la "Commissione stragi" constatata l'impossibilità di produrre un'unica relazione condivisa, al termine dei suoi lavori, ha pubblicato 18 diverse relazioni firmate da singoli membri o da gruppi di essi, rinunciando a trarne una sintesi unitaria. La relazione di un altro consulente della commissione, Gianni Donno, consegnata nel 2001 e riguardante la "Gladio rossa", fu trasmessa dal vicepresidente della Commissione stessa, Vincenzo Manca (Forza Italia) alla Procura della Repubblica di Roma: fu aperta una seconda inchiesta che si concluse nuovamente nel 2002 con una richiesta di archiviazione.
Audizione dell'ammiraglio Fulvio Martini
Secondo l'ammiraglio Fulvio Martini, già direttore del Sismi, ascoltato dalla Commissione stragi, lo stesso KGB aveva interesse che in Italia, Paese assegnato dagli accordi di Jalta alla sfera d'influenza statunitense, ci fosse un partito comunista molto forte, ma che questo mai andasse al potere per non sconvolgere gli equilibri ottenuti con gli accordi stessi:
« MARTINI. "Krjuchkov (il capo del KGB) mi disse, ad esempio, che loro erano i più precisi osservanti degli accordi di Jalta. Ed era verosimile per il semplice motivo che i tre paesi confinanti, Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria, che si erano ribellati, loro non volevano che fossero aggrediti dalla propaganda americana. A loro faceva comodo che ci fosse in Italia un forte Partito comunista. Mi disse Krjuchkov: il Partito comunista in Italia non arriverà mai al potere perché noi cominceremmo a preoccuparci veramente, visto che è stato assegnato a Jalta agli americani, non è un paese grigio come la Jugoslavia, è un paese bianco; noi arriveremmo persino a prendere misure attive. Misure attive nel gergo dei servizi significa fare la disinformation: introdurre documenti falsi ed altre cose del genere. Quindi loro avevano interesse che ci fosse un forte Partito comunista, ma non che potesse arrivare al potere perché avrebbe turbato l'equilibrio al quale loro tenevano molto, perché secondo loro l'Italia non valeva i tre paesi confinanti, che si erano già ribellati a loro." »
(Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 54ª seduta, Audizione dell'ammiraglio Fulvio Martini, già direttore del Sismi, su recenti notizie concernenti attività spionistiche collegate a fenomeni eversivi e sul caso Moro. [36])
La forza militare clandestina sarebbe stata tuttavia mantenuta per intervenire contro un'eventuale opposizione armata ad una legittima vittoria elettorale del PCI: in tal caso sarebbero potuti intervenire in appoggio anche gli eserciti della Jugoslavia e dell'Ungheria senza disattendere gli accordi di Jalta.
Audizione di Francesco Cossiga
Le conclusioni dei magistrati Ionta e Covatta hanno suscitato critiche, in ragione del fatto che l'equivoco di fondo tra formazioni clandestine (volte alla vigilanza e difesa del PCI) e formazioni paramilitari del partito, era stato alla fine messo alla luce con evidenza. A ciò aveva contribuito la lunga testimonianza in commissione Stragi del presidente Francesco Cossiga, in passato Ministro dell'interno e Presidente del Consiglio, nell'audizione del novembre 1997, allorché aveva parlato di tre differenti strutture legate al PCI:
1. ufficiale
2. clandestina
3. paramilitare
Francesco Cossiga, ascoltato dalla Commissione stragi a proposito dell'apparato paramilitare e della politica parlamentare del PCI, disse:
« PRESIDENTE. Per la sua esperienza di Governo, che inizia nel 1966 come sottosegretario alla difesa e poi prosegue con l'assunzione del Dicastero dell'interno, su queste strutture clandestine del Pci che informazioni avevate?
COSSIGA. "Secondo il briefing che sostenni quando divenni sottosegretario alla difesa (non mi chieda chi me lo fece perché onestamente non me lo ricordo che poi fu lo stesso che tenne anche, per incarico del ministro Tremelloni, il briefíng su «Stay behind») mi fu detto che a quell'epoca il Partito comunista italiano era strutturato ancora su tre livelli.
La struttura del Partito comunista vera e propria entro cui, come poi ha dichiarato con molta onestà ed ha confermato Zagladin, esisteva la cosiddetta amministrazione speciale di cui erano al corrente in un secondo momento solo il segretario del Partito e il capo della segreteria (quindi prima Longo e Cossutta e poi Berlinguer e Cervetti).
Esistevano due altre strutture.
La struttura paramilitare, sia ben chiaro, nulla ha a che fare con il cosiddetto «Triangolo rosso». Tant'è vero che, come è noto, Togliatti, quando accaddero questi episodi, si precipitò a parlare in quelle federazioni. Sono amico di quel povero sindaco il quale, pur di tenere fuori il partito, si è fatto sbattere in galera per l'omicidio di don Pessina, mentre lui non c'entrava niente: gli dissero che era meglio se andava in galera lui piuttosto che far scoprire tutti gli altri e lui è rimasto in galera. Solo la grande onestà dei discendenti delle persone coinvolte ha portato ad una soluzione del caso, anche se credo che non abbiano neppure fatto la revisione del processo.
L'altra struttura era quella di cui avete senz'altro letto perché se ne può trovare traccia in qualunque testo sulla storia del Partito comunista: si trattava di una struttura clandestina, un partito parallelo che veniva tenuto dormiente per il caso - e comprendo benissimo la prudenza - che il Partito comunista venisse dichiarato illegale, in modo che potesse essere subito sostituito da una struttura in grado di funzionare. È quella per la quale si è parlato di una cosiddetta «Gladio rossa» che non era tale, tanto è vero che è intervenuta la richiesta di archiviazione da parte dei magistrati, approvata dal Gip. Si trattava di una struttura difensiva del Partito comunista, organizzata certamente dal Comitato per la politica estera del Partito comunista dell'Unione Sovietica con l'aiuto del Kgb. Non è stata considerata illegale in quanto era una struttura puramente difensiva: una Gladio alla rovescia, dotata di stazioni trasmittenti. Mandarono in Unione Sovietica a fare dei corsi quindici o venti persone, come risulta dagli atti della procura della Repubblica, nell'eventualità che il Partito comunista legale fosse dichiarato illegale."
PRESIDENTE. Ed anche nell'ipotesi in cui potesse verificarsi una involuzione autoritaria della situazione italiana.
COSSIGA. "Sì, certamente. Tant'è vero che, benché si trattasse di una struttura clandestina, l'autorità giudiziaria di Roma ha chiesto l'archiviazione anche dopo aver accertato che i fatti contestati erano veri: si trattava infatti di una attività non rivolta contro lo Stato italiano, perché prepararsi a far fuggire delle persone dall'aeroporto dell'Urbe, addestrarsi a truccarle o altre attività del genere non vedo in quale altro modo potevano essere giudicate. Se io fossi stato un dirigente del Partito comunista avrei fatto io stesso. Come lei capisce, signor Presidente, ho una grande simpatia nei confronti di queste organizzazioni clandestine del Partito comunista."
PRESIDENTE. Del resto lei lo ha detto, parlando di se stesso: spione una volta, spione per sempre. Ammiro questa sua sincerità e l'amicizia cui lei accennava prima nasce proprio dall'ammirazione per la sua sincerità.
COSSIGA. "Sono cose vere, che però devono essere inquadrate."
PRESIDENTE. Storicizzate.
COSSIGA. "Se noi cominciamo a dire che il Partito comunista mandava venti o trenta giovani nell'Unione Sovietica ad addestrarsi per far scappare la gente, a fare corsi di cifrario, sembra che stessero facendo attività di spionaggio. Invece il Partito comunista si trovava da una parte del mondo dove se fosse scoppiata la guerra i dirigenti comunisti sarebbero finiti tutti in galera: che il Partito comunista si preparasse a farli scappare mi sembra assolutamente logico e non tale da far scandalizzare nessuno."
......
PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo. Lei esclude che subito dopo la strage di piazza Fontana l'idea di dichiarare lo stato di emergenza sia stata esaminata in sede politica?
COSSIGA. "Assolutamente."
PRESIDENTE. Quindi anche quello che racconta Moro sul suo ritorno da Parigi non sarebbe vero.
COSSIGA. "No. Proclamare lo stadio di assedio o cose del genere? Assolutamente. Tra l'altro ho l'impressione che la gente non comprenda che la proclamazione dello stato di assedio avrebbe voluto dire lo scoppio della guerra civile in Italia. Quando mi sono chiesto per quale motivo il Partito comunista non si sia impadronito del potere con la forza, dato l'alto grado di penetrazione che aveva in tutti gli apparati dello Stato, la spiegazione è stata solo una: la scelta irrevocabilmente democratica e parlamentare fatta da Togliatti e la divisione del mondo in due. Lo Stato italiano non sarebbe stato assolutamente in grado di impedire una presa del potere per infiltrazione o per violenza da parte del Partito comunista. Di questo non ho dubbio alcuno. Ecco il motivo del mio giudizio di democraticità sul Partito comunista: perché il Partito comunista non ha fatto quello che avrebbe potuto facilmente fare. E non lo ha fatto per due motivi: perché Mosca non glielo avrebbe permesso, anzi li avrebbe mollati, e in secondo luogo perché la scelta democratica e parlamentare di Togliatti (la «via nuova») era irrevocabile. La «Bolognina» non è stata fatta da Occhetto, ma da Togliatti." »
(Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 27ª seduta, Inchiesta su stragi e depistaggi: audizione del senatore Francesco Cossiga, Presidenza del Presidente Pellegrino[37])
Ricerche pubblicate dopo il 2010
Rocco Turi ha ricostruito la storia dei rapporti tra PCI e Partito comunista cecoslovacco durante la Guerra fredda ed è giunto alla conclusione che un ruolo di raccordo fondamentale tra le due organizzazioni e il PCUS fu svolto dalla «Scuola politica del compagno Synka» (Politicka Skola Soudruha Synka), un'emanazione del partito comunista ceco. Tale organismo, istituito a Praga nel 1950, celava dietro al nome ufficiale una struttura occulta che si occupava di insegnare ai comunisti italiani tecniche di sabotaggio e preparazione di attentati. Il PCI si occupava di inviare in Cecoslovacchia gli elementi fidati. Tutto il processo si svolgeva sotto il controllo del PCUS. Questa struttura fu chiusa alla metà degli anni settanta, ma rimase segreta fino al 1990.
Nel 1990, com'è noto, emerse allo scoperto la struttura NATO «Stay Behind», formata per contrastare le operazioni illegali del PCI in Cecoslovacchia. Poco tempo dopo venne coniata la denominazione "Gladio Rossa", che ricomprende gli aderenti a PCI, PCC e "Scuola politica del compagno Synka" in un unicum compatto. Secondo la ricostruzione di Rocco Turi, "Gladio Rossa" è quindi una denominazione nata a posteriori.[38]

Fonte wikipedia

Altre fonti :

Professore Gianni Donno, consulente della commissione Mitrokhin (e in precedenza della commissione stragi) e ordinario di Storia contemporanea presso l'Università di Lecce, La gladio rossa del PCI (1945-1967), edito da Rubbettino nel 2001, che presenta la prima documentazione organica sulla struttura paramilitare del PCI con ampio contributo in termini di documenti d'archivio.

l fatto che Mosca fosse costantemente informata dell'esistenza della forza paramilitare è confermato in un rapporto dell'ambasciatore sovietico ai suoi superiori, 15 giugno 1945, il quale riferisce che «i partigiani del Nord continuano a nascondere le loro armi» e la circostanza è confermata anche da Victor Zaslavsky nel suo libro Lo stalinismo e la sinistra italiana (edito da Mondadori nel 2004) a proposito delle elezioni del 18 aprile 1948, alla vigilia delle quali il PCI riteneva che la DC non avrebbe riconosciuto un esito elettorale favorevole al Fronte popolare.

"I timori di guerra civile nelle discussioni dei governi De Gasperi», di Aldo G. Ricci, in AA.VV,

L'influenza del comunismo nella storia, Rubbettino 2008, p.86

Salvatore Sechi Compagno cittadino - Il PCI tra via parlamentare e lotta armata, edito da Rubbettino nel 2006, che investiga il tema della struttura paramilitare del PCI alla luce delle fonti d'archivio dei rappresentanti statunitensi in Italia.

NO FAITHS NO PAIN
Ultima Modifica 8 Anni 6 Mesi fa da Starburst.

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8 Anni 6 Mesi fa #3461 da gnaffetto
Risposta da gnaffetto al topic La storia nascosta
non conoscevo la storia della gladio rossa...

da quello che mi sembra di capire è che pero' la sua esistenza è stata solo preventiva, di deterrenza mentra la gladio "USA" è stata effettivamente impiegata in funzione terroristica e di manipolazione dei processi democratici.

la gladio "nera" ha impedito un cambio politico (terrorismo) e lo avrebbe impedito anche se fosse stato ottenuto per via democratica (golpe) mentre la gladio rossa, da quel che ho capito, sarebbe servita solo per proteggere una "conquista" del potere ottenuta democraticamente (elezioni).

c'e' una bella differenza ....

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