La storia nascosta

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8 Anni 6 Mesi fa #1863 da Starburst
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Roberto Bartali
Rilettura critica della storia delle br e del rapimento di Aldo Moro

QUINTA PARTE :


Due avvenimenti accaduti il 18 aprile segnarono a mio avviso gli sviluppi successivi del rapimento proprio in questa direzione: la misteriosa scoperta del covo di via Gradoli ed il quasi contemporaneo ritrovamento del falso comunicato n°7. La scoperta di una base delle Br in Via Gradoli avvenne in un modo casuale ma alquanto strano: i pompieri furono chiamati dagli inquilini dei piani inferiori per una perdita d'acqua dall'appartamento dove andava a dormire il leader delle Br, Mario Moretti (colui che interrogò Aldo Moro). L'ipotesi che ho cercato di avvalorare - come sempre tra mille difficoltà e poche prove certe - è che quel covo, sia stato "bruciato" da qualcuno [servizi segreti? Un infiltrato? Oppure dei brigatisti contrari all'uccisione di Moro?] grazie al trucchetto della doccia rivolta verso il muro per permettere a chi di dovere di recuperare le carte di Moro riguardanti la P2, Gladio e tutto ciò che era probabilmente contenuto nelle sue borse scomparse nonché le confessioni fatte dal presidente alle Br. Un'altra teoria riguarda il fatto che la scoperta del covo di via Gradoli fu in qualche modo pilotata dallo stesso Moretti per indurre un certo stato d?animo nell'organizzazione, per forzare la mano con i propri compagni e farli convincere che non c'era più tempo. Comunque sia, il tutto venne fatto in modo assai rumoroso per permettere agli inquilini di essere informati per tempo dalla TV e poter così continuare a gestire il rapimento. Serviva però un diversivo, qualcosa che distogliesse l'attenzione generale dal covo; ecco che lo stesso giorno "qualcuno" fece ritrovare il falso comunicato N°7, quello dove si sosteneva che il cadavere di Aldo Moro si trovava in fondo al Lago della Duchessa. Allo stesso tempo questa doppia operazione ha probabilmente segnato in modo decisivo il rapimento, nel senso che questo era un chiaro avvertimento rivolto alle stesse Br: "Guardate che possiamo prendervi quando vogliamo, che non vi venga in mente di far concludere il sequestro in un modo differente da quello indicato dal falso comunicato perché potreste pagarlo caro...". Dunque mentre il comunicato arrivava al Viminale, i vigili del fuoco arrivavano in via Gradoli: le due messinscene che procedettero in perfetta sincronia, due "sollecitazioni" fatte affinché il sequestro si concludesse rapidamente e nella maniera più idonea. Nello stesso comunicato - oltre a suggerire ai brigatisti quale fosse l'epilogo più opportuno del rapimento - si trovano infatti dei precisi "segnali" che dovevano indirizzare le Br in tale direzione, come l'accenno alla morte di Moro mediante suicidio, proprio come era accaduto ai capi della RAF in Germania nel carcere di Stammheim. Non è affatto credibile poi che l'appartamento di Via Gradoli 96 sia stato lasciato da Moretti e Barbara Balzerani nelle condizioni in cui è stato descritto nei verbali della polizia: bombe a mano sparse sul pavimento, un cassetto messo in bella mostra sul letto e contenente una pistola mitragliatrice, documenti e volantini disseminati ovunque [proprio come se qualcuno avesse messo sottosopra il covo per cercare qualcosa...]. E pare perfino incredibile che le forze dell'ordine si siano comportate in un modo così "rumoroso" (volanti giunsero a sirene spiegate e immediatamente si formò una piccola folla di curiosi e giornalisti) subito dopo la scoperta del covo, quando invece dopo il ritrovamento della base di Robbiano di Mediglia avevano atteso con la massima discrezione il rientro dei terroristi arrestandoli uno dopo l'altro. A mio avviso, l'occulta regia della duplice manovra del 18 Aprile poté procedere liberamente all'interno del covo predisponendo una messinscena, allo stesso tempo diffuse un comunicato falso ma "tecnicamente" verosimile, chiaro segnale di una perfetta conoscenza dei retroscena del sequestro e di come le Br e Moretti lo stessero conducendo. Appare comunque quantomeno bizzarra anche la scelta (effettuata da Moretti nel 1975) di Via Gradoli come luogo adatto a stabilirvi un covo delle Br, e non un covo qualsiasi, ma il primo e principale punto di riferimento dei brigatisti a Roma, abitato nell'ordine da Franco Bonisoli, Carla Brioschi, Valerio Morucci, Adriana Faranda, Mario Moretti e Barbara Balzerani ma noto anche ad altri brigatisti. La bizzarria risiede nel fatto che via Gradoli era una strada stretta e circolare, lunga seicento metri e con un solo accesso-uscita sulla via cassia; dopo un breve tratto rettilineo di appena cento metri la strada disegnava un circuito di mezzo chilometro e ritornava al breve tratto "obbligatorio", dal quale si poteva agevolmente controllare gli spostamenti di tutti gli abitanti della via, l'esatto opposto, dunque, delle normali cautele adottate normalmente dai brigatisti. Caso vuole poi che al n° 89 di via Gradoli, nell'edificio che fronteggiava - dalla parte opposta della strada - il civico 96 con il covo delle Br, abitava il sottufficiale dei Carabinieri Arcangelo Montani, agente del SISMI. Ma i servizi segreti non si limitavano solamente a controllare la via, via avevano addirittura stabilito un proprio ufficio; di questo un ex militante di Potere operaio aveva avvisato le Br, ma esse, una volta localizzato con precisione quell'ufficio, decisero incredibilmente di mantenere ugualmente il covo in quella strada. Tornando ai giorni del rapimento, una delle possibili implicazioni logiche che la scoperta "accidentale" del covo comportò fu quella di far diventare anche la prigione di via Montalcini piuttosto insicura, dunque è possibile - anzi, assai probabile - che Moro sia stato portato velocemente in un altro covo-prigione. Le carte di Moro all'interno del covo "bruciato" furono forse ritrovate, ma probabilmente non nella loro totalità, e la cosa dovette suscitare le ire degli interessati, tant'è vero che - ma qui forse le mie ipotesi diventano troppo fantasiose - chi nel corso degli anni ne è stato probabilmente in possesso è stato in qualche modo eliminato (Pecorelli e Dalla Chiesa, tanto per fare due nomi). Con il duplice messaggio del 18 Aprile, rivolto chiaramente al vertice Br, la gestione del sequestro entrò in una nuova fase; non c'era altro tempo, le Brigate rosse non avevano più la possibilità di proseguire la "campagna di primavera" da loro progettata ma dovevano piegarsi a delle volontà indiscutibilmente superiori: apparati "deviati" dello stato ed il loro occasionale "braccio destro", la "Banda della Magliana" cui apparteneva Chichiarelli. Come vedremo, molti indizi ci indirizzano proprio in questo sentiero. Ma esiste un'altra ipotesi da valutare. Come sostenuto dal recente volume 'Il Misterioso intermediario' di Fasanella e Rocca: "A lasciare aperta la doccia potrebbe essere stato lo stesso Moretti. E usando la logica capovolta, che spiega molti episodi di queste trame occulte, se ne può comprendere anche il perché. Il capo brigatista si era impossessato della gestione del sequestro, esautorando di fatto i compagni. Forse voleva che ai militanti giungesse il messaggio che a Roma non c'era più nessun nascondiglio sicuro, visto che era stata scoperta perfino la base del capo; e che di conseguenza, bisognava affrettarsi a portare Moro fuori città". Ma se il 18 Aprile '78 fu la data dalla quale cambiò materialmente la gestione del rapimento, il momento in cui venne presa - e da più parti - la decisione di intervenirvi direttamente fu con ogni probabilità immediatamente successiva, e precisamente quando venne resa nota la prima lettera di Moro a Cossiga, in cui sollecitava la trattativa con le Br invocando la ragion di stato e non motivi umanitari. Quella lettera doveva restare segreta e nelle intenzioni di Moro doveva servire ad aprire un canale diretto per la trattativa. Invece Mario Moretti la allegò al comunicato numero 3 delle Br, in cui si annunciava che il processo a Moro stava continuando " con la piena collaborazione del prigioniero ", e la fece recapitare ai giornali. A quel punto probabilmente si attivarono molti servizi segreti: quelli occidentali per proteggere gli eventuali segreti rivelati da Moro, quelli orientali per carpirli. I primi promettendo salvacondotti ai brigatisti; i secondi aiuti e appoggi alla rivoluzione. Una conferma che la base Br di Via Gradoli 96 - "centrale operativa" del sequestro Moro - fosse nota a molti si ebbe pochi giorni dopo il rapimento di Moro, quando cinque agenti del commissariato "Flaminio Nuovo", guidati dal maresciallo Domenico Merola perquisirono appunto gli appartamenti di via Gradoli 96. Durante il primo processo, Merola racconta che l'ordine era venuto, la sera prima dell'operazione, dal commissario Guido Costa. " Non mi fu dato l'ordine di perquisire le case. - dice il maresciallo ai giudici - era solo un'operazione di controllo durante la quale furono identificati numerosi inquilini, mentre molti appartamenti furono trovati al momento senza abitanti e quindi, non avendo l'autorizzazione di forzare le porte, li lasciammo stare, limitandoci a chiedere informazioni ai vicini. L'interno 11 fu uno degli appartamenti in cui non trovammo alcuno. Una signora che abitava sullo stesso piano ci disse che li' viveva una persona distinta, forse un rappresentante, che usciva la mattina e tornava la sera tardi ". " Fui io a disporre i controlli dei mini appartamenti della zona - conferma il vice questore Guido Costa - in seguito ad un ordine impartito dal questore, che allora era Emanuele De Francesco. L'esito dell'operazione fu negativo ". La data della mancata perquisizione del covo è il 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento, almeno secondo la relazione informativa scritta da Merola e consegnata da De Francesco ai giudici solo nel 1982, perché fino a quel momento non era stato possibile trovarla. Nell'estate del 1978, il giornalista Sandro Acciari scrisse sul "Corriere della sera" che tra il 16 e il 17 marzo, alla segreteria del ministero dell'Interno era arrivata una segnalazione anonima dell'esistenza di un covo delle Br in via Gradoli e che il ministro Cossiga aveva incaricato il capo della polizia Parlato di disporre perquisizioni nella zona. Parlato, interrogato dal giudice Achille Gallucci aveva smentito questo fatto. Nel 1982, al processo, Acciari disse di aver appreso la notizia, a livello di indiscrezione, negli ambienti del palazzo di giustizia, e di avere avuto conferma da Luigi Zanda, all'epoca addetto stampa del ministro dell'Interno Cossiga. Acciari ha precisato però di aver saputo in seguito dallo stesso Zanda che nella loro conversazione telefonica ci fu un equivoco, perché Zanda credeva che Acciari si riferisse alla vicenda della seduta spiritica in cui emerse il nome "Gradoli". Anche il giornalista Mino Pecorelli, ucciso un anno dopo in circostanze ancora oscure, e anche lui presente nelle liste della P2, scrisse sul numero del 25 aprile 1978 del suo settimanale "OP": " Nei primi dieci giorni dopo il sequestro di Moro, in seguito ad una soffiata preziosa, via Gradoli e in modo speciale lo stabile numero 96 erano stati visitati ben due volte da squadre di polizia. Ma davanti alle porte degli appartamenti trovati disabitati, i poliziotti avevano desistito. Avevano bussato doverosamente anche alla porte dell'appartamentino-covo e non ricevendo l'invito ad entrare se n'erano andati ". Prima di procedere oltre mi preme sottolineare quanto affermato da Flamigni sulle fonti di Pecorelli (già affiliato alla P2 ma ai tempi del rapimento 'dissociato'): "la rete informativa e le fonti di Pecorelli durante i 55 giorni del sequestro Moro risulteranno documentate dalle agende del giornalista. Vi erano annotati contatti, telefonate e incontri [...] soprattutto con appartenenti ai servizi segreti: dal P2ista Umberto D'Amato (esperto di intelligence, consigliere del ministro dell'interno e capo della Polizia), a Vito Miceli (ex capo del SID, affiliato alla P2) dal generale Maletti (P2) al capitano Labruna (P2) al capitano d'Ovidio (P2)". Ma c'erano anche incotri con i magistrati Infelisi e DeMatteo, con avvocati, con politici di varie forze politiche, con il venerabile maestro Licio Gelli. Le informazioni a sua disposizione erano dunque sempre di primissima mano. Tra le vicende inusuali accadute durante i 55 giorni del rapimento Moro è da menzionare - se non altro per il nome dei presenti - anche quella del 2 aprile 1978. Nella casa di campagna di Alberto Clò a Zappolino, alle porte di Bologna, si riunì un gruppo di professori universitari con tanto di mogli e bambini. Erano presenti l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi con la moglie Flavia, Alberto, Adriana, Carlo e Licia Clò, Mario Baldassarri e la moglie Gabriella, Francesco Bernardi, Emilia Fanciulli. Secondo i racconti, per allentare la noia di una giornata di pioggia, a qualcuno dei partecipanti venne la bizzarra idea di tenere una seduta spiritica. I partecipanti avrebbero quindi evocato gli spiriti di don Luigi Sturzo e Giorgio La Pira chiedendo loro dove si trovasse la prigione di Aldo Moro. Gli spiriti - incredibilmente - formarono le parole Bolsena-Viterbo-Gradoli e indicarono anche il numero 96. Secondo i racconti dei partecipanti, fu proprio il terzo nome ad incuriosirli, tanto da prendere un atlante per controllare se esistesse una località chiamata Gradoli. Il 4 aprile, a Roma per un convegno, Prodi parlò di questa indicazione a Umberto Cavina, capo ufficio stampa della DC, che la trasmise a Luigi Zanda, addetto stampa del ministro dell'Interno, il quale fece un appunto per il capo della polizia, Giuseppe Parlato. Parlato ordinò di perquisire la zona lungo la statale 74, nel piccolo tratto in provincia di Viterbo, in località Gradoli, casa isolata con cantina. Il rastrellamento della zona viene effettuato il 6 aprile, senza risultati. Nel luglio 1982, al processo, Eleonora Moro, moglie di Aldo Moro, ha raccontato che, quando venne a sapere della seduta spiritica (in quell'occasione, la signora Moro dice però che l'indicazione Gradoli venne fuori " due o tre giorni dopo il rapimento " e questo contrasta con la data indicata per la seduta spiritica), riferì " la cosa all'on. Cossiga e ad un funzionario che credo fosse il capo, il responsabile delle indagini, ma non ricordo come si chiamasse. Chiesi loro - continua la signora Moro - se erano sicuri che a Roma non esistesse una via Gradoli e perché avessero pensato subito, invece, al paese Gradoli. Mi risposero che una tale via non c'era sulle pagine gialle della città. Ma quando se ne andarono da casa, io stessa volli controllare l'elenco e trovai l'indicazione della strada. In seguito mi dissero che erano stati a vedere in quella zona, ma avevano trovato solo alcuni appartamenti chiusi. Si giustificarono dicendo che non potevano sfondare le porte di ogni casa della strada ". Il giorno dopo Giovanni Moro, figlio di Aldo, conferma che fu Cossiga a sostenere che via Gradoli non esisteva nello stradario di Roma. Cossiga ha però escluso di essere lui la persona che negò l'esistenza di via Gradoli. Nel 1995, la relazione sulle stragi e il terrorismo presentata dal presidente della commissione parlamentare Giovanni Pellegrino sostenne che l'indicazione di Gradoli era filtrato negli ambienti dell'Autonomia bolognese e il riferimento alla seduta spiritica non era altro che un trasparente espediente di copertura della fonte informativa.

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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #1912 da Starburst
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Roberto Bartali
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SESTA PARTE:


A parziale conferma di ciò sta anche la testimonianza di Giulio Andreotti che, davanti alla Commissione, ha detto: " non credo alla storia di Gradoli a cui si arrivò con la seduta spiritica. Quell'indicazione venne dall'Autonomia operaia di Bologna. Non lo si disse per non dover inguaiare qualcuno ". Pochi giorni dopo, Bettino Craxi intervenne sul caso Moro sostenendo che " nessuno può credere alla tesi della seduta spiritica dal momento che le notizie su via Gradoli si seppero da ambienti legati strettamente all'organizzazione terroristica. Gli stessi che ci diedero notizie anche di via Montalcini ". " Gradoli - ha confermato in quei giorni l'avv. Giancarlo Ghidoni, difensore di molti esponenti dell'autonomia bolognese - era una parola che nell'ambiente di Autonomia Operaia si sussurrava. L'organizzazione all'epoca del sequestro Moro premeva perché lo statista non fosse ucciso e fosse liberato. L'Autonomia era molto preoccupata, voleva che cessassero certe attività, convinta che il fucile stesse sopravanzando la testa, e che certe cose andassero a danno della sinistra rivoluzionaria [...] Una persona, di cui non posso ovviamente rivelare il nome, mi disse: "Hanno detto che Moro è a Gradoli. Intendeva proprio il paesino del viterbese dove andarono a cercare Moro, non la via romana con lo stesso nome. Evidentemente le informazioni che aveva erano parziali" ". Infine, da una nota della DIGOS del 19 agosto 1978, che riprende un appunto precedente dell'UCIGOS, risulta che via Gradoli era sotto controllo già in epoca precedente al sequestro Moro per la segnalazione nella strada della ripetuta presenza di un furgone Volkswagen di proprietà di Giulio De Petra, militante di Potere Operaio, il cui numero telefonico era nell'agenda di Morucci. Le cose non devono però sorprendere; in effetti Valerio Morucci era ritenuto un valido appoggio "militare" da parte di tutte l'ala dura dell'ormai disciolto Potere Operaio, pochi però sanno che egli agiva d'intesa con Piperno e Pace svolgendo il ruolo di cerniera tra le Br e l'Autonomia nell'ambito della progettata unificazione di tutte le organizzazioni armate, al fine di rendere praticabile " l'irlandizzazione della capitale ". Nel 1997 l'on. Enzo Fragalà, chiedendo l'audizione di Prodi in commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi e il terrorismo, ha detto: " in via Gradoli vi erano quattro interni 11, due civici 96 con due scale ciascuna. Vi furono indicazioni diverse fra DIGOS e commissariato Flaminio Nuovo sulle scale da perquisire; vi sono legami di società intestatarie di alcuni interni 11 e altre società collegate con il ministero dell'Interno e con il Sisde; all'interno del covo Br fu ritrovato il numero di telefono dell'immobiliare Savellia, società di copertura del Sisde; perché non si é indagato sui mini-appartamenti di via Gradoli 96 e 75 intestati all'ex capo della polizia Parisi e sui rapporti tra Domenico Catracchia, già amministratore del palazzo, e lo stesso Parisi ? ". All'Immobiliare "Savellia" era intestato anche un palazzo in via di Monte Savello (vicino al ghetto ebraico e a via Caetani), di cui c'erano tracce in un appunto di Moretti. L'8 marzo 1998, l'ex deputato socialista Falco Accame, criticando la mancata attuazione del "piano Paters", segnalò l'appartamento di via Gradoli come riconducibile alla società immobiliare Savellia, società di copertura del SISDE. Secondo Accame, come per Fragalà, " i mini appartamenti di via Gradoli, numeri 96 e 75, erano intestati all'ex capo di polizia ". Attualmente l'Immobiliare Savellia risulta di proprietà del Sovrano Ordine di Malta. In Via Gradoli i servizi segreti italiani disponevano però anche di un ufficio; la cosa venne riferita alle Br da un'ex militante di Potere Operaio, ma nonostante questo, i brigatisti decisero di mantenere ugualmente il loro covo in quella strada, in barba a qualsiasi legge della logica e della sicurezza (tanto più che nella stessa via Gradoli c'era anche un covo frequentato da estremisti di destra) 46. Anche questo fatto risulta essere piuttosto strano. C'è però un'altra pista da seguire: c'era qualcuno che all'interno delle Brigate rosse riteneva talmente sbagliata l'operazione in progetto da tentare di farla fallire avvertendo in anticipo le forze istituzionali ? Un'ipotesi da fare è che all'interno delle Brigate rosse vi fosse un partito della trattativa che mirava alla salvezza della vita di Moro e che questo gruppo, oltre a discutere per tentare di far maggioranza sulla propria opinione, abbia messo addirittura lo Stato sulle tracce, per esempio, del covo di via Gradoli. Infatti, scoprire quel covo avrebbe significato arrivare subito a Moretti. Ed a via Gradoli fu mandata per ben tre volte la Polizia ed addirittura fu fatta arrivare a Prodi ed a Clò l'indicazione "Gradoli", che poi fu mistificata con la famosa seduta spiritica di cui tutti sappiamo. E' vero che vi era questo partito della trattativa (altrimenti detto "ala Movimentista") all'interno delle Brigate rosse il quale, ritenendo politicamente disastrosa l'uccisione di Moro, tentò in tutti i modi di far scoprire il covo di via Gradoli, alla fine addirittura col telefono della doccia in cima ad un manico di scopa messo contro il muro per far allagare l'appartamento di modo che, visto che non se ne poteva più di uno Stato che non riusciva a scoprire il covo, fossero almeno i pompieri ad arrivarvi, trovando sul muro steso il drappo delle Brigate rosse e sul tavolo tutte le armi affinché fosse chiarissima l'indicazione che si trattava proprio di un covo dei terroristi? E' bene ricordare che la porta del covo non era stata scassinata e inoltre che per motivi di sicurezza, era abitudine dei brigatisti non avere più di due chiavi di ogni covo, dunque siccome Via Gradoli 96 era in quel periodo frequentata solo da Moretti e da Barbara Balzerani, è logico supporre che solamente loro avessero le chiavi. Questa spiegazione è supportata - ovviamente - dalla Faranda, cioè da colei che (assieme a Morucci) potrebbe essere l'artefice di un tale piano essendo il duo notoriamente contro un epilogo tragico del rapimento Moro. Dagli atti del processo "Metropoli" traspare (a mio avviso perfino in modo un pò eccessivo) che Morucci e Faranda erano pedine in mano a Piperno, leader dell'Autonomia, e guarda caso è proprio dalle file dell'Autonomia che provenivano tutti i "messaggi" a favore degli inquirenti (da quello di Radio città futura a quello emerso nella seduta spiritica di Prodi). Dunque Morucci e la Faranda, nel periodo di circa due mesi in cui lo avevano abitato, avevano fatto delle copie della chiave che apriva il covo di Via Gradoli ? Furono loro ad architettare il tutto ? E' una possibilità, è in quanto tale la riporto, però oggettivamente non mi sento di dargli troppo peso, anche e soprattutto in considerazione della "coincidenza" temporale con il ritrovamento del falso comunicato n° 7, vero punto di svolta del sequestro. A dire il vero c'è un'altra possibilità, cioè che effettivamente il nome Gradoli sia stato fatto saltar fuori proprio come riferimento al paesino di Gradoli -sito nella zona di Bolsena- e poi effettivamente rastrellato da circa 2000 agenti, perché l'operazione di polizia in quel paese serviva a dare l'allarme agli occupanti di via Gradoli che, infatti, dopo poco abbandonarono il covo. A questa ipotesi mi sento di rispondere che in questo caso i brigatisti avrebbero certamente evitato di abbandonare il covo con tutto il materiale che vi è stato poi ritrovato, armi e documenti in primis, e poi la perquisizione del paesino è un pò troppo antecedente. A questo punto sorge però spontanea un'altra domanda: a Moretti e alla Balzerani deve aver fatto piuttosto paura sentire che la polizia stava perlustrando un posto con lo stesso nome della via ove si recavano a dormire, questo però solo usando la logica, una logica che gli avrebbe dovuto suggerire di abbandonare velocemente quel covo, un logica che invece non li ha guidati, se è vero com'è vero che i due brigatisti hanno dormito in quell'appartamento fino alla sera precedente la sua scoperta. Come potevano essere sicuri che la polizia non sarebbe arrivata e avrebbe messo sotto sopra anche la Via Gradoli dopo il paesino Gradoli del Viterbese ? Fu incoscenza o certezza ? L'8 maggio 1978, alla vigilia dell'uccisione di Aldo Moro: il Corriere della Sera pubblicò in prima pagina un articolo, firmato da Sandro Acciari e Andrea Purgatori, che parlava di elenchi trovati nel covo Br di via Gradoli, scoperto il 18 aprile. Gli elenchi di cui si parlava sarebbero stati due: uno contenente nomi di politici, militari, industriali e funzionari di enti pubblici, l'altro di esponenti della DC a livello regionale, provinciale e comunale. L'articolo rendeva noti anche alcuni dei nomi contenuti nel primo elenco: Loris Corbi, Beniamino Finocchiaro, Michele Principe, Publio Fiori. Del secondo elenco era citato solo Girolamo Mechelli (ferito in un attentato il 26 aprile 1978), la cui presenza nelle liste venne però smentita dalla DIGOS, che così confermò implicitamente l'esistenza degli elenchi. Il giorno dopo, il 9 maggio, mentre tutti i giornali si occupavano della vicenda, il Corriere della sera pubblicò un altro articolo sullo stesso argomento e vennero fatti anche i nomi di Gustavo Selva e dell'on. Giacomo Sedati (DC). Il 10 maggio i giornali furono completamente occupati dalla notizia dell'avvenuta uccisione di Moro, verificatasi il 9, e quindi la serie di rivelazioni si interruppe. Naturalmente questi elenchi, trovati in un covo Br, vennero ritenuti una "schedatura" di potenziali vittime di attentati, un'ipotesi rafforzata dal fatto che Fiori era già stato ferito in un agguato, il 2 novembre 1977. Nel 1978 però erano ancora sconosciuti gli elenchi dei presunti iscritti alla P2 [ poi trovati dalla Guardia di Finanza a Castiglion Fibocchi nel 1981 ] e nessuno poteva far caso ad un qualsiasi legame esistente tra quei nomi. Solo adesso possiamo notare infatti che, a parte Sedati, i nomi delle altre cinque persone (su sei), Corbi, Principe, Finocchiaro, Fiori e Selva comparivano anche nelle liste della P2, composta, in effetti, soprattutto da politici, militari, industriali e funzionari di enti pubblici, come l'elenco trovato in via Gradoli. E' una coincidenza un po' strana, soprattutto se si pensa che la stessa mattina del 18 aprile, giorno della scoperta del covo di via Gradoli, "qualcuno" architettò il falso comunicato del lago della Duchessa. Il falso comunicato, preparato da Toni Chichiarelli (falsario legato alla banda della Magliana) e tutto ciò che logicamente ne sarebbe seguito, sembra dunque essere stato organizzato anche per distrarre l'attenzione generale dal materiale ritrovato in via Gradoli. Se però questo materiale si trovava in via Gradoli insieme ad un elenco di iscritti e funzionari locali della DC, è probabile che provenisse da quelle famose borse di Moro che sembrano non esser mai state ritrovate (i brigatisti - o meglio Gallinari che ne fu incaricato - hanno detto di aver bruciato tutte le carte di Moro) e che poteva contenere informazioni su apparati dei servizi segreti paralleli e altre organizzazioni di sicurezza allora sconosciute (Gladio, P2, ecc...). Assolutamente incredibile - anche a detta della Commissione Moro - fu poi il ritardo con il quale venne studiato il materiale ritrovato all'interno del covo di Via Gradoli: un'analisi attenta avrebbe infatti permesso alle forze di polizia di arrivare facilmente alla tipografia Triaca di Via Foà, ove le Br stampavano tutto il loro materiale e dove lo stesso Moretti spesso passava. Le forze di pubblica sicurezza giunsero all'individuazione della tipografia soltanto dopo la conclusione del rapimento di Aldo Moro. Obbligatorio adesso fare un excursus sulla figura del falsario Toni Chichiarelli, colui che scrisse il falso comunicato n°7, ed a questo proposito nulla mi è sembrato meglio delle parole con cui il defunto On. Cipriani argomentò le sue scoperte di fronte alla Commissione Parlamentare: " Toni Chichiarelli è un personaggio romano legato alla banda della Magliana, con tutto ciò che ne consegue: conosciamo infatti i collegamenti della banda della Magliana con la mafia, con la destra eversiva e con i servizi segreti, in particolare con la persona del generale Santovito che guarda caso faceva parte di uno dei comitati di crisi. Toni Chichiarelli era anche in contatto con un informatore, un agente del Sisde, tale Dal Bello, un personaggio di crocevia anche con la malavita romana, con i servizi segreti e la banda della Magliana. Toni Chichiarelli interviene nella vicenda Moro dimostrando di essere un personaggio assai addentro alla vicenda stessa (questo è quanto scrive il giudice Monastero che ha condotto l'istruttoria sull'assassinio di Toni Chichiarelli), come dimostrano due episodi. Il primo, che è stato chiarito, è il seguente: Toni Chichiarelli è l'autore del comunicato n.7, il falso comunicato del Lago della Duchessa;
ed è anche l'autore del comunicato n.1 in codice, firmato Brigate rosse-cellula Roma sud. Toni Chichiarelli fece trovare un borsello su un taxi, all'interno di questo borsello erano contenuti alcuni oggetti che facevano capire che lui conosceva dal di dentro la vicenda Moro. Fece trovare infatti nove proiettili calibro 7,65 Nato, una pistola Beretta calibro 9 (e si sa che Moro è stato ucciso da undici colpi, dieci di calibro 7,65 e uno di calibro nove); fece trovare dei fazzoletti di carta marca Paloma, gli stessi che furono trovati sul cadavere di Moro per tamponare le ferite; fece trovare quindi una serie di messaggi in codice, e una serie di indirizzi romani sottolineati; fece trovare dei medicinali e anche un pacchetto di sigarette, quelle che normalmente fumava l'onorevole Moro; inoltre un messaggio con le copie di schede di cui farà ritrovare poi l'originale in un secondo episodio. Vi è un secondo aspetto.....segue

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Ultima Modifica 8 Anni 6 Mesi fa da Starburst.

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8 Anni 6 Mesi fa #1916 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
Articolo interessante, il moderatore mi dice che può stare su questo forum.


STORIA E COMPRENSIONE DEL MONDO
di Pierluigi Fagan

"Il Mondo si è presentato di recente alla nostra attenzione. Nel passato, molte forme di riflessione hanno avuto il Mondo ad oggetto ma, in una prospettiva più ampia, si sono poi rivelate proiezioni di un locale ad universale, una forma induttiva scarsamente fondata. Il “cosmo” dei Greci, il paese del centro 中国 (Zhōngguó) che è sotto il “Cielo” (天, Tiān) per i cinesi, erano proiezioni di questo tipo, proiezioni il cui proiettore era precisamente posizionato sulla superficie di questo “mondo” che poi si è rivelato una sfera. Va de sé che la pretesa di essere centro di qualcosa, stando sulla superficie di una sfera, sia infondata. Eppure, di nuovo, l’autocomprensione che gli europei hanno sviluppato a partire dal 1492, è proprio una complessa e ben infondata convinzione proprio del loro ruolo “speciale”. Questa convinzione si è poi trasferita al sistema occidentale o atlantico (Europa + Nord America) ed avvolgendo il Mondo con una rete di mercati, colonie, istituzioni locali e mondiali sempre nelle loro ben salde mani, gli europei prima e gli occidentali poi, hanno tentato di convincere il Mondo che loro ne fossero il centro. Di questo sistema di pensiero è parte fondante la narrazione storica perché in tutti i sistemi ideologici, l’interpretazione del mondo è ben più importante del mondo in quanto tale.
Accade però che, negli ultimi anni, prima si è scoperta ed appresa empiricamente la vastità e varietà della sfera, processo nato proprio dal periodo della Grandi navigazioni partito alla fine del XV° secolo, poi si sono sperimentate varie forme di interrelazioni con altri presunti centri e la pluralità dissolve con la sua stessa presenza percepita la pretesa di singolarità. Infine, percezioni (esperienze concrete) confortate da dati, hanno reso esplicito che i centri sono tanti, sono interdipendenti, sono relativi e il centro occidentale, tra l’altro, non è quanti-qualitativamente poi così massivo e soprattutto è oggi in una parabola di contrazione relativa all’espansione degli altri centri. In sede storica, ci si è posti allora il problema di come trasformare i paradigmi dello sguardo specifico (lo sguardo storico ovvero lo sguardo su i
fatti e gli eventi di uno spazio-tempo) per meglio allineare l’immagine del mondo al Mondo. Ne sta conseguendo una distruzione creatrice che abbandona progressivamente le forme epistemiche della storia otto – novecentesca e crea (sarebbe meglio dire “propone” perché si è ancora nella fase costruttiva della disciplina) una nuova forma di sguardo. Abbastanza chiaro il versante del “da cosa dobbiamo emanciparci” cioè il versante critico dell’eurocentrismo e dei suoi collaterali epistemici, ancora non ben definito il “di quali metodi e forme dobbiamo dotarci” sul versante costruttivo. Questo sguardo in transizione che ha per oggetto il mondo nella sua complessità sferica, si chiama World history.
(...)"
Continua qui: pierluigifagan.wordpress.com/2016/02/02/...prensione-del-mondo/
I seguenti utenti hanno detto grazie : Starburst

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8 Anni 6 Mesi fa #1941 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
Roberto Bartali
Rilettura critica della storia delle br e del rapimento di Aldo Moro

SETTIMA PARTE:


Dopo la rapina della Securmark, ad opera della banda della Magliana con Toni Chichiarelli come mente direttiva, quest'ultimo fa trovare - lo scrive il giudice Monastero - una busta contenente un altro messaggio con gli originali di quattro schede riguardanti l'on. Ingrao ed altri personaggi. Questa volta, come dicevo, ci sono gli originali: si tratta di schede relative ad azioni che erano state programmate e previste; fa trovare però anche un volantino falso di rivendicazione delle Brigate rosse. Il giudice poi scrive: "Si rinveniva una foto Polaroid dell'onorevole Moro apparentemente scattata durante il sequestro". Viene eseguita una perizia di questa foto, e si rileva che non si tratta di un fotomontaggio. Come sappiamo, delle Polaroid non si fanno i negativi; è quindi una foto originale di Moro in prigione che Chichiarelli, dopo l'episodio del borsello, fa ritrovare in questo secondo messaggio, con le schede originali che riguardano Pietro Ingrao, Gallucci, il giornalista Mino Pecorelli, che sarà in seguito ucciso, e l'avvocato Prisco ". Anche volendo ignorare buona parte delle coincidenze riscontrate e tutte le deduzioni fattibili, resta intatta una domanda: come mai ad un certo punto del rapimento Moro si iniziano a trovare tracce che portano direttamente alla Banda della Magliana ? Il bello è che la pista legata a questa feroce banda romana non si esaurisce, ma riguarda anche la morte di Aldo Moro. Ai miei occhi, infatti, è sempre stata poco credibile la versione raccontata dalle Br secondo la quale Moretti, che aveva discusso con il presidente DC per 55 lunghi giorni, con una freddezza fuori dal normale comunica al prigioniero che verrà liberato, poi gli spara a sangue freddo con due armi differenti perché la prima si inceppa, poi sale sulla Renault rossa e porta il cadavere dello statista fino a Via Caetani, poi non contento va a scrivere il comunicato conclusivo del rapimento. No, riesce veramente difficile credere a questa novella di un Moretti "superuomo". La verità forse è altrove, anche per altri motivi. Vediamo dunque cosa dicono gli appunti di Luigi Cipriani sul come venne ucciso il presidente della Democrazia cristiana: " Degli 11 colpi i primi due [sono stati sparati] col silenziatore, gli altri quando era già morto. Perché questo rituale? Dopo i primi due colpi Moro ha agonizzato per 15 minuti. Solo i primi due colpi hanno lasciato tracce sulla Renault, Moro è stato ucciso in macchina e portato altrove ? ". A conferma dei dubbi evidenziati dai quesiti che si poneva Cipriani, Francesco Biscione ha scritto: "...laddove la comune versione dei brigatisti lasciava trasparire una falla che nasconde verosimilmente una menzogna è nella narrazione delle modalità con cui l'ostaggio sarebbe stato ucciso ". Non è il solo che, a posteriori, si affianca a Luigi Cipriani. Nella sentenza del cosiddetto Moro-quinquies gli stessi magistrati giudicanti non possono esimersi dall'evidenziare il loro scetticismo sulla versione fornita dai brigatisti rossi sottolineando, ad esempio, l'impossibilità da parte dei carcerieri di " ritenere in anticipo che l'on. Moro, chiuso in una cesta da dove poteva avere una discreta percezione della situazione ambientale, non essendo né narcotizzato né imbavagliato, avrebbe continuato remissivamente a tacere senza chiedere aiuto nemmeno lungo il tragitto per le scale fino al box, pur percependo voci come quella della Braghetti. Non si comprende - scrivono ancora i magistrati - come i brigatisti abbiano accettato un simile e gratuito rischio quando avrebbero potuto facilmente evitarlo ad esempio uccidendo l'on. Moro nella sua stessa prigione e trasportandolo poi da morto; ed incredibile sembra il fatto che si sia programmata l'esplosione di una serie di colpi, quanti risultano dalle perizie, in un box che si apriva nel garage comune degli abitanti dello stabile, essendo noto che anche i colpi delle armi silenziate producono rumori apprezzabili che potevano essere facilmente percepiti da persone che si trovassero a passare, così come furono distintamente percepiti dalla Braghetti ". Alle condivisibili considerazioni dei giudici del quinto processo Moro, dobbiamo aggiungere il rilievo che i colpi sparati con il silenziatore furono soltanto due. E gli altri 9, esplosi senza il silenziatore, non li ha avvertiti nessuno? Ne erano così certi i brigatisti rossi Mario Moretti e Germano Maccari ? E, infine, perché lasciare Aldo Moro agonizzante per altri 15 lunghissimi minuti, come conferma la perizia medico-legale, senza che un rantolo, un gemito, un grido disperato sia veramente uscito dalla bocca di un uomo morente e ferito ? In conclusione, " anche su questo punto, la versione delle Brigate rosse non sta in piedi, o almeno zoppica fortemente [...] un uomo che, senza essere narcotizzato, senza essere legato ed imbavagliato, si fa infilare in una cesta, deporre nel portabagagli di un'auto, ricevere nel corpo due pallottole che lo lasciano in vita per altri 15 minuti; e in tutto questo tempo non tenta la disperata reazione di chi non ha più nulla da perdere, effettivamente non è credibile ". La passività di Aldo Moro, se mai ci fu, può trovare solo logica e coerente spiegazione in due fattori: il luogo dove si trovava, solitario, dove il suo urlo disperato si sarebbe perso nel silenzio; il numero dei suoi uccisori, tale da scoraggiarne a priori ogni tentativo di fuga o reazione violenta 51. " Un testimone - scriveva Cipriani - vide una Renault rossa presso la spiaggia di Fregene col posteriore aperto. La perizia sulla sabbia dei pantaloni di Moro confermò che il litorale corrisponde a quello. Sabbia trovata in molte parti dei vestiti, calze, scarpe e sul corpo compreso bitume e sulle ruote della Renault. Sul battistrada - concludeva Cipriani - fu trovato un frammento microscopico di alga analogo ad altro rinvenuto sul corpo ". E gli accertamenti ulteriori confermano pienamente questa realtà: " Le risultanze tecniche - ricorda Biscione - riguardano innanzitutto la sabbia e i frammenti di flora mediterranea trovati nelle scarpe, negli abiti e sul corpo di Moro, come pure sulle gomme e sui parafanghi dell'auto di Moretti rinvenuta in via Caetani. Le tracce sugli abiti e sulle scarpe lascerebbero pensare ad una permanenza o ad un passaggio presso il litorale romano (la perizia giudica quel tipo di sabbia proveniente da una zona compresa tra Focene e Palidoro) ". Mario Moretti e compagni, quindi, affermano il falso, come asseriva giustamente perentorio Luigi Cipriani nei suoi appunti: " Savasta e Morucci mentono [o forse non sono a conoscenza della verità ndr.] dicendo che la sabbia era un depistaggio...". Concorda con l'ex parlamentare di Democrazia Proletaria anche Francesco Biscione, il quale scrive: " ...lascia fortemente perplessi la machiavellica spiegazione di Morucci (confermata da Moretti e ribadita anche dalla Braghetti nel corso del processo Moro-quater) secondo la quale ai primi di maggio 1978 alcuni militanti [la Faranda e la Balzerani] furono incaricati di andare a reperire sulle spiagge del litorale laziale acqua marina, sabbia, catrame, parti di piante da mettere sui vestiti e sotto le scarpe di Moro per depistare le indagini successive al ritrovamento del cadavere...". Quali vantaggi si proponessero di ricavare i brigatisti facendo credere agli inquirenti ed all'opinione pubblica di aver custodito Aldo Moro sul litorale laziale piuttosto che in un appartamento al centro di Roma ? A mio parere nessuno. C'è poi la testimonianza di Pierluigi Ravasio, ex carabiniere-paracadutista, ex addetto all'ufficio sicurezza interna della VII sezione del Sismi a Roma, che venne resa allo stesso Luigi Cipriani. L'ex agente del Sismi e componente delle Stay-behind affermò che "il suo gruppo indagò sul caso Moro e venne a conoscenza del fatto che Moro era tenuto dai malavitosi e riferito ciò ai superiori, le indagini vennero fermate, il loro gruppo sciolto ed i componenti dispersi, mentre i rapporti che quotidianamente venivano compilati furono bruciati...". Francesco Biscione, pur con cautela, non può fare a meno di rilevare che " se si pensa che nel maggio 1991, allorché fu raccolta l'intervista, era pressoché sconosciuto il ruolo svolto durante il sequestro di Moro dalla banda della Magliana, si è portati a dubitare che le parole di Ravasio siano frutto di pura fantasia (semmai, per una certa brutalità nei riferimenti si sarebbe indotti a credere che egli fosse a conoscenza di questa vicenda non per averla vissuta in prima persona, bensì per averne avuto notizia da altri)...". Che il racconto di Pierluigi Ravasio sia quantomeno credibile lo dimostrano non solo il preciso riferimento fatto alla presenza del colonnello Camillo Guglielmi, suo diretto superiore al Sismi, in via Fani il 16 marzo 1978, quanto soprattutto le tracce di sabbia e bitume trovate sui vestiti, il corpo di Aldo Moro e la Renault rossa sulla quale venne poi trasportato in via Caetani. Bisogna anche rilevare, a favore della veridicità di quanto narrato dall'ex agente del Sismi, che le sue dichiarazioni, divulgate da Cipriani, caddero in un momento in cui l'intervento della malavita nel sequestro Moro veniva dato per certo, un fatto ormai acquisito ma datato ad operazione di prelievo avvenuta e considerato cessato, a seguito delle pressioni esercitate dai nemici politici dell'esponente democristiano prigioniero, entro i primi giorni di aprile del 1978. Anche il "premio" concesso ai delinquenti della Magliana dallo Stato e dai suoi apparati è perfettamente verosimile: " Come ricompensa per il rapimento e la gestione del caso Moro - ha raccontato Ravasio - il Sismi consentì alla banda di compiere alcune rapine impunemente. Una avvenne nel 1981 all'aeroporto di Ciampino, quando i malavitosi travestiti da personale dell'aeroporto sottrassero da un aereo una valigetta contenente diamanti provenienti dal Sudafrica. Una seconda avvenne nei pressi di Montecitorio dove furono aperte molte cassette di sicurezza e da alcune, appartenenti a parlamentari, furono sottratti documenti che interessavano il Sismi ". Fatti che ci riportano alla rapina alla Brink's Securmark ed a quella strana rivendicazione che ebbe con tutta probabilità il valore di un avvertimento allo Stato perché non perseguisse i suoi autori. Un solo punto, nel racconto di Pierluigi Ravasio, suscita perplessità ed interesse insieme: la pretesa che il sequestro fu organizzato e gestito da " ex detenuti e malavitosi ", dal suo inizio alla sua conclusione. Sappiamo, viceversa, che i brigatisti rossi in via Fani c'erano, come furono presenti durante tutte le fasi dell'operazione, eliminazione fisica di Aldo Moro compresa, sebbene su questo punto la verità venne presumibilmente esposta in forma criptica, da un ex appartenente alle Stay-behind che, con le sue rivelazioni, si era già esposto molto alle reazioni ed alle rappresaglie dello Stato. Dunque c'è un tassello che non ha ancora trovato la sua collocazione ufficiale, è il tassello determinante, quello che da solo sarebbe in grado di spiegare ciò che è rimasto di totalmente oscuro - ma non di insolubile - nel sequestro di Aldo Moro: i brigatisti rossi guidati da Mario Moretti, furono obbligati a cedere il loro ostaggio con tutta la documentazione da lui prodotta nei giorni della prigionia, agli "amici" della banda della Magliana ? Ha fondamento concreto questa intuizione di Luigi Cipriani, poggiata su indizi concreti e da lui esposta di fronte alla commissione parlamentare ? Cipriani aveva individuato in Antonio Chichiarelli la figura chiave per comprendere la reale dinamica del sequestro di Aldo Moro e del suo omicidio. Il mio personale punto di vista è che probabilmente ci fu un passaggio di mano dalle Br alla banda della Magliana, e che le altre organizzazioni malavitose (Mafia, Camorra, la banda di Francis Turatello), che all'inizio del rapimento erano state "attivate" dal mondo politico per ritrovare Moro, ad un certo punto - dopo aver fatto il loro compito - vennero bloccate. E di questo fatto sono sicuri perfino i membri della Commissione parlamentare d'inchiesta. D'altronde lo dimostrano le molte testimonianze: durante i 55 giorni le organizzazioni malavitose si erano mobilitate - affiancando le polizie ufficiali - nella ricerca del leader DC su precisa richiesta dei vari esponenti politici dell'ex "scudo crociato". Dopo poche settimane, improvvisamente, Mafia, Camorra e ndrangheta si ritirarono, lasciando ai loro emissari nella capitale il compito di compiacere la volontà del potere politico. Dai primi di Aprile, la parola d'ordine divenne quella lanciata, senza mezzi termini a Francesco Varone, a casa di Frank Coppola: " Quell'uomo deve morire ". Probabilmente, una volta certe delle sorti di Moro, le cosche ritirarono i loro scagnozzi. " Un'accurata lettura - ricorda Francesco Biscione - di documenti giudiziari quali intercettazioni telefoniche e altri riscontri ha consentito al giudice Giovanni Salvi di stabilire che attorno al 10 aprile cessò del tutto l'attivazione di Cosa nostra ". A conferma di questo percorso, narrato a più riprese anche da alcuni pentiti, si aggiunge poi la testimonianza di Raffaele Cutolo che riferisce come Nicolino Selis gli disse che, del tutto casualmente, era venuto a conoscere la collocazione del covo nel quale era tenuto sequestrato Aldo Moro. A dire di Nicolino Selis - racconta Cutolo - la prigione del parlamentare democristiano si trovava nei pressi di un appartamento che egli teneva come nascondiglio per eventuali latitanze. Dopo aver proposto l'ubicazione della "prigione del popolo" ad alcuni esponenti della DC, l'ex boss della camorra si sentì dire: " Fatti gli affari tuoi ". Dunque siamo in possesso di un paio di indizi che indicano la strada indicata all'inizio del ragionamento. A questo punto del discorso si inserisce perfettamente anche la domanda posta da Michela Cipriani, moglie del defunto deputato di Democrazia Proletaria: " Perché [ parlando delle Br ] non svelare e gestire politicamente il memoriale-bomba che parlava fra l'altro di Stay behind e che costituiva il maggior risultato politico conseguito dalla lotta armata? ". Eppure, nel terzo comunicato del 29 marzo 1978, i brigatisti avevano annunciato trionfanti che l'interrogatorio di Aldo Moro "...prosegue con la completa collaborazione del prigioniero. Le risposte che fornisce chiariscono sempre più le linee controrivoluzionarie che le centrali imperialiste stanno attuando [...] proprio sul ruolo - prosegue il comunicato - che le centrali imperialiste hanno assegnato alla DC, sulle strutture e gli uomini che gestiscono il progetto controrivoluzionario, sulla loro interdipendenza e subordinazione agli interessi imperialisti internazionali, sui finanziamenti occulti, sui piani economici-politici-militari da attuare in Italia [...] il prigioniero politico Aldo Moro ha cominciato a fornire le sue illuminanti risposte. Le informazioni che abbiamo così modo di reperire, una volta verificate, verranno rese note al movimento rivoluzionario che saprà farne buon uso nel prosieguo del processo al regime che con l'iniziativa delle forze combattenti si è aperto in tutto il paese ". Quindi nella primissima fase del rapimento le Br, di fronte ad un Moro che gli raccontava situazioni cui probabilmente non osavano nemmeno sperare, cantano vittoria. Poi però - incredibilmente - si assistette ad un repentino cambio di rotta. Un'allucinante retromarcia delle Br si nota - è bene dirlo - già nel comunicato n°6 del 15 aprile 1978, prima quindi che venisse inviato ai brigatisti - come afferma nel suo libro Francesco Biscione - il messaggio del 18 Aprile che di fatto imponeva loro di uccidere Aldo Moro. Mario Moretti ed i suoi compagni informarono infatti che: " l'interrogatorio di Aldo Moro è terminato. Rivedere trenta anni di regime democristiano, ripercorrere passo passo le vicende che hanno scandito lo svolgersi della controrivoluzione imperialista nel nostro paese, riesaminare i momenti delle trame di potere, da quelle pacifiche a quelle più sanguinarie, con cui la borghesia ha tessuto la sua offensiva contro il movimento proletario, individuare attraverso le risposte di Moro le responsabilità della DC, di ciascuno dei suoi boss, nell'attuazione dei piani voluti dalla borghesia imperialista e dei cui interessi la DC è sempre stata massima interprete, non ha fatto altro che confermare delle verità e delle certezze che non da oggi sono nella coscienza di tutti i proletari...". La deduzione che viene da fare è che evidentemente a Moretti, attraverso chissà quali canali, erano già giunte pressioni di una certa entità, interferenze tali da far tremare la dirigenza delle Br. I brigatisti fecero dunque intendere in modo esplicito che Aldo Moro aveva parlato di tutto e di tutti, però conclusero in una forma oscura: " Non ci sono segreti che riguardano la DC, il suo ruolo di cane da guardia della borghesia, il suo compito di pilastro dello Stato delle multinazionali, che siano sconosciuti al proletariato..." 60. Ma il messaggio per la DC, lo Stato ed i suoi apparati istituzionali era lampante: Mario Moretti ed i brigatisti rossi che hanno gestito il sequestro Moro informavano che non avrebbero rivelato niente di quanto appreso. " Non ci sono segreti che riguardano la DC " scrissero, quindi " cosa mai si potrà dire al proletariato che già non sappia ? ".......segue

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8 Anni 6 Mesi fa #2024 da Starburst
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Roberto Bartali
Rilettura critica della storia delle br e del rapimento di Aldo Moro

OTTAVA E ULTIMA PARTE:


Alla luce del memoriale ritrovato nel 1990 a Milano, nel covo di Via Montenevoso, e dello studio compiuto da Biscione [agli atti processuali], sappiamo che non era certamente così. Esaminando in dettaglio le dichiarazioni contraddittorie rese dai brigatisti su questo specifico punto si giunge alla conclusione che, con molta furbizia, alcuni di loro possono aver mantenuto segreti il memoriale ed il suo contenuto per poi usarlo come merce di scambio quando se ne fosse presentata la necessità nell'ambito di una futura trattativa in campo giudiziario. Ed il trattamento carcerario riservato ad alcuni di loro dal 1987 in poi (ad esempio a Mario Moretti e Barbara Balzerani) avvalorava questa ipotesi: per quanto non sia poco il tempo che hanno passato in prigione, si deve convenire che è molto poco rispetto a quanto avrebbero dovuto effettivamente trascorrere. Salta agli occhi per esempio la differenza tra un Moretti che si è fatto a malapena 20 anni di carcere essendo condannato a più ergastoli per vari reati di sangue, ed un Franceschini che si è fatto poco meno pur non avendo mai sparato un solo colpo di pistola. Forse la differenza l'hanno fatta proprio quei segreti sul caso Moro che Moretti, tacendo, ha posto a suo favore sul piatto della "bilancia giudiziaria" ? Come non sottolineare poi la mancanza delle registrazioni degli interrogatori di Moro. I nastri registrati - che avrebbero fatto conoscere meglio l'andamento dei colloqui e lo sviluppo delle strategia posta in essere da Moro - non si sono mai trovati; i brigatisti affermano di aver distrutto il tutto per motivi di sicurezza, ma questa affermazione appare assai poco credibile. Poiché si da per acquisito che ad interrogare lo statista DC fu Moretti, e poiché Moretti si era già esposto, bruciandosi, con la lunga telefonata fatta alla famiglia del sequestrato, non ha alcun senso nascondere la voce dell'interrogante per impedirne una eventuale identificazione, a meno che gli interrogatori non siano stati fatti da una persona del tutto diversa (ancora sconosciuta ed importante, dunque da proteggere) dai brigatisti finora noti. La presenza insistente della malavita, impegnata a gestire il sequestro di Aldo Moro rivestendo il duplice ruolo di fiancheggiatore dello "Stato sotterraneo" (che lo voleva morto) e dei brigatisti rossi che non sapevano più cosa fare, può essere provata dal comunicato n°7 del 20 aprile 1978 che " appare allo stesso tempo - scrive Biscione - l'ultimo della prima serie ed il primo della seconda... - perché - [...] iniziava da parte delle Brigate rosse l'offensiva sulla trattativa: il rilascio del prigioniero Aldo Moro può essere preso in considerazione solo in relazione alla liberazione dei prigionieri comunisti. La DC dia risposta chiara e definitiva se intende percorrere questa strada; deve essere chiaro che non ce ne sono altre disponibili; seguiva l'ultimatum: 24 ore di tempo per una risposta a partire dalle ore 15 del 20 aprile ". Erano passati solo due giorni dal comunicato del lago della Duchessa, redatto da Toni Chichiarelli ed ispirato, scrivono gli stessi brigatisti su indicazione di Aldo Moro " da Andreotti ed i suoi complici ", ed i carcerieri del presidente della Democrazia cristiana abbandonano l'alta politica e passano al concreto : " Il comunicato n°7 è anche il primo - rileva Biscione - che non porta in chiusura lo slogan consueto "portare l'attacco allo Stato imperialista", ma "libertà per tutti i comunisti imprigionati" ". Un segnale preciso a quanti in carcere attendevano che si realizzasse lo scopo primario dell'operazione Moro: la liberazione dei detenuti ed allo stesso tempo un modo per tenere buoni i membri del nucleo storico. Dunque la minaccia venne recepita da Moretti, il quale rivolse anch'egli un messaggio rassicurante ai detenuti, non solo comunisti ma anche malavitosi. Avevano - ed in questo ha probabilmente ragione Biscione - indubbiamente compreso, insieme al resto, l'ordine di uccidere Aldo Moro, ma sottolineavano l'inutilità del gesto se questo fosse stato eseguito senza avere ottenuto almeno la scarcerazione dei detenuti, divenuta l'obiettivo primario di un sequestro che aveva invece prodotto, sul piano politico, frutti eccezionali come la confessione del presidente della Democrazia cristiana su fatti e misfatti del sistema di potere italiano. Considerato però che di questa confessione i brigatisti non avrebbero mai potuto fare uso, ed avendo pubblicamente annunciato questa loro rinuncia, la scarcerazione di un numero ragionevole di detenuti avrebbe permesso loro di salvare le apparenze e di riportare un simulacro di vittoria restituendo vivo Aldo Moro. Da qui la cancellazione, in tutta fretta, dello slogan " portare l'attacco al cuore dello Stato imperialista " con l'unico che potesse avere un significato per coloro che stavano in galera, " libertà per tutti i comunisti imprigionati ". Così nel comunicato n°8 le Br chiesero la liberazione di 13 detenuti, in questo modo venne segnata, definitivamente, la sorte di Aldo Moro, e per motivi opposti a quelli che gli storici ufficiali ritengono. Questi ultimi, difatti, sono convinti che " l'insostenibile richiesta dello scambio tredici contro uno, rendeva ancor più fioca la voce già flebile e minoritaria dei sostenitori della trattativa. Che il significato del comunicato n°8 fosse l'attestazione di una posizione nuova che, contrariamente a varie ragionevoli aspettative, manifestava che si stava andando verso l'esecuzione dell'ostaggio fu dunque - conclude Biscione - una considerazione abbastanza diffusa ". Secondo i calcoli dei brigatisti, fissando in tredici il numero dei liberandi, davano prova di quella ragionevolezza che li avrebbe condotti a condurre, finalmente, una trattativa riservata e diretta con la Democrazia cristiana per poi stabilire con Piazza del Gesù un accordo di cui solo una parte avrebbe avuto pubblicità; l'altra parte avrebbe dovuto rimanere segreta, uno di quegli scambi "all'italiana" destinati ad essere taciuti per sempre da entrambe le parti. Qualcuno potrebbe essere indotto a pensare che quella compiuta da Mario Moretti e dai suoi compagni (la richiesta di uno scambio 13 ad 1) sia stata una mossa per chiudere ogni possibilità ad ogni altra probabile trattativa e, quindi, poter procedere all'esecuzione di Aldo Moro scaricandone ogni responsabilità sulla Democrazia cristiana. Così probabilmente non fu, e per convincersene è sufficiente riascoltare la telefonata che, con totale e stupefacente imprudenza, un Mario Moretti al colmo dell'agitazione nervosa, fece a casa della famiglia Moro il 30 Aprile 1978: " Solo un intervento diretto, immediato, chiarificatore e preciso di Zaccagnini può modificare la situazione " dice Mario Moretti che usa un tono giustificatorio " sa, una condanna a morte non è una cosa sulla quale si possa prendere alla leggera [...]". "Non possiamo fare altrimenti...", conclude un Moretti che appare nella posizione di chi subisce una decisione, non l'assume e tanto meno la impone. Egli si rivolse alla famiglia forse perché credeva che Eleonora Moro potesse contare qualcosa, dimostrò di essere informato sui movimenti che i congiunti del presidente avevano fatto, a riprova che riteneva la "carta umanitaria" essenziale, perché era l'ultima cosa che gli è rimasta in mano essendo stato costretto a rinunciare all'altra, la più importante, quella decisiva: le rivelazioni di Moro su uomini e fatti. L'ultimo tentativo lo fece, per loro conto, Daniele Pifano che incontrò il rappresentante del Procuratore generale Pietro Pascalino, il sostituto procuratore Claudio Vitalone, e gli propose lo scambio di uno contro uno, un detenuto magari malato contro Aldo Moro e, ricevuto un rifiuto, ripiegò sul suggerimento della "soppressione delle norme restrittive dei colloqui dei carcerati con i familiari". Ma ormai la questione Moro era irrimediabilmente arrivata al capolinea. Lo "Stato parallelo" non si era esposto in prima persona ma aveva fatto ricorso ad un altro tipo di "occasionali alleati", la spietata Banda della Magliana cui Tony Chichiarelli era legato. Ciò venne confermato anche dall'on. Benito Cazora, recentemente scomparso: " ...recentemente - scriveva Luigi Cipriani - il senatore Cazora ha confermato al magistrato romano che sta indagando sulle trattative condotte durante il sequestro Moro, che si ebbe coscienza del fatto che il presidente della DC fosse "custodito" dalla Banda della Magliana ". L'ex parlamentare di Democrazia proletaria poté così legittimamente avere una ulteriore e definitiva conferma della sua tesi e di quanto aveva dichiarato il 14 settembre 1978 al quotidiano Repubblica il senatore democristiano Giovaniello, molto vicino ad Aldo Moro ed alla sua famiglia: " Quando sapemmo che Moro stava per essere affidato a criminali comuni per il terribile atto conclusivo, facemmo le cose più impensabili per arrivare prima degli altri, ma senza fortuna ". Nel sequestro di Aldo Moro fu dunque un livello di potere occulto, e non Mario Moretti ed i suoi compagni, a stabilire tempi e modalità della prigionia e, infine, della sua morte. Lo stesso Stato che Aldo Moro conosceva come debole, insicuro, pronto a compromessi di ogni sorta, aveva improvvisamente risposto con una fermezza ed una decisione fino ad allora sconosciute; il destino dello statista DC era segnato, questo lui lo capì bene, come traspare evidente dalle sue ultime lettere, pesantissime quanto profetiche nei confronti di un partito - la DC - che pensava di conoscere come nessun altro. Durante il sequestro era accaduto qualcos'altro di molto, troppo, pericoloso: Aldo Moro stava parlando di tutto e tutti: delle trattative segrete per la nascita del centro-sinistra, del tentativo di golpe di De Lorenzo, della strage di P.zza Fontana, del ruolo della DC nella strategia della tensione, della riforma dei servizi segreti, dell'affare "Lockeed", dei piani anti-guerriglia previsti per il nostro paese dalla NATO, del sistema di potere e di sostentamento economico del colosso democristiano. Il rischio che queste verità venissero alla luce in quegli anni era veramente pesante, un rischio troppo elevato per i sostenitori e gli oltranzisti dell'alleanza atlantica, gli unici effettivi artefici della politica interna italiana. Fu così, il presidente della Democrazia cristiana si ritrovò schiacciato dalla forza delle due superpotenze, dei loro alleati e dalle loro reciproche paure, ansie dalle quali vennero liberate dalle "ignare" Brigate rosse proprio con il sequestro. " L'agguato di via Fani, l'eccidio della scorta ed il sequestro dell'onorevole Moro, lo scenario tragico dei luoghi della strage appena consumata, la rivendicazione e i successivi comunicati delle Br, la prigionia di Moro in un luogo sconosciuto e il processo cui questi veniva sottoposto, gli appelli sempre più pressanti e drammatici dell'ostaggio, il disconoscimento ufficiale della loro "autenticità", il rifiuto della trattativa, la sterile polemica che si aprì tra i fautori di questa e i sostenitori della fermezza, l'immane mobilitazione dell'apparato istituzionale di sicurezza, l'avvitarsi della vicenda verso il suo tragico epilogo, il macabro rinvenimento della salma di Moro in un luogo centrale della capitale dello Stato, equidistante dalle sedi dei due maggiori partiti presenti in Parlamento, le dimissioni del Ministro dell'Interno: queste furono le tessere che composero il mosaico visibile degli eventi, dove il delitto Moro, valutato come fatto storico, apparve come il momento di maggiore intensità offensiva del partito armato e, specularmente, come il momento in cui lo Stato si rivelò più impotente nel dare risposta appena adeguata all'aggressione eversiva ". Questo il parere espresso dalla Commissione Stragi durante l'ultima legislatura, un giudizio che pur non apparendo del tutto asettico, certamente non si lascia andare a nessun tipo di accusa diretta. E' esistito dunque (e, data la portata degli indizi, è proprio sotto gli occhi di tutti) un "lato oscuro", una sorta di mondo sotterraneo e parallelo a quello ufficiale che ha operato incessantemente sia lungo la vita delle Br, sia - e con maggiore visibilità ed incidenza - nei 55 giorni del rapimento di Aldo Moro. Anche la commissione parlamentare [della XII legislatura] sul caso Moro, pur con tutte le sue consuete e dovute cautele, è giunta ad affermare ad esempio che: " le nuove acquisizioni consentono di ritenere certo o almeno altamente probabile (come già affermato in alcune delle relazioni di minoranza della Commissione Moro, in particolare quella dell'onorevole Sciascia) il carattere intenzionale di almeno alcune delle omissioni, di almeno alcune delle inerzie che contribuirono al tragico epilogo della vicenda Moro ". O ancora che: "...inizialmente la criminalità organizzata si era attivata e sia stata attivata dall'esterno per favorire la liberazione di Moro: e che tale intervento si arrestò per valutazioni interne alla criminalità organizzata e per input esterni probabilmente coincidenti. Analogamente impressionante è la convergenza di indicazioni verso un intreccio fitto - e non ancora pienamente disvelato - di ambigui rapporti che legarono in ambito romano uomini di vertice delle organizzazioni mafiose e della criminalità locale al mondo di uno oscuro affarismo, ad esponenti politici, ad appartenenti alla Loggia P2, a settori istituzionali, in particolare dei servizi segreti ". Le Br che avevano progettato il sequestro di Aldo Moro con il ferreo convincimento che il mondo politico italiano avrebbe implorato pietà per la sua vita, si erano con ogni probabilità ritrovati nella condizione opposta: loro a cercare di salvare l'ostaggio ed il mondo politico - o almeno una parte di esso - a livello sotterraneo, a pretendere la sua morte senza condizioni. E con ogni probabilità quelle "15 gocce di Atropina", come citava un appunto rinvenuto in Via Gradoli e scritto da Mario Moretti, servirono alle Br per anestetizzare Moro e portarlo via dal covo prigione di Via Montalcini; forse proprio per consegnarlo alla Banda della Magliana. Sebbene - come sempre - manchino le prove per dimostrare che anche l'assassinio di Aldo Moro sia da far rientrare tra le interferenze attuate in Italia dal c.d. "oltranzismo atlantico", è certamente un dato di fatto che nel 1978, poco dopo l'assassinio di Aldo Moro, l'auspicato intervento del capitalismo occidentale e dei suoi investimenti avvenne massiccio. Le autorità monetarie consentirono a numerose banche Usa di aprire filiali nel nostro paese (Manifactures Hannover trust, Inrving trust Company, Wells fargo) con relativi sportelli (Security pacific). Alcune banche estere, tedesche americane e svizzere, dirottano i risparmi dei loro clienti verso la borsa di Milano. Tutti i titoli azionari - compresi quelli delle industrie decotte - subirono aumenti rilevanti: le Montedison salirono del 102%, le SNIA del 60,8%, Acqua marcia del 70,8%, Rinascente del 95,2%, le Fiat aumentarono del 40,5% superando per la prima volta le tremila lire. Un vero pompaggio di ottimismo nel capitalismo italiano, proprio nel momento in cui i governi di unità nazionale entravano in crisi e l'assassinio di Moro rimetteva in moto le forze della destra DC. Anche questa fu una semplice coincidenza ? Mino Pecorelli, già nell'ottobre del 1978, aveva scritto che il ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, sapeva tutto: " perché non ha fatto nulla ? [...] Il ministro non poteva decidere nulla su due piedi, doveva sentire più in alto. E qui sorge il rebus - ironizzava Pecorelli - quanto in alto ? magari sino alla loggia di Cristo in Paradiso?..." . A chi si riferiva il direttore di "OP" ? Manco a dirlo anche su questo punto le opinioni degli osservatori divergono: " non paiono esservi dubbi sul fatto - si affretta a scrivere Francesco Biscione - che la "loggia di Cristo in Paradiso" alla quale il ministro si sarebbe rivolto per avere lumi sul da farsi fosse la P2 ". Stefano Fratini -sul suo sito internet- afferma invece che " Mino Pecorelli si riferiva a quella che egli stesso definiva la "Loggia vaticana", una loggia massonica di cui possedeva un elenco di nomi di cardinali ed alti dignitari ecclesiastici, completo di numero di matricola e data di iniziazione (nel numero di "OP" del 12 settembre 1978 Pecorelli pubblicò un elenco di affiliati alla loggia vaticana fra i quali, per limitarci ad un esempio, compariva il nome del cardinale Sebastiano Baggio, indicato come "Seba, numero di matricola 85/2640 e data di iniziazione il 14 agosto 1957"). Loggia o non loggia, il riferimento alle gerarchie ecclesiastiche è trasparente; inequivocabile dunque il fatto che anche dal Sacro Soglio qualcuno impose ad un Papa forse troppo debole l'avallo alla condanna di Aldo Moro". Difficile dire chi abbia ragione; a far pendere la bilancia dalla parte delle tesi di Fratini stanno tuttavia alcune frasi scritte da Aldo Moro e presenti più di una volta tra le 93 lettere manoscritte ritrovate nel 1990 nel covo di via Monte Nevoso a Milano [mentre le Br ne fecero recapitare solo 30 durante il sequestro]. "La chiave è in Vaticano", scrisse infatti lo statista DC, e di nuovo: " il Papa ha fatto un pò pochino...". Concludo ancora con le parole dell'informatissimo Mino Pecorelli: "L'agguato di Via Fani porta il segno di un lucido superpotere. La cattura di Moro rappresenta una delle più grosse operazioni politiche compiute negli ultimi decenni in un paese industriale integrato nel sistema occidentale. L'obiettivo primario è senz'altro quello di allontanare il PCI dall'area di potere nel momento in cui si accinge all'ultimo balzo. Perchè è comunque interesse delle due superpotenze mondiali mortificare l'ascesa del PCI, cioè del leader dell'eurocomunismo, dl comunismo che aspira a diventare democratico e democraticamente governare un paese industriale. Ciò non è gradito agli americani [...] e ancor meno è gradito ai sovietici [...] Ancora una volta la logica di yalta è passata sulle teste delle potenze minori. e' Yalta che ha deciso Via Mario Fani". Teorie, illazioni, supposizioni, castelli accusatori privi di fondamenta per la loro quasi totalità direbbe un giurista. Tutta la ricostruzione della storia delle Br, come ho cercato di mostrare, è costellata da precise interferenze . Emerge limpida una sola verità: non si hanno certezze. La realtà è ancora là, tutta da dimostrare. E' vero, esiste - ed è alquanto palese - un preciso sentiero indicato dagli indizi che ho riscontrato, però le prove certe e documentabili permangono in numero troppo esiguo per poter emettere delle sentenze, per avvalorare una tesi in modo definitivo. L'avventura brigatista, ed in questo concordo con la Commissione Gualtieri, non può e non deve considerarsi ancora materia per gli storici, ciò almeno fino a quando i dati a nostra disposizione non consentiranno di colmare i diversi vuoti di conoscenza che riguardano l'azione delle Br e quella dello Stato (ma soprattutto di chi ha agito nel nome suo...). Dalla morte di Aldo Moro sono passati 25 anni, sono stati fatti cinque processi (ed un sesto è in preparazione), i cosiddetti 'anni di piombo' sono finiti, la classe politica che in quegli anni governava l'Italia è stata spazzata via dall'esplosione di quel fenomeno giudiziario passato alla storia come "tangentopoli", molti dei brigatisti che parteciparono all'"Operazione Friz" hanno dichiarato come conclusa ed irripetibile l'esperienza della lotta armata e delle Brigate rosse, eppure di tanto in tanto emergono nuovi fatti, prove non emerse prima d'ora, testimonianze sconosciute o sottovalutate che costringono di volta in volta gli studiosi a riscrivere la storia e la magistratura ad aprire nuove indagini. L'ultima sconvolgente novità è emersa recentemente grazie alle rivelazioni di Antonino Arconte, ex agente segreto (nome in codice G71 VO 155 M, cioè agente della struttura Gladio, anno addestramento 1971, Marina Militare, Volontario numero 155) appartenente alla "Seconda Centuria Lupi" della struttura Stay Behind. Lo stesso Arconte definisce la struttura di intelligent di cui faceva parte come 'Gladio delle Centurie', gruppo appartenente ad un servizio segreto di cui si ignorava perfino l'esistenza, il SIMM (Servizio Informazioni Marina Militare) che aveva compiti operativi solo all'estero. Uomini super-addestrati che si muovevano all'interno delle strategie della Nato ed in linea con modelli operativi ispirati a quelli della CIA. Analizzando il racconto di Arconte, emerge come la 'Gladio delle Centurie' fosse una struttura ben diversa da quella 'Gladio' la cui esistenza venne svelata in Parlamento da Giulio Andreotti il 2 agosto 1990: non una rete di agenti ideata per fronteggiare una possibile invasione da parte delle truppe del Patto di Varsavia, ma una struttura informativa e operativa che agiva esclusivamente oltre confine, veri e propri reparti irregolari operanti fuori da quanto previsto dalla Costituzione e al di fuori della dipendenza dal Capo dello Stato, che, per l'Art. 87 della Costituzione, è il Capo delle Forze Armate.Arconte ha raccontato come i primi giorni di Marzo 1978 ricevette l'ordine di partire per una missione in Medio Oriente con il compito di " ricevere da un nostro uomo a Beirut dei passaporti che avrei poi dovuto consegnare ad Alessandria D'Egitto. Dovevo poi aiutare alcune persone a fuggire dal Libano in fiamme. Ma c'era un livello più delicato e più segreto in quella missione. Dovevo consegnare un plico a un nostro uomo a Beirut ". Si imbarcò così il 6 Marzo dal porto di La Spezia sul mercantile 'Jumbo Emme'. A Beirut Arconte incontrò l'agente G-219 e una volta tornati sulla nave gli consegnò il plico; al suo interno vi era un foglio di carta azzurra firmato dal capitano di vascello Remo Malusardi della X Divisione "S.B." (Stay Behind) della direzione del personale del Ministero della Marina e conteneva un 'ordine a distruzione immediata'. Il documento porta la data del 2 marzo 1978, e cioè 14 giorni prima del rapimento dell'On. Moro e dell'uccisione della sua scorta, ed ordinava ai 'gladiatori' di prendere contatti con i movimenti di liberazione nel vicino Oriente, perché questi intervenissero sulle Brigate Rosse, ai fini della liberazione di Moro. Contravvenendo agli ordini l'agente G-219 non distrusse il foglio e lo conservò fino a quando, verso i primi di luglio del 1995, decise di consegnarlo proprio ad Arconte durante un incontro avvenuto ad Olbia. Mario Ferraro venne trovato impiccato a casa sua, a Roma, un mese dopo questo incontro. L'ordine a distruzione immediata, autenticato dal notaio Angozzi, di Oristano, è stato recentemente sottoposto ad una perizia per verificarne l'autenticità. La risposta del perito è stata: " Il documento di Arconte è compatibile con l'epoca dei documenti di raffronto ", quindi dimostra che ambienti dei sevizi segreti erano al corrente del sequestro Moro prima che avvenisse, e anziché dare l'allarme si predisponevano a iniziative legate allo scenario del dopo-sequestro. Il ministro della Difesa non ha risposto alle interpellanze parlamentari (una delle quali del senatore Giulio Andreotti) sulla vicenda, nonostante sia trascorso un anno dalla loro presentazione e nonostante ripetuti solleciti. Come dicono gli inglese "The story continues...". Ma fino a quando non si riuscirà a fare piena luce sui lati oscuri, finché continueranno ad esistere dubbi e ad emergere nuove verità sulla 'Prima Repubblica' questa continuerà a gettare un'ombra sul presente, e non ci potrà essere una vera transizione verso la "Seconda Repubblica".

Roberto Bartali

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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #2055 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
L'Assassinio di Caio Giulio Cesare

Quando i tiranni vengono ammazzati perche' amati dal popolo


Un altro esempio di storia piu' che nascosta occultata dietro l'apparente sete di giustizia e liberta',invece come leggeremo piu' avanti tratte da fonti storiche piu' che leggittime,piu' che giustiziare un tiranno fecero un atto infame.

LA MORTE DI GIULIO CESARE
 
Alle Idi di marzo del 44 a.C. Giulio Cesare venne ucciso durante una seduta del Senato di Roma.
Fu assassinato dai nemici a cui aveva concesso la sua clemenza, dagli amici a cui aveva concesso onori e gloria, da coloro che aveva nominato eredi nel suo testamento.
Il popolo di Roma lo pianse.
Di Cesare fu scritto:
"Così egli operò e creò, come mai nessun altro mortale prima e dopo di lui, e come operatore e creatore Cesare vive ancora, dopo tanti secoli, nel pensiero delle nazioni, il primo e veramente unico imperatore" (Th. Mommsen, Storia di Roma antica - Libro V - Cap. XI)
 
Località: Roma
Epoca: Idi di marzo - 44 a.C.

GLI EVENTI
I congiurati
Presero parte alla congiura più di 60 persone. A capo ne erano gli ex-pompeiani Caio Cassio, praetor peregrinus, e Marco Bruto, praetor urbanus. Alla congiura aderirono anche alcuni cesariani, tra cui Decimo Bruto, console designato per l'anno seguente, e Trebonio, uno dei migliori generali di Cesare destinato al consolato nel 42.
Cassio era il promotore e il vero capo della congiura. Marco Bruto aderì poco prima dell'assassinio, dando una parvenza di nobiltà all'azione. Infatti Marco Bruto era considerato un filosofo stoico, al di sopra degli interessi venali personali o di classe, benché facesse l'usuraio.
Il luogo e la data
I congiurati furono a lungo incerti se trucidarlo in Campo Marzio mentre faceva l'appello delle tribù in occasione delle votazioni, oppure se aggredirlo sulla via Sacra o all'ingresso del teatro.
Ma quando il Senato venne convocato per le Idi di marzo (15 marzo del 44 a.C.) nella Curia di Pompeo, preferirono quel tempo e quel luogo.
I congiurati portarono in Senato delle casse con le armi, facendo finta che fossero documenti.
Inoltre appostarono un gran numero di gladiatori nel teatro di Pompeo, a poca distanza dalla Curia.
Le Idi di marzo - A casa di Cesare
Il giorno delle Idi Cesare non si sentiva bene. Calpurnia, sua moglie, aveva avuto dei tristi presentimenti e lo scongiurava di non andare in Senato. Gli indovini avevano fatto dei sacrifici e l'esito era stato sfavorevole. Cesare pensò di mandare Marco Antonio ad annullare la seduta del Senato.
Allora i congiurati inviarono Decimo Bruto ad esortare Cesare a presentarsi in Senato perchè i senatori erano già da tempo arrivati e lo stavano aspettando. Annullare la seduta a quel punto sarebbe stata un'offesa per i magistrati.
Cesare credette a Decimo Bruto, all'amico fedelissimo, addirittura nominato suo secondo erede nel testamento.
Le Idi marzo - In Senato
Verso l'ora quinta, circa le undici del mattino, Cesare si mise in cammino. Effettuò le pratiche religiose previste ed entrò nella Curia. Il console Marco Antonio rimase fuori trattenuto da Trebonio.
Cesare era senza la guardia del corpo di soldati ispanici perchè poco tempo prima aveva deciso di abolirla. Solo senatori e cavalieri erano i suoi accompagnatori.
Appena si fu seduto, i congiurati lo attorniarono come volessero rendergli onore.
Cimbro Tillio prese a perorare una sua causa. Cesare fece il gesto di allontanarlo per rinviare la discussione. Allora Tillio lo afferrò per la toga. Era il segnale convenuto per l'assassinio.
Publio Servilio Casca colpì Cesare alla gola. Cesare reagì, afferrò il braccio di Casca e lo trapassò con lo stilo. Tentò di alzarsi in piedi, ma venne colpito un'altra volta.
Cesare vide i pugnali avvicinarsi da ogni parte. Allora si coprì la testa con la toga e con la mano sinistra la distese fino ai piedi. Voleva che la morte lo cogliesse dignitosamente coperto.
Ricevette 23 ferite. Solo al primo colpo si era lamentato. Poi solo silenzio.
Cadde a terra esanime. I senatori fuggirono in preda al panico. Rimasero solo i congiurati.
Tre schiavi deposero il cadavere su di una lettiga e lo riportarono a casa.
Cesare aveva 56 anni.
La vigilia delle Idi, discutendo su quale fosse la morte migliore, aveva detto a Marco Lepido "Ad ogni altra ne preferisco una rapida ed improvvisa". E così era stato.
Le Idi di marzo - Dopo l'assassinio
Inutilmente Bruto cercò di fermare i senatori terrorizzati.
Antonio sfuggì alla morte perché Bruto fermò Cassio intenzionato a far fuori anche il console.
I congiurati, snudando i pugnali insanguinati, si riversarono nel Foro inneggiando alla libertà e a Cicerone.
La notizia della morte di Cesare si sparse per Roma. I negozi vennero chiusi. Le strade divennero deserte.
La gente si chiuse in casa.
A sera, nonostante i tentativi di Bruto, la calma non era ritornata in città e i congiurati decisero di ritirarsi in posizione sicura sul Campidoglio. Alcuni, che non avevano preso parte alla congiura, decisero di unirsi agli assassini sperando di averne vantaggio. Gaio Ottavio e Lentulo Spintere furono tra questi.
Il 16 marzo
Durante la notte Lepido, magister equitum, ossia comandante della cavalleria, venuto a conoscenza di quanto era avvenuto occupò il Foro con i soldati e all'alba parlò al popolo contro gli assassini, che rimanevano rinchiusi sul Campidoglio.
Il console Marco Antonio, che era per poco sfuggito alla morte e aveva trascorso la notte travestito da schiavo, saputo che Lepido aveva preso il controllo della situazione, convocò il Senato nel tempio della dea Tellus.
Alla riunione partecipò anche Cicerone, la cui presenza durante l'assassinio è invece molto dubbia. Si dice che non fosse stato nemmeno informato dai congiurati perché ritenuto non molto affidabile. L'oratore, alla notizia della morte di Cesare, aveva scritto a Minucio Basilo, uno dei congiurati: "Tibi gratulor, mihi gaudeo", ossia "Mi congratulo. Io sono felice". E un mese dopo, il 27 aprile del 44, scriverà ad Attico di: "gioia assaporata con gli occhi, per la giusta morte del tiranno".
In Senato si raggiunse un compromesso tra le varie componenti. Marco Lepido avrebbe voluto sfruttare la forza di cui disponeva, ma Marco Antonio, privo di soldati, non intendeva lasciare il potere a Lepido, per cui si accordò con gli ex-pompeiani.
Il Senato concesse l'amnistia agli assassini, decretò onoranze solenni per Cesare, confermò tutti i decreti e le nomine di Cesare, assegnò a Bruto e ai suoi incarichi prestigiosi fuori Roma.
Tuttavia i congiurati non si fidavano a scendere dal Campidoglio e chiesero in ostaggio il figlio di Lepido e il figlio di Antonio. Poi Bruto andò a cena da Lepido, di cui era parente e Cassio a cena da Antonio.
Il testamento di Cesare
Su richiesta del suocero Lucio Pisone, in casa del console Antonio, venne aperto il testamento di Cesare, scritto alle Idi di settembre del 45 nella sua villa sulla via Labicana e affidato in custodia alla Vestale Maggiore.
Eredi erano nominati i suoi tre pronipoti per parte delle sorelle: Caio Ottavio ereditava i tre quarti, Lucio Pinario e Quinto Pedio il quarto residuo. Caio Ottavio veniva adottato.
Tra i tutori venivano nominati molti di coloro che poi l'avrebbero ucciso. Decimo Bruto era indicato secondo erede, ossia sarebbe subentrato ad Ottavio qualora questi non fosse venuto in possesso dell'eredità.
Al popolo vennero lasciati i giardini intorno al Tevere e 300 sesterzi furono assegnati ad ogni cittadino romano.
I funerali
Davanti ai Rostri, nel Foro, fu costruita un'edicola dorata, che riprendeva le forme del tempio di Venere Genitrice. All'interno su di un trofeo venne esposta la toga insanguinata che Cesare indossava al momento dell'assassinio.
Su di un cataletto d'avorio coperto di porpora e d'oro, portato a spalla dai magistrati, venne portato il corpo di Cesare davanti ai Rostri e deposto all'interno dell'edicola.
Durante i ludi funerari furono cantati dei versi, tra cui: "E io ne avrei salvati tanti per conservare chi perdesse me?" (Pacuvio, Giudizio delle armi)
Antonio fece leggere il senatoconsulto con cui i senatori si erano impegnati per la salvezza di Cesare. Poi tenne il discorso funebre.
Si discusse se cremare il corpo nel tempio di Giove Capitolino o nella Curia di Pompeo. Ma improvvisamente due uomini, con la spada al fianco e armati di giavellotto, gettarono due ceri accesi sul cataletto.
Immediatamente il popolo alimentò il fuoco portanto fascine e distruggendo le tribune di legno che erano state innalzate per la cerimonia.
I veterani delle legioni gettarono nelle fiamme le loro armi, le matrone i loro gioielli, i musicisti e gli attori, che avevano rappresentato gli antenati del defunto, le vesti indossate per l'ultimo trionfo di Cesare.
Intorno al rogo si avvicendarono anche gli stranieri ed in particolare i Giudei riconoscenti verso Cesare, che li aveva liberati dall'oppressione di Pompeo.
Intanto il popolo aveva preso dei tizzoni ardenti e si era diretto verso le case di Bruto e di Cassio per incendiarle, ma venne bloccato dai soldati.
In seguito
La Curia dove era avvenuto l'assassinio venne murata.
Le Idi di marzo presero il nome del "Giorno del parricidio".
Venne proibito di convocare il Senato in quel giorno.
Nel Foro venne innalzata una colonna di marmo con la scritta "Parenti Patriae", al Padre della Patria.

I CONGIURATI

Marco Giuni
o Bruto era figlio di Marco Giunio Bruto, tribuno della plebe nell'83 a.C.
Nacque verso l'85 a.C. da Servilia, sorellastra di Catone Uticense, e venne adottato dallo zio Quintus Servilius Caepio.
Servilia era stata uno degli amori giovanili di Giulio Cesare e i rapporti tra i due si mantennero sempre abbastanza intimi. Non è certo se il vero padre di Bruto fosse proprio Cesare.
Bruto studiò in Grecia. Venne considerato un filosofo di tendenze stoiche.
Fu stimato da Cicerone, che gli dedicò tre opere (De finibus bonorum et malorum; Orator, un gruppo di Lettere).
Nel 53 fu questore di Appio Claudio in Cilicia.
Bruto prestava denaro ad usura, anche del 48 per cento quando il tasso normale era del 12, e non mancava di utilizzare i soldati romani per riavere indietro i denari prestati. Cicerone, divenuto governatore della Cilicia, si rifiutò di mandare i militari romani a riscuotere un debito contratto dalla città di Salamina a Cipro, nonostante le reiterate insistenze di Bruto, che tra l'altro aveva cercato di nascondersi dietro due prestanome (Marco Scapzio e Publio Matinio) ingannando lo stesso Cicerone.
Bruto non era insolito a gesti del genere. Quando Appio Claudio era governatore della Cilicia, prima di Cicerone, aveva potuto godere di ogni appoggio militare in quanto Appio era suo suocero. Infatti Bruto in prime nozze aveva sposato sua figlia.
Nella guerra civile tra Cesare e Pompeo fu sostenitore di Pompeo, nonostante questi nel 77 avesse fatto uccidere suo padre, nonostante si fosse arreso a Modena.
Dopo Farsalo (48 a.C.) venne perdonato da Cesare ed entrò a far parte del suo stato maggiore, abbandonando Pompeo in fuga verso l'Egitto.
Nel 46 divorziò dalla moglie Claudia, figlia di Appio Claudo, e sposò Porcia, figlia di Catone Uticense, che era stato acerrimo nemico di Cesare. Porcia fu l'unica donna a conoscenza della congiura.
Nel 46 ebbe il governo della Gallia Cisalpina.
Nel 44 fu nominato praetor urbanus da Cesare.
Alle Idi di marzo, mentre aspettava Cesare nella Curia, gli giunse la notizia che sua moglie Porcia stava morendo. Bruto mantenne la calma e decise di non andare a casa. In realtà Porcia era solo svenuta a causa di un attacco di ansia non avendo notizie del marito, ma questo Bruto non lo poteva sapere.
Dopo la morte di Cesare fu, insieme a Cassio, il capo della guerra contro Ottaviano e Antonio.
Nel 42 morì suicida a Filippi.
Cassio
Caio Cassio Longino (prima dell'85 - 42 a.C.) fu questore di Crasso nella spedizione contro i Parti nel 53 a.C. Dopo la sconfitta ebbe l'incarico di difendere la Siria.
Fu cognato di Bruto, avendo sposato la di lui sorella Iunia Tertia.
Nel 49 fu tribuno della plebe.
Fu dalla parte di Pompeo durante la guerra civile che oppose questi a Cesare.
Venne perdonato da Cesare dopo Farsalo (48 a.C.). Divenne praetor peregrinus.
Cesare gli aveva promesso il consolato entro tre anni.
Nel 42 morì suicida a Filippi, dove comandava l'ala sinistra dello schieramento dei congiurati. Cassio stava per essere sconfitto e non sapeva che all'ala destra Bruto stava vincendo.
Decimo Bruto
Decimo Giunio Bruto era figlio di Decimo Bruto, console nel 77 a.C. Venne adottato da Postumio Albino.
Poco più giovane di Marco Bruto partecipò alla guerra in Gallia. Molto stimato da Cesare, riportò la vittoria sulla tribù dei Veneti.
Cesare gli aveva affidato la Gallia Cisalpina e lo aveva designato console per l'anno seguente.
Nel suo testamento Cesare lo aveva dichiarato tutore di Ottaviano e suo erede.
Dopo l'assassinio di Cesare e la guerra di Modena si rifugiò nella Gallia Comata. Non essendo riuscito a trascinare dalla sua parte il governatore Planco, tentò di raggiungere la Macedonia per ricongiungersi con Bruto e Cassio. Ma venne catturato ed ucciso per ordine di Antonio.
Trebonio
Gaio Trebonio fu tribuno della plebe nel 55 a.C.
Luogotenente di Cesare in Gallia negli anni 55-50.
Nel 49 condusse l'assedio di Marsiglia.
Dopo l'uccisione di Cesare fu proconsole in Asia, dove morì ucciso da Dolabella.
Fu amico di Cicerone.

Riferimenti bibliografici:
 
Antichità classica
Garzanti
Caio Velleio Patercolo
Storia romana
Rizzoli
Canfora L.
Giulio Cesare - Il dittatore democratico
Laterza
Carcopino J.
Giulio Cesare
Rusconi
Cassio Dione
Storia romana
Rizzoli
Floro
Epitome di storia romana
Rusconi
Jehne M.
Giulio Cesare
Il Mulino
Mommsen Th.
Storia di Roma antica
Sansoni
Plutarco
Vite parallele
Mondadori
Scullard H. H.
Storia del mondo romano
Rizzoli
Svetonio
Vite dei Cesari
Rizzoli
 


P.S. E' BENE RICORDARE CHE AL PARI DI ALTRI IMPERATORI DELL'ANTICA ROMA GIULIO CESARE SI MACCHIO' DI GENOCIDIO NELLE GUERRE GALLICHE.

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Ultima Modifica 8 Anni 6 Mesi fa da Starburst.
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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #2114 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
Indagine sulle origini di Leonardo da Vinci: fu davvero un figlio illegittimo con madre araba?:question:


di Costanzo Gatta
"All’Università di Chieti, dopo tre anni di ricerche su oltre 200 impronte lasciate su 52 fogli leonardeschi è stata ricostruita, con sofisticate tecniche dattiloscopiche, l’impronta di un polpastrello del genio di Vinci, forse l’indice della mano sinistra. Il dermatoglifo rivela caratteristiche arabe, la struttura risulta tipica in due terzi della popolazione, per l’esattezza il 65%.
Stile aveva pubblicato in proposito due ampi servizi nel dicembre 2004, quando le ricerche erano agli inizi. “La trama dei polpastrelli - scrivevamo allora - avrebbe una tipologia orientale; ciò potrebbe confermare che la madre del pittore fosse una schiava venuta da lontano”.

Sangue arabo nelle vene di Caterina, madre di Leonardo? Da un pezzo lo si diceva, senza dar eccessivo credito alla storia. Ora c’è un motivo in più per tornare a parlare delle origini orientali di quella donna: non una contadinotta della campagna toscana ma una giovane levantina che avrebbe avuto una relazione con ser Pietro, il padre del futuro genio da Vinci.
Già molti anni fa si diceva che la mamma fosse una delle tante schiave che nel ’400 erano state portate, volenti o nolenti, a lavorare in Toscana: una poveraccia senza alcun diritto, senza un patronimico, forse appena convertita. Una serva chiamata come mille altre: Catharina.
Uno studioso toscano aveva frugato negli archivi per cercare contratti d’acquisto di schiavi. Voleva raccapezzarsi in questo mistero. Aveva ripercorso i vari flussi migratori ipotizzando che la donna fosse ebrea, circassa, araba. Negativi i risultati.
E così, ai tanti misteri della vita di Leonardo, si aggiunse anche questo della madre, la povera Caterina, con la quale il donnaiolo ser Pietro faceva bellamente all’amore, nonostante stesse per portare all’altare Albiera, figlia dell’Amadori, notaio.
La storia dice poco. Si sa solo che quando la serva fu mandata - secondo il costume dei paesi sulle colline toscane - a sgravarsi nel casale che ancora oggi esiste, era l’aprile del 1452. Una camera dal soffitto basso con pagliericcio, attaccata alla cucina col camino, poche nicchie nel muro per riporvi ramaiole, caldaie e il pennato: qui la giovane Catharina attese, assieme alla levatrice, che si rompessero le acque. Non era misteriosa la relazione del giovane ser Pietro, uno dei tanti borghesi di Vinci, la cui casata sfornava rampolli notabili che alternativamente venivano avviati alla carriera legale o alla vita ecclesiastica.
Per i casi della vita la nascita del genio venne messa - nero su bianco - da Antonio, il nonno. “Nachue (nacque) un mio nipote, figliuolo di ser Piero mio figliuolo, a dì 15 d'aprile (1452) in sabato a ore 3 di notte. Ebbe nome Lionardo…”.
Il resto si può immaginare: quattro soldi di dote per mandar via Caterina contenta e poi il battesimo, senza nemmeno la mamma. Lo sappiamo ancora dal nonno, che ebbe a registrare con precisione i presenti attorno a quel fonte di pietra, tuttora intatto. “Battizzollo Piero di Bartolomeo da Vinci, in presenza di Papino di Nanni, Meo di Torino, Pier di Malvolto, Monna Lisa di Domenico di Brettone”.
Insomma c’erano tutti: prete, testimoni e intimi. Mancava Caterina, che ritroveremo poi sposata a tale Antonio del Vacha, detto Accattabriga, soprannome che non prometteva nulla di buono. In gioventù doveva essere stato un soldataccio di ventura.
Nelle note del catasto di Vinci per l’anno 1457 si trova che nonno Antonio, di 85 anni, abitava nel popolo di Santa Croce, era marito di Lucia, di anni 64, e aveva per figli Francesco e Piero, d'anni 30, sposato ad Albiera, ventunenne. Convivente con loro era “Lionardo figliuolo di detto ser Piero non legiptimo nato di lui e della Chatarina, al presente donna d'Achattabriga di Piero del Vacca da Vinci, d'anni 5”.
Albera non poteva avere figli e Piero aveva accolto in casa l’illegittimo. Intanto Caterina lavorava con il marito un piccolo appezzamento di proprietà e i campi delle suore del convento di San Pier Martire.
Nonno Antonio morì novantaseienne, nel 1468, e negli atti catastali di Vinci Leonardo, che ha diciassette anni, risulta suo erede insieme con nonna Lucia, il padre Piero, la matrigna e gli zii Francesco e Alessandra. L’anno dopo, la famiglia del padre, divenuto notaio della Signoria fiorentina, e quella del fratello Francesco, che era iscritto nell'Arte della seta, erano in una casa di Firenze, abbattuta già nel Cinquecento, nell’attuale via dei Gondi.
Dell’Accattabriga si hanno invece notizie da un verbale di citazione durante un processo alla Curia vescovile di Pistoia. La data è il 26 settembre 1470, dopo i disordini verificatisi all’inizio del mese nella pieve di Santa Maria di Massa Piscatoria, nella palude di Fucecchio. Alcune persone, armate di lancia, capeggiate da due preti (uno della diocesi di Lucca, l’altro sotto la potestà del vescovo di Firenze) avevano disturbato la celebrazione durante la festa in onore della Madonna e interrotto la Messa. Antonio fu chiamato a testimoniare ma non si presentò.
Di Caterina si sa che fu donna prolifica, e da Accattabriga ebbe sicuramente almeno quattro femmine e un maschio. Rimasta sempre lontana da Leonardo, si ricongiungerà al figlio - pare certo - nel 1493 a Milano. E in una casa di Porta Vercellina, nel territorio della parrocchia dei Santi Nabore e Felice, morirà il 26 giugno 1494, dopo lunga malattia. Per le cure prima e poi per i funerali, Leonardo annotò le spese (eccessive per una servente, non certo per una madre): “Quattro chierici, cinque sotterratori, un medico, le candele…”.
Oggi Caterina ritorna in scena. A parlarci di lei sono le impronte digitali del figlio, quei polpastrelli che hanno creato uno sfumato magico, inimitabile. Evocano la donna, quelle ditate rimaste fra il cielo e il fogliame che fa da sfondo al ritratto di Ginevra Benci o su un disegno della Battaglia di Anghiari, fra i capelli di Cecilia Gallerani o sulle pagine dei Codici voltate con mani sporche.
Gli studi sulle impronte di Leonardo sono stati illustrati da Luigi Capasso, direttore dell'Istituto di antropologia e del Museo di storia delle scienze biomediche dell’Università di Chieti e Pescara, e da Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale di Vinci.
“Sulle pagine e sui dipinti di Leonardo - ha detto Capasso - possiamo trovare tantissime tracce, non necessariamente dell’epoca, come per esempio macchie, aloni e tracce biologiche. Il nostro primo compito è stato quello di distinguere le tracce sincroniche da quelle non sincroniche e ci siamo concentrati sulle macchie d’inchiostro, dato che è stato più semplice stabilire se la macchia derivava dallo stesso inchiostro usato per vergare le frasi”.
Proprio nelle macchie d'inchiostro sono state scoperte numerose impronte digitali, anche se parziali, che hanno portato alla ricostruzione di un intero polpastrello dell'artista.
“L'impronta - ha aggiunto Capasso - ha tra l’altro una struttura a vortice con diramazioni a y, dette triradio: tale tipologia di impronte è comune a circa il 65% della popolazione araba”.
“A questo punto - ha affermato Vezzosi - si rafforza l'ipotesi che la madre del genio fosse orientale: nello specifico, secondo i miei studi, una schiava."

www.stilearte.it/leonardo-darabia/


@Pyter
Mi è arrivato il libro di Magnani, sono circa alla centesima. Davvero niente male per il momento, lui ci sa fare alla grande, non credevo sarebbe stato così chiaro e scorrevole.
Spero soltanto che andando avanti non siano deluse le (notevoli) aspettative che crea nel lettore.
Grazie ancora!
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8 Anni 6 Mesi fa #2115 da polaris
Risposta da polaris al topic La storia nascosta
Giano

Mi è arrivato il libro di Magnani, sono circa alla centesima. Davvero niente male per il momento, lui ci sa fare alla grande, non credevo sarebbe stato così chiaro e scorrevole.

Arrivato all'ottantesima pagina ho smesso di leggerlo. Lo stile non è per nulla scorrevole e inoltre ci sono troppi nomi, date eccetera. In futuro lo ricomincerò.

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8 Anni 6 Mesi fa #2116 da incredulo
Risposta da incredulo al topic La storia nascosta
Giano

“L'impronta - ha aggiunto Capasso - ha tra l’altro una struttura a vortice con diramazioni a y, dette triradio: tale tipologia di impronte è comune a circa il 65% della popolazione araba”.
“A questo punto - ha affermato Vezzosi - si rafforza l'ipotesi che la madre del genio fosse orientale


E se fosse stata di origine Ebraica?

Comunque sia, araba o ebraica, questo spiegherebbe la stranezza del suo tipico modo speculare di scrivere, ovvero da destra verso sinistra, una caratteristica questa, che è tipica delle lingue semitiche. :wink:

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8 Anni 6 Mesi fa #2117 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta

polaris ha scritto: Giano

Mi è arrivato il libro di Magnani, sono circa alla centesima. Davvero niente male per il momento, lui ci sa fare alla grande, non credevo sarebbe stato così chiaro e scorrevole.

Arrivato all'ottantesima pagina ho smesso di leggerlo. Lo stile non è per nulla scorrevole e inoltre ci sono troppi nomi, date eccetera. In futuro lo ricomincerò.


Davvero? Pensa Polaris che ieri notte, arrivate le due, ho maledetto l' orologio perché dovevo abbandonare la lettura. Ti dirò di più: erano anni che non riuscivo a tenere così alta l' attenzione durante una lettura "in doping".
Trovo che riesca benissimo a descrivere la marea di personaggi senza mandarti in confusione, sono rimasto stupito proprio da questo: non sono un esperto di quel periodo storico ma non ho avuto nessuna difficoltà a seguire il filo del discorso.
Se proprio devo fare una critica la faccio non allo scrittore ma alla persona, presuntuosetto e un po' troppo enfatico sull' importanza delle sue ricerche (ma come dargli torto?).
(Anche un' altra: un libro del genere avrebbe meritato immagini decisamente migliori, soprattutto più grandi.)
Ritenta, magari non eri nello stato d' animo giusto!
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8 Anni 6 Mesi fa #2119 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta

incredulo ha scritto: Giano

“L'impronta - ha aggiunto Capasso - ha tra l’altro una struttura a vortice con diramazioni a y, dette triradio: tale tipologia di impronte è comune a circa il 65% della popolazione araba”.
“A questo punto - ha affermato Vezzosi - si rafforza l'ipotesi che la madre del genio fosse orientale


E se fosse stata di origine Ebraica?

Comunque sia, araba o ebraica, questo spiegherebbe la stranezza del suo tipico modo speculare di scrivere, ovvero da destra verso sinistra, una caratteristica questa, che è tipica delle lingue semitiche. :wink:


Ciao Incredulo, vero! Potrebbe solo essere una coincidenza, oppure no! All' epoca c' erano anche schiavi ebrei?

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8 Anni 6 Mesi fa #2120 da Shavo
Risposta da Shavo al topic La storia nascosta

polaris ha scritto: Giano

Mi è arrivato il libro di Magnani, sono circa alla centesima. Davvero niente male per il momento, lui ci sa fare alla grande, non credevo sarebbe stato così chiaro e scorrevole.

Arrivato all'ottantesima pagina ho smesso di leggerlo. Lo stile non è per nulla scorrevole e inoltre ci sono troppi nomi, date eccetera. In futuro lo ricomincerò.


Beh è necessario conoscere il contesto storico. Per me è stato un invito ad approfondire il Rinascimento, di pari passo alla lettura del libro. In tutta onestà probabilmente ho passato più tempo a informarmi sui fatti citati che sulle idee dell'autore. D'altronde questa ricerca parallela mi ha permesso di verificare certe sue intuizioni, alcune forse un po' tirate...certi richiami nei paesaggi io non li ho colti nel modo che voleva intendere. Anche riguardo la data incisa sul planisfero di Palazzo Besta..dalle foto non son riuscito a verificare quel che ha visto lui, ma mi son riproposto di visitare di persona il posto, magari in primavera.

Nonostante poche perplessità l'ho trovato un lavoro solido, coerente...e certe intuizioni geniali. Certo mi è già successo di prendere una cantonata gigantesca per colpa di un ricercatore indipendente...con la speranza di aver appreso dagli errori....


Una bellissima scoperta l'ho fatta ricercando le immagini di una certa villa, che Magnani nomina soltanto...non voglio linkare la fotografia per non rovinarvi il piacere. E questa villa, che resta immortalata nei secoli dei secoli, che in data odierna risulta in vendita per chi solo disponesse della misera somma di 5.000.000 €... è la prima volta che mi pesa non essere un milionario.
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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #2121 da incredulo
Risposta da incredulo al topic La storia nascosta
Giano

Ciao Incredulo, vero! Potrebbe solo essere una coincidenza, oppure no! All' epoca c' erano anche schiavi ebrei?


In quel periodo storico vi fu la persecuzione degli Ebrei sefarditi in Spagna, costretti alla conversione al Cristianesimo.

Molti Ebrei si convertirono solo esternamente al Cristianesimo ma rimasero fedeli all'Ebraismo.

Qui ti puoi fare un'idea più precisa.

Anche il Fondatore dell'ordine dei Gesuiti, Ignazio di Loyola era uno di loro.

Molti Ebrei sefarditi si imbarcarono come schiavi con Colombo, erano un terzo dell'equipaggio.

Non so se sia il caso della schiava che viveva con il padre di Leonardo, ma è indubbio che in quel periodo gli Ebrei sefarditi erano perseguitati e resi schiavi da Portogallo e Spagna. :wave:

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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #2122 da Maksi
Risposta da Maksi al topic La storia nascosta

"All’Università di Chieti, dopo tre anni di ricerche su oltre 200 impronte lasciate su 52 fogli leonardeschi è stata ricostruita, con sofisticate tecniche dattiloscopiche, l’impronta di un polpastrello del genio di Vinci, forse l’indice della mano sinistra. Il dermatoglifo rivela caratteristiche arabe, la struttura risulta tipica in due terzi della popolazione, per l’esattezza il 65%.


Addirittura si riesce a trovare l'origine (sub)razziale di un personaggio vissuto mezzo millenio fa, grazie all'impronta di un polpastrello... pero' le razze non esistono! :ok:

E se fosse stata di origine Ebraica?


Puo' essere. Ma "caratteristiche arabe" significa tipologia fenotipica sub-razziale. Non potevano dire ebraica, perche' tipologia ebraica (tranne il naso :hammer: ) non ha particolarmente senso.

Loro (gli ebrei) piu' che schiavizzati erano cacciati. Furono invece dei grandi commercianti di schiavi (come anche arabi).
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8 Anni 6 Mesi fa #2125 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
@Shavo
Ciao Shavo, anche io ho avuto alcune difficoltà soprattutto nell' identificare alcune aree geografiche che l' autore vede come fossero chiarissime in alcuni dipinti ma non mi sono soffermato più di tanto (conto di dare uno sguardo più approfondito quando avrò a disposizione delle immagini migliori), prima voglio capire dove di preciso mi sta portando col racconto. Poi ci sta che alcune intuizioni siano forzate, se fossero così palesi non avremmo dovuto aspettare Magnani per venirne a conoscenza.
Mi piace, qualcosa di nuovo finalmente. Poi se è tutta speculazione pazienza; come dici tu, alla peggio ha dato una mano e uno stimolo ad approfondire quel periodo storico. Ciao!

@Incredulo
Grazie, dubbio chiarito.
Oso ipotizzare che se ci fosse stato anche un minimo appiglio, gli amici ebrei non si sarebbero fatti sfuggire l' occasione di "appropriarsene". Sai com'è!


@Maksi
Ciao Maksi. Non perdi occasione eh? :wink:
Scherzi a parte, se hai informazioni interessanti condividile pure, basta che non le "condisci" troppo! :goof:

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8 Anni 6 Mesi fa #2126 da Maksi
Risposta da Maksi al topic La storia nascosta

@Maksi
Ciao Maksi. Non perdi occasione eh? :wink:
Scherzi a parte, se hai informazioni interessanti condividile pure, basta che non le "condisci" troppo! :goof:


Mai domo :pint:

@Incredulo
Grazie, dubbio chiarito.
Oso ipotizzare che se ci fosse stato anche un minimo appiglio, gli amici ebrei non si sarebbero fatti sfuggire l' occasione di "appropriarsene". Sai com'è!

Anche questo e' vero. In compenso pero' l'hanno fatto diventaro gaio :laugh:

Dipende poi cosa intendono per "caratteristiche arabe". Bisognerebbe sapere quanto tali caratteristiche siano presenti anche fra tipologie europidi. Gia' se sono il 40% cambierebbe molto la cosa. Non fosse mai che vogliono promuovore un pensiero tipicamente antirazzista di Leonardo figlio di una "profuga". :nono:

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8 Anni 6 Mesi fa #2129 da Pyter
Risposta da Pyter al topic La storia nascosta
Stanno girando molti testi su Leonardo in questo periodo e non tutti secondo me con l'intento di cercare il vero ma l'opposto.

Una cosa è certa: Leonardo era di illustri natali.Era un pezzo grosso (non nell'accezione moderna).
Le ipotesi più probabili sono due:
la madre si chiamava Catarina (non Caterina) di origini catare.

Quella di magnani è che fosse un Medici, parente stretto di Lorenzo il Magnifico.

Mi dispiace per lo spoiler, ma dopotutto ci sono conferenze in cui lo ribadisce.

Per quanto riguarda il resto, ovvio che il discorso di Magnani presume una conoscenza minima della storia rinascimentale e della pittura del periodo.
Se non ce l'avete, peggio per voi.
C'è tempo per rimediare.

Quanto allo stile, direi di lasciarlo perdere un attimo, e concentrarsi piuttosto sui contenuti.

Al limite gli mando un'email e gli chiedo di mandarmelo che l'editing glielo faccio io.

Come può l'acqua memoria serbare se dalle nuvole cade? (poeta del dugento)
Ci sposiamo sessiamo insieme sessista bene perché no (progetto anti gender 2016)

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8 Anni 6 Mesi fa #2131 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
Ciao Incredulo, rieccomi.
Stavo dando uno sguardo ai link che hai postato e ho notato uno sfasamento nelle date. Nel primo link, quello sui marrani, si può leggere che l' espulsione degli ebrei dalla Spagna (1492) e dal Portogallo (1497) sono posteriori alla nascita di Leonardo di almeno quarant' anni. Nel secondo link (pag. 171, colonna di sx.) oltre ad un incredibile "...si formarono nuove multinazionali che commerciavano schiavi. Tra queste: i commercianti di schiavi dei gesuiti di Loyola..." c'è la conferma che il reclutamento degli ebrei per l' equipaggio di Colombo fu effettuato in coincidenza con l' espulsione (1492 sottolineo l' ovvio).
Quindi, salvo che non ci fosse una tratta già in corso prima dell' espulsione, credo che la madre di Leonardo (ossia l' utero in affitto che lo generò :woa: ), anche ammettendo che fosse ebrea, non fosse di provenienza iberica.
Sono in errore?

@Pyter
Scrivi: "Stanno girando molti testi su Leonardo in questo periodo e non tutti secondo me con l'intento di cercare il vero ma l'opposto."

Ciao Pyter, credo che quando terminerò il libro (basta spoiler!:smash: ) tornerò su questa affermazione con una richiesta di approfondimento (chi cerca l' opposto e perché?).

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8 Anni 6 Mesi fa #2143 da incredulo
Risposta da incredulo al topic La storia nascosta
Giano

Ciao Incredulo, rieccomi.
Stavo dando uno sguardo ai link che hai postato e ho notato uno sfasamento nelle date. Nel primo link, quello sui marrani, si può leggere che l' espulsione degli ebrei dalla Spagna (1492) e dal Portogallo (1497) sono posteriori alla nascita di Leonardo di almeno quarant' anni. Nel secondo link (pag. 171, colonna di sx.) oltre ad un incredibile "...si formarono nuove multinazionali che commerciavano schiavi. Tra queste: i commercianti di schiavi dei gesuiti di Loyola..." c'è la conferma che il reclutamento degli ebrei per l' equipaggio di Colombo fu effettuato in coincidenza con l' espulsione (1492 sottolineo l' ovvio).
Quindi, salvo che non ci fosse una tratta già in corso prima dell' espulsione, credo che la madre di Leonardo (ossia l' utero in affitto che lo generò :woa: ), anche ammettendo che fosse ebrea, non fosse di provenienza iberica.
Sono in errore?


In realtà nel primo link c'è scritto che: "Le persecuzioni che devastarono la maggior parte delle comunità ebraiche di Castiglia e di Aragona ebbero inizio nel 1391. Le conversioni si contarono a decine di migliaia, migliaia di ebrei scelsero invece di morire per il Qiddush haShem, la santificazione del Nome. Il vento dell’apostasia riprese a soffiare forte negli anni 1413-14, in occasione della disputa di Tortosa."

Per cui le persecuzioni cominciano ben prima delle espulsioni a cui ti riferisci, può quindi essere possibile che qualche famiglia ebrea o araba, se ne sia andata prima dell'inizio del 1400.

Poi considera che la famiglia di Leonardo era una famiglia importante, la sua nascita fuori dal matrimonio non è dovuto ad un "utero in affitto" come scrivi tu, bensì ad una trombata extra del padre che ha portato alla sua nascita.

Era molto comune trombare le servette, o qualsiasi cosa che si muovesse, specialmente per le persone altolocate e benestanti senza doverne rendere conto a nessuno.

In realtà è un'abitudine diffusissima fra i ricconi anche ai giorni nostri.

Il Presidente Napolitano sembra che sia il figlio di Vittorio Emanuele, Luca di Montezemolo invece dell'Avv.Agnelli.

Qualcuno ipotizza che anche Hitler fosse un figlio illegittimo, il nonno (il padre del padre è ignoto) e anche lui sembra che non sia il figlio legittimo del padre conosciuto, ma questo non si saprà mai con certezza perchè Il Fhurer ha eliminato ogni riferimento alla sua genealogia distruggendo tutta la documentazione delle sue origini.

Sembra comunque che avesse sangue Ebraico nelle vene.

Dunque, Adolf Hitler aveva probabili origini ebraiche.
A suffragare le dicerie con prove “scientifiche” sono due ricercatori belgi, il giornalista Jen-Paul Mulders e lo storico Marc Vermeeren, i quali hanno analizzato il dna di 39 persone legate da parentela a Hitler, scoprendo la presenza dell’Aplogruppo Eib1b1.
Un cromosoma, questo, raro tra gli occidentali ma frequente nei gruppi ebraici askenaziti, cioè dell’Europa del’Est, e dei serfarditi, cioè della Spagna e del Nordafrica, nonché tra i berberi del Marocco, Al


Maksi sarà certamente più informato su questa questione.... :wink:

Ciao

Gesù Cristo è Verità. Io sono la Via, la Verità, la Vita

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8 Anni 6 Mesi fa #2145 da Mrexani
Risposta da Mrexani al topic La storia nascosta
Incredulo, non capisco :baby:

il giornalista Jen-Paul Mulders e lo storico Marc Vermeeren, i quali hanno analizzato il dna di 39 persone legate da parentela a Hitler, scoprendo la presenza dell’Aplogruppo Eib1b1

.

Se la questione è la dubbia linea paterna; a quali '' 39 persone legate da parentela'' ci si potrà mai riferire con un aplogruppo del cromosoma Y ?

Dei cinque figli della coppia, Adolf era il terzogenito e l'unico maschio ad aver raggiunto l'età adulta sano; infatti, i fratelli maggiori erano entrambi morti a due anni, Gustav (1885 – 1887) e Ida (1886 – 1888), il fratello minore, Edmund, sopravvisse fino ai sei anni (1894 – 1900). L'ultimogenita, Paula (1896 – 1960), aveva un modico grado di ritardo mentale. Nel 1906 Klara subì la mastectomia a causa dell'insorgenza di un carcinoma mammario, ma inutilmente, poiché morì l'anno dopo.(Wiki)

Forse gli zii? Eh eh ma se il padre di Adolf era figlio illegittimo?:angry:
Oppure i due ricercatori sono andati in Patagonia?

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8 Anni 6 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #2147 da incredulo
Risposta da incredulo al topic La storia nascosta
Mrexani

Incredulo, non capisco :baby:
Se la questione è la dubbia linea paterna; a quali '' 39 persone legate da parentela'' ci si potrà mai riferire con un aplogruppo del cromosoma Y ?


Ci si riferisce ai discendenti del Fhurer.

Sembra che i due autori dell'indagine abbiano individuato 39 discendenti di Hitler e abbiano poi fatto l'esame del DNA sulla loro saliva.

Io personalmente non mi sbilancio sulla questione, mi sembra dubbia comunque, anche perchè la questione è emersa incidentalmente mentre si parlava di figli illegittimi e non specificatamente delle presunte origini di Hitler.

Comunque questa pagina, oltre a fornire elementi più precisi sullo "studio" effettuato sul DNA, va anche oltre l'ipotesi dei due "studiosi" che lo hanno realizzato, qui si teorizza addirittura che Hitler fosse figlio illegittimo di un Rothschild, che lui quindi fosse un Rothschild.

Che Hitler avesse sangue ebreo nelle vene era voce da tempo circolante, con svariate e talvolta fantasiose ipotesi.
Ma ora sembra che sia la scienza a dimostrare, senza possibilità di confutazione, l’origine ebraica e forse anche nordafricana del Führer.
Lo dimostrerebbe l’analisi del Dna. A indagare sono stati due belgi, il giornalista Jean-Paul Mulders e lo storico Marc Vermeeren che, con somma pazienza hanno rintracciato ben 39 discendenti di Hitler (cosa non facile dato che tutti costoro cercano in ogni modo di nascondere l’imbarazzante parentela) dai quali hanno ottenuto altrettanti campioni di saliva.
Rigorose analisi di laboratorio - scrive l’inglese Daily Telegraph che riprende la notizia dalla rivista belga Knack - avrebbero rintracciato il cromosoma Aplogruppo Eib 1b1, rarissimo fra gli occidentali e comune invece fra gli ebrei ashkenaziti e sefarditi, nonché fra i berberi del Marocco, dell’Algeria e della Tunisia.
I risultati hanno ottenuto l’avallo della prestigiosa Università Cattolica di Lovanio.

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Ultima Modifica 8 Anni 6 Mesi fa da incredulo. Motivo: Corretto errori ortografici.

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8 Anni 6 Mesi fa #2167 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta

incredulo ha scritto:
In realtà nel primo link c'è scritto che: "Le persecuzioni che devastarono la maggior parte delle comunità ebraiche di Castiglia e di Aragona ebbero inizio nel 1391. Le conversioni si contarono a decine di migliaia, migliaia di ebrei scelsero invece di morire per il Qiddush haShem, la santificazione del Nome. Il vento dell’apostasia riprese a soffiare forte negli anni 1413-14, in occasione della disputa di Tortosa."

Per cui le persecuzioni cominciano ben prima delle espulsioni a cui ti riferisci, può quindi essere possibile che qualche famiglia ebrea o araba, se ne sia andata prima dell'inizio del 1400.


In realtà hai ragione, sono stato un po' frettoloso. Per dirla tutta, però, ancora mi sfugge il nesso tra la cacciata e l' essere ridotti in schiavitù.

Poi considera che la famiglia di Leonardo era una famiglia importante, la sua nascita fuori dal matrimonio non è dovuto ad un "utero in affitto" come scrivi tu, bensì ad una trombata extra del padre che ha portato alla sua nascita.


Ho voluto essere leggermente provocatorio, a mezza via tra la buona fede e non.
Ho letto che la moglie del padre di Lionardo non poteva avere figli e (credo sbagliando) ho ipotizzato che Caterina, la madre di L., la schiava, la contadina, l' araba, l' ebrea, o quello che era, potesse essere stata "usata" come una specie di Zilpa o Bila per Giacobbe, come Agar per Abramo, senza mettere in conto la possibilità che lei ser Piero abbiano consumato col solo obiettivo di consumare.

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8 Anni 6 Mesi fa #2169 da incredulo
Risposta da incredulo al topic La storia nascosta
Giano

In realtà hai ragione, sono stato un po' frettoloso. Per dirla tutta, però, ancora mi sfugge il nesso tra la cacciata e l' essere ridotti in schiavitù.


Possiamo solo fare delle ipotesi, non essendoci riferimenti certi.

Però non è impossibile pensare alla possibilità che famiglie arabe od ebraiche siano emigrate in Italia per evitare le persecuzioni in atto nella penisola iberica.

La schiavitù allora era una condizione diffusissima, molto più di quello che riusciamo ad immaginare noi oggi.

Tra le famiglie benestanti era consuetudine usare "schiavi" per espletare le faccende domestiche, quindi nascevano comunque rapporti umani di ogni tipo fra i componenti del nucleo familiare, un nucleo familiare che era assimilabile ad un tribù piuttosto che al concetto moderno di famiglia composta da pochi membri.

Inoltre era una consuetudine ridurre in schiavitù le persone, anche per i debiti non pagati dai genitori, debiti che costringevano i figli a lavorare gratis per i creditori.

In un tessuto sociale di questo tipo può essersi sviluppata la dinamica che ha portato alla nascita di Leonardo, un figlio illegittimo di una famiglia importante.

Per ora bisogna destreggiarsi fra ipotesi e certezze, ma ciò che resta chiaro, è comunque il fatto che Leonardo fu iniziato fin da giovanissimo ai misteri della Sophia detenuti dall'elìte e che lui stesso ne faceva parte.

Leonardo era invitato in tutte le corti reali dell'epoca come ospite illustre e di grande rilievo.

Anche oggi, come allora, illustri figli illegittimi occupano posizioni di rilievo nella società, il mondo segue sempre le stesse logiche.

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8 Anni 6 Mesi fa #2173 da Pyter
Risposta da Pyter al topic La storia nascosta
Luciana Littizzetto potrebbe essere figlia di Eugenio Scalfari.

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8 Anni 6 Mesi fa #2186 da Maksi
Risposta da Maksi al topic La storia nascosta
Haha... ogni tanto riappare la storia di Hitler ebreo. :sos:

In realta' l'aplogruppo Y E1b1b non e' ebreo, ma e' persente anche fra ebrei. La componente determinante e' la clade di appartenenza. La clade piu' scarsa in Europa e' E-M123:



Questa e' invece la clade piu' presente in Europa, la E-V13:



E' un discorso abastanza lungo. Sta di fatto che parliamo delle origini di piu' 15.000 anni fa, che non c'entrano assolutamente con la composizione demogarfica odierna di quelle regione. Per dire anche in Nigeria si trova l'aplogruppo indoeuropeo occidentale R1b, ma non significa che i Nigeriani siano indoeuropei. Il cromosoma Y e' solo un'impronta genetica, che e' molto utile per elaborare la storia delle popolazioni. Sempre poi, che abbiano fatto dei test seri sulla genealogia di Hitler. Riguardo al personaggio, dubito anche di questo.

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