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Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
4 Mesi 1 Giorno fa #54056
da Bastion
Risposta da Bastion al topic Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
ZOS KIA 4.0 – LA CHAOS MAGICK E L'ABISSO ELETTRONICO
Andrea Venanzoni
Sul finire degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, nel cuore di una Inghilterra in tumulto, stretta tre le proteste sociali contro la Thatcher e l’emersione di una controcultura sempre più radicale, prima il punk, poi la darkwave, infine l’industrial nelle sue molteplici sfumature, Austin Osman Spare e le sue dottrine acquistarono nuova popolarità.
Andrea Venanzoni
Sul finire degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, nel cuore di una Inghilterra in tumulto, stretta tre le proteste sociali contro la Thatcher e l’emersione di una controcultura sempre più radicale, prima il punk, poi la darkwave, infine l’industrial nelle sue molteplici sfumature, Austin Osman Spare e le sue dottrine acquistarono nuova popolarità.
Attenzione: Spoiler!
La sua personale visione del caos magico, il culto di Zos Kia, si resero organici alla visione artistica di scrittori come Clive Barker, il cui Hellraiser e i cui Libri di sangue riprendono alcune tematiche care a Spare, a quella del fumettista Alan Moore che ha sempre espresso in maniera esplicita il suo debito con lo stregone di Snow Hill, passando per le band Coil e Throbbing Gristle, per William S. Burroughs e Brion Gysin, i quali ripresero la famosa frase spareiana “Io spero di rimanere sempre Io sono Io”, tramutandola in “Io sono ciò che Sono”.
Non va dimenticato come il cut-up burroughsiano sia una tecnica di scrittura automatica e di sigillazione spareiana, in alcuni casi esercitato a mezzo di computer. Quando David Bowie, influenzato dai romanzi di Burroughs, iniziò a comporre il suo album Outside, lo fece ricorrendo al cut-up mediante un software, il Verbasizer, che aveva fatto appositamente realizzare da un suo conoscente di San Francisco. Anello di congiunzione tra magia del caos, narrativa sperimentale, eccessi artistici, underground, figure borderline e controverse come Charles Manson e interesse per il biomorfismo, la biomeccanica, le sostanze psicotrope, i cyborg, la figura di Genesis P-Orridge, mentore prima dei Throbbing Gristle, autentici “Wreckers of Civilization” e padrini della musica industrial e successivamente del Thee Temple ov Psychick Youth, organizzazione esoterico-controculturale e progetto musicale eso-psichedelico che avrebbe lasciato un segno enorme nella cultura underground mondiale. Lasciandosi alle spalle il limitato perimetro della realtà materiale, la teorizzazione spareiana iniziò a farsi largo nel cuore di silicio delle prime reti di comunicazione elettronica, soprattutto grazie alla originale rilettura che ne hanno fornito Lionel Snell, conosciuto con il nome magico di Ramsey Dukes, e Ray Sherwin e Peter J. Carroll che abbinarono fisica quantistica, informatica, sciamanesimo postmoderno, taoismo e frammenti assiomatici di Spare plasmando la “magia del caos”, all’inizio con una serie di articoli apparsi sulla rivista The New Equinox. Le vivide atmosfere evocate da Spare, l’idea del suo caos primigenio, l’indole anarchica e l’idea di una eterarchia esoterica e comunicativa divennero pane per i denti della emergente cultura hacker che proprio in quegli anni andava muovendo i primi passi. Un aspetto saliente della dottrina magica di Spare che diventerà essenziale nella magia del caos e nella cultura digitale punteggiata da meme e da elaborazioni semantiche iper-accelerate e cariche di energia sarà proprio la eterarchia esoterica, costituita dal sistema di una nuova sigillazione, radicalmente altra rispetto quella della magia medievale. Per Spare, il mago è un individuo che può collaborare con le proprie proiezioni interiori e con altri operatori ma sempre in chiave eterarchica e non gerarchica: ovvero non può fondersi comunitariamente con altri in un insieme istituzionale, ma può solo scambiare informazioni in chiave cooperativa e simmetrica. A differenza dei sigilli magici medievali e della elaborata, e complessa, cerimoniosità della magia evocativa basata su sistemi istituzionali e aggregativi, Spare utilizza frammenti di volizione dipinti e resi microscopici esempi di arte, ciascuno dei quali energeticamente caricato con la proiezione del proprio desiderio, in una dimensione squisitamente anarchica e libertaria dell’atto magico: una volta caricato il sigillo, insegna Spare, lo stesso deve essere superato, e distrutto, al fine di superare il desiderio stesso di volere, al fine di propiziarne l’accadimento. Questa tecnica, che consiste nel raggiungimento di un assoluto nulla, di un deliquio atarassico privo di qualunque manifestazione di volontà e che Spare definisce “postura della morte”, diventa ancora più potente nella manifestazione dell’atavismo risorgente, col quale Spare intende la connessione con lo spirito ferino e animalesco, primordiale, che viene risvegliato mediante la tecnica magica. Una teoria che presenta non secondarie affinità con il pensiero di Carl Gustav Jung e in cui la morte si rende davvero, come leggiamo nelle pagine di Earth Inferno, “tutto”. In questa prospettiva, se la figura di Crowley si stagliava lungo una linea di orizzonte della storia punteggiata dalle lingue di fiamma, demoniaca ma ancora ben salda nella dimensione del mago come consigliere occulto del principe e del gruppo magico come comunità gerarchica e istituzionale, con Spare questa connessione si spezza ed emerge un individuo che persegue solo la propria autorealizzazione empirica ed esoterica, secondo la scatenata e caotica invettiva dell’Anatema di Zos. Attorno alle distinte, radicalmente insanabili divergenze costitutive di questi due approcci magici, si edificheranno le fortune future della magia penetrata nei dispositivi di strutturazione della società digitale e della contemporaneità. Da un lato, una magia funzionale alla conquista e alla tenuta del potere, in un coacervo melmoso di logica pubblica, ragion di Stato, egomania e altissima velocità hi-tech, e dall’altro lato una magia del tutto caotica, insondabile, legata alle aree più remote e oscure della mente umana, senza alcun vincolo con i gruppi sociali, con la comunità, né tantomeno con lo Stato o con le classi governanti. Il meme e la formula dinamica di un attacco hacker saranno l’equivalente del sigillo spareiano, mentre l’utilizzo istituzionale della magia da parte del potere, come la sussunzione degli hacker nei dispositivi di sicurezza cibernetica statale, diventerà l’equivalente della cooptazione magica di Francis Drake e di John Dee da parte della Corona britannica. D’altronde, Kenneth Grant connette la sostanza del pensiero di Spare alla famosa asserzione di Howard P. Lovecraft sulle misteriose creature che hanno il loro essere “non nello spazio a noi noto, ma tra loro. Essi passano tranquilli e primordiali, senza dimensioni e per noi invisibili”. Una straordinaria, preveggente analogia con la Rete, le sue infinite connessioni e le identità virtuali che la popolano, traslandosi queste tra strati e stadi molteplici dell’essere. L’insegnamento spareiano sarà alla base di una nuova onda magica, priva di organizzazione e di gerarchie, strettamente individuale, con la paradossale eccezione del Patto magico de Gli Illuminati di Thanateros (IoT), unico caso di organizzazione internazionale di maghi del caos la cui gerarchia funzionale, però, non avrà analogia alcuna con quelle degli ordini magici storici. Come rammenta Bernd-Christian Otto, l’antigerarchia istituzionale del gruppo, forma di arcipelago anarco-federale, avrebbe determinato enormi e gravi discussioni tra i praticanti di Chaos Magick, che la consideravano comunque una gerarchia istituzionale e quindi una contraddizione in termini. In risposta a queste non banali obiezioni, IoT aveva istituito una figura iniziatica, quella dell’Insubordinatore, sorta di trickster antesignano, che avrebbe dovuto istituzionalmente seminare il caos, segnalare errori e consigliare il Magister del Consilium Magi, l’organo consultivo della costellazione di patti magici federati nello IoT stesso. L’organizzazione di IoT anticipò alcuni modelli che sarebbero stati sussunti nei dispositivi della cultura digitale: olocrazia, dinamiche collaborative, eterarchia funzionale, scambio connettivo e informativo, simbologia utilizzata per incidere sulla realtà, come nel caso del logo magico dello IoT, il cerchio nero con otto punte modellato sulla fisionomia del Banner of Chaos creato dallo scrittore dark fantasy Michael Moorcock. L’influenza culturale di IoT è stata assai rilevante, e si è esattamente collocata nel punto di intersezione tra alta tecnologia, arte e magia: della struttura hanno fatto parte William S. Burroughs, Robert Anton Wilson, Timothy Leary e le sue teorizzazioni hanno influenzato narratori, scienziati e musicisti. Figure come Peter J. Carroll, Ray Sherwin, Lionel Snell, Ralph Tegtmeier porranno le basi per una ibridazione organica tra caos magico e alta tecnologia. Tra tutte le varie ramificazioni del pensiero magico, non c’è dubbio alcuno infatti che la magia del caos sia quella più patentemente imparentata con la infrastruttura concettuale della scienza e della tecnologia. Lionel Snell, che per primo ha innervato nel dibattito magico i temi poi ripresi dalla Chaos Magick, nel suo seminale S.S.O.T.B.M.E.: an Essay on Magic, parte da una radicale lettura degli assiomi di Spare per combinare le sue teorizzazioni con elementi matematici e fisici. Snell, laureato in matematica pura a Cambridge, è stato anche il principale esponente del revival spareiano negli anni Settanta, commentando e pubblicizzando ampiamente le opere di Austin Osman Spare sulle pagine della rivista esoterica Agape Occult Review, tra il 1972 e il 1974. In termini di connessione tra esoterismo e scienza, non c’è dubbio alcuno sul fatto che la magia del caos sia stata profondamente ispirata dalla matematica del caos. Non è certo un mero caso che l’uscita dei primi libri che hanno codificato la magia del caos sia avvenuta un solo mese prima del Simposio organizzato dalla Accademia delle Scienze di New York sulla teoria del caos, che pochi anni prima, nel 1963, era stata formulata da Edward Norton Lorenz. Peter J. Carroll, il cui nome magico, Frater Stokastikos tradisce un pesante influsso fisico/matematico, è autore che nel Liber Null & Psychonaut ha ridefinito le coordinate concettuali della magia del caos. Nel successivo Liber Kaos, Carroll ha tentato di rileggere la stessa attraverso il prisma degli assunti della fisica quantistica, nella ipotesi generale di liberare la filosofia magica dalle scorie e dai residui trascendenti e di presentarla con il massimo travestimento razionale possibile. Una sorta di illuminismo in cui l’illuminazione non è più quella dei lumi della ragione ma la sfolgorante e caotica illuminazione dell’estasi e della conoscenza magica, raggiunta attraverso la “postura della morte” disegnata dai pixel, dai bit e dai diagrammi e attraverso la più feroce e dirompente iconoclastia. Sempre P.J. Carroll, in Psybermagick, interpola il testo con equazioni della fisica quantistica determinando l’evoluzione del potere magico come forma di veicolazione di una volontà interiore, combinandola con l’idea di uno spazio appunto fisico e con il senso profondo di micro-variazioni incidenti su microcosmo e macrocosmo. La magia del caos non è solo schiettamente individualistica, come sarà la cultura hacker, ma anche profondamente connessa all’esigenza di far accadere cose. La Chaos Magick è conosciuta anche come magia dei risultati, una dottrina misteriosa ma profondamente empirica e pragmatica: mago del Caos e pirata informatico sono connessi all’esigenza entropica e negentropica di generare una armonia fattuale mediante l’instaurazione del vortice del caos. La loro è una magia della prassi, una fenomenologia gnostica che connette l’elemento mentale con il caos dell’universo, le evocazioni degli elementali e la sigillazione con le teorie fisiche e matematiche, la cui risultante più innovativa è l’informatica: nell’informatica, il caos è un abisso nero traslucido dentro cui fluttuano dati e informazioni a disposizione solo di chi sappia maneggiare ed evocare con coscienza il senso reale di quei dati e di quelle informazioni. Il mago del caos, come il troll di Internet e il pirata che solcava i mari, è avvinto dall’unica preoccupazione della propria autodeificazione e dall’exit dalle spire del contingente: non è interessato a progetti evolutivi o sociali o politici, non è consigliere di altri che non siano sé stesso, non ambisce a colonizzare contro-realtà e universi paralleli che si riveleranno pura riproduzione ologrammatica del reale semplicemente sostituito dalle logiche grossolane dell’informatica pacificata di massa. È l’autoelevazione a rendere simili tra loro il mago del caos, lo sciamano, il pirata, l’informatico puro e l’hacker; ciascuno coltiva una dimensione di realizzazione del proprio ego e dei propri desideri, intersecando di volta in volta la traiettoria di altri soggetti a lui simili. La loro linfa vitale è l’informazione. Più informazioni ottengono e più riescono a razionalizzarne, maggiore sarà il loro potere. La storia della magia e la storia dell’informatica si intersecano infatti nella comune ricerca di un infinito accumulo di informazioni. Ma per non cadere preda di un dominio esterno alla sfera individuale, il pirata, l’hacker, il mago che decidano di non servire Paesi o governi o interessi altrui erigono sistemi che mediante il caos rendono non prevedibile e non lineare la loro condotta. È l’ambizione di ottenere il pieno controllo di sé attraverso la perdita del senso del controllo, capace di ingenerare il risultato più pratico tra tutti; consistere della realtà stringente del tutto, lontani dagli appetiti altrui. E in effetti, riviste come Kaos di Joel Biroco o il volume assai più recente di Phil Hine, Condensed Chaos, tradiscono tutti la radice concettuale del dover incidere con micro-variazioni sul senso profondo della realtà e del contingente, come farà la cultura digitale nel suo momento di massima espansione e di fagocitazione del mondo. Come aveva ricordato Giorgio Parisi, proprio nella fisica quantistica, come linguaggio e concetti, risiede un modo quasi magico di atteggiarsi della scienza. Le interconnessioni comunicative originano come forma di catarsi e di esorcismo tecnico per chiudere fuori dallo spazio vitale dell’uomo la paura dell’ignoto e soprattutto l’orrore nutrito nei confronti dell’inconoscibile: l’utilizzo di forze irrazionali, la vitalizzazione di energia oscura interiore, segue la medesima linea direttrice e metodologica degli insiemi sociali, dei sistemi, che si interconnettono per potenziare la loro forma, la loro massa, la loro consistenza e il proprio potere. La struttura sincronico-mistica, basata su accadimenti inconsci propiziati dalla volontà profonda, cioè inconscia, della Chaos Magick è del tutto speculare alla strutturazione della tecnologia informatica. Entrambe presuppongono e postulano una congiunzione di accadimenti propiziati da una volontà che trascende il desiderio: otteniamo qualcosa perché lo vogliamo talmente tanto da non volerlo più davvero. Perché, detto in altri termini, cessiamo di volerlo. Un pop-up suggeritoci da una accurata profilazione digitale ci porta a volere e acquistare qualcosa che non volevamo davvero ma che, senza dubbio, vogliamo, visto che lo acquistiamo. Non si tratta di manipolazione, se questo processo è vissuto in maniera cosciente e consapevole; in caso contrario, siamo davanti a una strategia di marketing psichico manipolatorio. Esatta differenza che intercorre tra magia del caos e magia istituzionale: la prima origina e finisce nel nostro macrocosmo, la seconda origina da un dato sistema per propiziarne il mantenimento ed è a noi esterna. Possono utilizzare medesimi schemi operativi, ma divergono per funzione e impulso di fondazione. È indubbio che la metodologia in sé, a parte le motivazioni sottese, può essere replicata tanto in uno scenario individuale quanto in uno istituzionale o di governo. A differire, è sempre la motivazione sottesa. Articolata, tendenzialmente, su quattro distinte linee guida di polarità energetiche o modelli, la magia del caos attaglia la propria forma, tanto mistica quanto informativa, alla evoluzione tecnologica. Nel primo modello, quello dello spirito, il mago similmente allo sciamano fa accadere cose comunicando le proprie intenzioni ai suoi spiriti aiutanti, siano essi animali o computerizzati. Nel secondo modello, quello dell’energia, il mago convoglia la propria forza interiore nella congiunzione tra Zos e Kia, tra ordine e disordine, tra realtà e virtualità, per far accadere cose. È quanto chiaramente avviene quando, tecnologicamente, utilizziamo i dati di altri soggetti per estrapolarne pattern di condotta che potremo influenzare, facendo accadere materialmente qualcosa o condizionando i processi decisionali di qualcuno. Nel terzo modello, quello psichico, il mago utilizza la propria forza subcosciente per evocare forze o spiriti e influenzare la realtà sensibile, ricongiungendosi alla propria vera essenza, seguendo la dinamica dell’atavismo risorgente spareiano, capace di materializzare gli spiriti interiori provenienti dalle aree più remote della nostra psiche. È la forma tecnologica dell’ologramma, replica strutturale che riproduce un non-originale e che diviene essenza virtuale e al tempo stesso reale, in quanto carica di informazioni e dati. E infine, il quarto modello, quello informativo, attraverso cui il mago trasmette informazioni a una matrice occulta che processerà il flusso informativo e lo utilizzerà per plasmare e modellare la realtà. Si pensi, in chiave tecnologica, alla realtà aumentata o all’Internet of Things. Questo ultimo modello è stato definito da Ralph Tegtmeier cybermagic ed è alla base dell’esperimento informatico elaborato da Anton Channing, Chaoshex: una matrice informatica di cyberstregoneria per connettere l’operatore magico, il sistema informatico e il meta-computer che plasmerebbe la realtà contingente del mondo. L’ambizione della Chaos Magick è quella di una strutturazione individuale dell’esercizio magico, un approccio do-it-yourself che sarà proprio anche della innovazione tecnologica: la sperimentazione da garage con circuiti di silicio, l’hacking, l’esplorazione del perimetro estremo del mondo virtuale, rispondono agli stessi impulsi della forma gnostica preconizzata dalla Chaos Magick. La ibridazione tra magia del caos, cibernetica e cyberpunk diventerà evidente in volumi come il Liber Cyber di Charles G. Brewster, nell’opera di Phil Hine o in quella di Joshua Madara, che elaborerà Technomancy 101, un autentico cyber-grimorio modellato attraverso la connessione tra virtuale e magia. La radice profonda della de-istituzionalizzazione magica propugnata dalla Chaos Magick, rifuggente da liturgie, dogmi e religioni, e pertanto anche da quelle forme magiche come Thelema viste al pari di religioni, è la elevazione a sistema gnostico dello sciamanesimo postmoderno. Una atarassia vacua e cosciente, in cui giungere a consistere dell’assoluto nulla e da raggiungere mediante tecniche sperimentali magiche di deprivazione sensoriale, di alterazione psichica, di eccitazione sessuale o sensoriale, di scatenamento disinibito che trascenda la limitazione sovrastrutturale etica. Il patto faustiano viene sostituito dalla connessione e dalla inesausta ricerca nelle pieghe ondose del mare digitale, dove ci si può perdere per sempre, travalicati e sommersi dall’information overload: conoscere davvero, in una zona azzurrognola e incandescente, è esercizio difficile, davvero da iniziati, perché si deve padroneggiare il proprio equilibrio, conoscere sé stessi e ciò che si sta cercando. Una cartografia magica disegnata punto dopo punto, nella costruzione di un mondo di silicio che si dipana fisicamente nelle Lan e nelle condutture della infrastruttura fisica e che dall’altro lato si irradia virtualmente, e metafisicamente, nella dimensione eterea della comunicazione digitale. Per raggiungere la salvezza attraverso la conoscenza, per vivere compiutamente il fondamento tecnognostico della tecnologia avanzata, diventa quindi necessario riscrivere il linguaggio. Julian Dibbell, nell’inquietante articolo “A Rape in Cyberspace or How an Evil Clown, a Haitian Trickster Spirit, Two Wizards, and a Cast of Dozens Turned a Database into a Society”, sottolinea come la difficoltà di utilizzo della tecnologia informatica abbia importato una distinzione gerarchica nei gradi di conoscenza e di expertise, spesso facendo leva su una concettuologia pre-moderna e preilluministica, e soprattutto su una alienazione digitale quasi magica, punteggiata di bambole voodoo, sigilli, violenza e alterazioni psichiche. La ragione illuministica stessa, momento di cesura tra il mondo sensibile moderno e il mondo magico, era comunque permeata da una forza oscura e magica testimoniata dall’adesione di molti suoi esponenti a ordini iniziatici. E tutta la storia della civilizzazione, manifestatasi prima di quella cesura, era immersa nella coltre magica. Quando ci si riferisce alla “alfabetizzazione digitale”, in fondo si esprime in senso compiuto la ritualizzazione per gradi di un livello di conoscenza più o meno evoluto: il sapere iniziatico e il sapere informatico come dati tra loro connessi, in un perimetro fuori dal quale si stendono solo nebbia e inesistenza. Il digital divide non è astrattamente l’ipotesi di persone che rimangono indietro nella erogazione di servizi pubblici digitali, ma la situazione in cui persone cessano davvero di esistere, perché il virtuale è tracimato dai confini evanescenti dei bit e ha invaso la realtà immergendo ogni ambito nella sua nebbia. L’ascesa verso gradi di conoscenza hi-tech e di consapevolezza tecnologica finiscono per corrispondere ai livelli della iniziazione: al crescere dei gradi di iniziazione, aumenta il potere di penetrazione nelle maglie del digitale. E questo potere cessa di essere puramente immateriale, per farsi carne, senso fisico, quotidianità. I comandi impartiti a un personal computer fanno accadere praticamente delle cose, sono in altri termini degli incantesimi, di un livello basico ma pur sempre incantesimi: il problema di questi incantesimi è che essi non necessariamente sono prodotti dalla volontà di chi pensa di operare, e invece è utilizzato dai sistemi algoritmici. Questo aspetto si è amplificato con la planetaria, pervasiva e capillare diffusione delle piattaforme digitali: la nostra vita si basa su questi incantesimi che attraverso il cupo e sfrigolante azzurrognolo degli schermi fanno apparire, fisicamente, libri, dischi musicali, componentistica per la casa, medicine, cibo. Si cessa di essere carne e di essere volontà. Si diventa flusso nella piattaforma-mondo.
Non va dimenticato come il cut-up burroughsiano sia una tecnica di scrittura automatica e di sigillazione spareiana, in alcuni casi esercitato a mezzo di computer. Quando David Bowie, influenzato dai romanzi di Burroughs, iniziò a comporre il suo album Outside, lo fece ricorrendo al cut-up mediante un software, il Verbasizer, che aveva fatto appositamente realizzare da un suo conoscente di San Francisco. Anello di congiunzione tra magia del caos, narrativa sperimentale, eccessi artistici, underground, figure borderline e controverse come Charles Manson e interesse per il biomorfismo, la biomeccanica, le sostanze psicotrope, i cyborg, la figura di Genesis P-Orridge, mentore prima dei Throbbing Gristle, autentici “Wreckers of Civilization” e padrini della musica industrial e successivamente del Thee Temple ov Psychick Youth, organizzazione esoterico-controculturale e progetto musicale eso-psichedelico che avrebbe lasciato un segno enorme nella cultura underground mondiale. Lasciandosi alle spalle il limitato perimetro della realtà materiale, la teorizzazione spareiana iniziò a farsi largo nel cuore di silicio delle prime reti di comunicazione elettronica, soprattutto grazie alla originale rilettura che ne hanno fornito Lionel Snell, conosciuto con il nome magico di Ramsey Dukes, e Ray Sherwin e Peter J. Carroll che abbinarono fisica quantistica, informatica, sciamanesimo postmoderno, taoismo e frammenti assiomatici di Spare plasmando la “magia del caos”, all’inizio con una serie di articoli apparsi sulla rivista The New Equinox. Le vivide atmosfere evocate da Spare, l’idea del suo caos primigenio, l’indole anarchica e l’idea di una eterarchia esoterica e comunicativa divennero pane per i denti della emergente cultura hacker che proprio in quegli anni andava muovendo i primi passi. Un aspetto saliente della dottrina magica di Spare che diventerà essenziale nella magia del caos e nella cultura digitale punteggiata da meme e da elaborazioni semantiche iper-accelerate e cariche di energia sarà proprio la eterarchia esoterica, costituita dal sistema di una nuova sigillazione, radicalmente altra rispetto quella della magia medievale. Per Spare, il mago è un individuo che può collaborare con le proprie proiezioni interiori e con altri operatori ma sempre in chiave eterarchica e non gerarchica: ovvero non può fondersi comunitariamente con altri in un insieme istituzionale, ma può solo scambiare informazioni in chiave cooperativa e simmetrica. A differenza dei sigilli magici medievali e della elaborata, e complessa, cerimoniosità della magia evocativa basata su sistemi istituzionali e aggregativi, Spare utilizza frammenti di volizione dipinti e resi microscopici esempi di arte, ciascuno dei quali energeticamente caricato con la proiezione del proprio desiderio, in una dimensione squisitamente anarchica e libertaria dell’atto magico: una volta caricato il sigillo, insegna Spare, lo stesso deve essere superato, e distrutto, al fine di superare il desiderio stesso di volere, al fine di propiziarne l’accadimento. Questa tecnica, che consiste nel raggiungimento di un assoluto nulla, di un deliquio atarassico privo di qualunque manifestazione di volontà e che Spare definisce “postura della morte”, diventa ancora più potente nella manifestazione dell’atavismo risorgente, col quale Spare intende la connessione con lo spirito ferino e animalesco, primordiale, che viene risvegliato mediante la tecnica magica. Una teoria che presenta non secondarie affinità con il pensiero di Carl Gustav Jung e in cui la morte si rende davvero, come leggiamo nelle pagine di Earth Inferno, “tutto”. In questa prospettiva, se la figura di Crowley si stagliava lungo una linea di orizzonte della storia punteggiata dalle lingue di fiamma, demoniaca ma ancora ben salda nella dimensione del mago come consigliere occulto del principe e del gruppo magico come comunità gerarchica e istituzionale, con Spare questa connessione si spezza ed emerge un individuo che persegue solo la propria autorealizzazione empirica ed esoterica, secondo la scatenata e caotica invettiva dell’Anatema di Zos. Attorno alle distinte, radicalmente insanabili divergenze costitutive di questi due approcci magici, si edificheranno le fortune future della magia penetrata nei dispositivi di strutturazione della società digitale e della contemporaneità. Da un lato, una magia funzionale alla conquista e alla tenuta del potere, in un coacervo melmoso di logica pubblica, ragion di Stato, egomania e altissima velocità hi-tech, e dall’altro lato una magia del tutto caotica, insondabile, legata alle aree più remote e oscure della mente umana, senza alcun vincolo con i gruppi sociali, con la comunità, né tantomeno con lo Stato o con le classi governanti. Il meme e la formula dinamica di un attacco hacker saranno l’equivalente del sigillo spareiano, mentre l’utilizzo istituzionale della magia da parte del potere, come la sussunzione degli hacker nei dispositivi di sicurezza cibernetica statale, diventerà l’equivalente della cooptazione magica di Francis Drake e di John Dee da parte della Corona britannica. D’altronde, Kenneth Grant connette la sostanza del pensiero di Spare alla famosa asserzione di Howard P. Lovecraft sulle misteriose creature che hanno il loro essere “non nello spazio a noi noto, ma tra loro. Essi passano tranquilli e primordiali, senza dimensioni e per noi invisibili”. Una straordinaria, preveggente analogia con la Rete, le sue infinite connessioni e le identità virtuali che la popolano, traslandosi queste tra strati e stadi molteplici dell’essere. L’insegnamento spareiano sarà alla base di una nuova onda magica, priva di organizzazione e di gerarchie, strettamente individuale, con la paradossale eccezione del Patto magico de Gli Illuminati di Thanateros (IoT), unico caso di organizzazione internazionale di maghi del caos la cui gerarchia funzionale, però, non avrà analogia alcuna con quelle degli ordini magici storici. Come rammenta Bernd-Christian Otto, l’antigerarchia istituzionale del gruppo, forma di arcipelago anarco-federale, avrebbe determinato enormi e gravi discussioni tra i praticanti di Chaos Magick, che la consideravano comunque una gerarchia istituzionale e quindi una contraddizione in termini. In risposta a queste non banali obiezioni, IoT aveva istituito una figura iniziatica, quella dell’Insubordinatore, sorta di trickster antesignano, che avrebbe dovuto istituzionalmente seminare il caos, segnalare errori e consigliare il Magister del Consilium Magi, l’organo consultivo della costellazione di patti magici federati nello IoT stesso. L’organizzazione di IoT anticipò alcuni modelli che sarebbero stati sussunti nei dispositivi della cultura digitale: olocrazia, dinamiche collaborative, eterarchia funzionale, scambio connettivo e informativo, simbologia utilizzata per incidere sulla realtà, come nel caso del logo magico dello IoT, il cerchio nero con otto punte modellato sulla fisionomia del Banner of Chaos creato dallo scrittore dark fantasy Michael Moorcock. L’influenza culturale di IoT è stata assai rilevante, e si è esattamente collocata nel punto di intersezione tra alta tecnologia, arte e magia: della struttura hanno fatto parte William S. Burroughs, Robert Anton Wilson, Timothy Leary e le sue teorizzazioni hanno influenzato narratori, scienziati e musicisti. Figure come Peter J. Carroll, Ray Sherwin, Lionel Snell, Ralph Tegtmeier porranno le basi per una ibridazione organica tra caos magico e alta tecnologia. Tra tutte le varie ramificazioni del pensiero magico, non c’è dubbio alcuno infatti che la magia del caos sia quella più patentemente imparentata con la infrastruttura concettuale della scienza e della tecnologia. Lionel Snell, che per primo ha innervato nel dibattito magico i temi poi ripresi dalla Chaos Magick, nel suo seminale S.S.O.T.B.M.E.: an Essay on Magic, parte da una radicale lettura degli assiomi di Spare per combinare le sue teorizzazioni con elementi matematici e fisici. Snell, laureato in matematica pura a Cambridge, è stato anche il principale esponente del revival spareiano negli anni Settanta, commentando e pubblicizzando ampiamente le opere di Austin Osman Spare sulle pagine della rivista esoterica Agape Occult Review, tra il 1972 e il 1974. In termini di connessione tra esoterismo e scienza, non c’è dubbio alcuno sul fatto che la magia del caos sia stata profondamente ispirata dalla matematica del caos. Non è certo un mero caso che l’uscita dei primi libri che hanno codificato la magia del caos sia avvenuta un solo mese prima del Simposio organizzato dalla Accademia delle Scienze di New York sulla teoria del caos, che pochi anni prima, nel 1963, era stata formulata da Edward Norton Lorenz. Peter J. Carroll, il cui nome magico, Frater Stokastikos tradisce un pesante influsso fisico/matematico, è autore che nel Liber Null & Psychonaut ha ridefinito le coordinate concettuali della magia del caos. Nel successivo Liber Kaos, Carroll ha tentato di rileggere la stessa attraverso il prisma degli assunti della fisica quantistica, nella ipotesi generale di liberare la filosofia magica dalle scorie e dai residui trascendenti e di presentarla con il massimo travestimento razionale possibile. Una sorta di illuminismo in cui l’illuminazione non è più quella dei lumi della ragione ma la sfolgorante e caotica illuminazione dell’estasi e della conoscenza magica, raggiunta attraverso la “postura della morte” disegnata dai pixel, dai bit e dai diagrammi e attraverso la più feroce e dirompente iconoclastia. Sempre P.J. Carroll, in Psybermagick, interpola il testo con equazioni della fisica quantistica determinando l’evoluzione del potere magico come forma di veicolazione di una volontà interiore, combinandola con l’idea di uno spazio appunto fisico e con il senso profondo di micro-variazioni incidenti su microcosmo e macrocosmo. La magia del caos non è solo schiettamente individualistica, come sarà la cultura hacker, ma anche profondamente connessa all’esigenza di far accadere cose. La Chaos Magick è conosciuta anche come magia dei risultati, una dottrina misteriosa ma profondamente empirica e pragmatica: mago del Caos e pirata informatico sono connessi all’esigenza entropica e negentropica di generare una armonia fattuale mediante l’instaurazione del vortice del caos. La loro è una magia della prassi, una fenomenologia gnostica che connette l’elemento mentale con il caos dell’universo, le evocazioni degli elementali e la sigillazione con le teorie fisiche e matematiche, la cui risultante più innovativa è l’informatica: nell’informatica, il caos è un abisso nero traslucido dentro cui fluttuano dati e informazioni a disposizione solo di chi sappia maneggiare ed evocare con coscienza il senso reale di quei dati e di quelle informazioni. Il mago del caos, come il troll di Internet e il pirata che solcava i mari, è avvinto dall’unica preoccupazione della propria autodeificazione e dall’exit dalle spire del contingente: non è interessato a progetti evolutivi o sociali o politici, non è consigliere di altri che non siano sé stesso, non ambisce a colonizzare contro-realtà e universi paralleli che si riveleranno pura riproduzione ologrammatica del reale semplicemente sostituito dalle logiche grossolane dell’informatica pacificata di massa. È l’autoelevazione a rendere simili tra loro il mago del caos, lo sciamano, il pirata, l’informatico puro e l’hacker; ciascuno coltiva una dimensione di realizzazione del proprio ego e dei propri desideri, intersecando di volta in volta la traiettoria di altri soggetti a lui simili. La loro linfa vitale è l’informazione. Più informazioni ottengono e più riescono a razionalizzarne, maggiore sarà il loro potere. La storia della magia e la storia dell’informatica si intersecano infatti nella comune ricerca di un infinito accumulo di informazioni. Ma per non cadere preda di un dominio esterno alla sfera individuale, il pirata, l’hacker, il mago che decidano di non servire Paesi o governi o interessi altrui erigono sistemi che mediante il caos rendono non prevedibile e non lineare la loro condotta. È l’ambizione di ottenere il pieno controllo di sé attraverso la perdita del senso del controllo, capace di ingenerare il risultato più pratico tra tutti; consistere della realtà stringente del tutto, lontani dagli appetiti altrui. E in effetti, riviste come Kaos di Joel Biroco o il volume assai più recente di Phil Hine, Condensed Chaos, tradiscono tutti la radice concettuale del dover incidere con micro-variazioni sul senso profondo della realtà e del contingente, come farà la cultura digitale nel suo momento di massima espansione e di fagocitazione del mondo. Come aveva ricordato Giorgio Parisi, proprio nella fisica quantistica, come linguaggio e concetti, risiede un modo quasi magico di atteggiarsi della scienza. Le interconnessioni comunicative originano come forma di catarsi e di esorcismo tecnico per chiudere fuori dallo spazio vitale dell’uomo la paura dell’ignoto e soprattutto l’orrore nutrito nei confronti dell’inconoscibile: l’utilizzo di forze irrazionali, la vitalizzazione di energia oscura interiore, segue la medesima linea direttrice e metodologica degli insiemi sociali, dei sistemi, che si interconnettono per potenziare la loro forma, la loro massa, la loro consistenza e il proprio potere. La struttura sincronico-mistica, basata su accadimenti inconsci propiziati dalla volontà profonda, cioè inconscia, della Chaos Magick è del tutto speculare alla strutturazione della tecnologia informatica. Entrambe presuppongono e postulano una congiunzione di accadimenti propiziati da una volontà che trascende il desiderio: otteniamo qualcosa perché lo vogliamo talmente tanto da non volerlo più davvero. Perché, detto in altri termini, cessiamo di volerlo. Un pop-up suggeritoci da una accurata profilazione digitale ci porta a volere e acquistare qualcosa che non volevamo davvero ma che, senza dubbio, vogliamo, visto che lo acquistiamo. Non si tratta di manipolazione, se questo processo è vissuto in maniera cosciente e consapevole; in caso contrario, siamo davanti a una strategia di marketing psichico manipolatorio. Esatta differenza che intercorre tra magia del caos e magia istituzionale: la prima origina e finisce nel nostro macrocosmo, la seconda origina da un dato sistema per propiziarne il mantenimento ed è a noi esterna. Possono utilizzare medesimi schemi operativi, ma divergono per funzione e impulso di fondazione. È indubbio che la metodologia in sé, a parte le motivazioni sottese, può essere replicata tanto in uno scenario individuale quanto in uno istituzionale o di governo. A differire, è sempre la motivazione sottesa. Articolata, tendenzialmente, su quattro distinte linee guida di polarità energetiche o modelli, la magia del caos attaglia la propria forma, tanto mistica quanto informativa, alla evoluzione tecnologica. Nel primo modello, quello dello spirito, il mago similmente allo sciamano fa accadere cose comunicando le proprie intenzioni ai suoi spiriti aiutanti, siano essi animali o computerizzati. Nel secondo modello, quello dell’energia, il mago convoglia la propria forza interiore nella congiunzione tra Zos e Kia, tra ordine e disordine, tra realtà e virtualità, per far accadere cose. È quanto chiaramente avviene quando, tecnologicamente, utilizziamo i dati di altri soggetti per estrapolarne pattern di condotta che potremo influenzare, facendo accadere materialmente qualcosa o condizionando i processi decisionali di qualcuno. Nel terzo modello, quello psichico, il mago utilizza la propria forza subcosciente per evocare forze o spiriti e influenzare la realtà sensibile, ricongiungendosi alla propria vera essenza, seguendo la dinamica dell’atavismo risorgente spareiano, capace di materializzare gli spiriti interiori provenienti dalle aree più remote della nostra psiche. È la forma tecnologica dell’ologramma, replica strutturale che riproduce un non-originale e che diviene essenza virtuale e al tempo stesso reale, in quanto carica di informazioni e dati. E infine, il quarto modello, quello informativo, attraverso cui il mago trasmette informazioni a una matrice occulta che processerà il flusso informativo e lo utilizzerà per plasmare e modellare la realtà. Si pensi, in chiave tecnologica, alla realtà aumentata o all’Internet of Things. Questo ultimo modello è stato definito da Ralph Tegtmeier cybermagic ed è alla base dell’esperimento informatico elaborato da Anton Channing, Chaoshex: una matrice informatica di cyberstregoneria per connettere l’operatore magico, il sistema informatico e il meta-computer che plasmerebbe la realtà contingente del mondo. L’ambizione della Chaos Magick è quella di una strutturazione individuale dell’esercizio magico, un approccio do-it-yourself che sarà proprio anche della innovazione tecnologica: la sperimentazione da garage con circuiti di silicio, l’hacking, l’esplorazione del perimetro estremo del mondo virtuale, rispondono agli stessi impulsi della forma gnostica preconizzata dalla Chaos Magick. La ibridazione tra magia del caos, cibernetica e cyberpunk diventerà evidente in volumi come il Liber Cyber di Charles G. Brewster, nell’opera di Phil Hine o in quella di Joshua Madara, che elaborerà Technomancy 101, un autentico cyber-grimorio modellato attraverso la connessione tra virtuale e magia. La radice profonda della de-istituzionalizzazione magica propugnata dalla Chaos Magick, rifuggente da liturgie, dogmi e religioni, e pertanto anche da quelle forme magiche come Thelema viste al pari di religioni, è la elevazione a sistema gnostico dello sciamanesimo postmoderno. Una atarassia vacua e cosciente, in cui giungere a consistere dell’assoluto nulla e da raggiungere mediante tecniche sperimentali magiche di deprivazione sensoriale, di alterazione psichica, di eccitazione sessuale o sensoriale, di scatenamento disinibito che trascenda la limitazione sovrastrutturale etica. Il patto faustiano viene sostituito dalla connessione e dalla inesausta ricerca nelle pieghe ondose del mare digitale, dove ci si può perdere per sempre, travalicati e sommersi dall’information overload: conoscere davvero, in una zona azzurrognola e incandescente, è esercizio difficile, davvero da iniziati, perché si deve padroneggiare il proprio equilibrio, conoscere sé stessi e ciò che si sta cercando. Una cartografia magica disegnata punto dopo punto, nella costruzione di un mondo di silicio che si dipana fisicamente nelle Lan e nelle condutture della infrastruttura fisica e che dall’altro lato si irradia virtualmente, e metafisicamente, nella dimensione eterea della comunicazione digitale. Per raggiungere la salvezza attraverso la conoscenza, per vivere compiutamente il fondamento tecnognostico della tecnologia avanzata, diventa quindi necessario riscrivere il linguaggio. Julian Dibbell, nell’inquietante articolo “A Rape in Cyberspace or How an Evil Clown, a Haitian Trickster Spirit, Two Wizards, and a Cast of Dozens Turned a Database into a Society”, sottolinea come la difficoltà di utilizzo della tecnologia informatica abbia importato una distinzione gerarchica nei gradi di conoscenza e di expertise, spesso facendo leva su una concettuologia pre-moderna e preilluministica, e soprattutto su una alienazione digitale quasi magica, punteggiata di bambole voodoo, sigilli, violenza e alterazioni psichiche. La ragione illuministica stessa, momento di cesura tra il mondo sensibile moderno e il mondo magico, era comunque permeata da una forza oscura e magica testimoniata dall’adesione di molti suoi esponenti a ordini iniziatici. E tutta la storia della civilizzazione, manifestatasi prima di quella cesura, era immersa nella coltre magica. Quando ci si riferisce alla “alfabetizzazione digitale”, in fondo si esprime in senso compiuto la ritualizzazione per gradi di un livello di conoscenza più o meno evoluto: il sapere iniziatico e il sapere informatico come dati tra loro connessi, in un perimetro fuori dal quale si stendono solo nebbia e inesistenza. Il digital divide non è astrattamente l’ipotesi di persone che rimangono indietro nella erogazione di servizi pubblici digitali, ma la situazione in cui persone cessano davvero di esistere, perché il virtuale è tracimato dai confini evanescenti dei bit e ha invaso la realtà immergendo ogni ambito nella sua nebbia. L’ascesa verso gradi di conoscenza hi-tech e di consapevolezza tecnologica finiscono per corrispondere ai livelli della iniziazione: al crescere dei gradi di iniziazione, aumenta il potere di penetrazione nelle maglie del digitale. E questo potere cessa di essere puramente immateriale, per farsi carne, senso fisico, quotidianità. I comandi impartiti a un personal computer fanno accadere praticamente delle cose, sono in altri termini degli incantesimi, di un livello basico ma pur sempre incantesimi: il problema di questi incantesimi è che essi non necessariamente sono prodotti dalla volontà di chi pensa di operare, e invece è utilizzato dai sistemi algoritmici. Questo aspetto si è amplificato con la planetaria, pervasiva e capillare diffusione delle piattaforme digitali: la nostra vita si basa su questi incantesimi che attraverso il cupo e sfrigolante azzurrognolo degli schermi fanno apparire, fisicamente, libri, dischi musicali, componentistica per la casa, medicine, cibo. Si cessa di essere carne e di essere volontà. Si diventa flusso nella piattaforma-mondo.
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4 Mesi 15 Ore fa #54060
da Iperbole
Risposta da Iperbole al topic Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
Aleister Crowley era un perfetto coglione.
Non aveva alcuna delle capacità che millantava.
E più coglioni ancora erano Churchill e gli altri criptogiudei che gli andavano dietro in quella che fu chiamata la "battaglia magica" d' Inghilterra.
Hitler era ben al di sopra di questa plebaglia, tanto da essere aiutato da una razza aliena molto evoluta.
Non aveva alcuna delle capacità che millantava.
E più coglioni ancora erano Churchill e gli altri criptogiudei che gli andavano dietro in quella che fu chiamata la "battaglia magica" d' Inghilterra.
Hitler era ben al di sopra di questa plebaglia, tanto da essere aiutato da una razza aliena molto evoluta.
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4 Mesi 9 Ore fa #54062
da Mark28
"L'inesperienza e la totale ignoranza degli ascoltatori costituiscono un'ampia risorsa per chi intenda parlare di quelle cose sulle quali chi ascolta si trova in siffatta condizione" ~Platone, Crizia 107b
Risposta da Mark28 al topic Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
Sia la battaglia magica d'Inghilterra che la storia del contatto tra alieni e nazisti sono pure invenzioni di fantasia, quindi...
"L'inesperienza e la totale ignoranza degli ascoltatori costituiscono un'ampia risorsa per chi intenda parlare di quelle cose sulle quali chi ascolta si trova in siffatta condizione" ~Platone, Crizia 107b
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3 Mesi 4 Settimane fa #54064
da Iperbole
Risposta da Iperbole al topic Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
Non direi proprio.
Le rivelazioni psichiche di Maria Orsic erano talmente credibili, che lo stesso Hitler chiuse la storica Società Thule in cui si era formato esotericamente e diede ampio spazio alla Società Vril della Orsic.
Peccato non poter disporre degli scritti medianici della Orsic, finiti chissà dove a fine guerra.
Le rivelazioni psichiche di Maria Orsic erano talmente credibili, che lo stesso Hitler chiuse la storica Società Thule in cui si era formato esotericamente e diede ampio spazio alla Società Vril della Orsic.
Peccato non poter disporre degli scritti medianici della Orsic, finiti chissà dove a fine guerra.
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3 Mesi 4 Settimane fa #54066
da Volano49
Risposta da Volano49 al topic Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
A' nandvà brisa ben caro Marco, manco Iperbole te ne passa una buona, mmmm! Mi viene il dubbio che l'invenzione di Beniamino (Franklin) si sia avvalsa della tua esposizione su di un palo per attirare i fulmini… Permettimi di venirti in soccorso perchè, ormai è chiaro, che il dotto Iperbole l'esagera semper un cicinin. Non ce l'ha con te, è nella sua natura iperbolica… Contesto un popò l'esagerato Iperbole che definisce un coglioncello A. Crowley, in realtà lui sapeva bene ciò che dava in pasto ai suoi sostenitori. Questi si che erano dei coglioni.
Sul Vril e su quella bonazza che era M. Orsic ci sarebbe troppo da dire, non che ci sia meno da spargere sale sulla personalità di Hitler. Il suo delirante Mein Kampf (scritto durante la sua detenzione dorata) definiscono molto bene i suoi neuroni che rincorrevano senza costrutto (a mò di Uroboro..) le sue poche sinapsi. Mi soffermo solo un attimo sulla sua schizofrenica mania di grandezza,
Guai a contraddirlo. Il direttore del reparto neuropsichiatrico dell'Università tedesca di Praga, dopo un consulto e dopo avere ammonito il Fuhrer, siamo nel 1938, nel ritorno da Berchtesgaden a Innsbruck, ebbe un incidente mortale (inscenato) con la sua automobile… Ma questo rientrava nella normalità, guai a contraddire le manie di grandezza del baffo. Se spaziamo nella "sincronicità" di Jung, e diamo adito alle voci che vorrebbero Hitler allattato insieme a quello che diventerà in seguito il suo "nero" medium Rudi Schneider dalla stessa balia a Braunau, sarebbe da considerarsi solo una capricciosa casualità?
Sul Vril e su quella bonazza che era M. Orsic ci sarebbe troppo da dire, non che ci sia meno da spargere sale sulla personalità di Hitler. Il suo delirante Mein Kampf (scritto durante la sua detenzione dorata) definiscono molto bene i suoi neuroni che rincorrevano senza costrutto (a mò di Uroboro..) le sue poche sinapsi. Mi soffermo solo un attimo sulla sua schizofrenica mania di grandezza,
Guai a contraddirlo. Il direttore del reparto neuropsichiatrico dell'Università tedesca di Praga, dopo un consulto e dopo avere ammonito il Fuhrer, siamo nel 1938, nel ritorno da Berchtesgaden a Innsbruck, ebbe un incidente mortale (inscenato) con la sua automobile… Ma questo rientrava nella normalità, guai a contraddire le manie di grandezza del baffo. Se spaziamo nella "sincronicità" di Jung, e diamo adito alle voci che vorrebbero Hitler allattato insieme a quello che diventerà in seguito il suo "nero" medium Rudi Schneider dalla stessa balia a Braunau, sarebbe da considerarsi solo una capricciosa casualità?
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3 Mesi 4 Settimane fa #54067
da Iperbole
Risposta da Iperbole al topic Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
Non ti capisco Volano, cosa c'entra Hitler con la battaglia magica tra Golden Dawn e Thule-Gesellschaft.
Pensi che parlare male di Hitler mi dia fastidio? Io ho già superato i limiti umani di Hitler e mi riconosco solo nel suo avatar.
Su Aleister Crowley confermo il mio giudizio: ad evocare entità demoniache son bravi tutti.
Differente è imparare a gestire direttamente le potenze inespresse della natura umana.
Prima di affrontare certi temi bisognerebbe sperimentare concretamente come ho fatto io nella mia vita.
E non esiste il bene e il male, ma solo una linea da attraversare con difficoltà estreme.
E' la linea della paura.
Pensi che parlare male di Hitler mi dia fastidio? Io ho già superato i limiti umani di Hitler e mi riconosco solo nel suo avatar.
Su Aleister Crowley confermo il mio giudizio: ad evocare entità demoniache son bravi tutti.
Differente è imparare a gestire direttamente le potenze inespresse della natura umana.
Prima di affrontare certi temi bisognerebbe sperimentare concretamente come ho fatto io nella mia vita.
E non esiste il bene e il male, ma solo una linea da attraversare con difficoltà estreme.
E' la linea della paura.
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3 Mesi 4 Settimane fa #54068
da Volano49
Risposta da Volano49 al topic Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
Iper (citandoti Iperbole mi sembrerebbe di offenderti, dal momento che il TUO significato corrisponde a esagerato...) SCRIVE:
"Su Aleister Crowley confermo il mio giudizio: ad evocare entità demoniache son bravi tutti.
Differente è imparare a gestire direttamente le potenze inespresse della natura umana. <---MA NON SOLO QUELLE, aggiungo io--->
Prima di affrontare certi temi bisognerebbe sperimentare concretamente come ho fatto io nella mia vita.
E non esiste il bene e il male, ma solo una linea da attraversare con difficoltà estreme."
Cos'è, caro Iper, mi fai il verso? Stai riportando quasi pari pari ciò che ho già espresso qui ed altrove. Non si fa… Non si fa...
"Su Aleister Crowley confermo il mio giudizio: ad evocare entità demoniache son bravi tutti.
Differente è imparare a gestire direttamente le potenze inespresse della natura umana. <---MA NON SOLO QUELLE, aggiungo io--->
Prima di affrontare certi temi bisognerebbe sperimentare concretamente come ho fatto io nella mia vita.
E non esiste il bene e il male, ma solo una linea da attraversare con difficoltà estreme."
Cos'è, caro Iper, mi fai il verso? Stai riportando quasi pari pari ciò che ho già espresso qui ed altrove. Non si fa… Non si fa...
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3 Mesi 4 Settimane fa #54069
da Iperbole
Risposta da Iperbole al topic Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
Se la pensiamo allo stesso modo, non può altro che farmi piacere.
Un saluto
Un saluto
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3 Mesi 4 Settimane fa #54072
da Volano49
Risposta da Volano49 al topic Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
Ciao Iper.
Solo per correttezza. Avevo scritto "QUASI"...
Solo per correttezza. Avevo scritto "QUASI"...
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3 Mesi 4 Settimane fa #54073
da Iperbole
Risposta da Iperbole al topic Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
Meglio che niente. Io vedo sempre il bicchiere mezzo pieno.
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3 Mesi 3 Settimane fa #54088
da Bastion
Risposta da Bastion al topic Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
LA SPADA DI MICHAEL
Mariano Fernandez Urresti
Quale ragione ha assistito coloro che hanno progettato la costruzione di sette monasteri collegati in un'impeccabile linea retta, dall'Irlanda alla Palestina, per migliaia di chilometri?
Mariano Fernandez Urresti
Quale ragione ha assistito coloro che hanno progettato la costruzione di sette monasteri collegati in un'impeccabile linea retta, dall'Irlanda alla Palestina, per migliaia di chilometri?
Attenzione: Spoiler!
La leggenda narra che San Michele, durante il suo scontro con il diavolo, conficcò la sua spada nella terra e il risultato fu una linea immaginaria sulla quale furono eretti sette luoghi sacri. Tre di essi, inoltre, sono separati esattamente dalla stessa distanza (quelli costruiti in Irlanda, Inghilterra e Francia). «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli...». (Apocalisse 12,7).
Possiamo considerare questo testo una semplice metafora, come è logico che sia. Tuttavia, la leggenda che ho riassunto sopra non sarebbe d’accordo con questo giudizio. Quella battaglia fu “reale”? La frattura dell’abisso, la cicatrice nella terra che ne derivò, potrebbe essere collegata a quei “serpenti” o linee dove la forza tellurica è particolarmente intensa, secondo le credenze di vari popoli antichi. In effetti, Mikhael (“Chi è come Dio?”) è citato tre volte nell’Antico Testamento e la tradizione rabbinica lo presenta come il difensore del popolo ebraico. Nel Nuovo Testamento è Capo delle Milizie Celesti, motivo per cui viene spesso raffigurato con un’armatura e una spada. C’è mai stato davvero uno scontro fisico tra le due forze che, secondo alcune credenze religiose, si contendono l’anima degli uomini?
LUCE CONTRO TENEBRE
Nel III secolo, nel cuore del cristianesimo iranico-persiano, germinò una delle religioni più importanti del mondo antico: il Manicheismo. Si trattava di un culto legato allo Zoroastrismo e allo Gnosticismo, il cui motore era Mani, un uomo nato da una famiglia cristiana nel 216 a Ctesifonte, vicino a Babilonia. In età molto giovane, Mani iniziò a sperimentare alcuni stati alterati di coscienza o esperienze spirituali uniche, che lo portarono alla convinzione che tutta la creazione è soggetta a due principi arcaici e antagonisti: la Luce e le Tenebre. Il Padre o Dio assoluto incarna la Luce, mentre le tenebre hanno il loro “Padre” o Arconte: il Diavolo o Shaitan. Il suo potere si manifesta in tutto ciò che è materiale, compreso l’uomo. Un giorno il Padre avrebbe inviato sulla Terra il suo “Figlio” prediletto, incarnatosi in Gesù. Il suo scopo era quello di riattivare, o far divampare, la scintilla divina che ancora si annidava in ogni uomo. Ma i manichei erano Docetisti (il Docetismo era una corrente di pensiero cristiano il cui nome deriva dal greco dokein, che significa “sembrare” o “apparire”, e consideravano il corpo di Gesù una mera apparenza, senza realtà carnale), per cui, per loro, Gesù non poteva essere crocifisso, perché non può essere crocifisso chi non ha un corpo reale. Tra l’VIII e il X secolo giunse in Bulgaria un gruppo di Neo-manichei, noti come Pauliciani. Come Mani, difendevano l’idea che il mondo fosse governato dall’eterna lotta tra Bene e Male, tra Spirito e Materia. Grazie alla loro predicazione, nella regione sorse il movimento dei Bogomili. Il Male era colui che aveva creato tutto ciò che è materiale, dicevano, basandosi sui quattro elementi (acqua, terra, aria e fuoco). Gli esseri umani possiederebbero una natura mista, in quanto figli di Satana e degli angeli che lo seguirono nella sua avventura, ma allo stesso tempo in loro o tra di loro si anniderebbe la scintilla divina originaria. Questa scintilla arderebbe ancora nel cuore degli uomini, anche se il suo splendore è affievolito, sopito e dormiente, essendo stata suddivisa più volte durante il processo di caduta vibrazionale. I Bogomili sostenevano che Satana sedusse Eva e questa generò Caino. Abele morì senza lasciare discendenza, per cui tutti gli uomini deriverebbero da Caino, dal Male. Credevano anche che Gesù fosse stato inviato sulla Terra per redimere gli uomini permettendo alla scintilla divina dormiente di risvegliarsi. Ma, allo stesso modo, consideravano il corpo di Gesù una mera apparenza, perché il Figlio di Dio non poteva incarnarsi, essendo la carne opera di Satana. Per questo motivo, rifiutavano il simbolo della croce come oggetto di devozione e tutte le altre reliquie. Nell’XI secolo, queste idee si diffusero in tutto l’Impero bizantino e, mediante il commercio, anche in Lombardia e in Linguadoca, nel sud della Francia. In quest’ultima regione il credo divenne estremamente popolare, dando origine all’eresia catara. All’epoca, l’Occitania o Linguadoca non era uno spazio politico unificato, ma piuttosto un territorio definito dall’uso di una lingua comune (Oc) e i cui confini erano i fiumi Garonna e Ariège a ovest; le regioni del Limousin e dell’Alvernia a nord; il fiume Rodano a est e i Pirenei a sud. Dal punto di vista amministrativo, poteva essere divisa tra la Contea di Tolosa (alta Linguadoca, Provenza settentrionale, Quercy...), la Viscontea di Trencavel (Albigès, Racés, Minervois, Carcassonne, Béziers...) e la Contea di Foix (a sud di entrambe). Fu il territorio dove si svolse la Crociata Abigese o contro i Catari, decretata da Papa Innocenzo III il 10 marzo 1208, prendendo a pretesto l’assassinio del suo legato Pierre de Castelanau il 15 gennaio a Saint Gilles, nelle terre del conte di Tolosa Raimondo VI. Questa follia sconvolse la Linguadoca, seminando morte ovunque, e raggiunse il suo culmine nella battaglia di Muret, il 12 settembre 1258, e nella presa della fortezza di Motségur, nel marzo 1244. È un caso che anche i Catari fossero dualisto credessero in un’eterna lotta tra il Bene e il Male? Questa guerra è una pura metafora oppure questo conflitto è reale e coinvolge dall’inizio del tempo coscienze superiori agli uomini?
I MONASTERI
Fatto sta che la terra è specchio del cielo, e queste forze in lotta hanno una loro controparte tellurica che i radioestesisti chiamano “linee di forza”, che in molti luoghi sono, proprio per questo associati al nome del principe degli angeli combattenti: Mikhael. Una serie di luoghi sacri tra Gerusalemme e l’Europa uniti da una linea retta che traccia il corso del Sole nel giorno del solstizio d’estate seguendo un percorso di energia primordiale nelle vene della Terra.
Si tratta di luoghi geograficamente molto distanti tra loro, eppure perfettamente allineati. La leggenda vuole che questa linea geografica ideale rappresenti il colpo di spada con cui Michele scacciò il demonio negli inferi. Stiamo parlando dei vari monasteri che compongono l’enigmatica Linea Sacra di San Michele. La prima di queste enclave spirituali è Skellig Michael (in irlandese “St Michael’s Rock”). Si trova a nove chilometri dalla costa occidentale dell’Irlanda, nella contea di Kerry, ed è diventata famosa dopo essere stata scelta come una delle ambientazioni dell’ultima trilogia di Star Wars. Si tratta in realtà di due isole rocciose spazzate dal vento: Skellig è la più grande delle due ed è lunga circa 900 metri, larga 450 metri e alta 218 metri nel punto più alto. Il monastero fu fondato nel VII secolo e ha la particolarità che la dozzina di monaci (più l’abate) che vi abitavano vivevano in strani edifici di pietra chiamati clochans nella lingua locale, una mezza dozzina dei quali sono ancora in piedi. Avevano anche due oratori, un cimitero, orti... tutti terrazzati nell’aspro terreno. Il cambiamento del clima in Europa nel XII secolo costrinse i monaci a trasferirsi nel monastero agostiniano di Ballinskelligs, sulla costa irlandese. Cosa ci faceva questa piccola comunità di monaci in un luogo dalle condizioni di vita estremamente avverse? Apparentemente per custodire qualcosa di valore, ma a noi sconosciuto. La leggenda vuole che San Michele sia apparso in quel luogo per aiutare San Patrizio a liberare il Paese dal demonio. Pura leggenda? St. Michaels Mount in Inghilterra è il secondo dei punti di riferimento che compongono questa gigantesca linea immaginaria. Si trova su un isolotto della Cornovaglia, dove esiste anche una leggenda che cita la presenza dell’arcangelo e del diavolo. Si dice che San Michele sia apparso ai pescatori nel V secolo e abbia rivendicato il sito per il Cristianesimo, al fine di spaventare il Maligno e allontanarlo dalla regione. In cornico, la lingua della Cornovaglia, il sito è chiamato “Roccia grigia nella foresta”, da un’antica epoca in cui la baia era allagata e la roccia era circondata da boschi. Nell’XI secolo, il sito fu ceduto ai monaci benedettini, dipendenti dall’omonima abbazia francese. Mont Saint Michel, nella normandia francese, è il terzo anello di questa misteriosa catena. Qui, nel 708, l’arcangelo San Michele apparve al vescovo di Avranches, Aubert, e gli ordinò di consacrare l’isola al suo culto, ma il vescovo ignorò il comando dell’arcangelo in due occasioni. Nella terza apparizione, San Michele inserì un dito nel cranio dell’incredulo vescovo e da quel momento iniziarono a verificarsi eventi sorprendenti e fu promossa la costruzione dell’imponente santuario che, a partire dal 966, fu posto sotto la custodia dei Benedettini. L’abbazia di Mont Saint Michel fu inizialmente concepita come una replica della chiesa del Monte Gargano, e da quel luogo fu addirittura portato un blocco di marmo sul quale, si diceva, era apparso l’arcangelo. Ma la cosa più sorprendente è che l’isolotto era un luogo di culto fin da tempi molto più antichi, quando era conosciuto come Mont Tombe, e fu teatro della lotta dell’arcangelo contro il mostro che incarnava il diavolo.
LA GROTTA DELLE APPARIZIONI
In Lombardia (Italia) troviamo il quarto dei punti di riferimento di questa linea: la Sacra di San Michele. Nel V-VI secolo, monaci provenienti dalla Persia diffusero il culto dell’arcangelo in questa regione. Curiosamente, provenivano dalla stessa terra in cui nacque Mani, fondatore del credo manicheo. Nel 900, sulla cima del Monte Pirchiriano furono costruite due cappelle attaccate alla roccia e il vescovo Giovanni Vincenzo ordinò la costruzione di una terza, più grande, che, secondo la tradizione, fu consacrata da San Michele in persona. Da qui nasce la Sacra di San Michele, lo scenario da cui Umberto Eco ha tratto ispirazione per il suo romanzo Il nome della rosa. La quinta enclave della Linea Sacra è il santuario di San Michele, sul Monte Gargano, sempre in Italia. Lì, in Puglia, nel VI secolo, il vescovo Lorenzo Maiorano combatté contro il paganesimo senza molto successo. Tra le popolazioni che vivevano nei pressi del Monte Gargano era profondamente radicato il culto di un’enorme roccia calcarea su cui sorgeva un tempio dedicato al dio Calcante, indovino e sacerdote di Apollo. Il Libro delle Apparizioni di San Michele sul Monte Gargano fa riferimento a tre eventi miracolosi che cambiarono le credenze della popolazione locale. In primo luogo, l’arcangelo apparve al vescovo Maiorano e gli disse di consacrare la grotta sul monte e di perdonare i peccati di coloro che vi pregavano. Ma il vescovo esitò, a causa del passato pagano del luogo, il che portò ad altre tre apparizioni dell’arcangelo: due nel V secolo e una nel XVIII secolo. Il santuario garganico, scelto dallo stesso Michele come sua dimora, divenne modello di molti altri santuari a lui dedicati in tutta la penisola, e in Europa, caratterizzati da elementi comuni ricorrenti: la presenza di grotte d’altura spesso legate alla transumanza e la presenza di acque terapeutiche. Il sesto anello della catena si trova nel monastero di San Michele Arcangelo a Panormitis, isola di Symi, in Grecia. Nei primi secoli del cristianesimo, in Frigia, in Asia Minore, si era sviluppato un forte culto degli angeli. Di conseguenza, ben nove monasteri dedicati a San Michele furono presto fondati sull’isola di Symi. Il più grande di questi, Panormitis, si trova a sud e la sua costruzione fu motivata da un miracolo. Si racconta che una donna devota trovò un’immagine dell’arcangelo mentre scavava nella terra. La portò a casa, ma questa scomparve. Il giorno dopo, la donna tornò nel campo e, scavando di nuovo, riesumò la stessa immagine. Fu allora che l’arcangelo le apparve in sogno ed espresse il desiderio di rimanere in quel luogo, dove sarebbe stato costruito un santuario in suo onore. Infine, all’estremità orientale di questa sorprendente linea immaginaria, troviamo il Monte Carmelo in Israele. Gli ebrei chiamavano il promontorio che si estende per trenta chilometri fino ad Haifa il Karmen o Giardino di Dio. Si tratta di una catena montuosa di forma triangolare il cui nome, Karmen, deriva da Carmel. Era un luogo di culti pagani, costellato di grotte e santuari cananei, fenici, greci ed ebrei. Qui il profeta Elia sfidò i profeti di Baal e Asherah. Sulla montagna si trova il santuario cristiano della Vergine del Monte Carmelo, a 170 metri sopra la baia di Haifa, ma anche la grotta di Elia, più in alto sulla montagna In breve, l’esistenza di questa gigantesca linea tellurica collega sette monasteri o luoghi di potere dove l’arcangelo San Michele e il diavolo sono sempre presenti. Nel culto di San Michele, la natura occupa un ruolo fondamentale, favorisce l’incontro tra umano e Divino e diventa manifestazione potente della forza dell’Angelo. Le forze della natura (i picchi montani, le grotte, le sorgenti d’acqua e le maree) non sono elementi accessori del racconto agiografico ma nel caso di Michele, sono elemento fondante e imprescindibile per superare le barriere del male, come la sua spada.
DA APOLLO A MIKHAEL
La scoperta della linea di San Michele risale alla fine degli anni ‘50 quando Jean Richer rese nota l’esistenza di un asse principale di siti sacri in Grecia, dedicati ad Apollo, che attraversa Delfi, Atene, Delo, Camiros, Prasaias (Tempio di Apollo), il Tempio di Artemide ad Agra, Eleusi e altri siti. La linea collega non solo i templi e i santuari del dio Apollo, ma anche i siti precedentemente dedicati alla dea Artemide/Diana. Suo fratello Lucien diede seguito a questa ricerca nel 1977 in un articolo intitolato “L’asse di San Michele e Apollo”, in cui estese la linea sacra di Apollo individuata dal fratello verso nord-ovest, passando attraverso l’isola sacra di Skellig Michael, sulla costa sud-occidentale dell’Irlanda, dopo aver attraversato molti dei siti più importanti in Europa dedicati all’arcangelo Michele. Esistono almeno tre leggende riguardanti Apollo che sembrano riferirsi a questa linea. Una ricorda che Abaris, un sacerdote druidico britannico di Apollo, viaggiò sulla freccia d’oro del dio dalle isole britanniche alla Grecia per visitare Pitagora (si dice anche che Pitagora abbia vissuto per un certo periodo sul Monte Carmelo, in Terra Santa, altro sito su questa linea). Un’altra leggenda descrive il ritorno di Apollo dalla terra degli Iperborei a Delfi su un carro trainato da cigni. Il terzo riguarda i cosiddetti “doni iperborei”. Questi, confezionati nella paglia, venivano inviati dagli Iperborei (Britannici?) a Delo come doni (tributi) ad Apollo. «Queste primizie, si dice, sono nascoste nella paglia di grano e nessuno sa cosa siano» (Pausania). L’allineamento di San Michele più grande, che attraversa l’Europa dal Monte Carmelo in Israele a Skellig Michael in Irlanda, incrocia altri due allineamenti di San Michele, uno in Francia e uno in Inghilterra, che rispecchiano l’allineamento più grande lungo un asse nord/sud. Sia la linea francese che quella inglese presentano chiari segni di attività preistorica lungo il loro percorso (come gli Hurler, Glastonbury, Avebury, Waulad’s Bank, Dol-de-Breton), e anche antiche tradizioni di festeggiamenti con fuochi sulle colline-faro nel giorno di maggio (giorno di San Michele), che rafforzano l’idea di un allineamento “funzionale” e operativo con radici preistoriche. Entrambi gli allineamenti comprendono anche numerose chiese e punti di pellegrinaggio dedicati a San Michele (Apollo), che sono stati “rafforzati” nel corso del Medioevo dalla Chiesa. È il segno di un’antica tradizione trasmessa, consapevolmente o inconsapevolmente, durante la conversione dell’Europa da pagana a cristiana.
Possiamo considerare questo testo una semplice metafora, come è logico che sia. Tuttavia, la leggenda che ho riassunto sopra non sarebbe d’accordo con questo giudizio. Quella battaglia fu “reale”? La frattura dell’abisso, la cicatrice nella terra che ne derivò, potrebbe essere collegata a quei “serpenti” o linee dove la forza tellurica è particolarmente intensa, secondo le credenze di vari popoli antichi. In effetti, Mikhael (“Chi è come Dio?”) è citato tre volte nell’Antico Testamento e la tradizione rabbinica lo presenta come il difensore del popolo ebraico. Nel Nuovo Testamento è Capo delle Milizie Celesti, motivo per cui viene spesso raffigurato con un’armatura e una spada. C’è mai stato davvero uno scontro fisico tra le due forze che, secondo alcune credenze religiose, si contendono l’anima degli uomini?
LUCE CONTRO TENEBRE
Nel III secolo, nel cuore del cristianesimo iranico-persiano, germinò una delle religioni più importanti del mondo antico: il Manicheismo. Si trattava di un culto legato allo Zoroastrismo e allo Gnosticismo, il cui motore era Mani, un uomo nato da una famiglia cristiana nel 216 a Ctesifonte, vicino a Babilonia. In età molto giovane, Mani iniziò a sperimentare alcuni stati alterati di coscienza o esperienze spirituali uniche, che lo portarono alla convinzione che tutta la creazione è soggetta a due principi arcaici e antagonisti: la Luce e le Tenebre. Il Padre o Dio assoluto incarna la Luce, mentre le tenebre hanno il loro “Padre” o Arconte: il Diavolo o Shaitan. Il suo potere si manifesta in tutto ciò che è materiale, compreso l’uomo. Un giorno il Padre avrebbe inviato sulla Terra il suo “Figlio” prediletto, incarnatosi in Gesù. Il suo scopo era quello di riattivare, o far divampare, la scintilla divina che ancora si annidava in ogni uomo. Ma i manichei erano Docetisti (il Docetismo era una corrente di pensiero cristiano il cui nome deriva dal greco dokein, che significa “sembrare” o “apparire”, e consideravano il corpo di Gesù una mera apparenza, senza realtà carnale), per cui, per loro, Gesù non poteva essere crocifisso, perché non può essere crocifisso chi non ha un corpo reale. Tra l’VIII e il X secolo giunse in Bulgaria un gruppo di Neo-manichei, noti come Pauliciani. Come Mani, difendevano l’idea che il mondo fosse governato dall’eterna lotta tra Bene e Male, tra Spirito e Materia. Grazie alla loro predicazione, nella regione sorse il movimento dei Bogomili. Il Male era colui che aveva creato tutto ciò che è materiale, dicevano, basandosi sui quattro elementi (acqua, terra, aria e fuoco). Gli esseri umani possiederebbero una natura mista, in quanto figli di Satana e degli angeli che lo seguirono nella sua avventura, ma allo stesso tempo in loro o tra di loro si anniderebbe la scintilla divina originaria. Questa scintilla arderebbe ancora nel cuore degli uomini, anche se il suo splendore è affievolito, sopito e dormiente, essendo stata suddivisa più volte durante il processo di caduta vibrazionale. I Bogomili sostenevano che Satana sedusse Eva e questa generò Caino. Abele morì senza lasciare discendenza, per cui tutti gli uomini deriverebbero da Caino, dal Male. Credevano anche che Gesù fosse stato inviato sulla Terra per redimere gli uomini permettendo alla scintilla divina dormiente di risvegliarsi. Ma, allo stesso modo, consideravano il corpo di Gesù una mera apparenza, perché il Figlio di Dio non poteva incarnarsi, essendo la carne opera di Satana. Per questo motivo, rifiutavano il simbolo della croce come oggetto di devozione e tutte le altre reliquie. Nell’XI secolo, queste idee si diffusero in tutto l’Impero bizantino e, mediante il commercio, anche in Lombardia e in Linguadoca, nel sud della Francia. In quest’ultima regione il credo divenne estremamente popolare, dando origine all’eresia catara. All’epoca, l’Occitania o Linguadoca non era uno spazio politico unificato, ma piuttosto un territorio definito dall’uso di una lingua comune (Oc) e i cui confini erano i fiumi Garonna e Ariège a ovest; le regioni del Limousin e dell’Alvernia a nord; il fiume Rodano a est e i Pirenei a sud. Dal punto di vista amministrativo, poteva essere divisa tra la Contea di Tolosa (alta Linguadoca, Provenza settentrionale, Quercy...), la Viscontea di Trencavel (Albigès, Racés, Minervois, Carcassonne, Béziers...) e la Contea di Foix (a sud di entrambe). Fu il territorio dove si svolse la Crociata Abigese o contro i Catari, decretata da Papa Innocenzo III il 10 marzo 1208, prendendo a pretesto l’assassinio del suo legato Pierre de Castelanau il 15 gennaio a Saint Gilles, nelle terre del conte di Tolosa Raimondo VI. Questa follia sconvolse la Linguadoca, seminando morte ovunque, e raggiunse il suo culmine nella battaglia di Muret, il 12 settembre 1258, e nella presa della fortezza di Motségur, nel marzo 1244. È un caso che anche i Catari fossero dualisto credessero in un’eterna lotta tra il Bene e il Male? Questa guerra è una pura metafora oppure questo conflitto è reale e coinvolge dall’inizio del tempo coscienze superiori agli uomini?
I MONASTERI
Fatto sta che la terra è specchio del cielo, e queste forze in lotta hanno una loro controparte tellurica che i radioestesisti chiamano “linee di forza”, che in molti luoghi sono, proprio per questo associati al nome del principe degli angeli combattenti: Mikhael. Una serie di luoghi sacri tra Gerusalemme e l’Europa uniti da una linea retta che traccia il corso del Sole nel giorno del solstizio d’estate seguendo un percorso di energia primordiale nelle vene della Terra.
Si tratta di luoghi geograficamente molto distanti tra loro, eppure perfettamente allineati. La leggenda vuole che questa linea geografica ideale rappresenti il colpo di spada con cui Michele scacciò il demonio negli inferi. Stiamo parlando dei vari monasteri che compongono l’enigmatica Linea Sacra di San Michele. La prima di queste enclave spirituali è Skellig Michael (in irlandese “St Michael’s Rock”). Si trova a nove chilometri dalla costa occidentale dell’Irlanda, nella contea di Kerry, ed è diventata famosa dopo essere stata scelta come una delle ambientazioni dell’ultima trilogia di Star Wars. Si tratta in realtà di due isole rocciose spazzate dal vento: Skellig è la più grande delle due ed è lunga circa 900 metri, larga 450 metri e alta 218 metri nel punto più alto. Il monastero fu fondato nel VII secolo e ha la particolarità che la dozzina di monaci (più l’abate) che vi abitavano vivevano in strani edifici di pietra chiamati clochans nella lingua locale, una mezza dozzina dei quali sono ancora in piedi. Avevano anche due oratori, un cimitero, orti... tutti terrazzati nell’aspro terreno. Il cambiamento del clima in Europa nel XII secolo costrinse i monaci a trasferirsi nel monastero agostiniano di Ballinskelligs, sulla costa irlandese. Cosa ci faceva questa piccola comunità di monaci in un luogo dalle condizioni di vita estremamente avverse? Apparentemente per custodire qualcosa di valore, ma a noi sconosciuto. La leggenda vuole che San Michele sia apparso in quel luogo per aiutare San Patrizio a liberare il Paese dal demonio. Pura leggenda? St. Michaels Mount in Inghilterra è il secondo dei punti di riferimento che compongono questa gigantesca linea immaginaria. Si trova su un isolotto della Cornovaglia, dove esiste anche una leggenda che cita la presenza dell’arcangelo e del diavolo. Si dice che San Michele sia apparso ai pescatori nel V secolo e abbia rivendicato il sito per il Cristianesimo, al fine di spaventare il Maligno e allontanarlo dalla regione. In cornico, la lingua della Cornovaglia, il sito è chiamato “Roccia grigia nella foresta”, da un’antica epoca in cui la baia era allagata e la roccia era circondata da boschi. Nell’XI secolo, il sito fu ceduto ai monaci benedettini, dipendenti dall’omonima abbazia francese. Mont Saint Michel, nella normandia francese, è il terzo anello di questa misteriosa catena. Qui, nel 708, l’arcangelo San Michele apparve al vescovo di Avranches, Aubert, e gli ordinò di consacrare l’isola al suo culto, ma il vescovo ignorò il comando dell’arcangelo in due occasioni. Nella terza apparizione, San Michele inserì un dito nel cranio dell’incredulo vescovo e da quel momento iniziarono a verificarsi eventi sorprendenti e fu promossa la costruzione dell’imponente santuario che, a partire dal 966, fu posto sotto la custodia dei Benedettini. L’abbazia di Mont Saint Michel fu inizialmente concepita come una replica della chiesa del Monte Gargano, e da quel luogo fu addirittura portato un blocco di marmo sul quale, si diceva, era apparso l’arcangelo. Ma la cosa più sorprendente è che l’isolotto era un luogo di culto fin da tempi molto più antichi, quando era conosciuto come Mont Tombe, e fu teatro della lotta dell’arcangelo contro il mostro che incarnava il diavolo.
LA GROTTA DELLE APPARIZIONI
In Lombardia (Italia) troviamo il quarto dei punti di riferimento di questa linea: la Sacra di San Michele. Nel V-VI secolo, monaci provenienti dalla Persia diffusero il culto dell’arcangelo in questa regione. Curiosamente, provenivano dalla stessa terra in cui nacque Mani, fondatore del credo manicheo. Nel 900, sulla cima del Monte Pirchiriano furono costruite due cappelle attaccate alla roccia e il vescovo Giovanni Vincenzo ordinò la costruzione di una terza, più grande, che, secondo la tradizione, fu consacrata da San Michele in persona. Da qui nasce la Sacra di San Michele, lo scenario da cui Umberto Eco ha tratto ispirazione per il suo romanzo Il nome della rosa. La quinta enclave della Linea Sacra è il santuario di San Michele, sul Monte Gargano, sempre in Italia. Lì, in Puglia, nel VI secolo, il vescovo Lorenzo Maiorano combatté contro il paganesimo senza molto successo. Tra le popolazioni che vivevano nei pressi del Monte Gargano era profondamente radicato il culto di un’enorme roccia calcarea su cui sorgeva un tempio dedicato al dio Calcante, indovino e sacerdote di Apollo. Il Libro delle Apparizioni di San Michele sul Monte Gargano fa riferimento a tre eventi miracolosi che cambiarono le credenze della popolazione locale. In primo luogo, l’arcangelo apparve al vescovo Maiorano e gli disse di consacrare la grotta sul monte e di perdonare i peccati di coloro che vi pregavano. Ma il vescovo esitò, a causa del passato pagano del luogo, il che portò ad altre tre apparizioni dell’arcangelo: due nel V secolo e una nel XVIII secolo. Il santuario garganico, scelto dallo stesso Michele come sua dimora, divenne modello di molti altri santuari a lui dedicati in tutta la penisola, e in Europa, caratterizzati da elementi comuni ricorrenti: la presenza di grotte d’altura spesso legate alla transumanza e la presenza di acque terapeutiche. Il sesto anello della catena si trova nel monastero di San Michele Arcangelo a Panormitis, isola di Symi, in Grecia. Nei primi secoli del cristianesimo, in Frigia, in Asia Minore, si era sviluppato un forte culto degli angeli. Di conseguenza, ben nove monasteri dedicati a San Michele furono presto fondati sull’isola di Symi. Il più grande di questi, Panormitis, si trova a sud e la sua costruzione fu motivata da un miracolo. Si racconta che una donna devota trovò un’immagine dell’arcangelo mentre scavava nella terra. La portò a casa, ma questa scomparve. Il giorno dopo, la donna tornò nel campo e, scavando di nuovo, riesumò la stessa immagine. Fu allora che l’arcangelo le apparve in sogno ed espresse il desiderio di rimanere in quel luogo, dove sarebbe stato costruito un santuario in suo onore. Infine, all’estremità orientale di questa sorprendente linea immaginaria, troviamo il Monte Carmelo in Israele. Gli ebrei chiamavano il promontorio che si estende per trenta chilometri fino ad Haifa il Karmen o Giardino di Dio. Si tratta di una catena montuosa di forma triangolare il cui nome, Karmen, deriva da Carmel. Era un luogo di culti pagani, costellato di grotte e santuari cananei, fenici, greci ed ebrei. Qui il profeta Elia sfidò i profeti di Baal e Asherah. Sulla montagna si trova il santuario cristiano della Vergine del Monte Carmelo, a 170 metri sopra la baia di Haifa, ma anche la grotta di Elia, più in alto sulla montagna In breve, l’esistenza di questa gigantesca linea tellurica collega sette monasteri o luoghi di potere dove l’arcangelo San Michele e il diavolo sono sempre presenti. Nel culto di San Michele, la natura occupa un ruolo fondamentale, favorisce l’incontro tra umano e Divino e diventa manifestazione potente della forza dell’Angelo. Le forze della natura (i picchi montani, le grotte, le sorgenti d’acqua e le maree) non sono elementi accessori del racconto agiografico ma nel caso di Michele, sono elemento fondante e imprescindibile per superare le barriere del male, come la sua spada.
DA APOLLO A MIKHAEL
La scoperta della linea di San Michele risale alla fine degli anni ‘50 quando Jean Richer rese nota l’esistenza di un asse principale di siti sacri in Grecia, dedicati ad Apollo, che attraversa Delfi, Atene, Delo, Camiros, Prasaias (Tempio di Apollo), il Tempio di Artemide ad Agra, Eleusi e altri siti. La linea collega non solo i templi e i santuari del dio Apollo, ma anche i siti precedentemente dedicati alla dea Artemide/Diana. Suo fratello Lucien diede seguito a questa ricerca nel 1977 in un articolo intitolato “L’asse di San Michele e Apollo”, in cui estese la linea sacra di Apollo individuata dal fratello verso nord-ovest, passando attraverso l’isola sacra di Skellig Michael, sulla costa sud-occidentale dell’Irlanda, dopo aver attraversato molti dei siti più importanti in Europa dedicati all’arcangelo Michele. Esistono almeno tre leggende riguardanti Apollo che sembrano riferirsi a questa linea. Una ricorda che Abaris, un sacerdote druidico britannico di Apollo, viaggiò sulla freccia d’oro del dio dalle isole britanniche alla Grecia per visitare Pitagora (si dice anche che Pitagora abbia vissuto per un certo periodo sul Monte Carmelo, in Terra Santa, altro sito su questa linea). Un’altra leggenda descrive il ritorno di Apollo dalla terra degli Iperborei a Delfi su un carro trainato da cigni. Il terzo riguarda i cosiddetti “doni iperborei”. Questi, confezionati nella paglia, venivano inviati dagli Iperborei (Britannici?) a Delo come doni (tributi) ad Apollo. «Queste primizie, si dice, sono nascoste nella paglia di grano e nessuno sa cosa siano» (Pausania). L’allineamento di San Michele più grande, che attraversa l’Europa dal Monte Carmelo in Israele a Skellig Michael in Irlanda, incrocia altri due allineamenti di San Michele, uno in Francia e uno in Inghilterra, che rispecchiano l’allineamento più grande lungo un asse nord/sud. Sia la linea francese che quella inglese presentano chiari segni di attività preistorica lungo il loro percorso (come gli Hurler, Glastonbury, Avebury, Waulad’s Bank, Dol-de-Breton), e anche antiche tradizioni di festeggiamenti con fuochi sulle colline-faro nel giorno di maggio (giorno di San Michele), che rafforzano l’idea di un allineamento “funzionale” e operativo con radici preistoriche. Entrambi gli allineamenti comprendono anche numerose chiese e punti di pellegrinaggio dedicati a San Michele (Apollo), che sono stati “rafforzati” nel corso del Medioevo dalla Chiesa. È il segno di un’antica tradizione trasmessa, consapevolmente o inconsapevolmente, durante la conversione dell’Europa da pagana a cristiana.
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QLIPHOTHIC CHAOS – INTERNET, NULLA E' VERO, TUTTO E' PERMESSO
Andrea Venanzoni
La connessione-mondo può essere un fine cui ambire in prospettiva individuale, secondo quanto predicato da Spare, oppure uno strumento di marketing magico-commerciale, allungando in questo caso l’ombra di Crowley sui profili delle società della Silicon Valley: in questo esatto punto, si situa la conflittualità dicotomica tra distinti, e assai diversi, modi di intendere il rapporto tra magia e tecnologia.
Andrea Venanzoni
La connessione-mondo può essere un fine cui ambire in prospettiva individuale, secondo quanto predicato da Spare, oppure uno strumento di marketing magico-commerciale, allungando in questo caso l’ombra di Crowley sui profili delle società della Silicon Valley: in questo esatto punto, si situa la conflittualità dicotomica tra distinti, e assai diversi, modi di intendere il rapporto tra magia e tecnologia.
Attenzione: Spoiler!
Il 19 giugno del 1956 venne approvato negli Stati Uniti il Federal Aid Highway Act, il testo normativo che avrebbe compiutamente regolato la disciplina della infrastruttura autostradale americana. Tra gli atti preparatori di quel testo di legge, fortemente voluto dall’allora presidente Eisenhower e per espressa richiesta di questi, si può leggere come le autostrade nordamericane si sarebbero dovute ispirare al modello costruttivo della Autobahn del Terzo Reich. Non per simpatie autoritarie del governo statunitense ma soltanto perché quel sistema garantiva velocità nel convogliare mezzi e consentiva il superamento di eventuali snodi saturati dall’eccesso di traffico o da incidenti.
Il decentramento e la creazione di un sistema distribuito hanno costituito un modello che si è traslato dal mondo dei trasporti a quello della veicolazione delle informazioni: se, nel primo caso, la funzionalità decentrata doveva essere servente per le esigenze belliche e per convogliare truppe con la massima velocità nel punto prestabilito, nel secondo, quello della Rete, divenne essenziale poter spostare moli immense di dati, in maniera veloce e capace di superare eventuali saturazioni. D’altronde, molti anni dopo, e come abbiamo visto, William Gibson e altri intellettuali arriveranno a parlare, a proposito di Internet, di Infobahn; una autostrada di veicolazione accelerata di informazioni. Il termine Infobahn racchiude nel suo senso più profondo la scintillante realtà di un esperimento tecnologico che, pur percepito come frontiera di libertà, originò comunque da necessità belliche e iper-gerarchizzate. Esso inoltre rappresenta, in senso oscuro, la preoccupazione che poteri egemoni pubblici o privati fagocitino la Rete attraverso una feroce regolazione: Infobahn divenne quindi sinonimo di una Rete autoritaria, oggetto di interventi legislativi, in opposizione alla caotica e libertaria consistenza eslege del cyberspazio. Internet nacque d’altronde “all’ombra delle armi nucleari”, per dirla con Johnny Ryan, nel pieno della Guerra Fredda. La natura ambivalente della Rete, spazio di libertà e al tempo stesso strumento di connessione per fini bellici, è senza dubbio una delle questioni più spinose per chiunque si sia soffermato su Internet, sulle sue potenzialità e sui suoi rischi. Ancora più spinosa è però la consistenza morale e metafisica dello spazio digitale, un non-luogo in cui le identità vengono replicate senza rimanere uguali a loro stesse, in una sorta di manifestazione perenne di un simulacro. L’irreale del virtuale ha una sua precisa realtà, secondo un parametro che è tipicamente magico: ogni connessione, ogni informazione scambiata, produce mondi, comunità, realtà, che finiscono per assemblare un avatar del nostro essere. Il successo della magia del caos, della alchimia e di alcune altre dottrine esoteriche quando ci si riferisce a Internet rimanda alla memoria il detto sapienziale di Hasan-i-Sabbah, islamico fondatore della Setta degli Assassini: la frase “nulla è vero, tutto è permesso”, ripresa e variamente ricontestualizzata dal realismo magico e da William S. Burroughs, da Peter J. Carroll, da programmatori informatici, esperti di videogiochi e filosofi radicali, ipostatizza la realtà saliente della Rete per come essa davvero dovrebbe essere. Esorbitante dalla accettazione di un canone, di una regola o di un dogma, sia esso quello dei governi o quello dei “consiglieri del principe”. Nulla è vero, tutto è permesso esonda dai limiti della legge di Thelema: non è un mero “fai ciò che vuoi”, perché non è schema tipizzato in maniera metalegislativa. Mentre, cioè, per Crowley la legge del dominio dell’amore sotto la volontà viene estrinsecata secondo una metodologia codificata e istituzionale che sfocerà in rituali, evocazioni e aggregazioni comunitarie, come la Ecclesia Catholica Gnostica o le varie ramificazioni dell’Oto, la regola fondante del vero caos non ha verità né alcuna forma di limite e non accetta istituzioni collettivizzanti. Nulla è vero, esattamente come nel virtuale dove realtà e illusione si fondono. Tutto è permesso, posto che uno degli assunti fondanti dell’alta tecnologia è il superamento dei limiti. Il programmatore informatico avvinto dalla idea di servirsi del potere e di servire il potere, come avviene ad esempio nella cybersecurity o nelle invenzioni sfavillanti della Silicon Valley, si spingerà solo fino alla soglia del caos evocato e finirà per accontentarsi della legge di Thelema, ma il pirata informatico, il troll, il mago del caos varcheranno quella soglia per inabissarsi negli strati più cupi della psiche e dell’animo umano digitalizzato. Il magma nero e vorticante del caos produce nuovi mondi, paralleli rispetto al nostro sviluppo mentale, sociale, caratteriale. E produce una biforcazione strutturale: da un lato, un caos patinato, istituzionalizzato, servente, e dall’altro un caos assoluto, ingovernabile e totalmente privo di centro, un oceano di sensazioni e derive. Questo ultimo oceano oscuro, simile agli antichi canti del Maldoror di Lautréamont, forgia mondi occulti. Sono mondi nostri, popolati solo da noi, e totalmente privi di qualunque forma di socialità e di regola esterna al nostro perimetro psichico. Lo spareiano “Io sono Io” evoluto nel cyber-io. A differenza della magia evocativa che plasma figure elementali, nel mondo della Rete degli albori l’illusorietà avviene senza necessità di spegnere o elidere la volontà: il subconscio produce i suoi spareiani atavismi in maniera continuativa, attraverso rituali plastici e ripetuti di cui spesso non ci rendiamo nemmeno conto e che prendono vita semplicemente vivendo un dato contesto digitale, quale una piattaforma social, un forum o ancor più semplicemente compiendo una data operazione informatica. Come nella Cabala, ognuna delle dieci sephiroth, ovvero le gemme della sapienza, ha un proprio equivalente oscuro, le qliphoth, anche in Internet ogni cosa ha un proprio doppio che vive di luce e tenebra al tempo stesso e in cui ogni convenzionalità si sdilinquisce nel caos della indistinzione virtuale. Nulla è vero, tutto è permesso, rispecchia poi perfettamente, sia pure a contrario, l’ansia del mondo politico e sociale per la vastità cosmica dello spazio digitale, una ansia che si traduce sistematicamente in richieste di regolazione normativa o di censura di questi o quei contenuti. Il relativismo metafisico imposto dai codici espressivi della Rete, laddove mantenuti saldi, viene considerato riprovevole dalla struttura solidificata nel corso dei secoli degli Stati nazionali, che cercheranno invece di colonizzare e civilizzare questi linguaggi, nel nome della consapevolezza politica e del patto sociale. Homo homini lupus digitalis, non è forse questo un atavismo risorgente dal fondo cavo della mente? Si deve però rimanere intransigenti e fermi sulla propria posizione ferina senza cedere alle lusinghe del Leviatano che ambisce a governare la Rete, insegnano i maghi del caos e i pirati del digitale, inabissati nei loro camminamenti di pixel. Percorrendo gli infiniti sentieri della “autostrada dell’informazione”, si può metaforicamente seguire il viaggio di Ossendowski verso la terra magica di Agartha, attraverso prima una caotica discesa dalla Siberia, nel cuore invernale e infernale della Rivoluzione d’ottobre e della sanguinosa guerra civile, giù verso la Mongolia e il Tibet: Ossendowski, nel suo vivido e incantevole affresco passa in rassegna una vasta umanità, dal luciferino barone Roman von Ungern-Sternberg, anche noto come Ungern-khan, ai sacerdoti lamaisti, e una altrettanto vasta sapienza misterica. E proprio come Ossendowski, i pionieri della frontiera digitale hanno costruito il loro mondo basato su una identità virtuale da intendersi non come mera replica strutturale di ciò che si situa nel mondo analogico, ma come tentativo magico di edificazione di una polimorfica società sapiente di sogni lucidi e liquidi attraverso cui causare effetti senza apparente causa razionale: il termine avatar, in fondo, ormai entrato nel linguaggio comune del digitale, è la anglizzazione dell’induista Avatara, manifestazione palese della discesa del divino nel mondo. Ricostruendo la straordinaria storia del primo proto-cyberspazio comunitario, The WELL, Howard Rheingold nel volume The Virtual Community, dedica un intero capitolo al modo in cui visionari ed esteti hanno riflettuto sui segni e sui simboli come modalità di identificazione e materializzazione dei processi mentali e comunicativi: richiamando Douglas Engelbart, Rheingold riflette sulle complicazioni della strutturazione della civiltà e decostruisce il concetto, tipicamente magico, del computer e dello spazio virtuale come amplificazioni e prosecuzioni della mente. In questa visione, la identità virtuale connessa alla Rete tende a modellarsi come una sorta di ciò che il filosofo Pierre Lévy identifica come “intelligenza collettiva”, una simbiosi magica e gnostica mirante alla conoscenza universale mediante molteplici connessioni: l’avatar in questa chiave di lettura diventa la teurgia ierofanica dell’individuo che ascende a una comunità di pura informazione e dove la conoscenza è il liquido amniotico definitivo che tutto avvolge e circonda e perimetra. Assistiamo alla traslitterazione antesignana della intelligenza collettiva predicata da Lévy, il pensiero a sciame o ad alveare che avrebbe contraddistinto, nell’Eone digitale, le teorizzazioni di Kevin Kelly. In Out of Control, Kelly non tratteggia solo una nuova biologia sociale e spirituale delle macchine e dell’economia e della società, ma un senso magico di perdita del controllo, in funzione sciamanica ed evocativa, che prelude il raggiungimento della assoluta consapevolezza: la consistenza non centralizzata del sapere e della intelligenza. Il mito di Agartha, della incorporeità fattasi carne e mondo tutto ricondotto a unità nel digitale e nella tecnologia elevata, vista come opera alchemica per superare ogni limite del contingente, del reale e del biologico, è in fondo la negazione assoluta di questo approccio caotico e liberato. Agartha, come la Silicon Valley, è il punto di centralizzazione assoluta che si autoreplica producendo la propria visione di realtàaltra, mediante la fagocitazione del reale e la creazione di un virtuale con cui soppiantare il reale stesso. Autentico convitato di pietra della famigerata opera di Raymond Kurzweil, dirigente di Google e padre teorico del transumanesimo, il quale arriva a teorizzare l’idea iper-gnostica di un computer come universo, è proprio il mito di una riduzione all’Uno Assoluto che prelude la sistematizzazione istituzionale del potere magico. La centralità mistica della Rete e le sue ramificazioni finiscono per definire una similitudine potente con il mito di Agartha, governato sì da una popolazione di sapienti ma soprattutto da un re, il Re del Mondo: ed esattamente come in questa forma magica, assistiamo alla strutturazione nel web di layers di presunta democratizzazione del sapere, mediante pretesa orizzontalità della diffusione del sapere stesso e delle informazioni. Ma a questo sapere, lungi dal corrispondere una vera orizzontalità, risponde una piramide iper-verticistica che si modula e si atteggia come monarchia magica e gnostica. Lo vediamo in alcuni partitidigitali che hanno promesso “democrazia diretta digitale”, salvo poi dimostrarsi cyber-satrapie, lo vediamo con i sogni pop-egualitari venduti dal verticismo piramidale delle big tech, come ad esempio il salario minimo universale propugnato dalle grandi compagnie del digitale e che nei fatti finirebbe per costituire la premessa per una torsione neofeudale della società. Lo scenario metastorico prefigurato dal misticismo hi-tech è senza dubbio punteggiato di cattedrali gnostiche, rituali informazionali, e soprattutto da una modellazione castale della società stessa che passa per una contrattualizzazione dei rapporti sociali e per una dipendenza sempre più marcata dei cittadini/sudditi da una ristretta cerchia di potere. In una certa misura, Kurzweil rilegge, e supera radicalmente, l’idea posta a fondamento del Punto Omega, coniata da Pierre Teilhard de Chardin, ovvero una convergenza verso una sapienza unica: sapienza unica convergente che viene conosciuta anche come “Noosfera”, una autentica coscienza collettiva che nasce dalle reciproche, molteplici interazioni tra menti umane. Se in de Chardin è ancora presente un fondamento evidentemente cristologico, posto che la convergenza è nei fatti la Rivelazione del Logos, in Kurzweil la prospettiva vira verso il più puro tecnognosticismo, mediante una convergenza tra robotica, intelligenza artificiale, connettività digitale ai fini del superamento dei limiti umani: una trasvalutazione di ogni valore e canone biologico per far divenire l’individuo umano coincidente con la sapienza assoluta. Ma la trasvalutazione non produce liberazione né elevazione, solo attrazione verso il nuovo centro. Mondo ctonio, silente, ma unico, da cui si irradiano le illusioni, il Computer mitico e mistico teorizzato da queste correnti tecnognostiche è antagonista della liberazione magica attraverso il vero, scintillante turbinio del caos. Questa tentazione verso la iper-centralizzazione decentrata è piuttosto evidente se si ripercorrono le fasi di strutturazione della Rete. Manuel Castells nella sua ricostruzione delle fasi fondative dello spazio digitale distingue tra quattro insiemi e fasi socio-storiche, le quali sembrano ricalcare non solo concezioni tipiche della sociologia e della storia ma anche del pensiero iniziatico e delle fasi metastoriche dei miti fondativi, come l’Età del Ferro e quella dell’Oro: da un lato, infatti, Castells vede una élite imprenditoriale depositaria del pensiero tecnico-realizzativo che informa la Rete, dall’altra un ulteriore gruppo operativo, quello degli hacker, che diventano una declinazione libertaria e individualistica, connessa solo da logiche cooperative ma non comunitarie, del primo insieme. A ben vedere, una ricostruzione che echeggia la distinzione essenziale che intercorre tra una forma di sapere magico strutturato e istituzionale, fatto di gerarchia, istituzione magica, sapere celato, e un altro sapere, come quello che fu di Austin Osman Spare, visto e vissuto in chiave rigidamente individualistica. Gli hacker, senza dubbio alcuno, non sono stati solo i pionieri della frontiera digitale, coloro che ne hanno plasmato la cangiante identità: ne sono stati anche gli stregoni e i mistici fondatori, per come oggi la conosciamo. Il riferimento più consueto agli hacker è non a caso quello di stregoni, maghi del computer: e questo riferimento al “mago del computer” non è solamente didascalico, esemplificativo, ma sostanziale. La costituzione culturale degli hacker, la loro semantica, sono non ancillarmente punteggiate di riferimenti al mondo magico e all’esoterismo. Esempio paradigmatico il New Hacker’s Dictionary, da cui emerge come termini prettamente esoterici quali “Voodoo Programming”, “Deep Magic”, “Black Magic”, “Demigod”, siano ormai integralmente introiettati nella cultura cyber. Nel suo classico Giro di vite contro gli hacker, Bruce Sterling sottolinea come le prime tecniche di hacking avessero una stringente connessione tra mondo reale e mondo virtuale, nutrite dalla ingegneria sociale: modalità di raccolta dei dati, di analisi degli stessi, di manipolazione e di illusione. Molti hacker, scrive Sterling, raccoglievano i fogli di carta gettati nella spazzatura davanti alle direzioni amministrative di uffici di assicurazioni o banche o dei fast food, per ricostruire attraverso quei fogli potenziali password e poter così violare i sistemi informatici delle varie compagnie. Ma l’autore rammenta anche un altro dato che rivela un elemento di assoluta, profonda analogia tra il mondo dell’hacking e quello della magia: la apparente contraddizione tra spirito collaborativo e radicale litigiosità. Gran parte dei più conosciuti gruppi di hacking, come la Legion of Doom o i Masters of Deception erano gruppi che si univano per potenziare i propri risultati, attraverso una forma di intelligenza collettiva, ma che poi rifluivano, tra litigi, egolatria, narcisismo tecnologico, in faide e discussioni e scismi. Il destino dei gruppi magici e dei maghi, in poche parole. La connessione tra Internet, personal computer – che consentì l’accesso alla Rete e alla informatica a un numero crescente di individui – e cultura hacker trasformò tanto la Rete quanto il computer in manufatti magici. Claire L. Evans scrive: “Internet come mezzo di comunicazione praticamente decise di esistere, trasformando il computer da un calcolatore a una scatola piena di voci”. La connessione di informazioni finiva per accrescere la conoscenza, e questa era inevitabilmente potere. Successivamente, all’accumulo bulimico di informazioni sarebbe seguito un fenomeno che è tipico di qualunque chiave magica: l’inscatolamento di dati. Perché quegli stessi hacker, perdendosi, smarrendosi, si rendevano parte della classe dei maghi istituzionali affascinati dal potere esterno al mondo magico: il potere dell’economia, della politica, dei governi. I dati non rappresentavano più frammenti di volontà e sigilli digitali, ma interesse economico. Ci si rese conto che seguendo le direttrici percorse dagli utenti nelle loro evoluzioni digitali si potevano ottenere dati di qualunque genere e tipologia, come prima si era fatto rovistando nella spazzatura; quei dati erano oro, o petrolio secondo l’abusata metafora utilizzata anche da un noto giornale, una sorta di pietra iridescente che consentiva, simile ai Palantir coniati dalla penna di John Ronald Reuel Tolkien, di leggere il futuro. Semplicemente perché quel futuro non veniva predetto, ma costruito ex ante. In certa misura, proprio come dice la Evans, Internet si animò di una volontà propria, come il Golem della tradizione magica ebraica o l’homunculus dell’alchimia. Internet è un lungo istante ininterrotto, scrive non casualmente William Gibson, e in quanto alla necessità essa è convenzionalmente prodotta dalla topologia delle ricerche, delle scelte e delle informazioni che accumulandosi tra loro determinano un panorama interiore dell’utente della Rete. Internet diventa la connessione-mondo che produce la fagocitazione del reale in una virtualità gnostica. Tim Berners Lee rileva: “Volendo estremizzare possiamo considerare il mondo come un’unica connessione. Di solito consideriamo un vocabolario come una raccolta di significati, ma in realtà questo libro definisce il mondo soltanto in termini di parodia. Mi piaceva molto l’idea che un frammento di informazione fosse definibile soltanto attraverso ciò cui è collegato. In realtà nel significato c’è ben poco di altro. La struttura è tutto. Nel nostro cervello abbiamo miliardi di neuroni, ma cosa sono? Soltanto cellule. Il cervello non sa nulla fino a quando i neuroni non sono collegati tra di loro. Tutto quello che sappiamo, tutto ciò che siamo deriva da come i neuroni sono collegati”. Lo strumento è chiaro, definito. A disposizione dei maghi, ciascuno con le proprie prerogative e le proprie ricerche e motivazioni. La connessione-mondo può essere un fine cui ambire in prospettiva individuale, secondo quanto predicato da Spare, oppure uno strumento di marketing magico-commerciale, allungando in questo caso l’ombra di Crowley sui profili delle società della Silicon Valley: in questo esatto punto, si situa la conflittualità dicotomica tra distinti, e assai diversi, modi di intendere il rapporto tra magia e tecnologia.
Il decentramento e la creazione di un sistema distribuito hanno costituito un modello che si è traslato dal mondo dei trasporti a quello della veicolazione delle informazioni: se, nel primo caso, la funzionalità decentrata doveva essere servente per le esigenze belliche e per convogliare truppe con la massima velocità nel punto prestabilito, nel secondo, quello della Rete, divenne essenziale poter spostare moli immense di dati, in maniera veloce e capace di superare eventuali saturazioni. D’altronde, molti anni dopo, e come abbiamo visto, William Gibson e altri intellettuali arriveranno a parlare, a proposito di Internet, di Infobahn; una autostrada di veicolazione accelerata di informazioni. Il termine Infobahn racchiude nel suo senso più profondo la scintillante realtà di un esperimento tecnologico che, pur percepito come frontiera di libertà, originò comunque da necessità belliche e iper-gerarchizzate. Esso inoltre rappresenta, in senso oscuro, la preoccupazione che poteri egemoni pubblici o privati fagocitino la Rete attraverso una feroce regolazione: Infobahn divenne quindi sinonimo di una Rete autoritaria, oggetto di interventi legislativi, in opposizione alla caotica e libertaria consistenza eslege del cyberspazio. Internet nacque d’altronde “all’ombra delle armi nucleari”, per dirla con Johnny Ryan, nel pieno della Guerra Fredda. La natura ambivalente della Rete, spazio di libertà e al tempo stesso strumento di connessione per fini bellici, è senza dubbio una delle questioni più spinose per chiunque si sia soffermato su Internet, sulle sue potenzialità e sui suoi rischi. Ancora più spinosa è però la consistenza morale e metafisica dello spazio digitale, un non-luogo in cui le identità vengono replicate senza rimanere uguali a loro stesse, in una sorta di manifestazione perenne di un simulacro. L’irreale del virtuale ha una sua precisa realtà, secondo un parametro che è tipicamente magico: ogni connessione, ogni informazione scambiata, produce mondi, comunità, realtà, che finiscono per assemblare un avatar del nostro essere. Il successo della magia del caos, della alchimia e di alcune altre dottrine esoteriche quando ci si riferisce a Internet rimanda alla memoria il detto sapienziale di Hasan-i-Sabbah, islamico fondatore della Setta degli Assassini: la frase “nulla è vero, tutto è permesso”, ripresa e variamente ricontestualizzata dal realismo magico e da William S. Burroughs, da Peter J. Carroll, da programmatori informatici, esperti di videogiochi e filosofi radicali, ipostatizza la realtà saliente della Rete per come essa davvero dovrebbe essere. Esorbitante dalla accettazione di un canone, di una regola o di un dogma, sia esso quello dei governi o quello dei “consiglieri del principe”. Nulla è vero, tutto è permesso esonda dai limiti della legge di Thelema: non è un mero “fai ciò che vuoi”, perché non è schema tipizzato in maniera metalegislativa. Mentre, cioè, per Crowley la legge del dominio dell’amore sotto la volontà viene estrinsecata secondo una metodologia codificata e istituzionale che sfocerà in rituali, evocazioni e aggregazioni comunitarie, come la Ecclesia Catholica Gnostica o le varie ramificazioni dell’Oto, la regola fondante del vero caos non ha verità né alcuna forma di limite e non accetta istituzioni collettivizzanti. Nulla è vero, esattamente come nel virtuale dove realtà e illusione si fondono. Tutto è permesso, posto che uno degli assunti fondanti dell’alta tecnologia è il superamento dei limiti. Il programmatore informatico avvinto dalla idea di servirsi del potere e di servire il potere, come avviene ad esempio nella cybersecurity o nelle invenzioni sfavillanti della Silicon Valley, si spingerà solo fino alla soglia del caos evocato e finirà per accontentarsi della legge di Thelema, ma il pirata informatico, il troll, il mago del caos varcheranno quella soglia per inabissarsi negli strati più cupi della psiche e dell’animo umano digitalizzato. Il magma nero e vorticante del caos produce nuovi mondi, paralleli rispetto al nostro sviluppo mentale, sociale, caratteriale. E produce una biforcazione strutturale: da un lato, un caos patinato, istituzionalizzato, servente, e dall’altro un caos assoluto, ingovernabile e totalmente privo di centro, un oceano di sensazioni e derive. Questo ultimo oceano oscuro, simile agli antichi canti del Maldoror di Lautréamont, forgia mondi occulti. Sono mondi nostri, popolati solo da noi, e totalmente privi di qualunque forma di socialità e di regola esterna al nostro perimetro psichico. Lo spareiano “Io sono Io” evoluto nel cyber-io. A differenza della magia evocativa che plasma figure elementali, nel mondo della Rete degli albori l’illusorietà avviene senza necessità di spegnere o elidere la volontà: il subconscio produce i suoi spareiani atavismi in maniera continuativa, attraverso rituali plastici e ripetuti di cui spesso non ci rendiamo nemmeno conto e che prendono vita semplicemente vivendo un dato contesto digitale, quale una piattaforma social, un forum o ancor più semplicemente compiendo una data operazione informatica. Come nella Cabala, ognuna delle dieci sephiroth, ovvero le gemme della sapienza, ha un proprio equivalente oscuro, le qliphoth, anche in Internet ogni cosa ha un proprio doppio che vive di luce e tenebra al tempo stesso e in cui ogni convenzionalità si sdilinquisce nel caos della indistinzione virtuale. Nulla è vero, tutto è permesso, rispecchia poi perfettamente, sia pure a contrario, l’ansia del mondo politico e sociale per la vastità cosmica dello spazio digitale, una ansia che si traduce sistematicamente in richieste di regolazione normativa o di censura di questi o quei contenuti. Il relativismo metafisico imposto dai codici espressivi della Rete, laddove mantenuti saldi, viene considerato riprovevole dalla struttura solidificata nel corso dei secoli degli Stati nazionali, che cercheranno invece di colonizzare e civilizzare questi linguaggi, nel nome della consapevolezza politica e del patto sociale. Homo homini lupus digitalis, non è forse questo un atavismo risorgente dal fondo cavo della mente? Si deve però rimanere intransigenti e fermi sulla propria posizione ferina senza cedere alle lusinghe del Leviatano che ambisce a governare la Rete, insegnano i maghi del caos e i pirati del digitale, inabissati nei loro camminamenti di pixel. Percorrendo gli infiniti sentieri della “autostrada dell’informazione”, si può metaforicamente seguire il viaggio di Ossendowski verso la terra magica di Agartha, attraverso prima una caotica discesa dalla Siberia, nel cuore invernale e infernale della Rivoluzione d’ottobre e della sanguinosa guerra civile, giù verso la Mongolia e il Tibet: Ossendowski, nel suo vivido e incantevole affresco passa in rassegna una vasta umanità, dal luciferino barone Roman von Ungern-Sternberg, anche noto come Ungern-khan, ai sacerdoti lamaisti, e una altrettanto vasta sapienza misterica. E proprio come Ossendowski, i pionieri della frontiera digitale hanno costruito il loro mondo basato su una identità virtuale da intendersi non come mera replica strutturale di ciò che si situa nel mondo analogico, ma come tentativo magico di edificazione di una polimorfica società sapiente di sogni lucidi e liquidi attraverso cui causare effetti senza apparente causa razionale: il termine avatar, in fondo, ormai entrato nel linguaggio comune del digitale, è la anglizzazione dell’induista Avatara, manifestazione palese della discesa del divino nel mondo. Ricostruendo la straordinaria storia del primo proto-cyberspazio comunitario, The WELL, Howard Rheingold nel volume The Virtual Community, dedica un intero capitolo al modo in cui visionari ed esteti hanno riflettuto sui segni e sui simboli come modalità di identificazione e materializzazione dei processi mentali e comunicativi: richiamando Douglas Engelbart, Rheingold riflette sulle complicazioni della strutturazione della civiltà e decostruisce il concetto, tipicamente magico, del computer e dello spazio virtuale come amplificazioni e prosecuzioni della mente. In questa visione, la identità virtuale connessa alla Rete tende a modellarsi come una sorta di ciò che il filosofo Pierre Lévy identifica come “intelligenza collettiva”, una simbiosi magica e gnostica mirante alla conoscenza universale mediante molteplici connessioni: l’avatar in questa chiave di lettura diventa la teurgia ierofanica dell’individuo che ascende a una comunità di pura informazione e dove la conoscenza è il liquido amniotico definitivo che tutto avvolge e circonda e perimetra. Assistiamo alla traslitterazione antesignana della intelligenza collettiva predicata da Lévy, il pensiero a sciame o ad alveare che avrebbe contraddistinto, nell’Eone digitale, le teorizzazioni di Kevin Kelly. In Out of Control, Kelly non tratteggia solo una nuova biologia sociale e spirituale delle macchine e dell’economia e della società, ma un senso magico di perdita del controllo, in funzione sciamanica ed evocativa, che prelude il raggiungimento della assoluta consapevolezza: la consistenza non centralizzata del sapere e della intelligenza. Il mito di Agartha, della incorporeità fattasi carne e mondo tutto ricondotto a unità nel digitale e nella tecnologia elevata, vista come opera alchemica per superare ogni limite del contingente, del reale e del biologico, è in fondo la negazione assoluta di questo approccio caotico e liberato. Agartha, come la Silicon Valley, è il punto di centralizzazione assoluta che si autoreplica producendo la propria visione di realtàaltra, mediante la fagocitazione del reale e la creazione di un virtuale con cui soppiantare il reale stesso. Autentico convitato di pietra della famigerata opera di Raymond Kurzweil, dirigente di Google e padre teorico del transumanesimo, il quale arriva a teorizzare l’idea iper-gnostica di un computer come universo, è proprio il mito di una riduzione all’Uno Assoluto che prelude la sistematizzazione istituzionale del potere magico. La centralità mistica della Rete e le sue ramificazioni finiscono per definire una similitudine potente con il mito di Agartha, governato sì da una popolazione di sapienti ma soprattutto da un re, il Re del Mondo: ed esattamente come in questa forma magica, assistiamo alla strutturazione nel web di layers di presunta democratizzazione del sapere, mediante pretesa orizzontalità della diffusione del sapere stesso e delle informazioni. Ma a questo sapere, lungi dal corrispondere una vera orizzontalità, risponde una piramide iper-verticistica che si modula e si atteggia come monarchia magica e gnostica. Lo vediamo in alcuni partitidigitali che hanno promesso “democrazia diretta digitale”, salvo poi dimostrarsi cyber-satrapie, lo vediamo con i sogni pop-egualitari venduti dal verticismo piramidale delle big tech, come ad esempio il salario minimo universale propugnato dalle grandi compagnie del digitale e che nei fatti finirebbe per costituire la premessa per una torsione neofeudale della società. Lo scenario metastorico prefigurato dal misticismo hi-tech è senza dubbio punteggiato di cattedrali gnostiche, rituali informazionali, e soprattutto da una modellazione castale della società stessa che passa per una contrattualizzazione dei rapporti sociali e per una dipendenza sempre più marcata dei cittadini/sudditi da una ristretta cerchia di potere. In una certa misura, Kurzweil rilegge, e supera radicalmente, l’idea posta a fondamento del Punto Omega, coniata da Pierre Teilhard de Chardin, ovvero una convergenza verso una sapienza unica: sapienza unica convergente che viene conosciuta anche come “Noosfera”, una autentica coscienza collettiva che nasce dalle reciproche, molteplici interazioni tra menti umane. Se in de Chardin è ancora presente un fondamento evidentemente cristologico, posto che la convergenza è nei fatti la Rivelazione del Logos, in Kurzweil la prospettiva vira verso il più puro tecnognosticismo, mediante una convergenza tra robotica, intelligenza artificiale, connettività digitale ai fini del superamento dei limiti umani: una trasvalutazione di ogni valore e canone biologico per far divenire l’individuo umano coincidente con la sapienza assoluta. Ma la trasvalutazione non produce liberazione né elevazione, solo attrazione verso il nuovo centro. Mondo ctonio, silente, ma unico, da cui si irradiano le illusioni, il Computer mitico e mistico teorizzato da queste correnti tecnognostiche è antagonista della liberazione magica attraverso il vero, scintillante turbinio del caos. Questa tentazione verso la iper-centralizzazione decentrata è piuttosto evidente se si ripercorrono le fasi di strutturazione della Rete. Manuel Castells nella sua ricostruzione delle fasi fondative dello spazio digitale distingue tra quattro insiemi e fasi socio-storiche, le quali sembrano ricalcare non solo concezioni tipiche della sociologia e della storia ma anche del pensiero iniziatico e delle fasi metastoriche dei miti fondativi, come l’Età del Ferro e quella dell’Oro: da un lato, infatti, Castells vede una élite imprenditoriale depositaria del pensiero tecnico-realizzativo che informa la Rete, dall’altra un ulteriore gruppo operativo, quello degli hacker, che diventano una declinazione libertaria e individualistica, connessa solo da logiche cooperative ma non comunitarie, del primo insieme. A ben vedere, una ricostruzione che echeggia la distinzione essenziale che intercorre tra una forma di sapere magico strutturato e istituzionale, fatto di gerarchia, istituzione magica, sapere celato, e un altro sapere, come quello che fu di Austin Osman Spare, visto e vissuto in chiave rigidamente individualistica. Gli hacker, senza dubbio alcuno, non sono stati solo i pionieri della frontiera digitale, coloro che ne hanno plasmato la cangiante identità: ne sono stati anche gli stregoni e i mistici fondatori, per come oggi la conosciamo. Il riferimento più consueto agli hacker è non a caso quello di stregoni, maghi del computer: e questo riferimento al “mago del computer” non è solamente didascalico, esemplificativo, ma sostanziale. La costituzione culturale degli hacker, la loro semantica, sono non ancillarmente punteggiate di riferimenti al mondo magico e all’esoterismo. Esempio paradigmatico il New Hacker’s Dictionary, da cui emerge come termini prettamente esoterici quali “Voodoo Programming”, “Deep Magic”, “Black Magic”, “Demigod”, siano ormai integralmente introiettati nella cultura cyber. Nel suo classico Giro di vite contro gli hacker, Bruce Sterling sottolinea come le prime tecniche di hacking avessero una stringente connessione tra mondo reale e mondo virtuale, nutrite dalla ingegneria sociale: modalità di raccolta dei dati, di analisi degli stessi, di manipolazione e di illusione. Molti hacker, scrive Sterling, raccoglievano i fogli di carta gettati nella spazzatura davanti alle direzioni amministrative di uffici di assicurazioni o banche o dei fast food, per ricostruire attraverso quei fogli potenziali password e poter così violare i sistemi informatici delle varie compagnie. Ma l’autore rammenta anche un altro dato che rivela un elemento di assoluta, profonda analogia tra il mondo dell’hacking e quello della magia: la apparente contraddizione tra spirito collaborativo e radicale litigiosità. Gran parte dei più conosciuti gruppi di hacking, come la Legion of Doom o i Masters of Deception erano gruppi che si univano per potenziare i propri risultati, attraverso una forma di intelligenza collettiva, ma che poi rifluivano, tra litigi, egolatria, narcisismo tecnologico, in faide e discussioni e scismi. Il destino dei gruppi magici e dei maghi, in poche parole. La connessione tra Internet, personal computer – che consentì l’accesso alla Rete e alla informatica a un numero crescente di individui – e cultura hacker trasformò tanto la Rete quanto il computer in manufatti magici. Claire L. Evans scrive: “Internet come mezzo di comunicazione praticamente decise di esistere, trasformando il computer da un calcolatore a una scatola piena di voci”. La connessione di informazioni finiva per accrescere la conoscenza, e questa era inevitabilmente potere. Successivamente, all’accumulo bulimico di informazioni sarebbe seguito un fenomeno che è tipico di qualunque chiave magica: l’inscatolamento di dati. Perché quegli stessi hacker, perdendosi, smarrendosi, si rendevano parte della classe dei maghi istituzionali affascinati dal potere esterno al mondo magico: il potere dell’economia, della politica, dei governi. I dati non rappresentavano più frammenti di volontà e sigilli digitali, ma interesse economico. Ci si rese conto che seguendo le direttrici percorse dagli utenti nelle loro evoluzioni digitali si potevano ottenere dati di qualunque genere e tipologia, come prima si era fatto rovistando nella spazzatura; quei dati erano oro, o petrolio secondo l’abusata metafora utilizzata anche da un noto giornale, una sorta di pietra iridescente che consentiva, simile ai Palantir coniati dalla penna di John Ronald Reuel Tolkien, di leggere il futuro. Semplicemente perché quel futuro non veniva predetto, ma costruito ex ante. In certa misura, proprio come dice la Evans, Internet si animò di una volontà propria, come il Golem della tradizione magica ebraica o l’homunculus dell’alchimia. Internet è un lungo istante ininterrotto, scrive non casualmente William Gibson, e in quanto alla necessità essa è convenzionalmente prodotta dalla topologia delle ricerche, delle scelte e delle informazioni che accumulandosi tra loro determinano un panorama interiore dell’utente della Rete. Internet diventa la connessione-mondo che produce la fagocitazione del reale in una virtualità gnostica. Tim Berners Lee rileva: “Volendo estremizzare possiamo considerare il mondo come un’unica connessione. Di solito consideriamo un vocabolario come una raccolta di significati, ma in realtà questo libro definisce il mondo soltanto in termini di parodia. Mi piaceva molto l’idea che un frammento di informazione fosse definibile soltanto attraverso ciò cui è collegato. In realtà nel significato c’è ben poco di altro. La struttura è tutto. Nel nostro cervello abbiamo miliardi di neuroni, ma cosa sono? Soltanto cellule. Il cervello non sa nulla fino a quando i neuroni non sono collegati tra di loro. Tutto quello che sappiamo, tutto ciò che siamo deriva da come i neuroni sono collegati”. Lo strumento è chiaro, definito. A disposizione dei maghi, ciascuno con le proprie prerogative e le proprie ricerche e motivazioni. La connessione-mondo può essere un fine cui ambire in prospettiva individuale, secondo quanto predicato da Spare, oppure uno strumento di marketing magico-commerciale, allungando in questo caso l’ombra di Crowley sui profili delle società della Silicon Valley: in questo esatto punto, si situa la conflittualità dicotomica tra distinti, e assai diversi, modi di intendere il rapporto tra magia e tecnologia.
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CALIFORNIA – MISSILI, CONTROCULTURA E MAGHI
Andrea Venanzoni
Al posto dell'abitazione di Parsons nel giugno del 1952, si staglia una fornace nera e fumante. Il boato dell’esplosione è stato udito a centinaia di metri di distanza, mettendo in allarme l’intero vicinato. Parsons viene rinvenuto agonizzante nel sottoscala trasformato in laboratorio chimico privato. Cerca di comunicare con i soccorritori ma non c’è verso; una volta trasportato in ospedale, pochi minuti dopo l’arrivo, viene dichiarato clinicamente morto per le ferite riportate nell’esplosione.
Andrea Venanzoni
Al posto dell'abitazione di Parsons nel giugno del 1952, si staglia una fornace nera e fumante. Il boato dell’esplosione è stato udito a centinaia di metri di distanza, mettendo in allarme l’intero vicinato. Parsons viene rinvenuto agonizzante nel sottoscala trasformato in laboratorio chimico privato. Cerca di comunicare con i soccorritori ma non c’è verso; una volta trasportato in ospedale, pochi minuti dopo l’arrivo, viene dichiarato clinicamente morto per le ferite riportate nell’esplosione.
Attenzione: Spoiler!
A Pasadena è una calda giornata di giugno del 1952, polizia e pompieri arrivano a sirene spiegate a un indirizzo ben noto alle forze dell’ordine. Lo conosce bene anche l’Fbi che ha indagato il proprietario dell’abitazione per simpatie comuniste e presunto spionaggio. Si tratta dello scienziato John Whiteside Parsons, una delle menti più brillanti della scienza missilistica. Talmente brillante, a dire il vero, che Wernher von Braun, padre nobile del volo spaziale ed ex appartenente all’esercito del Terzo Reich, all’epoca cooptato dalla Nasa, ne ha lodato più volte e in maniera vibrante le doti scientifiche e l’acume di ricerca.
Questa volta la visita delle forze dell’ordine non ha però nulla a che fare con le simpatie giovanili di Parsons per il comunismo, poi fortemente rinnegate. Al posto della sua abitazione si staglia infatti una fornace nera e fumante. Il boato dell’esplosione è stato udito a centinaia di metri di distanza, mettendo in allarme l’intero vicinato. Parsons viene rinvenuto agonizzante nel sottoscala trasformato in laboratorio chimico privato. Cerca di comunicare con i soccorritori ma non c’è verso; una volta trasportato in ospedale, pochi minuti dopo l’arrivo, viene dichiarato clinicamente morto per le ferite riportate nell’esplosione. Nel quartiere, in città, sui mezzi di comunicazione iniziano a circolare le ipotesi più disparate per cercare di spiegare quello che a prima vista sembrerebbe solo un incidente domestico di uno scienziato abbastanza sui generis. E nel gorgo di voci, illazioni e ricostruzioni, inizia a farsi strada anche la pista della magia nera e delle sperimentazioni alchemiche e demoniche. Parsons infatti non è stato solamente una delle menti più brillanti della scienza aeromissilistica. Allievo di Crowley, che in California aveva innestato uno dei gruppi più nutriti e creativi del suo Ordo Templi Orientis, Parsons lavorava magicamente alla realizzazione pratica dell’Eone di Horus su cui Crowley tanto aveva scritto e teorizzato. George Pendle descrive Parsons come cardine, interfaccia e vettore tra magia, alta tecnologia e inquieta cultura californiana. Nel suo The Book of Babalon Parsons dette conto dei suoi progressi e delle sue fortune magico-scientifiche, in alcuni casi accompagnate per via da altri personaggi di assoluto rilievo della cultura americana, come quell’enigmatica figura che fu Ron Hubbard, scrittore di fantascienza e fondatore, anni dopo, della Dianetica e di Scientology. In una entusiastica e sovra-eccitata lettera inviata a Crowley, Parsons parlando di Hubbard ne lodò le capacità sensoriali e, nonostante lo definisse come alieno alla vera magia, ne vide in maniera chiara e nitida la capacità di afferrare i fenomeni occulti, come era stato per Kelley e Dee secoli prima. Proprio per questo, Parsons associò a sé Hubbard in una serie di esperimenti dal contenuto sessuale, in cui Hubbard aveva il ruolo dello scrivano, una sorta di segretario che avrebbe dovuto annotare qualunque manifestazione esoterica rivelatasi nel corso del rituale, in cui lo scienziato evocava spiriti elementali al culmine del piacere masturbatorio. Dopo la morte di Parsons, come riportano Robert Anton Wilson e John Carter, tra le varie teorie che cercarono di ricostruire la dinamica della esplosione venne anche sostenuto che la deflagrazione fosse figlia di un esperimento magico mirante alla creazione dell’homunculus, la leggendaria figura dell’aiutante magico dell’alchimista. Secondo altri, più prosaicamente, Parsons si sarebbe suicidato a causa di un grave stato depressivo patito per una relazione poliamorosa, in ossequio alle coordinate concettuali dell’Oto che vedeva di buon occhio la promiscuità e le coppie aperte: così Parsons si era risolto a condividere la propria donna con Hubbard, anche se la cosa, lo avevano notato in molti, non era propriamente andata giù allo scienziato. Il ruolo di attrattore di energie magiche sembrava un destino ineluttabile della California, simbolicamente rappresentato al meglio dalla presenza di Crowley, che in questo estremo lembo di suolo americano, stretto tra l’oceano e il Messico, aveva lasciato una eredità pesante. Una eredità che sarebbe stata dopo la sua morte proseguita da Karl Germer, tedesco membro di spicco dell’Oto, trasferitosi proprio in California. A partire dagli anni Trenta, tra Hollywood e Pasadena, fu attiva la Loggia Agape, fondata a Pasadena nel 1936, un gruppo influenzato dalle dottrine dell’Oto e di Crowley, e di cui Jack Parsons fu membro e negli anni Quaranta, a seguito di una serie di dissidi interni, anche leader. Crowley stesso aveva un rapporto decisamente conflittuale con la California: la sua descrizione della California del Sud, dopo una visita del 1916, appare indicativa di ciò che sarebbe venuto in seguito; secondo la Bestia 666, la gente a Hollywood “era soltanto un gruppo di sbandati sotto cocaina ossessionati dal successo cinematografico e da strane fantasie sessuali”. Secondo alcuni, come riporta PierLuigi Zoccatelli nella sua storia dell’Oto, la California sarebbe talmente tanto centrale nella strutturazione degli ordini magici da aver dato il proprio nome alla organizzazione dell’Oto stesso, che si definisce “Califfato”: il termine non sarebbe mutuato dal lessico islamico ma sarebbe piuttosto la forma magica della abbreviazione “Calif.”, California appunto. Certo è che proprio a San Francisco si sarebbe tenuta, nel 1985, una delle prime controversie giudiziarie instaurate per determinare la successione nei gradi di comando dell’ordine ormai orfano da decenni di Crowley. Uno dei seguaci californiani più rilevanti della filosofia magica thelemica propugnata da Crowley è senza dubbio il regista cinematografico sperimentale e giornalista Kenneth Anger: figura leggendaria della controcultura americana, autore di film assolutamente lisergici e carichi di sottesi esoterici, come Inauguration of the Pleasure Dome o Scorpio Rising, grondanti di occultismo, simbologia magica, controcultura, omoerotismo e sadomasochismo, Anger lascia peraltro una delle migliori messe a punto su quell’autentico non-luogo che è Hollywood. In Hollywood Babilonia, ripercorrendo la storia del cinema americano e degli Studios, con una serie di articoli e saggi aperti dal motto crowleyano “Ogni uomo e ogni donna è una stella”, Anger scavò nel profondo della simbologia occulta del cinema e delle personalità che lo hanno popolato e reso grande. “Ho sempre considerato il cinema come qualcosa di malvagio. Il giorno in cui è stato inventato è stato un giorno nero per l’umanità” annota in maniera dolente Anger. Ma la California divenne presto anche epicentro della contestazione, della cultura hippie, e di quella psichedelica, delle nuove correnti di pensiero filosofico e dell’interesse organico per le dottrine orientali e per l’alta tecnologia. Nel 1966, in piena era di rivolgimento hippie e di contestazione alla guerra del Vietnam, a San Francisco, Anton Szandor LaVey fondò la Chiesa di Satana: la pittoresca e flamboyant personalità di LaVey attrasse musicisti, attori, letterati e in breve tempo la Chiesa di Satana divenne uno dei gruppi più influenti del satanismo a livello mondiale. Alla Chiesa, nell’arco temporale dei primi anni, aderirono personalità come Jayne Mansfield, Sammy Davis jr, attori, musicisti, scrittori come Fritz Leiber e Forrest J. Ackerman, attratti dalle feste organizzate da LaVey e dalla sua dottrina iper-individualistica e dall’aroma nietzschiano. Il successo della Chiesa nel mondo dello spettacolo, oltre alle pittoresche feste di spleen esoterico, era dovuto anche alla collaborazione di Kenneth Anger, che di LaVey fu amico per molto tempo, oltre alla folta rete relazionale dello stesso LaVey, molto popolare nel mondo dell’horror e della fantascienza. Il fondatore della Chiesa di Satana aveva infatti collaborato con la rivista Weird Tales, la stessa che anni prima aveva ospitato i racconti dei Miti di Cthulhu, di H.P. Lovecraft. Si rumoreggiò, probabilmente su compiaciuto input iniziale dello stesso LaVey, che Roman Polański avesse chiesto al Papa Nero di fargli da consulente per le riprese di Rosemary’s Baby. La notizia era del tutto falsa, ma ancor prima dell’epoca di fake news e post-verità divenne patrimonio comune di tutti quelli che volevano dipingere il regista di origini polacche come una figura luciferina, anche alla luce del massacro di Sharon Tate da parte dei membri della Family di Charles Manson. E anche dopo la morte di LaVey, pur squassata da scismi, faide e polemiche, la Chiesa di Satana ha continuato a far parlare di sé, come in occasione della Alta Messa nera tenuta il 6 giugno 2006, 6/6/06, in un famoso teatro di San Francisco, con la sonorizzazione cupa e catacombale realizzata dal progetto dark ambient esoterico Lustmord e con gli intervenuti intervistati dalla Bbc. In realtà, il gruppo era scarsamente esoterico e sembrava maggiormente rispondere a coordinate di “satanismo razionalista” che vedeva in Satana il principio della razionalità da opporre al dogma cristiano. E proprio l’accusa di scarsa visione esoterica e magica portò al più significativo scisma subito da una congrega magica: nel 1975, diversi sacerdoti della Chiesa, capitanati dal tenente colonnello dell’esercito statunitense Michael Aquino, fondarono il Tempio di Set. A differenza della Chiesa di Satana, il Tempio di Set praticava magia rituale ed evocativa basata sui precetti di Crowley, Spare e di altri esoteristi storici, basata sul culto draconiano di Set. Organizzata in “piloni” e dotata di una propria visione di “satanismo gnostico”, anche questa associazione divenne un caposaldo della controcultura, californiana in primis. Interessante, senza dubbio, è la personalità stessa di Aquino: non solo militare di carriera, ma esperto di intelligence e di guerra psicologica, laureato in Scienze politiche all’Università della California – laurea a cui avrebbe fatto seguire un dottorato – e con esperienza bellica in Vietnam, Aquino era e rimane un grande conoscitore della psiche umana e di quelle forme di conflitto decisamente meno convenzionali. In quella che è forse la sua opera più notevole e conosciuta, The Book of Coming Forth by Night, Aquino, con stile erudito, e con accenti concettuali mutuati non solo dall’esoterismo classico ma anche dalla filosofia occidentale, indulgendo in una piena scrittura automatica, riprende la lezione di Crowley, e annuncia la venuta dell’era di Set. Gran parte del pensiero esoterico del Tempio si basa su una rilettura “satanica” e gnostica dell’egittologia, mediante un sincretismo concettuale che appare davvero molto “californiano”. L’esoterismo ctonio californiano, crepuscolare e luciferino, in alcuni decenni si è reso autentico brodo di coltura di un pensiero magico che ha permeato qualunque ambito della vita sociale. Erik Davis sottolinea la miscela esplosiva in termini culturali della miscellanea tra alta tecnologia, mentalità psichedelica e controculturale, “ideologia californiana” che avrebbe poi dato vita a un paradossale scientismo irrazionale e magico. Vero fondamento sostanziale della Silicon Valley, un crogiolo scoppiettante di reminiscenze hippie, cut-up post-burroughsiano, autoreferenzialità ai limiti della castrazione emotiva, pensiero magico, feticismo tecnologico. E “ideologia californiana”, appunto. Il termine ideologia californiana è stato istituzionalmente coniato, nel generale quadro della analisi dei nuovi media, a far tempo dallo studio di R. Barbrook e A. Cameron, The Californian Ideology. Punto focale di questa ricostruzione è la consapevolezza della emersione di una nuova classe dominante che non solo detiene in maniera monopolistica i nuovi mezzi di produzione, ma riesce a influenzare anche lo sviluppo culturale mediante la ritenzione delle informazioni circolanti e la capacità di incisione sulla conoscenza: originante da una mescolanza di radicalismo tecnologico, iperlibertarismo economico, ma non etico né politico, l’ideologia californiana ha pervaso la Silicon Valley e le startup del digitale, atteggiandosi a pensiero magico capace di pervadere il tutto sociale. D’altronde, quando John Perry Barlow redigerà quella autentica costituzione libertaria che è la Dichiarazione di Indipendenza del Cyberspazio, lo farà in uno stato di alterazione quasi magica dovuta all’abbondante champagne, a margine del Forum di Davos, come ricorda The Times nell’obituary dello stesso Barlow risalente al 6 marzo 2018. In un intreccio di alta finanza, innovazione, pensiero magico e creazione artistica, Barlow aveva redatto la sua personale costituzione del cyberspazio e la aveva inviata a chiunque sapesse avere una mail. Ricorda Niall Ferguson come quello di Barlow fosse un atto di materializzazione di una rete sociale e relazionale, il Forum di Davos, riprodotto nella virtualità magica della rete Internet: all’ombra della “montagna magica” narrata da Thomas Mann, quella notte svizzera si rendeva fattore taumaturgico del futuro digitale. Quello scritto, che aveva invitato i governi a stare fuori dallo spazio virtuale di silicio e bit e che molto avrebbe impressionato tanto la cultura hacker quanto Tim Berners-Lee, sarebbe divenuto oggetto di entusiasmo, adesione, riprovazione, critica, tanto da poterlo ritrovare in qualunque saggio, sociologico, antropologico o giuridico, si sia confrontato con le origini e il senso stesso di Internet. La Declaration venne riprodotta in un ormai classico volume di cultura crypto-hacker in cui spirito libertario, crittografia, esoterismo e culture underground avrebbero trovato piena cittadinanza, l’indimenticabile Crypto Anarchy, Cyberstates, and Pirate Utopias curato da Peter Ludlow. Nel volume, la equiparazione tra pensiero magico e alta tecnologia è estremamente ricorrente, con una analisi organica dell’“imperialismo magico” creato dal mago John Dee e suggerito alla regina Elisabetta I, effettuata da Hakim Bey. Barlow, d’altronde, tra le varie cose, era stato anche il paroliere della band musicale alfiere del rock psichedelico, i Grateful Dead, e il fondatore della Electronic Frontier Foundation, l’associazione di lotta per il riconoscimento di un Internet come spazio libero, per la libertà di pensiero e per la innovazione lasciata nelle mani dei nativi digitali che popola(va)no gli spazi virtuali. Non può stupire quindi che l’attuale spazio del silicio, la Silicon Valley, questo modello che si trasla tra spazio geografico fisico e livello inconscio magico totalmente deterritorializzato e disincarnato, autentica erede della Frontiera americana, sia nata da quei primi esperimenti ibridi degli anni Sessanta, tra San Francisco e Palo Alto.
Questa volta la visita delle forze dell’ordine non ha però nulla a che fare con le simpatie giovanili di Parsons per il comunismo, poi fortemente rinnegate. Al posto della sua abitazione si staglia infatti una fornace nera e fumante. Il boato dell’esplosione è stato udito a centinaia di metri di distanza, mettendo in allarme l’intero vicinato. Parsons viene rinvenuto agonizzante nel sottoscala trasformato in laboratorio chimico privato. Cerca di comunicare con i soccorritori ma non c’è verso; una volta trasportato in ospedale, pochi minuti dopo l’arrivo, viene dichiarato clinicamente morto per le ferite riportate nell’esplosione. Nel quartiere, in città, sui mezzi di comunicazione iniziano a circolare le ipotesi più disparate per cercare di spiegare quello che a prima vista sembrerebbe solo un incidente domestico di uno scienziato abbastanza sui generis. E nel gorgo di voci, illazioni e ricostruzioni, inizia a farsi strada anche la pista della magia nera e delle sperimentazioni alchemiche e demoniche. Parsons infatti non è stato solamente una delle menti più brillanti della scienza aeromissilistica. Allievo di Crowley, che in California aveva innestato uno dei gruppi più nutriti e creativi del suo Ordo Templi Orientis, Parsons lavorava magicamente alla realizzazione pratica dell’Eone di Horus su cui Crowley tanto aveva scritto e teorizzato. George Pendle descrive Parsons come cardine, interfaccia e vettore tra magia, alta tecnologia e inquieta cultura californiana. Nel suo The Book of Babalon Parsons dette conto dei suoi progressi e delle sue fortune magico-scientifiche, in alcuni casi accompagnate per via da altri personaggi di assoluto rilievo della cultura americana, come quell’enigmatica figura che fu Ron Hubbard, scrittore di fantascienza e fondatore, anni dopo, della Dianetica e di Scientology. In una entusiastica e sovra-eccitata lettera inviata a Crowley, Parsons parlando di Hubbard ne lodò le capacità sensoriali e, nonostante lo definisse come alieno alla vera magia, ne vide in maniera chiara e nitida la capacità di afferrare i fenomeni occulti, come era stato per Kelley e Dee secoli prima. Proprio per questo, Parsons associò a sé Hubbard in una serie di esperimenti dal contenuto sessuale, in cui Hubbard aveva il ruolo dello scrivano, una sorta di segretario che avrebbe dovuto annotare qualunque manifestazione esoterica rivelatasi nel corso del rituale, in cui lo scienziato evocava spiriti elementali al culmine del piacere masturbatorio. Dopo la morte di Parsons, come riportano Robert Anton Wilson e John Carter, tra le varie teorie che cercarono di ricostruire la dinamica della esplosione venne anche sostenuto che la deflagrazione fosse figlia di un esperimento magico mirante alla creazione dell’homunculus, la leggendaria figura dell’aiutante magico dell’alchimista. Secondo altri, più prosaicamente, Parsons si sarebbe suicidato a causa di un grave stato depressivo patito per una relazione poliamorosa, in ossequio alle coordinate concettuali dell’Oto che vedeva di buon occhio la promiscuità e le coppie aperte: così Parsons si era risolto a condividere la propria donna con Hubbard, anche se la cosa, lo avevano notato in molti, non era propriamente andata giù allo scienziato. Il ruolo di attrattore di energie magiche sembrava un destino ineluttabile della California, simbolicamente rappresentato al meglio dalla presenza di Crowley, che in questo estremo lembo di suolo americano, stretto tra l’oceano e il Messico, aveva lasciato una eredità pesante. Una eredità che sarebbe stata dopo la sua morte proseguita da Karl Germer, tedesco membro di spicco dell’Oto, trasferitosi proprio in California. A partire dagli anni Trenta, tra Hollywood e Pasadena, fu attiva la Loggia Agape, fondata a Pasadena nel 1936, un gruppo influenzato dalle dottrine dell’Oto e di Crowley, e di cui Jack Parsons fu membro e negli anni Quaranta, a seguito di una serie di dissidi interni, anche leader. Crowley stesso aveva un rapporto decisamente conflittuale con la California: la sua descrizione della California del Sud, dopo una visita del 1916, appare indicativa di ciò che sarebbe venuto in seguito; secondo la Bestia 666, la gente a Hollywood “era soltanto un gruppo di sbandati sotto cocaina ossessionati dal successo cinematografico e da strane fantasie sessuali”. Secondo alcuni, come riporta PierLuigi Zoccatelli nella sua storia dell’Oto, la California sarebbe talmente tanto centrale nella strutturazione degli ordini magici da aver dato il proprio nome alla organizzazione dell’Oto stesso, che si definisce “Califfato”: il termine non sarebbe mutuato dal lessico islamico ma sarebbe piuttosto la forma magica della abbreviazione “Calif.”, California appunto. Certo è che proprio a San Francisco si sarebbe tenuta, nel 1985, una delle prime controversie giudiziarie instaurate per determinare la successione nei gradi di comando dell’ordine ormai orfano da decenni di Crowley. Uno dei seguaci californiani più rilevanti della filosofia magica thelemica propugnata da Crowley è senza dubbio il regista cinematografico sperimentale e giornalista Kenneth Anger: figura leggendaria della controcultura americana, autore di film assolutamente lisergici e carichi di sottesi esoterici, come Inauguration of the Pleasure Dome o Scorpio Rising, grondanti di occultismo, simbologia magica, controcultura, omoerotismo e sadomasochismo, Anger lascia peraltro una delle migliori messe a punto su quell’autentico non-luogo che è Hollywood. In Hollywood Babilonia, ripercorrendo la storia del cinema americano e degli Studios, con una serie di articoli e saggi aperti dal motto crowleyano “Ogni uomo e ogni donna è una stella”, Anger scavò nel profondo della simbologia occulta del cinema e delle personalità che lo hanno popolato e reso grande. “Ho sempre considerato il cinema come qualcosa di malvagio. Il giorno in cui è stato inventato è stato un giorno nero per l’umanità” annota in maniera dolente Anger. Ma la California divenne presto anche epicentro della contestazione, della cultura hippie, e di quella psichedelica, delle nuove correnti di pensiero filosofico e dell’interesse organico per le dottrine orientali e per l’alta tecnologia. Nel 1966, in piena era di rivolgimento hippie e di contestazione alla guerra del Vietnam, a San Francisco, Anton Szandor LaVey fondò la Chiesa di Satana: la pittoresca e flamboyant personalità di LaVey attrasse musicisti, attori, letterati e in breve tempo la Chiesa di Satana divenne uno dei gruppi più influenti del satanismo a livello mondiale. Alla Chiesa, nell’arco temporale dei primi anni, aderirono personalità come Jayne Mansfield, Sammy Davis jr, attori, musicisti, scrittori come Fritz Leiber e Forrest J. Ackerman, attratti dalle feste organizzate da LaVey e dalla sua dottrina iper-individualistica e dall’aroma nietzschiano. Il successo della Chiesa nel mondo dello spettacolo, oltre alle pittoresche feste di spleen esoterico, era dovuto anche alla collaborazione di Kenneth Anger, che di LaVey fu amico per molto tempo, oltre alla folta rete relazionale dello stesso LaVey, molto popolare nel mondo dell’horror e della fantascienza. Il fondatore della Chiesa di Satana aveva infatti collaborato con la rivista Weird Tales, la stessa che anni prima aveva ospitato i racconti dei Miti di Cthulhu, di H.P. Lovecraft. Si rumoreggiò, probabilmente su compiaciuto input iniziale dello stesso LaVey, che Roman Polański avesse chiesto al Papa Nero di fargli da consulente per le riprese di Rosemary’s Baby. La notizia era del tutto falsa, ma ancor prima dell’epoca di fake news e post-verità divenne patrimonio comune di tutti quelli che volevano dipingere il regista di origini polacche come una figura luciferina, anche alla luce del massacro di Sharon Tate da parte dei membri della Family di Charles Manson. E anche dopo la morte di LaVey, pur squassata da scismi, faide e polemiche, la Chiesa di Satana ha continuato a far parlare di sé, come in occasione della Alta Messa nera tenuta il 6 giugno 2006, 6/6/06, in un famoso teatro di San Francisco, con la sonorizzazione cupa e catacombale realizzata dal progetto dark ambient esoterico Lustmord e con gli intervenuti intervistati dalla Bbc. In realtà, il gruppo era scarsamente esoterico e sembrava maggiormente rispondere a coordinate di “satanismo razionalista” che vedeva in Satana il principio della razionalità da opporre al dogma cristiano. E proprio l’accusa di scarsa visione esoterica e magica portò al più significativo scisma subito da una congrega magica: nel 1975, diversi sacerdoti della Chiesa, capitanati dal tenente colonnello dell’esercito statunitense Michael Aquino, fondarono il Tempio di Set. A differenza della Chiesa di Satana, il Tempio di Set praticava magia rituale ed evocativa basata sui precetti di Crowley, Spare e di altri esoteristi storici, basata sul culto draconiano di Set. Organizzata in “piloni” e dotata di una propria visione di “satanismo gnostico”, anche questa associazione divenne un caposaldo della controcultura, californiana in primis. Interessante, senza dubbio, è la personalità stessa di Aquino: non solo militare di carriera, ma esperto di intelligence e di guerra psicologica, laureato in Scienze politiche all’Università della California – laurea a cui avrebbe fatto seguire un dottorato – e con esperienza bellica in Vietnam, Aquino era e rimane un grande conoscitore della psiche umana e di quelle forme di conflitto decisamente meno convenzionali. In quella che è forse la sua opera più notevole e conosciuta, The Book of Coming Forth by Night, Aquino, con stile erudito, e con accenti concettuali mutuati non solo dall’esoterismo classico ma anche dalla filosofia occidentale, indulgendo in una piena scrittura automatica, riprende la lezione di Crowley, e annuncia la venuta dell’era di Set. Gran parte del pensiero esoterico del Tempio si basa su una rilettura “satanica” e gnostica dell’egittologia, mediante un sincretismo concettuale che appare davvero molto “californiano”. L’esoterismo ctonio californiano, crepuscolare e luciferino, in alcuni decenni si è reso autentico brodo di coltura di un pensiero magico che ha permeato qualunque ambito della vita sociale. Erik Davis sottolinea la miscela esplosiva in termini culturali della miscellanea tra alta tecnologia, mentalità psichedelica e controculturale, “ideologia californiana” che avrebbe poi dato vita a un paradossale scientismo irrazionale e magico. Vero fondamento sostanziale della Silicon Valley, un crogiolo scoppiettante di reminiscenze hippie, cut-up post-burroughsiano, autoreferenzialità ai limiti della castrazione emotiva, pensiero magico, feticismo tecnologico. E “ideologia californiana”, appunto. Il termine ideologia californiana è stato istituzionalmente coniato, nel generale quadro della analisi dei nuovi media, a far tempo dallo studio di R. Barbrook e A. Cameron, The Californian Ideology. Punto focale di questa ricostruzione è la consapevolezza della emersione di una nuova classe dominante che non solo detiene in maniera monopolistica i nuovi mezzi di produzione, ma riesce a influenzare anche lo sviluppo culturale mediante la ritenzione delle informazioni circolanti e la capacità di incisione sulla conoscenza: originante da una mescolanza di radicalismo tecnologico, iperlibertarismo economico, ma non etico né politico, l’ideologia californiana ha pervaso la Silicon Valley e le startup del digitale, atteggiandosi a pensiero magico capace di pervadere il tutto sociale. D’altronde, quando John Perry Barlow redigerà quella autentica costituzione libertaria che è la Dichiarazione di Indipendenza del Cyberspazio, lo farà in uno stato di alterazione quasi magica dovuta all’abbondante champagne, a margine del Forum di Davos, come ricorda The Times nell’obituary dello stesso Barlow risalente al 6 marzo 2018. In un intreccio di alta finanza, innovazione, pensiero magico e creazione artistica, Barlow aveva redatto la sua personale costituzione del cyberspazio e la aveva inviata a chiunque sapesse avere una mail. Ricorda Niall Ferguson come quello di Barlow fosse un atto di materializzazione di una rete sociale e relazionale, il Forum di Davos, riprodotto nella virtualità magica della rete Internet: all’ombra della “montagna magica” narrata da Thomas Mann, quella notte svizzera si rendeva fattore taumaturgico del futuro digitale. Quello scritto, che aveva invitato i governi a stare fuori dallo spazio virtuale di silicio e bit e che molto avrebbe impressionato tanto la cultura hacker quanto Tim Berners-Lee, sarebbe divenuto oggetto di entusiasmo, adesione, riprovazione, critica, tanto da poterlo ritrovare in qualunque saggio, sociologico, antropologico o giuridico, si sia confrontato con le origini e il senso stesso di Internet. La Declaration venne riprodotta in un ormai classico volume di cultura crypto-hacker in cui spirito libertario, crittografia, esoterismo e culture underground avrebbero trovato piena cittadinanza, l’indimenticabile Crypto Anarchy, Cyberstates, and Pirate Utopias curato da Peter Ludlow. Nel volume, la equiparazione tra pensiero magico e alta tecnologia è estremamente ricorrente, con una analisi organica dell’“imperialismo magico” creato dal mago John Dee e suggerito alla regina Elisabetta I, effettuata da Hakim Bey. Barlow, d’altronde, tra le varie cose, era stato anche il paroliere della band musicale alfiere del rock psichedelico, i Grateful Dead, e il fondatore della Electronic Frontier Foundation, l’associazione di lotta per il riconoscimento di un Internet come spazio libero, per la libertà di pensiero e per la innovazione lasciata nelle mani dei nativi digitali che popola(va)no gli spazi virtuali. Non può stupire quindi che l’attuale spazio del silicio, la Silicon Valley, questo modello che si trasla tra spazio geografico fisico e livello inconscio magico totalmente deterritorializzato e disincarnato, autentica erede della Frontiera americana, sia nata da quei primi esperimenti ibridi degli anni Sessanta, tra San Francisco e Palo Alto.
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2 Mesi 15 Ore fa #54441
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Risposta da Bastion al topic Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
I SEGRETI DELLA CASA DELLA VITA
Adriano Forgione
Il simbolismo della scienza egizia corrisponde a un arcaico animismo magico, ma il significato profondo dello stesso ci pone di fronte a una sapienza scientifica incredibilmente coincidente con i postulati della scienza moderna.
Adriano Forgione
Il simbolismo della scienza egizia corrisponde a un arcaico animismo magico, ma il significato profondo dello stesso ci pone di fronte a una sapienza scientifica incredibilmente coincidente con i postulati della scienza moderna.
Attenzione: Spoiler!
Nell’antico Egitto, la scienza che permetteva di manipolare con efficacia le forze della natura costituiva una conoscenza riservata a un gruppo ristretto di esperti. Le formule che permettevano di applicare tale sapere, conferivano potere. Pertanto, ne aveva accesso solamente il personale qualificato con la funzione di assistere il faraone nella sua missione di preservare l’ordine del mondo. I “laboratori” dove venivano messe in opera tali formule venivano chiamati “Case della Vita”, mentre i “tecnici” che si dedicavano alla ricerca e allo sviluppo erano i maghisacerdoti. Per gli Egizi, la Creazione era un’entità vivente. Tutti i corpi materiali erano animati e interconnessi, nella misura in cui erano parte di un’unità che si identificava con un Creatore non creato (Atum), che aveva donato loro la vita mediante l’atto di concepirli e nominarli, cominciando da se stesso e dalle sue membra, dalle quali nacquero tutti gli dèi. Esistevano tecniche per manipolare le energie invisibili contenute nei corpi. Era possibile captarle, estrarle e trasferirle ad altri, al fine di liberare un soggetto dal male o dalla malattia e ristabilire l’armonia perduta, o per dotare gli oggetti di una vita propria. La forza impersonale che permetteva di manipolare e controllare tali energie era rappresentata da Heka, l’essenza della magia. Il fatto che gli dèi della magia rispondessero a un concetto panteista non è casuale, come hanno osservato gli storici ed egittologi Jacques Pirenne e Serge Saumeron. Questi dèi si presentavano come potenze scomposte nei loro vari aspetti - e come tali potevano venir analizzati e contrapposti – nella misura in cui simbolizzavano le forze naturali. Il Sole, ad esempio, era espressione di Khepri (dio della metamorfosi) all’alba, di Atum al crepuscolo e di Ra a mezzogiorno. Horus, figlio di Osiride e Iside, si identificava con il Sole sotto l’aspetto di “Horus d’oro”, ma anche con Marte quando si manifestava come “Horus il rosso”. Thot, “contatore di stelle” (in quanto divinità che presiede al calcolo del tempo) e patrono dei maghi, era associato alla Luna, ma anche Iside era posta in relazione con lo stesso astro quando si presentava, considerando il suo movimento celeste, come “Casa di Osiride”. Tuttavia, isolatamente, la Luna era identificata con una divinità indipendente da entrambe. Su questa base metafisica gli Egizi costruirono la propria cosmologia, in cui l’ordine dell’Universo sorgeva da una legge di corrispondenze che articolava tutti i livelli della realtà in un’unica trama. Così, ad esempio, il principio di somiglianza, già menzionato, associava “Horus il rosso” con il pianeta Marte, il colore rosso, il ferro, il sangue e la guerra. Ma ancora, tutti questi dèi non erano altro che aspetti diversi nati dalla metamorfosi dello stesso creatore. Pertanto la sapienza spirituale e magica egizia non era Panteismo, ma una forma non dogmatica di “Monoteismo”. Pirenne la definisce “Monoteismo Spiritualista” anche se trovo questa definizione poco attinente a descriverla. Il culto segreto di un Dio unico era per l’Egitto sapiente il cuore esoterico della sua teologia, e tale dottrina occulta era insegnata nella Casa della Vita.
LA DIALETTICA DEL MONDO
Di certo non ci troviamo davanti a un’immagine primitiva del mondo, ma all’idea di un mondo fatto di vibrazioni e armonia, in cui le trasformazioni obbediscono a una dinamica di scambi di energia. Tutto questo è anche alla base della fisica teorica moderna. I concetti fondamentali della Meccanica e della Chimica quantistica, dal quanto d’energia allo spin, passando per il dualismo onda/ particella e per i salti orbitali dell’elettrone intorno al nucleo dell’atomo, si poggiano alla stessa idea di trasferimento energetico che postulava la magia egizia. Lo stesso succede con il concetto di risonanza gravitazionale, maneggiato oggi dagli astrofisici. L’origine dell’Universo o della Creazione, a partire dalle metamorfosi dell’“Uno” non creato, corrisponde all’immagine dell’Universo proposta dalla teoria del Big Bang. E le metamorfosi stesse, che rappresentano l’evoluzione antropomorfica del Creatore, prefigurano il principio antropico, formulato dal fisico Paul Dirac nel 1931. L’interconnessione di tutte le sue parti e l’influenza del tutto in ognuna di esse è ciò che viene teorizzato dal principio cosmologico attualmente vigente. Pensiamo per un momento alla fisica egizia. Per questa, il Cosmo (l’Ordine) era sorto dal Caos indifferenziato e vi agiva in seno come una tendenza permanente. Esso necessitava di una forza contrastante che mantenesse un equilibrio, evitando che il mondo si estinguesse in un crescente disordine. In questa idea è presente il concetto di entropia della nostra fisica moderna, così come l’intuizione di Werner Heisenberg quando propose l’esistenza di un “campo creatore” che, opponendosi all’ entropia, facesse in modo che l’ Universo non si dissipasse nel disordine. Secondo la scienza sacra egizia, la Creazione fu il risultato di questo dialogo tra gli opposti che, nella sua mitologia, veniva espresso dalla lotta eterna tra il dio supremo Ra contro il serpente Apofi. Ogni alba celebrava la vittoria della Luce (che incarnava Ra come Sole, dalla quale era nata Heka come energia benefica) sul Caos simbolizzato da Apofi. Secondo questo principio, affinché la Creazione non si disgregasse nel Caos, era necessaria un’azione di rigenerazione permanente che si opponesse al determinismo, vincendo l’inerzia e sostenendo il movimento armonico. Questo è lo stesso concetto che propose Einstein con la sua costante cosmologica, per spiegare per quale motivo l’Universo non collassi su sé stesso per effetto della gravità. In termini ancora più prossimi ai miti egizi, anche il grande scienziato Fred Hoyle sosteneva che l’Universo gli suggeriva «la volontà di una superintelligenza che controllava il Cosmo e si incarnava nello stesso, portando costantemente avanti una drammatica lotta per la sua stessa sopravvivenza ». La sua teoria cosmica, formulata a metà del XX secolo, è perfettamente omologabile alla cosmogonia dell’antico Egitto.
IL PADRE DEGLI DÈI
Questo concetto intuitivo, che la Fisica moderna chiama “Entropia”, spiega l’importanza e la funzione della magia, la scienza sacra dell’antico Egitto. Secondo questa cultura, Dio aveva rivelato all’uomo una tale conoscenza per permettergli di opporsi al cieco determinismo, che tendeva al Caos, e aiutarlo così a preservare l’ordine del Cosmo. Di conseguenza, l’atto magico imitava il modello originale della divinità che crea il mondo. Il mago reinterpretava l’azione primordiale di concepire e nominare, ripetendo i passi che il Creatore aveva mosso il “Primo Giorno”, la “Prima Alba del Mondo” il che implicava la sua immersione in un tempo ideale e archetipico, anteriore al profano. Questa era la sua formula per generare in modo permanente tale “campo creatore”, che contrastasse l’entropia. E anche questa teoria di una “creazione permanente” occupa una posizione di rilievo nella scienza moderna. Attraverso il mago, pertanto, il Creatore tornava a manifestarsi e il mondo si ristabiliva ciclicamente dal deterioramento. Il Sole-Atum, anziano al momento del tramonto, tornava come fanciullo-Khepre a ogni alba grazie a tale azione rigenerante. Ciò spiega perché al mago venivano conferiti gli stessi epiteti che distinguevano gli dèi e veniva nominato “Toro del Cielo”. Non solo si univa agli dèi sino a non potersi distinguere da essi, ma in alcuni riti arrivava addirittura a identificarsi con la divinità suprema: «Non esiste in me alcuna parte priva di Dio: io sono il Ra di ogni giorno». Per identificarsi con la divinità suprema, incarnando il suo mistero, si spersonalizzava e apriva il proprio essere per accogliere il Cosmo: i suoi capelli erano Atum, il suo occhio sinistro era Horus, le sue narici gli dèi Thot e Nut, la sua bocca la Grande Enneade, attraverso la quale parlava la divinità, le sue vertebre Geb (la Terra) e i suoi piedi Shu (l’Aria). Come gestore delle energie che manipolava, egli si trasformava in tali forze e, nella misura in cui operava come vicario attraverso il quale si rinnovava la Creazione, era niente di meno che il “Padre degli dèi”, poiché attraverso di lui si esprimevano gli stessi poteri che avevano fatto sorgere dall’oceano indifferenziato (Nun) “il primo giorno”, quando Ra nacque dall’uovo cosmico apparso sulla collina primordiale emersa da Nun. Secondo la cosmogonia eliopolitana – la più antica – al rompersi dell’uovo cosmico il dio Atum acquistò coscienza di sé stesso, raddoppiandosi in soggetto e oggetto e dando inizio alla Creazione come Atum-Ra. Come si può vedere, questa cosmogonia contiene tutti gli elementi del Big Bang, compreso il fatto che non si può parlare di “istante zero”, dato che anche per gli Egizi l’Universo nacque con una differenziazione che non esisteva prima, se non come possibilità virtuale. Ed esprimere questo stato iniziale di non-essere con un Atum diluito in Nun e incosciente di sé stesso, non si allontana molto dal concetto di “vuoto quantico” della cosmologia scientifica attuale. Come la nostra scienza, anche la magia egizia era una lotta contro le forze naturali, che percepivano come effetti di azioni soprannaturali. Il ma go lottava con queste forze; vale a dire, attaccava le cause dei problemi che gli si proponevano, partendo da un assioma di base: tutte le forme materiali avevano un modello divino e ciò che era legato in Cielo lo era anche in Terra. Questo assioma - le stesse leggi valgono in tutti i domini del Cosmo – è un’altra coincidenza con la nostra scienza. Spesso il mago si rivolgeva agli dèi in tono imperativo e, a volte, li minacciava per forzarli a obbedirgli. La funzione del rito magico era, precisamente, agire sulla causa occulta dello squilibrio, per contrastare così la sua manifestazione materiale. Il potere della magia risiedeva, pertanto, in un’altra intuizione profonda che prefigura, da millenni, una delle deduzioni della Fisica quantistica: la convinzione di un’intima relazione causale mente-mondo, secondo cui la prima genera la realtà materiale concreta e sensibile agendo come una specie di matrice della materia. Questo è ciò che suggeriscono le equazioni d’onda del fisico Erwin Schrödinger, che descrivono tutte le possibilità associate a un fenomeno quantico come possibilità virtuali, fino a che un essere cosciente osserva il fenomeno e lo determina. In definitiva: non si può dire che un tale fenomeno esiste finché non viene osservato. Riguardo la funzione che ha la conoscenza per l’Umanità, abbiamo poi una totale coincidenza tra l’antica scienza egizia e la nostra. Noi diremmo che, attraverso di essa, si produce un’evoluzione nella direzione di una crescente umanizzazione della specie. Lo scrittore latino Apuleio, un iniziato ai misteri di Iside, definisce l’obiettivo della magia negli stessi termini nell’Asino d’oro. Attraverso tale sapere l’essere umano supera la sua animalità - che lo identifica con l’asino - per raggiungere la condizione umana piena come uno spirito illuminato. La dialettica magica egizia è manichea, anche se in apparenza non sembra tale. Le forze contrarie all’ordine della creazione sono “cattive”, “tenebrose” e la loro energia può essere distruttiva, ma l’uomo perfetto, il sacerdote, può convertirla in benefica se debitamente controllata. È quello che fa l’arcangelo Mikhael, il capo delle schiere divine nella nostra tradizione, ma anche Enoch, entrambi associati al Cristo. Ne sia esempio il dio Seth, che sebbene adorato incarnava la forza di opposizione e compiva una funzione positiva nella Creazione, dato che senza il suo fratricidio di Osiride e successiva mutilazione (semina), non si aveva la resurrezione. Per questo tale dio è così importante per la magia, come si può vedere nel Papiro magico di Brooklyn, che tratta dei poteri di “Seth dalle 7 facce”. Perciò sarebbe errato immaginare Seth come un equivalente del Satana cristiano. Che pure nella scienza egizia non manca essendo incarnato dal serpente del caos Apopi.
UNA SCIENZA OLISTICA
Nell’antico Egitto c’era una Casa della Vita nei pressi di ogni tempio. Se questo veniva eretto nei pressi di una “università”, essa funzionava come un laboratorio gestito da un’élite di iniziati scrupolosamente selezionati. Nelle loro biblioteche venivano conservati libri magici che trattavano di Medicina, di Botanica, di Astronomia e di Matematica. Di fatto, esisteva una specializzazione finalizzata alla loro applicazione, anche se il sapere di base rimaneva uno solo. Si poteva, dunque, parlare di una magia di stato, di un’altra agricola, medica, funeraria e di resurrezione, e così via. I nomi dati alle piante magiche – “pianto di Horus”, “sangue di Geb”, “lacrime di Tefnut” – ci rivelano l’intima relazione Cielo-Terra, dato che gli dèi venivano identificati con le stelle e gli elementi, così come l’essenza che spargevano o secernevano veniva associata alla vegetazione. I diversi livelli della Creazione non erano compartimenti stagni, ma domini interdipendenti. La medicina non poteva ignorare le configurazioni celesti, dato che gli astri influivano sullo stato del soggetto malato; era importante scegliere il momento più adeguato per catturare un determinato tipo di energie e trasferirle, tenendo conto delle proporzioni per riuscire a ristabilire l’equilibrio e l’armonia nell’organismo. Un simile compito esigeva conoscenze precise di Astronomia, Astrologia e Matematica. Come accade con la nostra scienza, la precisione era vitale. Infatti, il papiro Rhind sostiene: «Il calcolo esatto è la porta di accesso alla conoscenza di tutte le cose». Ciò riguardava tutti gli uomini, in quanto il defunto, appositamente mummificato, si trasformava in mago per accedere al paradiso. La salvezza non era il risultato della sola fede, ma del suo matrimonio con la sapienza. Nei testi dei sarcofagi vediamo che, tra le prove che esigeva il traghettatore dall’anima del trapassato, vi erano la Matematica, la Fisica, l’Astronomia e la Cosmologia. Tutti gli esseri disponevano di un nome segreto – vibrazione o alito – ed era dovere dell’uomo scoprire il proprio – che gli era stato confidato al momento della nascita e del quale doveva rendersi degno – dato che tale nome conteneva una vibrazione specifica che definiva un’energia concreta. Però, doveva conoscere anche altri segreti, come viene mostrato nel Libro dei Morti (Per em Ra), nel quale erano descritte sette porte che danno l’accesso al Paradiso, e chi desidera oltrepassarle deve provare le proprie conoscenze al cospetto del “Guardiano della Soglia”, rispondendo alla sua domanda: «Conosci il nome dell’architrave e della soglia?». Solamente se le risposte dimostrano una conoscenza sufficiente da parte dell’esaminando, questi ottiene l’autorizzazione suggellata dalla risposta: «Passa, visto che sai». In un altro frammento viene stabilito, inoltre, che deve conoscere anche ognuna delle parti della rete dei pescatori che vi catturano le anime. Da lì l’esistenza di una magia dei nodi. Nel Libro dei Sarcofagi vediamo che esistevano formule per conoscere i 7 nodi della vacca celeste che servivano al mago per manovrare il barcone divino che solcava i cieli. Alcuni autori credono che questi nodi vadano associati ai 7 centri di energia dell’organismo (i chakra della cultura orientale). I 7 nodi – presenti anche nelle 7 Hathor e nei sette volti di Seth – corrispondevano ai colori del cielo, il che potrebbe implicare dei vincoli con lo spettro luminoso (l’arcobaleno) e i pianeti.
ASTRONOMIA E ARMONIA
Tutto questo sapere veniva espresso in miti, geroglifici e simboli, mai in maniera palese. Si tratta di un codice di segni il cui significato può essere decifrato solamente dall’iniziato che possiede le chiavi di quella lingua. L’esame dei papiri magici e dei riti che ci sono giunti rivela che i numeri, i nodi e i colori erano chiavi di questo codice. I papiri suggeriscono anche che poteva trattarsi dei segni di una scienza alchemica di un tempo più lontano. Comunque, un sapere proibito. Il mago, che vi accedeva nella Casa della Vita, giurava di serbare il segreto e infrangere un tale voto non solo prevedeva la morte fisica, ma anche quella dell’anima, attraverso il rito della distruzione del nome. Diodoro Siculo scrisse: «In nessun altro Paese l’ordine e il movimento degli astri viene osservato con tanta esattezza come in Egitto». E menziona anche registri antichissimi che, già nella sua epoca, risalivano «a un numero incredibile di anni». Nel Libro dei morti (cap. 144), il mago deve prestare particolare attenzione alle posizioni degli astri, e situarsi sull’asse del Cosmo (Nord- Sud), con lo sguardo diretto all’Orsa Maggiore (costellazione del Trono di Osiride). La stessa importanza aveva l’orientamento rispetto ai punti cardinali.
CANONE DI PERFEZIONE
La parola pronunciata aveva un enorme valore magico. I riti prevedevano litanie e formule dalla complessa struttura sillabica che dovevano essere recitate con esattezza, secondo un canone di perfezione che non ammetteva errore. Pena la loro efficacia. Queste esigenze tanto rigide obbligavano il mago ad essere un “Giusto di Voce” (Makeru). Vale a dire che doveva dominare tutti i segreti dell’armonia vocale, musicale e gestuale. Sia che si trattasse di invocazioni, minacce, esecrazioni o suppliche, il timbro, l’intonazione, la cadenza e il volume dovevano adeguarsi a un modello stabilito che non era frutto di una creazione personale, ma di un sapere rivelato e trasmesso senza alterare alcun dettaglio. Durante il rito, ogni parola doveva essere profferita in una determinata posizione rispetto ai punti cardinali e alla disposizione stellare. Ciò presupponeva la conoscenza al dettaglio della posizione degli astri in ogni momento. Nessun aspetto dell’ordine cosmico poteva essere disatteso. Il mago doveva trasformarsi nello strumento divino che officiava l’atto della rigenerazione, opponendosi al determinismo del Caos, associato al caso. Per questo il mago invocava frequentemente il cerchio della creazione, come se si trovasse al suo centro, sulla collina primordiale. Quindi, imprimeva 7 volte la pianta dei piedi ne suolo e recitava 7 formule dirette all’Orsa Maggiore. Il rito drammatizzava il mito come una forma di rappresentazione dell’energia del primo giorno, di modo che il mago doveva identificarsi psichicamente con la cosmogonia, incarnando il mistero degli dèi. Come Osiride, egli subiva una morte simbolica, sdraiato per risorgere. Se doveva evocare la magia guaritrice di Iside, incarnava suo figlio Horus morso da un serpente. La chiave del suo successo era la preparazione psico-spirituale che doveva metterlo in comunicazione con le divinità, così che, svuotato di sé stesso, assumeva il potere della parola creatrice. Agiva in stato di trance, quale veicolo della divinità, come conferma una frase rituale che appare in numerosi contesti: «Non sono io che lo dico, ma il dio».
IL RITO
Il preludio psicologico al rito era vitale. Il mago doveva spersonalizzarsi, vuotarsi, per aprirsi alle divinità. Non solo riviveva la passione di Osiride, ma diventava il dio stesso. Da lì l’importanza della purezza nel culto. Infatti, nella fase di preparazione doveva astenersi dal sesso ed escludere la carne dalla sua dieta. Dopo il bagno purificatore, il suo corpo veniva unto con oli vergini e vestito con indumenti e sandali nuovi, che simbolizzavano la pelle dell’essere divino con il quale si identificava. Il nastro della conoscenza veniva cinto alla sua fronte e sulla sua lingua veniva dipinto il segno di Maat (giustizia, equilibrio, verità). Tutto ciò aveva la funzione di indurre uno stato alterato di coscienza, propizio alla rivelazione caratterizzata dallo sblocco dell’inconscio. L’ambiente scuro del tempio, in cui si distaccava la luce della lampada, i suoi giochi di ombra, la contemplazione di specchi magici o dei riflessi nell’acqua contenuta in recipienti rituali, così come l’attenzione dedicata alla trance autoipnotica e all’interpretazione esperta del simbolismo dei sogni, avevano una fondamentale importanza. Mediante queste formule, i maghi accedevano a una conoscenza intuitiva del mondo che proveniva dalla loro psiche profonda e veniva percepita come una vera e propria rivelazione.
LA DIALETTICA DEL MONDO
Di certo non ci troviamo davanti a un’immagine primitiva del mondo, ma all’idea di un mondo fatto di vibrazioni e armonia, in cui le trasformazioni obbediscono a una dinamica di scambi di energia. Tutto questo è anche alla base della fisica teorica moderna. I concetti fondamentali della Meccanica e della Chimica quantistica, dal quanto d’energia allo spin, passando per il dualismo onda/ particella e per i salti orbitali dell’elettrone intorno al nucleo dell’atomo, si poggiano alla stessa idea di trasferimento energetico che postulava la magia egizia. Lo stesso succede con il concetto di risonanza gravitazionale, maneggiato oggi dagli astrofisici. L’origine dell’Universo o della Creazione, a partire dalle metamorfosi dell’“Uno” non creato, corrisponde all’immagine dell’Universo proposta dalla teoria del Big Bang. E le metamorfosi stesse, che rappresentano l’evoluzione antropomorfica del Creatore, prefigurano il principio antropico, formulato dal fisico Paul Dirac nel 1931. L’interconnessione di tutte le sue parti e l’influenza del tutto in ognuna di esse è ciò che viene teorizzato dal principio cosmologico attualmente vigente. Pensiamo per un momento alla fisica egizia. Per questa, il Cosmo (l’Ordine) era sorto dal Caos indifferenziato e vi agiva in seno come una tendenza permanente. Esso necessitava di una forza contrastante che mantenesse un equilibrio, evitando che il mondo si estinguesse in un crescente disordine. In questa idea è presente il concetto di entropia della nostra fisica moderna, così come l’intuizione di Werner Heisenberg quando propose l’esistenza di un “campo creatore” che, opponendosi all’ entropia, facesse in modo che l’ Universo non si dissipasse nel disordine. Secondo la scienza sacra egizia, la Creazione fu il risultato di questo dialogo tra gli opposti che, nella sua mitologia, veniva espresso dalla lotta eterna tra il dio supremo Ra contro il serpente Apofi. Ogni alba celebrava la vittoria della Luce (che incarnava Ra come Sole, dalla quale era nata Heka come energia benefica) sul Caos simbolizzato da Apofi. Secondo questo principio, affinché la Creazione non si disgregasse nel Caos, era necessaria un’azione di rigenerazione permanente che si opponesse al determinismo, vincendo l’inerzia e sostenendo il movimento armonico. Questo è lo stesso concetto che propose Einstein con la sua costante cosmologica, per spiegare per quale motivo l’Universo non collassi su sé stesso per effetto della gravità. In termini ancora più prossimi ai miti egizi, anche il grande scienziato Fred Hoyle sosteneva che l’Universo gli suggeriva «la volontà di una superintelligenza che controllava il Cosmo e si incarnava nello stesso, portando costantemente avanti una drammatica lotta per la sua stessa sopravvivenza ». La sua teoria cosmica, formulata a metà del XX secolo, è perfettamente omologabile alla cosmogonia dell’antico Egitto.
IL PADRE DEGLI DÈI
Questo concetto intuitivo, che la Fisica moderna chiama “Entropia”, spiega l’importanza e la funzione della magia, la scienza sacra dell’antico Egitto. Secondo questa cultura, Dio aveva rivelato all’uomo una tale conoscenza per permettergli di opporsi al cieco determinismo, che tendeva al Caos, e aiutarlo così a preservare l’ordine del Cosmo. Di conseguenza, l’atto magico imitava il modello originale della divinità che crea il mondo. Il mago reinterpretava l’azione primordiale di concepire e nominare, ripetendo i passi che il Creatore aveva mosso il “Primo Giorno”, la “Prima Alba del Mondo” il che implicava la sua immersione in un tempo ideale e archetipico, anteriore al profano. Questa era la sua formula per generare in modo permanente tale “campo creatore”, che contrastasse l’entropia. E anche questa teoria di una “creazione permanente” occupa una posizione di rilievo nella scienza moderna. Attraverso il mago, pertanto, il Creatore tornava a manifestarsi e il mondo si ristabiliva ciclicamente dal deterioramento. Il Sole-Atum, anziano al momento del tramonto, tornava come fanciullo-Khepre a ogni alba grazie a tale azione rigenerante. Ciò spiega perché al mago venivano conferiti gli stessi epiteti che distinguevano gli dèi e veniva nominato “Toro del Cielo”. Non solo si univa agli dèi sino a non potersi distinguere da essi, ma in alcuni riti arrivava addirittura a identificarsi con la divinità suprema: «Non esiste in me alcuna parte priva di Dio: io sono il Ra di ogni giorno». Per identificarsi con la divinità suprema, incarnando il suo mistero, si spersonalizzava e apriva il proprio essere per accogliere il Cosmo: i suoi capelli erano Atum, il suo occhio sinistro era Horus, le sue narici gli dèi Thot e Nut, la sua bocca la Grande Enneade, attraverso la quale parlava la divinità, le sue vertebre Geb (la Terra) e i suoi piedi Shu (l’Aria). Come gestore delle energie che manipolava, egli si trasformava in tali forze e, nella misura in cui operava come vicario attraverso il quale si rinnovava la Creazione, era niente di meno che il “Padre degli dèi”, poiché attraverso di lui si esprimevano gli stessi poteri che avevano fatto sorgere dall’oceano indifferenziato (Nun) “il primo giorno”, quando Ra nacque dall’uovo cosmico apparso sulla collina primordiale emersa da Nun. Secondo la cosmogonia eliopolitana – la più antica – al rompersi dell’uovo cosmico il dio Atum acquistò coscienza di sé stesso, raddoppiandosi in soggetto e oggetto e dando inizio alla Creazione come Atum-Ra. Come si può vedere, questa cosmogonia contiene tutti gli elementi del Big Bang, compreso il fatto che non si può parlare di “istante zero”, dato che anche per gli Egizi l’Universo nacque con una differenziazione che non esisteva prima, se non come possibilità virtuale. Ed esprimere questo stato iniziale di non-essere con un Atum diluito in Nun e incosciente di sé stesso, non si allontana molto dal concetto di “vuoto quantico” della cosmologia scientifica attuale. Come la nostra scienza, anche la magia egizia era una lotta contro le forze naturali, che percepivano come effetti di azioni soprannaturali. Il ma go lottava con queste forze; vale a dire, attaccava le cause dei problemi che gli si proponevano, partendo da un assioma di base: tutte le forme materiali avevano un modello divino e ciò che era legato in Cielo lo era anche in Terra. Questo assioma - le stesse leggi valgono in tutti i domini del Cosmo – è un’altra coincidenza con la nostra scienza. Spesso il mago si rivolgeva agli dèi in tono imperativo e, a volte, li minacciava per forzarli a obbedirgli. La funzione del rito magico era, precisamente, agire sulla causa occulta dello squilibrio, per contrastare così la sua manifestazione materiale. Il potere della magia risiedeva, pertanto, in un’altra intuizione profonda che prefigura, da millenni, una delle deduzioni della Fisica quantistica: la convinzione di un’intima relazione causale mente-mondo, secondo cui la prima genera la realtà materiale concreta e sensibile agendo come una specie di matrice della materia. Questo è ciò che suggeriscono le equazioni d’onda del fisico Erwin Schrödinger, che descrivono tutte le possibilità associate a un fenomeno quantico come possibilità virtuali, fino a che un essere cosciente osserva il fenomeno e lo determina. In definitiva: non si può dire che un tale fenomeno esiste finché non viene osservato. Riguardo la funzione che ha la conoscenza per l’Umanità, abbiamo poi una totale coincidenza tra l’antica scienza egizia e la nostra. Noi diremmo che, attraverso di essa, si produce un’evoluzione nella direzione di una crescente umanizzazione della specie. Lo scrittore latino Apuleio, un iniziato ai misteri di Iside, definisce l’obiettivo della magia negli stessi termini nell’Asino d’oro. Attraverso tale sapere l’essere umano supera la sua animalità - che lo identifica con l’asino - per raggiungere la condizione umana piena come uno spirito illuminato. La dialettica magica egizia è manichea, anche se in apparenza non sembra tale. Le forze contrarie all’ordine della creazione sono “cattive”, “tenebrose” e la loro energia può essere distruttiva, ma l’uomo perfetto, il sacerdote, può convertirla in benefica se debitamente controllata. È quello che fa l’arcangelo Mikhael, il capo delle schiere divine nella nostra tradizione, ma anche Enoch, entrambi associati al Cristo. Ne sia esempio il dio Seth, che sebbene adorato incarnava la forza di opposizione e compiva una funzione positiva nella Creazione, dato che senza il suo fratricidio di Osiride e successiva mutilazione (semina), non si aveva la resurrezione. Per questo tale dio è così importante per la magia, come si può vedere nel Papiro magico di Brooklyn, che tratta dei poteri di “Seth dalle 7 facce”. Perciò sarebbe errato immaginare Seth come un equivalente del Satana cristiano. Che pure nella scienza egizia non manca essendo incarnato dal serpente del caos Apopi.
UNA SCIENZA OLISTICA
Nell’antico Egitto c’era una Casa della Vita nei pressi di ogni tempio. Se questo veniva eretto nei pressi di una “università”, essa funzionava come un laboratorio gestito da un’élite di iniziati scrupolosamente selezionati. Nelle loro biblioteche venivano conservati libri magici che trattavano di Medicina, di Botanica, di Astronomia e di Matematica. Di fatto, esisteva una specializzazione finalizzata alla loro applicazione, anche se il sapere di base rimaneva uno solo. Si poteva, dunque, parlare di una magia di stato, di un’altra agricola, medica, funeraria e di resurrezione, e così via. I nomi dati alle piante magiche – “pianto di Horus”, “sangue di Geb”, “lacrime di Tefnut” – ci rivelano l’intima relazione Cielo-Terra, dato che gli dèi venivano identificati con le stelle e gli elementi, così come l’essenza che spargevano o secernevano veniva associata alla vegetazione. I diversi livelli della Creazione non erano compartimenti stagni, ma domini interdipendenti. La medicina non poteva ignorare le configurazioni celesti, dato che gli astri influivano sullo stato del soggetto malato; era importante scegliere il momento più adeguato per catturare un determinato tipo di energie e trasferirle, tenendo conto delle proporzioni per riuscire a ristabilire l’equilibrio e l’armonia nell’organismo. Un simile compito esigeva conoscenze precise di Astronomia, Astrologia e Matematica. Come accade con la nostra scienza, la precisione era vitale. Infatti, il papiro Rhind sostiene: «Il calcolo esatto è la porta di accesso alla conoscenza di tutte le cose». Ciò riguardava tutti gli uomini, in quanto il defunto, appositamente mummificato, si trasformava in mago per accedere al paradiso. La salvezza non era il risultato della sola fede, ma del suo matrimonio con la sapienza. Nei testi dei sarcofagi vediamo che, tra le prove che esigeva il traghettatore dall’anima del trapassato, vi erano la Matematica, la Fisica, l’Astronomia e la Cosmologia. Tutti gli esseri disponevano di un nome segreto – vibrazione o alito – ed era dovere dell’uomo scoprire il proprio – che gli era stato confidato al momento della nascita e del quale doveva rendersi degno – dato che tale nome conteneva una vibrazione specifica che definiva un’energia concreta. Però, doveva conoscere anche altri segreti, come viene mostrato nel Libro dei Morti (Per em Ra), nel quale erano descritte sette porte che danno l’accesso al Paradiso, e chi desidera oltrepassarle deve provare le proprie conoscenze al cospetto del “Guardiano della Soglia”, rispondendo alla sua domanda: «Conosci il nome dell’architrave e della soglia?». Solamente se le risposte dimostrano una conoscenza sufficiente da parte dell’esaminando, questi ottiene l’autorizzazione suggellata dalla risposta: «Passa, visto che sai». In un altro frammento viene stabilito, inoltre, che deve conoscere anche ognuna delle parti della rete dei pescatori che vi catturano le anime. Da lì l’esistenza di una magia dei nodi. Nel Libro dei Sarcofagi vediamo che esistevano formule per conoscere i 7 nodi della vacca celeste che servivano al mago per manovrare il barcone divino che solcava i cieli. Alcuni autori credono che questi nodi vadano associati ai 7 centri di energia dell’organismo (i chakra della cultura orientale). I 7 nodi – presenti anche nelle 7 Hathor e nei sette volti di Seth – corrispondevano ai colori del cielo, il che potrebbe implicare dei vincoli con lo spettro luminoso (l’arcobaleno) e i pianeti.
ASTRONOMIA E ARMONIA
Tutto questo sapere veniva espresso in miti, geroglifici e simboli, mai in maniera palese. Si tratta di un codice di segni il cui significato può essere decifrato solamente dall’iniziato che possiede le chiavi di quella lingua. L’esame dei papiri magici e dei riti che ci sono giunti rivela che i numeri, i nodi e i colori erano chiavi di questo codice. I papiri suggeriscono anche che poteva trattarsi dei segni di una scienza alchemica di un tempo più lontano. Comunque, un sapere proibito. Il mago, che vi accedeva nella Casa della Vita, giurava di serbare il segreto e infrangere un tale voto non solo prevedeva la morte fisica, ma anche quella dell’anima, attraverso il rito della distruzione del nome. Diodoro Siculo scrisse: «In nessun altro Paese l’ordine e il movimento degli astri viene osservato con tanta esattezza come in Egitto». E menziona anche registri antichissimi che, già nella sua epoca, risalivano «a un numero incredibile di anni». Nel Libro dei morti (cap. 144), il mago deve prestare particolare attenzione alle posizioni degli astri, e situarsi sull’asse del Cosmo (Nord- Sud), con lo sguardo diretto all’Orsa Maggiore (costellazione del Trono di Osiride). La stessa importanza aveva l’orientamento rispetto ai punti cardinali.
CANONE DI PERFEZIONE
La parola pronunciata aveva un enorme valore magico. I riti prevedevano litanie e formule dalla complessa struttura sillabica che dovevano essere recitate con esattezza, secondo un canone di perfezione che non ammetteva errore. Pena la loro efficacia. Queste esigenze tanto rigide obbligavano il mago ad essere un “Giusto di Voce” (Makeru). Vale a dire che doveva dominare tutti i segreti dell’armonia vocale, musicale e gestuale. Sia che si trattasse di invocazioni, minacce, esecrazioni o suppliche, il timbro, l’intonazione, la cadenza e il volume dovevano adeguarsi a un modello stabilito che non era frutto di una creazione personale, ma di un sapere rivelato e trasmesso senza alterare alcun dettaglio. Durante il rito, ogni parola doveva essere profferita in una determinata posizione rispetto ai punti cardinali e alla disposizione stellare. Ciò presupponeva la conoscenza al dettaglio della posizione degli astri in ogni momento. Nessun aspetto dell’ordine cosmico poteva essere disatteso. Il mago doveva trasformarsi nello strumento divino che officiava l’atto della rigenerazione, opponendosi al determinismo del Caos, associato al caso. Per questo il mago invocava frequentemente il cerchio della creazione, come se si trovasse al suo centro, sulla collina primordiale. Quindi, imprimeva 7 volte la pianta dei piedi ne suolo e recitava 7 formule dirette all’Orsa Maggiore. Il rito drammatizzava il mito come una forma di rappresentazione dell’energia del primo giorno, di modo che il mago doveva identificarsi psichicamente con la cosmogonia, incarnando il mistero degli dèi. Come Osiride, egli subiva una morte simbolica, sdraiato per risorgere. Se doveva evocare la magia guaritrice di Iside, incarnava suo figlio Horus morso da un serpente. La chiave del suo successo era la preparazione psico-spirituale che doveva metterlo in comunicazione con le divinità, così che, svuotato di sé stesso, assumeva il potere della parola creatrice. Agiva in stato di trance, quale veicolo della divinità, come conferma una frase rituale che appare in numerosi contesti: «Non sono io che lo dico, ma il dio».
IL RITO
Il preludio psicologico al rito era vitale. Il mago doveva spersonalizzarsi, vuotarsi, per aprirsi alle divinità. Non solo riviveva la passione di Osiride, ma diventava il dio stesso. Da lì l’importanza della purezza nel culto. Infatti, nella fase di preparazione doveva astenersi dal sesso ed escludere la carne dalla sua dieta. Dopo il bagno purificatore, il suo corpo veniva unto con oli vergini e vestito con indumenti e sandali nuovi, che simbolizzavano la pelle dell’essere divino con il quale si identificava. Il nastro della conoscenza veniva cinto alla sua fronte e sulla sua lingua veniva dipinto il segno di Maat (giustizia, equilibrio, verità). Tutto ciò aveva la funzione di indurre uno stato alterato di coscienza, propizio alla rivelazione caratterizzata dallo sblocco dell’inconscio. L’ambiente scuro del tempio, in cui si distaccava la luce della lampada, i suoi giochi di ombra, la contemplazione di specchi magici o dei riflessi nell’acqua contenuta in recipienti rituali, così come l’attenzione dedicata alla trance autoipnotica e all’interpretazione esperta del simbolismo dei sogni, avevano una fondamentale importanza. Mediante queste formule, i maghi accedevano a una conoscenza intuitiva del mondo che proveniva dalla loro psiche profonda e veniva percepita come una vera e propria rivelazione.
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