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Sapienza e conoscenze perdute - Raccolta di articoli a tema esoterico
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La Parafrasi di Seem è un’apocalisse gnostica vergata in sahidico, ma in realtà tradotta da un archetipo greco. Si tratta del più esteso ed enigmatico dei cinquantadue trattati ritrovati tra i cocci di una giara in circostanze rocambolesche nel 1945 presso Nag-Hammadi (l’antica Chenoboskion), nell’Alto Egitto. Lo sfondo ierostorico in cui si muove il testo è in apparenza una rivisitazione del primo capitolo della Genesi: ab initio, agli albori del divenire, esistono la Luce, phos, e la Tenebra, skotos. Tra di esse fluttua lo pneuma, la cui immagine si staglia, riflettendosi, sul fluido oscuro sottostante, generando il Nous serpentino, uroborico e demiurgico. Il messaggio è palese: l’uomo pneumatikos, spirituale, dev’essere salvato, sottratto alla physis sorta dal Nous serpentino. Lo scritto è una riflessione sui meccanismi di disgusto e deiezione che danno luogo alle categorie di puro e impuro; una via per capire il libertinismo gnostico, con la relativa dottrina del Salvatore che insegna a combattere il desiderio attraverso il desiderio. L’autore della Parafrasi di Seem rivela una coerente visione sincretistica in cui confluiscono elementi biblici, zoroastriani, orfico-pitagorici, stoici e medio-platonici, il tutto assimilato in una cultura di lingua aramaica. Secondo il testo la storia della salvezza è segnata dagli iterati tentativi della physis demiurgica e del demone Soldas di annientare la stirpe degli uomini spirituali: prima attraverso il diluvio universale ai tempi di Noè, poi distruggendo la città dei “giusti” Sodoma e infine tentando di annientare il Salvatore invisibile, qui denominato Derdekeas, probabile prestito dall’aramaico dardaka, giovane, fanciullo. Proprio grazie alle successive manifestazioni e rivelazioni di Derdekeas, lo pneuma primigenio viene liberato dai lacci della Tenebra e restituito alla sua iniziale purezza.
Il Diluvio, la Torre di Babele e Sodoma
La prima parte della storia narrata nella Parafrasi di Seem parla dello smarrito equilibrio iniziale tra Luce (phos), Spirito (pneuma) e Tenebra (skotos), perduto a causa di un movimento conoscitivo e di un impossessarsi di particelle spirituali ad opera della Tenebra. Segue la catabasi in due tempi del Salvatore e Rivelatore Derdekeas, il quale prima solidifica e rende capace di resistere agli attacchi della Tenebra lo Spirito intermedio e in seguito scende nella Tenebra stessa, inducendola con l’inganno a procreare. Con questa generazione, anch’essa suddivisa in due fasi, la Tenebra, definita utero (metra) e natura (physis), inconsciamente separa da sé le particelle luminose. L’ultimo prodotto di tale atto generativo, descritto facendo ricorso a una simbologia e a un lessico esplicitamente sessuali, è la duplicazione dei corpi, cioè l’umanità che, essendo di natura mista, cioè avendo in sé anche un’eredità spirituale, è oggetto dell’aggressione della Tenebra, che intende annientarla al fine di riappropriarsi delle particelle di Luce in essa contenute. Per ripristinare l’equilibrio iniziale è necessario che la Tenebra porti a termine la distruzione dell’umanità. Il primo assalto è rappresentato dal Diluvio, cui Derdekeas non risponde con un intervento diretto, bensì utilizzando lo stesso demone incaricato dalla Tenebra di liberare le acque alluvionali; questi, con l’aiuto di altre creature dell’oscurità, costruisce una torre – probabilmente la Torre di Babele – per salvarsi e raduna l’umanità spirituale. L’opera del Salvatore è quella di raffinare costantemente il mondo, separando gli elementi ignei da quelli acquosi: Saphaina, la Veridicità, da Molychtha, la terra contaminata a figura di Unicorno. Nel secondo attacco della Tenebra, questa dà la Legge (in altre parole la Torah!), che è un inganno demoniaco; allora Derdekeas fa manifestare nella città di Sodoma un Giusto e comunica poi ai sodomiti un insegnamento universale. Ma la natura malvagia distrugge la città con il fuoco.
La Fede e il Battesimo
Il demone allontanatosi da Sodoma si impadronisce dell’intera creazione finché, al culmine della volontà di potenza e del vano orgoglio, decide di anticipare, precorrendo i tempi, l’ultima manifestazione della Fede: «Il primo infatti a essere generato è il demone che, secondo l’armonia della natura, si è manifestato in molti aspetti...». Il demone rappresenta il prodotto finale, il compimento estremo della Tenebra. La sua manifestazione è accompagnata – come quella dell’Anticristo – dallo scatenarsi di odî, cataclismi, guerre, carestie e bestemmie. Lo stratagemma che egli utilizza per incatenare il genere umano è il vincolo del battesimo, l’immersione nelle acque di morte: «... in quel tempo il demone si manifesterà anche sul fiume, per battezzare con un battesimo imperfetto e scuotere il cosmo con un legame d’acqua». Il Diluvio scatenato dal demone (su ordine della Tenebra) rappresentava un primo tentativo di legare l’umanità al vincolo della forza psichica simboleggiata dall’acqua: il battesimo d’acqua è dunque immagine del Diluvio. Il Salvatore Derdekeas decide poi di manifestarsi direttamente nelle membra del pensiero della Fede, cioè nello scorrere dell’energia psichica e spermatica. Il demone Soldas è il corpo che imprigiona la forza di Luce del Salvatore gnostico. Egli appare nelle acque per battezzare il Redentore celeste Derdekeas con un battesimo imperfetto, ma allo stesso tempo possiede una Luce spirituale a cui Derdekeas unisce il proprio manto invincibile e l’oggetto della rivelazione, cioè il mezzo di difesa di Seem e della sua razza: una serie di nomi arcontici che sono la prova della vittoria di Derdekeas, il quale ha ormai definitivamente «preso la Luce dello Spirito dall’acqua di terrore». La trasmigrazione della sostanza luminosa è resa con metangismos, una parola che esprime la fluidità spermatica in cui lo splendore sorgivo scorre di utero in utero.
La Stella di Luce
Circondata da un corteggio di creazioni o entità luminose che possono essere reinterpretate come il succedaneo gnostico dei Magi evangelici, fa la sua comparsa nella Parafrasi la Stella di Luce, indomabile vestimento del Soter: «E la Stella di Luce è la mia veste invincibile che indossai nell’Ade; essa è la grazia sovrastante l’intelletto, la testimonianza di chi ha visto; la prima e l’ultima, la Fede, l’intelletto del vento di tenebra» (VII, 33, 17-26). La Stella di Luce è la veste invincibile di Derdekeas, che richiama il paidion del Vangelo di Matteo 2,9: una luce aurorale che si leva prima del sorgere eliaco e dove l’Anatole è il suo termine tecnico. Lo stesso uso ricorre in precedenza nel testo a indicare la costituzione di quel corpo magico edificato sulle rovine del corpo fisico.
La discesa di Derdekeas
Il Redentore celeste Derdekeas è disceso nel corpo del demone Soldas per recuperare le particelle di Luce (= lo Spirito) imprigionate nell’acqua oscura. Nel tempo stabilito egli si rivela nel battesimo ingannatore del demone «per manifestare, attraverso la bocca della Fede, una testimonianza per coloro che le (alla Fede) appartengono». Il testo della testimonianza è una sorta di invocazione prebattesimale a varie entità divine. La veste di luce è quindi quell’elixir che altera i corpi riducendoli ad altri corpi più puri, convertendo l’acqua in fuoco e viceversa. La physis, la Natura, che aveva aggredito l’umanità con l’acqua del Diluvio e con il fuoco che distrusse Sodoma, ora raduna tutte le forze per l’assalto finale, che fallisce ancora più dei precedenti: difatti Derdekeas, dopo aver indossato la Luce della Fede e il fuoco inestinguibile, riemerge dall’acqua, avendo ormai tratto da essa quella potenza dello Spirito che era stata seminata nella creazione attraverso un’unione sessuale, dai «venti, i demoni e le stelle». Con il battesimo del Redentore celeste la ierostoria si è conclusa: «e con essi sarà compiuta ogni impurità», suggestiva espressione che è il rovesciamento ermeneutico del «compiamo ogni giustizia » del Vangelo di Matteo 3, 15. Questa parte della Parafrasi di Seem si chiude con un’ultima raccomandazione di Derdekeas a Seem affinché «non abbia comunanza con il fuoco e con il corpo di tenebra », poiché «il giusto sono le cose che io ti insegno». Segue la frase: «questa è la parafrasi», che introduce l’ultima parte del testo, in cui il presunto Parafraste, cioè Seem, esprime ancora tutta una serie di idee e concezioni tipicamente gnostiche, aprendosi con un’ampia e durissima polemica antibattesimale.
Soldas e Rebuel
La contrapposizione tra Soldas e Derdekeas, tra demone e Salvatore celeste, è il segno e compimento della pienezza dei tempi. L’evento salvifico è scaturito da un esplicito e provocatorio stratagemma autorivelativo escogitato da Derdekeas nei confronti della Tenebra. Ciò è avvenuto «affinché si compia la malvagità della natura»; difatti la Tenebra, nella sua negatività e nel suo ritrarsi all’interno delle passioni, tenta un’ultima, disastrosa aggressione nei confronti di Derdekeas. La natura malvagia, demoniaca, plasma Soldas per dare la caccia al Salvatore celeste. Soldas è l’involucro psichico del Salvatore, imprigionato nelle acque della morte. Interessante il parallelo con la Predica dei Naasseni riportata da Ippolito nella sua Refutatio, secondo cui il demiurgo omicida Esaldaios, «il dio di fuoco, quarto di numero», plasmerebbe nel fango l’involucro corporeo di Adamo e con esso, come con una trappola, catturerebbe il figlio del Dio superiore ed ineffabile, l’Archanthropos o Adamas. All’intenzione della Natura di catturare la Luce, questa reagisce separandosi dalla Tenebra. Si ripropone l’idea della separazione della Luce dalla Tenebra già presente nella scena del battesimo demoniaco descritto nella seconda parte del testo, ma la narrazione ha uno svolgimento diverso. Qui non solo sembra che Derdekeas non entri nell’involucro demoniaco di Soldas per farsi battezzare, ma non ha più luogo nemmeno alcun battesimo. Di fronte alla rivelazione celeste Soldas si sdoppia e la sua parte femminile, cioè l’anima (la psyche) illuminata, si separa dal suo corpo oscuro, offrendo la testimonianza e raggiungendo la pace. «E a quel tempo la Luce fu separata dalla Tenebra e nel mondo si udì una voce che diceva: “Beato è l’occhio che ti ha visto, e la mente (nous) che secondo la mia volontà ha sopportato la tua grandezza (megethos)”. E l’Esaltato dirà: “Beata è Rebuel tra tutte le generazioni degli uomini, poiché tu sola sei colei che ha visto”». Ma chi è veramente questa Donna, che ha visto e quindi comprende la manifestazione della divinità? La risposta non tarda ad arrivare: «Poiché la Donna che a quel tempo sarà decapitata è l’unione della potenza del demone, colui il quale battezzerà nella durezza il seme di Tenebra, che sarà mescolato con l’impurità. Egli generò una Donna, che fu chiamata Rebuel». Rebuel rappresenta l’elemento psichico del demone Soldas, l’anima – che fa da legame con l’elemento spirituale – la quale, essendo stata illuminata viene separata, recisa dal resto del corpo: «... Ed ella (= Rebuel) ascolterà. E la Donna verrà decapitata, lei che ha la sensibilità/ percezione (aisthesis) che tu manifesterai sulla terra. E secondo la mia volontà porterà testimonianza (martyrein) e sarà preservata da ogni vano affannarsi della Natura (physis) e del Caos». Seem non parla più del battesimo del Salvatore celeste, ma presenta un demone (cioè Soldas) dicotomico, che si sdoppia: l’amalgama oscuro fatto di psyche e di hyle riceve un’illuminazione; da esso quindi si separa, mediante la “decapitazione”, l’elemento psichico che si è purificato; esso difatti raggiunge la “testimonianza” e la “pace” che erano già state dei sodomiti e – parzialmente – delle vittime del Diluvio. La Natura, emanazione e personificazione della Tenebra, ha dunque fallito ancora una volta nell’intento di annientare lo Spirito e la sua ipostasi luminosa, cioè Derdekeas: la stessa forza diretta all’annientamento della Luce è stata coinvolta in un processo di metanoia, di conversione. Dal demone infatti è stata recisa, separata, la parte più pura; l’anima ha quindi subito un processo di catarsi salvifica, separandosi definitivamente dall’elemento oscuro e demoniaco.
L’Arconte Uterino
La visione negativa e demoniaca del battesimo e delle acque è presente in numerosi ambiti gnostici. L’Esegesi dell’Anima, un altro scritto di Nag-Hammadi, descrive l’imperfezione e la negatività del rito battesimale: è il battesimo di conversione (metanoia), fatto di dolore e sofferenza, che ha come destinatari gli psichici, cioè gli adepti della Grande Chiesa. Questo battesimo, pur negativo e vincolato alle passioni corporee, sembra comunque il primo passo verso la salvezza e la liberazione dalle tenebre del tempo presente: «... Ma quando ella (= l’anima) percepirà i dolori in cui si trova e piangerà verso il Padre e si convertirà (metanoein), allora il Padre avrà pietà di lei e volgerà il suo utero (metra); dall’esterno egli lo volgerà di nuovo verso l’interno, riacquistando l’anima ciò che le è proprio. Poiché esso (= l’utero) non è come quello di una donna. Infatti l’utero del corpo è dentro il corpo come gli altri organi interni, ma l’utero dell’anima cinge la parte esterna come i genitali maschili, che sono esterni. Così quando l’utero dell’anima, seguendo la volontà del Padre, si volge verso l’interno, esso si immerge (baptizein) e diviene subito puro dalla contaminazione esterna che gli si era impressa addosso, come (i vestiti quando) sono sporchi, messi in (acqua e) strizzati, il loro sporco è rimosso e diventano puliti. E così la purificazione dell’anima è l’accettazione della (novità) della sua precedente natura; e lei si volge ancora. Questo è il suo battesimo». Il simbolismo appare simile a quello della Parafrasi di Seem: l’anima infatti, essendo l’elemento intermedio tra pneuma e hyle, tra interiorità spirituale ed esteriorità corporea, quando si volge all’esterno si prostituisce con i lestes, i briganti che abusano di lei contaminandola; a causa di ciò ella smarrisce la propria identità spirituale e divina. Il ritorno verso l’interno inizia con un battesimo di metanoia, con un lavacro di conversione: questo rito doloroso, poiché imperfetto, sarà completato con la discesa dello pneuma, dello Spirito inviato dal Padre ineffabile e trascendente, con cui l’anima si unirà in caste e immacolate nozze. L’istanza che spinge l’uomo verso la luce segue un percorso iniziatico attraverso i pathe della materia, dove le sue contorsioni corrispondono alla operazione alchemica della separatio. Il modello antropocosmico è poi da collegare a tecniche di visualizzazione interiore, dirette a coinvolgere soffi vitali, mente illuminata e fluidi fisiologici, diciamo pneuma, luce e seme. Ma non basta. C’è qualcosa in più, in relazione a concrete pratiche di controllo della sessualità, che richiamano gli esercizi del tantrismo induista e buddhista. Il Salvatore è capace infatti di scendere, come ogni mente illuminata, verso le sorgenti del desiderio e aspirarlo di nuovo fino alla mente, come nella costruzione di ciò che nel buddhismo tantrico è il corpo adamantino, il vajra. Ciò non di meno, nella Parafrasi di Seem la generazione è positiva, non come nell’Esegesi dell’Anima che la vulva o utero deve ritornare vergine. Alla stessa guisa dei manichei, il demiurgo deve fabbricare nuove anime, affinché venga indebolita la sua forza. Anche qui il Soter si serve della sessualità per portare a maturazione i semi spirituali. È molto probabile che l’Apocalisse di Sem, menzionata nel Codice Manicheo di Colonia, coincida con la Parafrasi di Nag-Hammadi e che Mani, il profeta scrittore, l’avesse letta, modificandola a suo uso e consumo. Il Cristo manicheo discende nel mondo senza incarnarsi (Contra Faustum 5), qui il Salvatore deve prostituirsi, accettando di contaminarsi e solleticando in tutti i modi una vulva che vorrebbe svuotarlo di ogni potere.
Oceani Spermatici
Ancora, in un altro scritto visionario di Nag-Hammadi, Zostriano, l’acqua del rito battesimale impartito dalla Grande Chiesa è l’acqua di morte, elemento psichico e femminile, vincolo e laccio che lega lo Spirito: «Non battezzare te stesso con la morte e non entrare in contatto con quelli inferiori a te invece che con quelli migliori. Fuggi la follia e la schiavitù della femminilità e scegli per te stesso la salvezza della mascolinità. Non sei venuto (per soffrire), ma per sfuggire la tua schiavitù. Liberati, e ciò che ti ha legato sarà sciolto». Il battesimo impartito da Giovanni Battista non serve a Gesù Cristo, che con la sua discesa nell’acqua del Giordano (cioè nel mondo di Tenebra) sancisce la fine del potere arcontico e demoniaco. Esemplare in tal senso è un altro scritto di Nag-Hammadi, la Testimonianza Veritiera: «Il Figlio dell’Uomo invece (è venuto) dall’Incorruttibilità, (restando) estraneo alla contaminazione. Scese nel mondo al fiume Giordano e subito il Giordano rifluì indietro. E Giovanni rese testimonianza alla (discesa) di Gesù. Fu il solo, infatti, a vedere la (potenza) scendere sopra il fiume Giordano; e riconobbe che il dominio della procreazione carnale era ormai terminato. Ora, il fiume Giordano è la potenza del corpo, vale a dire le sensazioni dei piaceri. L’acqua del Giordano, invece è la concupiscenza (epithymia) del rapporto sessuale. Giovanni infine è l’Arconte dell’utero ». Il fiume Giordano è l’Oceano generativo, così come affabulano i Naasseni. Essi identificano questa corrente acquea con il fiume seminale: scorrendo verso il basso essa genera l’uomo, mentre scorrendo verso l’alto genera gli dèi. Il rifiuto del battesimo coinvolge ovviamente anche Giovanni Battista, che pure era stato generato dal Logos come Gesù. Questa filiazione dal Logos permette al Battista di rendere testimonianza e di vedere la potenza che scende. Ma ciò non gli impedisce di essere l’Arconte dell’utero, in quanto signore dell’elemento acqueo in tutta la sua negatività, principalmente sessuale. A questo battesimo impuro gli gnostici della Testimonianza Veritiera contrappongono un battesimo di verità, che è la vera rinuncia al mondo: «Alcuni accedono alla fede (ricevendo) un battesimo, come se avessero in speranza di salvezza (questo battesimo) che chiamano “sigillo”. Essi non (sanno) che i (padri) del mondo (= gli Arconti) si manifestano proprio lì; (lui, però) (sa) che gli è (già) stato impresso il sigillo. (Il Figlio dell’Uomo) infatti non battezzò nessuno dei suoi discepoli (...). Tuttavia, (se quelli che) si fanno battezzare raggiungessero la vita, il mondo sarebbe (presto) vuoto. In realtà i padri del battesimo erano contaminati. Il battesimo veritiero invece è qualcosa di diverso; è attraverso la rinuncia al mondo che lo si trova». L’ignoranza, la deficienza degli psichici, fa loro credere che il sigillo battesimale ricevuto sia di qualche utilità, ma si tratta di un inganno: l’unica concessione fatta dagli gnostici è che in tal modo qualcuno entra nella fede, quella psichica che, sebbene illusoria, può rappresentare il primo passo verso l’autocoscienza della propria filiazione divina. Con la Testimonianza Veritiera siamo quindi giunti al culmine dell’attacco e della negativizzazione gnostica del rito battesimale: qui Giovanni Battista è considerato un Arconte della Tenebra. Il fatto che, grazie alla sua natura psichica e intermedia, possa ancora testimoniare, vedere e riconoscere il Figlio dell’Uomo discendere sul fiume Giordano, è secondario e sembra più che altro un espediente retorico escogitato da questa conventicola gnostica, per conciliare le proprie dottrine con le asserzioni della Grande Chiesa. La singolarità della vicenda di un Salvatore legato alla forza acquea e vaginale è diventata un evento comunitario, l’abiura del rito fondante il credo cristiano il lasciapassare per l’inclusione nella cerchia degli eletti gnostici.
Articolo di Ezio Albrile
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Da più parti è avvertita la necessità di comprendere non solo la Tradizione divina, ma anche di intuirne il flusso storico, ossia gli anelli di una catena che, per le sorti dell'umana specie, è più preziosa di quanto si possa immaginare. Ritengo necessario dare quindi una definizione univoca di “Tradizione” e poi individuare gruppi e singoli che vi si sono uniformati nel corso della storia umana. Dobbiamo a René Guénon il termine “Tradizione Primordiale” che egli usò frequentemente nella sua grande produzione a carattere iniziatico-esoterico. Altri l'hanno definita Religione Universale, Filosofia Perenne, Tradizione Eterna, Tradizione esoterica. È interessante notare come famiglie iniziatiche quali Sufismo, Massoneria, Qabala, Rosacroce o le fratellanze alchemiche, sostengano tutte con forza che la Tradizione Primordiale è, fin dalle origini, prettamente sufica, massonica, qabalistica e quant'altro. Ognuna dimentica di essere un petalo del grande fiore e non il centro del fiore stesso. Pur essendo queste famiglie ben inserite nella Tradizione Primordiale di cui sono un aspetto, il volersi ergere a causa e non riconoscersi quale effetto, prova quanto sia difficile persino tra gli iniziati trascendere i particolarismi dovuti all'appartenenza a un gruppo spirituale. Il fatto è che un ebreo cabalista si sente sempre un ebreo e altrettanto dicasi per l'islamico sufi o per l'esoterista cristiano. È di pochi iniziati scrollarsi di dosso l'origine umana o l'appartenenza a una famiglia esoterica, per puntare direttamente al nucleo spirituale. Quando Paolo scrisse che il Melkizedek era «Senza padre, né madre, né geneaologia, senza inizio di giorni e fine di vita» (Ebrei 7:3), o quando Gesù disse: «In verità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà» (Luca 18:29), ci si riferisce a una razza animica, quella dei sacerdoti eterni, la sola capace di avvertire la necessità di tornare al centro spogliandosi di qualsiasi attributo umano. Definiamo Ordine di Melkizedek questa tribù esoterica trasversale di gran lunga superiore a qualsiasi altra, capace di non sentirsi né sufi, né cabalista, né cristiana, ma tutte queste cose insieme.
Una definizione di Tradizione Primordiale
Paolo, in quanto universalista dell'Ordine di Melkizedek, e non certo in qualità di cristiano per come si intende comunemente tale termine, tentò di definire nelle sue lettere la Tradizione, che egli chiamò semplicemente Sapienza: «Sapienza divina e misteriosa, rimasta celata, che El Elyion ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria» (1 Corinzi 2:7)… «Tra i perfetti parliamo di una sapienza che non è di questo mondo… Nessuno degli Arconti di questo mondo ha mai potuto conoscerla» (1 Corinzi 2:6-. Platone la definì come un dono dall'alto agli uomini e la identificò con il Fuoco prometeico: «L'Antica Tradizione fu un dono degli dèi agli uomini che, da un punto del cielo divino, fu gettato un giorno sulla terra per mezzo di Prometeo insieme a un fuoco di una chiarezza abbagliante, e gli antichi, che erano più valenti di noi e vivevano più vicino agli dèi, ce lo hanno tramandato quasi una rivelazione» (Filebo). Origene ne testimoniò come di un patrimonio sapienziale universale e remoto: «Ascolta le parole di Celso: c'è un'antica dottrina che esiste da sempre, che da sempre è stata conservata dalle città e dalle nazioni più sagge e dagli uomini più savi» (Contra Celsum I,14). L'indimenticabile Ellemire Zolla scrisse che «La Tradizione è la trasmissione dell'idea dell'essere nella sua perfezione massima, dunque di una gerarchia tra gli esseri relativi e storici fondata sul loro grado di distanza da quel punto o unità. Essa è talvolta trasmessa non da uomo a uomo, bensì dall'alto; è una teofania. Essa si concreta in una serie di mezzi: sacramenti, simboli, riti, definizioni discorsive, il cui fine è di sviluppare nell'Uomo quella parte o facoltà o potenza o vocazione che si voglia dire, la quale pone in contatto con il massimo di essere che gli sia consentito, ponendo in cima alla sua costituzione corporea o psichica lo spirito o intuizione intellettuale…» (Che cos'è la Tradizione). Molti illuminati hanno donato il loro contributo alla comprensione della Tradizione e, in base a queste definizioni, essa emerge come una sapienza donata dallo Spirito agli uomini, per indicar loro il cammino del ritorno a uno stato di perfezione primordiale. Secondo il principio evoluzionistico darwiniano-lamarkiano, che pone l'enfasi sulla materia e sulla ragione, l'Uomo evolve da un primate, da una bestia, per costruire società sempre più evolute e complesse e macchinari che lo aiutino in questa crescita. Al contrario, secondo la Tradizione, l'Uomo era un essere evolutissimo in senso spirituale, dotato di un corpo sottile e luminoso, e il tempo segna l'allontanamento progressivo da quella condizione originaria, fino a rischiare di giungere a un punto di non ritorno. L'evoluzione spirituale della coscienza è tale solo se si attua un percorso a ritroso, dalla materia allo spirito. Secondo i “tradizionalisti” - tra gli altri Guénon, Evola, Fulcanelli, Kremmerz - l'Uomo è in involuzione inarrestabile e l'intervento dello Spirito incarnato, in vari luoghi ed epoche, ha avuto come finalità quella di bloccare la ruota involutiva e di creare i presupposti per il grande ritorno, in questo ostacolato da Spiriti Immondi, la cui intenzione è quella di sottometterci in eterno alla loro Ruota uroborica, ossia alle reincarnazioni eterne che possono portarci al disastro della seconda morte, l'estinzione della coscienza. È qui che trovo preziosa e vitale l'attività di custodia del patrimonio sapienziale operata da singoli e gruppi iniziatici nel corso della storia. Queste anime sapevano dove erano e cosa fare. Sapevano che la loro opera sarebbe stata messa sempre in pericolo dagli Spiriti Prevaricatori, ma hanno agito e si sono sacrificate senza risparmiarsi. In funzione di ciò, definirei la Tradizione Primordiale come un corpus di insegnamenti appartenenti a un non tempo, per lo più segreti, che da tempi immemorabili sono stati trasmessi per una via quadruplice: da Dio direttamente ad alcuni uomini eletti; per via orale, secondo una catena, da maestro ad allievo; da Ordini Sacri, che terminavano la loro funzione naturale, ad altri Ordini Sacri; per via scritta (sacre scritture, trattati). La forma di trasmissione più sublime, ma anche la più ardua ed elettiva, è quella dalla bocca del Dio interiore (Adamo Primordiale, Melkizedek) all'orecchio del suo alterego umano, come è scritto nel Pimandro del Corpo Ermetico: «Chiese Hermes: “Voglio essere istruito sugli esseri e sui misteri del Cosmo”. Rispose Poimandres: “Ricevi nel pensiero tutto ciò che vuoi sapere. Io ti istruirò”». È ivi che risiede il concetto più elevato di Cabala, che in ebraico significa “ricevere”. Direi che la Tradizione, ai primordi, discende giocoforza per via verticale per poi essere custodita e trasmessa attraverso maestri singoli od Ordini iniziatici, ma aggiornata verticalmente nel susseguirsi delle ere zodiacali. Questo è il senso profondo di un versetto del Libro di Sapienza (10:1-2): «La Sapienza protesse il padre del mondo, formato per primo da Dio quando fu creato solo; poi lo liberò dalla sua caduta e gli diede la forza per dominare su tutte le cose». Il Dio nell'Uomo, Sophia, dona un patrimonio sofianico all'essere primigenio già decaduto e lo aiuta a liberarsi da coloro che sono divenuti i suoi dominatori. Se l'Uomo Primordiale è decaduto, la Tradizione Primordiale non può che avere uno e un sol fine: la rigenerazione dell'Uomo di Luce antecedente l'Adamo biologico. Questo fine è al centro di ogni tradizione spirituale. Gesù e Siddharta, tra i molti, lo mostrano al massimo grado. In alcuni punti della storia, data l'accelerazione del decadimento spirituale, Sophia-Tradizione si è ritirata nel suo nucleo inaccessibile e ha steso un velo tra essa e gli uomini, interrompendo il contatto, limitato solo ad alcune anime speciali. I tempi attuali costituiscono uno di questi punti, forse il più terribile mai vissuto dall'umanità. Il contatto col centro sembra essersi ormai interrotto, ma alcune anime isolate stanno “ricevendo” semplicemente, perché bramano il “ritorno”. Questi punti di rottura sono noti nella Tradizione come “diluvii”, in quanto Sophia sommerge l'umanità nell'ignoranza, peraltro meritata, e salva dal “diluvio”, ossia dall'ignoranza, pochi esseri di buona volontà che la tradizione ebraica chiama “giusti”. In quest'ottica, Atlantide potrebbe essere interpretata come l'originario stato edenico che poi è stato sommerso dalla caduta primordiale nella materia e dal prevalere dell'ignoranza spirituale alimentata da una falsa conoscenza materialistica nota come Conoscenza del Bene e del Male.
L’anello egizio
Antico quanto il mondo, lo sciamanesimo non corrotto è sempre stato un anello fondamentale della Tradizione. Gli sciamani africani, asiatici, americani e australiani, non avranno avuto un libro sacro o non si saranno formalmente legati a un nuovo logos, ma il loro anelito all'ascesa e al contatto diretto con il divino è uno dei corollari della Tradizione, che consideriamo “sciamanica” nei suoi fondamenti. Ma il primo popolo, in senso storico, a ossequiare la Tradizione è l'Egitto. I saggi di Khem sfruttarono ampiamente il simbolismo per velare la Verità e impedire che fosse desacralizzata. Molti templi e fratellanze furono solerti nel custodire per secoli il segreto della rigenerazione, in particolare la Fratellanza di Sais sul Delta, e l'Accademia di Heliopolis deputata a formare l'uomo perfetto: il Faraone. I Saggi d'Egitto non erano politeisti, ma veneravano il Dio Sole, il Principio Uno di tutti gli universi, che chiamavano Ra. E veneravano l'uomo primordiale come Osiride e come Atum, da cui l'Atomo eterico, la particella indistruttibile celata nel coccige umano, nell'osso sacro. I diversi Dei erano i diversi volti dell'UNO nell'Uomo. Innalzarono Piramidi soprattutto allo scopo di glorificare il Grande Spirito e la sua catena emanativa, contenuti dall'intimo umano. Tutte le tradizioni conformi alla Grande Tradizione venerano questa scintilla divina presente nell'anima umana. L'Islam la venera nel suo stendardo: la stella contenuta dalla mezza luna, lo spirito contenuto nell'anima. Tutte le tradizioni chiamano questa scintilla, intrappolata nella materia corporale, Pietra. I saggi d'Egitto sapevano rivivificarla. E altrettanto Zarathustra in Iran che ebbe una rivelazione diretta dalla Sapienza, ovvero Ahura Mazda. Ahura gli insegnò il mistero della seconda nascita e gli svelò i segreti delle tenebre ahrimaniche. Lo Zoroastrismo e l'esoterismo egizio influenzarono molto sia l'Essenismo sia il Cristianesimo primitivo.
L’anello induista-braminico
L'altra matrice della Sapienza Divina è l'India. Anche l'Induismo primitivo appare come una religione politeista, ma anche in esso le varie divinità sono solo aspetti e teofanie del Dio Uno. Anche qui è insegnata l'aurea tradizione dei Nati Due Volte (dvjia). Gesù la manifesta agli Ebrei, che non vogliono ascoltare, nel momento in cui rimprovera severamente il simpatizzante Nicodemo, sostenendo che un maestro in Israel dovrebbe conoscere il segreto della rinascita in vita (Giovanni 3:10). Ma Nicodemo e tutti gli ebrei ortodossi, saggi e non, lo ignorano. L'influsso dell'Induismo nel proto-ebraismo degli Hanif (i Puri della Religione Primordiale secondo il Corano) risulta evidente dal nome di Abraham che è un tributo all'antichissima religione di Brahama e dei sacerdoti bramini.
L’anello ellenico
Molta della tradizione spirituale egizia confluì in Grecia attraverso numerosi sapienti, che furono istruiti nei templi egizi. Sorsero molte scuole iniziatiche eredi di misteri egizi: Eleusi in particolare. I misteri orfici testimoniano di un protognosticismo nella penisola. Plutarco, nel De Iside et Osiride 10 E-F, scrisse: «Ciò è attestato anche dai più sapienti fra i greci: Solone, Talete, Platone, Eudosso, Pitagora e anche Licurgo, a quanto pare, vennero in Egitto e s'incontrarono con i Sacerdoti. Dicono che Eudosso fu discepolo di Chnufis di Memfi, Solone di Sonchis di Sais, Platone fu iniziato a Sais, Pitagora di Enufis di Heliopoli. Pare che soprattutto Pitagora sia rimasto così colpito e abbia tanto ammirato quegli uomini, da trasfondere la loro tensione simbolica e misterica nelle sue dottrine, adattandole a una forma enigmatica. I sacerdoti ritengono anche che Omero, come pure Talete, abbia appreso dagli Egizi il concetto secondo cui l'acqua è principio e origine di tutte le cose». Insomma, buona parte dei grandi misteri fu salvata dai sapienti greci che trovarono iniziazione in Egitto. L'influenza greca si farà sentire poi nel cristianesimo primitivo, tanto più che i vangeli saranno scritti in greco.
L’anello ebraico
Per millenni i sacerdoti egizi custodirono la Sapienza di Adamo e il segreto della rigenerazione (seconda nascita). Ma gli Arconti riuscirono a infrangere la barriera di protezione. Verso il termine della civiltà egizia, l'iniziato Akhenaton tentò di proteggere la Tradizione da un attacco spaventoso delle Forze Oscure, ma toccò a Mosè, mezzo egizio e mezzo semita, fare da trait d’union tra le due ere e le due civiltà, e portare in salvo la Sapienza, facendola custodire da un popolo cui però darà solo la lettera. Il contributo di Mosè alla conservazione del segreto è enorme e, di riflesso, anche all'Ebraismo è dovuta la riconoscenza degli iniziati. Il cabalista Natan scrisse: «La tradizione esoterica fu una rivelazione di Elohim ad Adamo e a Eva e pervenne fino a Noè. La tradizione pervenne poi ad Abramo. E da Abramo trasmessa a Isacco, a Giacobbe. E i nostri Patriarchi furono in Egitto e la tradizione esoterica entrò in possesso degli anziani di quel popolo. La cosa si tramandò tra loro finchè nacque Mosè nostro maestro… E così quando avvenne che egli uscì nei campi e si isolò nel deserto, il Signore di Tutto gli si rivelò nel roveto » (Le Porte della Giustizia). Il segreto del battesimo di fuoco e spirito fu celato ai sacerdoti leviti nella lettera dei sacrifici animali, ma Mosè lo conobbe in Egitto perché fu istruito in tutta la sapienza dagli Egizi (Atti 7:22). Mosè lo conferì solo ai settanta anziani e da questi pervenne ai sacerdoti esseni di Qumran.
L’anello esseno
Tra gli ebrei, i soli a possedere il segreto della rigenerazione furono quelli della fratellanza di Qumran, il segreto Ordine di Melkizedek. Gli Esseni-Hassidim sapevano leggere dietro le righe della Torah. La Fratellanza inter-testamentaria custode dei misteri egizi e iranici conosce perfettamente il segreto alchemico del battesimo dell'acqua di fuoco, e la loro venerazione dell'elemento acqua lo testimonia. Attendono una manifestazione dell'Uomo Cosmico e la loro attesa non è vana. Gesù offrirà loro un nuovo Logos che essi, avanzati come sono, accetteranno, stipulando una nuova alleanza e divenendo i primi cristiani. La tradizione viene consegnata a Gesù, che la rinverdisce, istruito anche direttamente dall'Uomo Primordiale che egli manifesterà. Gesù nomina 12+72 eredi, ma consegna i misteri più profondi solo a Maria Maddalena, a Giacomo e a Filippo. La tradizione esoterica ebraica, nota comunemente come Qabalah, inizia proprio con gli Esseni e procederà nella Francia e nella Spagna del XIII secolo. Ma se gli Esseni accettarono il Nuovo Logos, i cabalisti ebraici rimasero fedeli alla vecchia Legge. I cabalisti cristiani del rinascimento (Johannes Reuchlin, Pico della Mirandola) adattarono la cabalah ai misteri cristiani, ma giustamente venerarono l'antica sapienza esoterica ebraica.
L’anello degli gnostici
La tradizione ritorna in Egitto e riparte da esso. Sorgono nell'Egitto copto-alessandrino diverse scuole gnostiche. Gli Gnostici ereditano i misteri di morte e rinascita e conoscono il terribile segreto del mondo, nonché la vera storia delle origini. Gli Arconti li combattono e li perseguitano e intanto fondano una falsa Chiesa, che cavalca e svilisce i misteri del Logos. Agli inizi del 200 d.C. il profeta gnostico babilonese Mani effettua il primo tentativo di universalizzazione delle religioni. Fonde Zoroastrismo, Ebraismo gnostico, Cristianesimo gnostico e Buddhismo in un unico grande sistema. Il suo credo si diffonde in buona parte dell'Asia, ma Mani viene ucciso e il suo corpo letteralmente fatto a pezzi. I Templari, durante i processi, saranno accusati di essere manichei, titolo considerato infamante.
L’anello islamico
Il profeta Muhammed viene istruito per via verticale e riceve un libro sacro in cui si enfatizza il principio della sottomissione alla particella divina. L'essenza dei suoi insegnamenti sarà custodita dal Sufismo, che si congiunge anche con gli antichi misteri iranici di Zarathustra e con la sua filosofia della luce.
L’anello Ashishin
Secondo il ricercatore Hammer-Purgstall «L'intero corpo delle pratiche occulte e dei segreti degli antichi sacerdoti egiziani, come l'alchimia, la rabdomanzia, la ricerca della pietra filosofale e l'uso di talismani, furono trasferiti dall'antica accademia di Heliopoli alla Casa o Fortezza della Scienza degli Ismailiti fatimidi del Cairo» (Storia degli Assassini). Gli Ashishin fusero lo Gnosticismo iranico con quello ebraico-islamico-cristiano, e custodirono una parte dei misteri esseni.
L’anello benedettino
Nel '500 Benedetto da Norcia crea un Ordine la cui regola è analoga a quella degli Esseni di Qumran. Merito dei Benedettini è la raccolta e la ritrascrizione di testi antichi di matrice esoterico-gnostica e, certamente, esisteva un nucleo segreto dedito all'alchimia, secondo il principio Ora et Labora - Medita e lavora su te stesso.
L’anello Templare e la fine del Tempio
Durante le crociate i Poveri Cavalieri del Tempio entrarono in contatto con gli Ashishin e fraternizzarono con essi. Buona parte dei misteri alchemici e ingegneristici furono trasferiti a essi e le cattedrali, con le loro dimore filosofali, assunsero il vitale ruolo di indistruttibili e occulti libri sapienziali in codice. I Templari erano gli Esseni d'Europa: monaci- guerrieri a conoscenza del dominio delle forze oscure sull'umanità. Il suo nucleo segreto, i Figli della Valle, custodì i grandi misteri, in particolare il mistero della rigenerazione alchemica. Distrutto l'ultimo Ordine di Melkizedek in terra, il contatto col centro cessò e il Tempio finì. Il testimone passò ai Rosacroce che erano anime scelte dallo Spirito divino, ma non un tempio strutturato. La massoneria non è mai stata un vero tempio, né ha mai avuto contatti col Centro. Neanche quella Scozzese, che pur è stata segreta erede del templarismo. Il buio continua ancor oggi, ma crediamo non per molto ancora.
Articolo di Mike Plato
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Articolo di Alessandro Coscia
Leonardo colpisce ancora. Da Vinci's Demons è una serie televisiva statunitense in onda sul canale Starz, e trasmessa in Italia da Fox. L'idea di base sfrutta le infinite potenzialità narrative che stanno nel personaggio- Leonardo, miscelando intrighi, avventura, misteri, in una Firenze e in un Rinascimento ultrapop. Qui non ci interessa offrire un parere sull'estetica e sulla qualità della fiction, ideata da David Goyer, già sceneggiatore di Batman e altri blockbuster, quanto analizzare uno degli ingredienti utilizzati per dare sapore alla trama e veicolati al grande pubblico: l'esoterismo. Forse per non ripercorrere territori ampiamente sfruttati, gli autori della serie hanno abbandonato temi consueti e legati a Leonardo, come il culto nascosto del Graal e della Maddalena. Il sottotesto misterioso della serie, questa volta, pesca in un ambito non così conosciuto: quello delle lamine cosiddette "orfiche" e dei culti misterici, diffusi dall'epoca dell'antica Grecia fino alla fine dell'Impero Romano. Con stupore, ad un certo punto, chi scrive, guardando la prima puntata, ha sentito pronunciare da parte di un paio di personaggi (tra cui il misterioso "Turco") la seguente frase: «Sono figlio della Terra e del Cielo Stellato. Sono arso di sete. Vi prego, fate che io mi disseti alla fontana della Memoria». La sorpresa nasce dal fatto che questa battuta replica in maniera inconfondibile una formula di riconoscimento tra iniziati, il cosiddetto symbolon, incisa su un gruppo di oggetti, le lamine auree, che facevano parte del corredo funebre di individui legati a un culto misterico ancora da definire (nonostante venga definito "orfico" in molti studi).
Verso l’Aldilà
Il corpus di questi reperti comprende ventitré lamine pubblicate, datate appunto tra la fine del V sec. a.C. e il III sec. d.C., che venivano poste, ripiegate più volte su se stesse o arrotolate, all'interno delle tombe e rinvenute in aree geografiche distanti e culturalmente diverse: le attestazioni vanno dalla Magna Grecia (Hipponion, Petelia, Entella), a Creta, alla Tessaglia, per finire alla Roma di età imperiale. I testi incisi sulle lamine sono stati classificati in due tipologie, variano per lunghezza e talora per contenuti, non tutti citano la "fonte di Mnemosyne” (Memoria). Le lamine mnemosynie si configurano come "istruzioni per l'aldilà", destinate a guidare nel suo itinerario oltremondano l'anima dell'iniziato. Di fatto, nei testi delle lamine più ampi a noi pervenuti, viene messo in scena un vero e proprio viaggio dell'anima, ambientato nell'Ade, in cui ricorre una serie di elementi fondamentali. Cito integralmente, come esempio, il testo della lamina più antica (e più lunga), rinvenuta nel sito dell'antica Hipponion (attuale Vibo Valentia): «Questa è opera di Mnemosyne, quando si è sul punto di morire. Verso le case ben costruite di Ade, sulla destra c’è una fonte e, vicino ad essa, eretto, un bianco cipresso. Qui discendono le anime dei morti e si rinfrescano. A questa fonte non accostarti neppure. Ma più avanti troverai la fresca acqua che scorre dal lago di Mnemosyne: vi stanno innanzi i custodi, ed essi ti chiederanno, con mente accorta, perché mai esplori la tenebra dell’Ade caliginoso. Di’: “Sono figlio della Terra e del Cielo stellato, di sete sono arso e mi sento morire; ma datemi subito da bere la fredda acqua che viene dal lago di Mnemosyne”. E certo essi si consulteranno col sovrano degli Inferi e ti daranno da bere dal lago di Mnemosyne. E anche tu, avendo bevuto, andrai per la via sacra, su cui anche gli altri iniziati e bacchoi procedono gloriosi ». Questi testi suggeriscono un itinerario da percorrere nell’aldilà. L’anima si avvia per le dimore di Ade, badando a evitare la fonte accanto alla quale si erge un “bianco cipresso” (paragonabile alla fonte di Lete, anche se nelle lamine non è mai definita così). Dopo averla evitata, l’anima ne troverà un’altra, quella della Memoria, sorvegliata da custodi inflessibili. La “fredda acqua” di questa fonte è la bevanda che permette l’accesso alla “via sacra”, alla felicità ultraterrena. Ma i custodi concederanno quest’acqua solo all’anima che saprà pronunciare la formula suggerita dalla laminetta. Alcuni elementi – come la fonte e l’albero - ricorrenti in queste lamine sono rintracciabili in altre mitologie e in altri contesti precedenti (Il Libro dei Morti egiziano). Come rileva Ezio Albrile, l’archetipo della fonte “negativa” torna anche nei testi delle cerchie gnostiche sethiane, per i quali essa è “terribile” o, per dirla con le parole di un’altra setta gnostica, i Perati, è «morte per le anime». Questo per dire che i simboli fissati in questi testi hanno avuto una potenza che ha superato i confini cronologici entro i quali sono stati prodotti. È appena il caso di notare che, nel testo che abbiamo citato, si menziona uno stato che precede quello della morte (il verso dice: «quando si è sul punto di morire»). Banalizzando, all’Ade si va quando si è morti, non quando si sta per morire. È un dettaglio poco notato dagli studiosi e che potrebbe dischiudere interessanti interpretazioni: siamo sicuri che ci si riferisca (solo) al viaggio e al destino dell’anima post mortem? O il verso «quando si è sul punto di morire» potrebbe alludere a un destino di non morte per gli iniziati, attuabile tramite un sistema rituale già sperimentato in vita attraverso l'iniziazione (che è una morte rituale).
Archetipo in versi
Ma torniamo alla serie tv e alle sue ispirazioni non dichiarate. Dove potrebbe avere sentito parlare delle lamine orfiche David Goyer? Forse la risposta è semplice. Una delle lamine, rinvenuta in Tessaglia, è conservata al Paul Getty Museum di Malibù. Il Getty Museum ha un sito internet funzionale e ricco di immagini e video. Uno di questi educational (Getty Voices: Eric Branham. An orphic prayer) illustra proprio l’oggetto in questione, il cui testo è recitato da Eric Branham. Il video è facilmente reperibile on line ed è facile imbattercisi per uno sceneggiatore in cerca di ispirazione sui misteri antichi. Lo stesso David Goyer, in un’intervista, afferma di essersi documentato anche visitando il British Museum a Londra: facciamo notare che in questo museo, oltre a dipinti di Leonardo, è conservata un’altra lamina aurea, quella rinvenuta a Petelia, in un contesto sconosciuto, e segnalata dal 1834. Come abbiamo detto, nella fiction la formula «sono figlio della Terra e del Cielo Stellato» è una sorta di password di riconoscimento e così doveva essere anche in passato: un symbolon che, in greco antico, era proprio un oggetto materiale e poi, per traslazione, una frase, un segno che permetteva l'identificazione, il ricongiungimento. Il misterioso Turco la pronuncia a Leonardo, qualificandosi come esponente di una setta misteriosa, "I figli di Mithra". In un altro passaggio narrativo, un ebreo condannato a morte per impiccagione la ripete al momento della sua esecuzione. Gli autori della fiction collegano dunque l’uso di questa formula a un circolo iniziatico, che sarebbe sopravvissuto fino al Rinascimento e oltre. David Goyer ha affermato: «I Figli di Mithra esistono ancora. Non so se Da Vinci fu un loro membro, ma certamente avrebbe potuto essere al corrente della loro esistenza». Inutile dire che, in antico, non esistono attestazioni di questo nome, né risulta l’esistenza di questa setta nei secoli successivi. Sono esistiti naturalmente i misteri di Mithra e gli iniziati a questo culto, famosissimo e diffusissimo nella Roma imperiale e protocristiana, al punto che i primi Cristiani ne utilizzarono formule rituali e festività adattandole al nuovo credo (il dies natalis del dio Mithra divenne il Natale di Gesù Cristo, come è noto). Non risulta che i devoti del dio utilizzassero la formula delle lamine auree. Mentre è ancora dibattuto il problema su chi fossero e quale culto praticassero gli iniziati possessori delle tavolette. La fantasia del creatore della serie ha dunque combinato, in un suggestivo patchwork, elementi diversi e di contesti differenti. A fini narrativi, era indispensabile “dare un nome” alla setta che, dietro le quinte, si adopera per indirizzare le azioni di Leonardo. Il tutto sullo sfondo di una lotta tra i Figli di Mithra e lo Stato Pontificio per il possesso del perduto “Libro delle lamine”. Gli elementi archetipici ci sono tutti e sono stati combinati in maniera originale e, a suo modo, raffinata (David Goyer ha affermato di avere letto, per l’occasione, i saggi del grande mitologo Joseph Campbell). Torniamo alla realtà storica: è esistito un “libro delle lamine”? Quasi sicuramente la risposta è negativa, se lo intendiamo come l’oggetto che compare nella fiction: un codice illustrato che raccoglie i testi delle lamine, scritto in una lingua cangiante e misteriosa. Un frammento di questo libro compare, conservato in una teca, negli archivi segreti del Vaticano, in una suggestiva sequenza che vede protagonisti Leonardo e il papa Sisto IV: Leonardo si avvicina alla pagina e si rende conto che i caratteri con cui è scritta mutano sotto i suoi occhi. Dunque, i veri iniziati di cui parlano le lamine giunte fino a noi da dove hanno tratto la loro dottrina? Vale la pena di ricordare che il quadro della religione greca era più articolato di quanto si riesca a immaginare e meno istituzionalizzato di quanto noi, imbevuti di culture monoteiste, possiamo ritenere. Quella greca non era una religione “del libro”. Nonostante ciò, in Grecia circolavano testi sacri di vario tipo. E tutto lascia pensare che, all’origine dei testi incisi nelle lamine, ci fosse un archetipo, uno scritto da cui furono tratti, replicati e adattati i versi e le disposizioni rituali in esse contenute. Si è supposta una trasmissione orale di questi versi, sul modello dei “centoni” derivati dai poemi omerici, avvenuta grazie a figure di “sapienti” itineranti, purificatori di comunità e città, attestati in antico e di cui Platone ci lascia un ritratto ironico e denigratorio. Questo testo originario era probabilmente uno hieros logos, per usare un termine greco, un “discorso sacro”, di carattere teologico, che doveva contenere la narrazione di una catabasi, o discesa agli Inferi. Il modello più antico è quello della Nekya omerica, il viaggio che Odisseo intraprende nell’Ade grazie alle istruzioni di Circe. E, in effetti, nel testo della lamina di Hipponion, dal punto di vista lessicale e stilistico, ci sono vari riferimenti all’Odissea, con l’utilizzo di termini “rifunzionalizzati” e adattati ad un linguaggio misterico. Il poema, la Katabasis es Haidou, narrava probabilmente il viaggio intrapreso da Orfeo, mitico cantore e fondatore di riti misterici, per recuperare dall’Ade la propria sposa Euridice. Storici e commentatori antichi collegavano la fioritura di scritti “orfici” al filosofo Pitagora e alla sua cerchia. Epigene, un grammatico del III-II secolo a.C., in un’opera intitolata Sulla poesia di Orfeo, interpretava la simbologia orfica attribuendo la Katabasis es Haidou a uno sconosciuto allievo di Pitagora, Cercope. Ma già nel V secolo a.C., Ione di Chio, poeta e tragediografo, nella sua opera I Triagmi, affermava che Pitagora avesse composto alcuni scritti attribuendoli a Orfeo. Ieronimo di Rodi, allievo di Aristotele, narra della discesa agli inferi di Pitagora, il quale avrebbe visto le anime di Esiodo e Omero punite con atroci supplizi per le loro narrazioni riguardo agli dei.
Catabasi e iniziazione
Esisteva dunque un filone letterario che connetteva, a volte parodiandolo, Pitagora al tema della discesa gli Inferi e il pitagorismo all’origine della circolazione di scritti orfici. A mio avviso, è probabile che ci fosse uno stretto legame tra il pitagorismo delle origini e pratiche misteriche, che prevedevano una “catabasi” o reclusione in camere sotterranee: una replica rituale della discesa agli inferi. Un grande studioso come Pugliese Carratelli, soprattutto nell’ultima fase della sua attività scientifica, riteneva che l’Orfismo fosse la “religione dei Pitagorici” e che le laminette “di Mnemosyne” fossero il prodotto di questo incontro tra orfismo e pitagorismo. Chi scrive preferisce mantenere una posizione più aperta, soprattutto di fronte all’uso di termini generalizzanti e non bene definibili come “orfismo” e “pitagorismo”. Resta il fatto che Mnemosyne, la memoria, era fondamentale nella dottrina pitagorica e sembra esserlo anche nelle nostre lamine: grazie a Mnemosyne l’iniziato “ricorda” le sue origini mistiche e celesti e può superare lo sbarramento di guardiani dell’Ade e accedere alla “sacra via”. In ogni caso, le fonti antiche, pur mantenendo il riserbo nei confronti dei contenuti delle pratiche misteriche, accennano a “testi sacri” utilizzati in queste pratiche: Erodoto (Storie, 2, 81, 1) parla chiaramente di un “discorso o racconto sacro” in riferimento a «pratiche orfiche e bacchiche, che sono in realtà egiziane e pitagoriche». Questo testo “fondativo”, scritto non più tardi del V secolo prima di Cristo, doveva contenere il racconto paradigmatico della discesa agli inferi di un personaggio eccezionale, eroe o sapiente fondatore delle iniziazioni e le istruzioni rituali per affrontare questo viaggio. All'origine, dunque, devono esserci stati uno o più poemi, che sono stati utilizzati dagli iniziati, sia nei loro riti che riproducevano le catabasi, sia nella composizione dei testi destinati all’ultimo “viaggio”, alla iniziazione definitiva che si concludeva con l’immortalizzazione. Ma riguardo al tragitto di trasmissione, nel tempo, del “discorso sacro”, possiamo solo fare congetture. È interessante però notare che, in qualche modo, il nostro libro debba essere arrivato almeno fino al III secolo dopo Cristo, quando una iniziata di nome Caecilia Secundina si fa seppellire, a Roma, insieme a una lamina d’oro che ne riporta (caso unico, finora) il nome per esteso: in questa lamina la dea Mnemosyne (o Persefone) proclama che la donna è legittimamente divenuta una dea, grazie al “dono di Mnemosyne”. Possiamo immaginare che il libro misterioso possa essere sopravvissuto all’avvento del Cristianesimo e al Medioevo, come si lascia intendere nella fiction su Leonardo? Difficile dirlo; ma, se non possiamo affermare che abbia continuato a circolare come testo integro e integrale, alcuni indizi ci fanno guardare all’Egitto e al Medio Oriente come ambienti in cui queste dottrine misteriche possano essere state tramandate, defluendo poi nel crogiuolo di culti banalmente definiti “sincretistici”, della tarda antichità, nelle dottrine gnostiche e nel calderone da cui prese forma l’alchimia, attraverso il mondo iranico e arabo. I papiri cosiddetti “magici”, rinvenuti in Egitto e datati tra il II e il V secolo d.C., contengono proprio formule di immortalizzazione, che sono accostabili a quelle che ci pare di intravedere nei criptici versi delle lamine. E, dunque, la fantasia creativa di Goyer, che vede una setta turco-siriana come depositaria di questi segreti e lo stesso Leonardo come protagonista di un viaggio in Giordania sulle tracce di questa sapienza nascosta, può avere colto nel segno, non tanto della realtà di un viaggio del Da Vinci in Medio Oriente, quanto nell’avere indicato in questa zona una possibile area di sopravvivenza, trasmissione e rielaborazione delle dottrine misteriche greche, poi tornate in Occidente quando, in epoca rinascimentale, la diaspora di testi e sapienti da Bisanzio riaprirono le porte della civiltà greca all’Italia e all’Europa.
Sulla reincarnazione
Ma, per chiudere, proviamo a fare un passo ulteriore, cercando un aggancio storico con la Firenze in cui visse Leonardo. Poteva esistere a quel tempo (ed essere conosciuto dal nostro artista) un testo iniziatico/ermetico paragonabile al “libro delle lamine”? Goyer afferma che un’altra delle fonti di ispirazione per l’idea del “libro delle lamine” è stata il Manoscritto Voynich, vero e proprio rompicapo filologico: un manoscritto vergato in una lingua indecifrabile (forse un “codice criptato”), con illustrazioni di tipo botanico e controverso quanto a datazione (l’analisi al radiocarbonio, anch’essa contestata, ha permesso di datare le pergamene in un range compreso tra il 1404 e il 1438). Come che sia, all’epoca di Leonardo fiorivano, a Firenze, le ricerche di pensatori come Pico della Mirandola e Marsilio Ficino, imbevute di cultura alchemico - ermetica e di erudizione volta al recupero del pensiero e della filosofia classica greca (ma anche della tradizione misterica e sapienziale antica). Il clima culturale, soprattutto quello dei circoli accademici e delle élites intellettuali vicine alla corte dei Medici, era aperto alla circolazione di teorie eterodosse rispetto alla dottrina della Chiesa, come quella sulla trasmigrazione delle anime (la metempsicosi). In questo clima si inserisce la vicenda di Matteo Palmieri, uomo politico fiorentino di rango (ambasciatore presso Alfonso di Aragona e presso il Vaticano), ma anche intellettuale e scrittore, morto nel 1475. Palmieri fu l’autore di un poema, La città di vita, un’opera a sfondo esoterico e allegorico, che si ispirava a un modello letterario incontestato, la narrazione della più famosa catabasi della civiltà occidentale: la Commedia di Dante Alighieri. Il poema del Palmieri, scritto in terzine dantesche, raccontava, come il suo capostipite, un viaggio nei regni oltremondani, ma, a differenza di questo, era imbevuto di dottrine ermetiche legate alla reincarnazione delle anime e alla preesistenza delle anime stesse rispetto ai corpi in cui si sarebbero incarnate. Un contenuto pericoloso, ben accetto e tollerato nella Firenze medicea ed evidentemente destinato alla fruizione in circoli “esoterici”, ma che attirò le ire, la censura e la scomunica della Chiesa. È una mera suggestione, ma La città di vita può ben essere un corrispettivo “reale” del “Libro delle lamine” protagonista della fiction e, dunque, uno dei testi che raccoglie idealmente l’eredità dello sconosciuto Hieros logos, attribuito già dalle fonti antiche a Pitagora. Un libro concepito e pubblicato nella Firenze del Quattrocento, che narra una discesa agli inferi inserita in un contesto dottrinale ispirato alla reincarnazione, sicuramente influenzato dalla filosofia platonica e neoplatonica, ma, alle radici, continuatore di quella tradizione misterica che affiora nelle lamine “storiche” che abbiamo esaminato. È verosimile dunque che Leonardo Da Vinci conoscesse e abbia avuto a che fare con gli ambienti filosofici e culturali che hanno prodotto opere come La città di vita. La storia “sotterranea” del Rinascimento è ancora tutta da indagare.
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Articolo tratto da axismundi.blog/2015/12/28/il-sacro-cerch...ei-nativi-americani/
Per millenni, gli indiani d’America hanno considerato la terra come una chiesa, le mesas come altari, tutto il creato come pervaso da sacre forze vitali, in un cerchio universale di eguali, gli uni correlati agli altri in un equilibrio vitale. 200 L’habitat rappresenta il palcoscenico su cui si esibiscono il regno degli spiriti e il mondo fisico. Le piante, le forze della natura, gli astri celesti, gli esseri umani, le erbe che curano e consentono le visioni, fanno tutti parte di un “sistema a conduzione familiare”, 201 in cui tutti sono parenti, “tutti egualmente figli della Grande Madre Terra”. Il cerchio dell’universo nativo contiene in un tutt’uno inscindibile l’intero mondo esistente, fisico e spirituale. Grazie a quanto abbiamo detto in precedenza sull’importanza della c.d. legge di reciprocità nella filosofia tradizionale nativa, non è difficile comprendere che sia proprio tale principio a fare da fondamento a questa particolare visione olistica del cosmo come organismo unico composto da una moltitudine di parti interconnesse ed interdipendenti le une dalle altre.
Il rapporto che i nativi hanno con la fauna e la flora è, innanzitutto, di conoscenza e rispetto 202 — “In questa parola, rispetto, c’è tutta la nostra legge” affermò il grande sciamano Lakota Frank Fools Crow. Questa visione del mondo è determinata non solo da ragioni di sopravvivenza e di gestione delle risorse naturali, ma soprattutto da sentite implicazioni e credenze spirituali e religiose. A ciò si collega strettamente quanto abbiamo detto a proposito del principio di sussistenza, che non è — come abbiamo visto in precedenza 203 — da intendersi come “ciò che è necessario alla comunità in termini puramente materialistici-economici” ma piuttosto come “ciò che è necessario affinché l’ordine del cosmo venga mantenuto intatto”; solo con queste premesse, a parere dei nativi, è possibile costituire la comunità e le relazioni sociali che la reggono, in modo duraturo. Ogni segmento della vita del grande cerchio relazionale del cosmo è collegato agli altri in maniera equilibrata ed armoniosa e senza gerarchie di valori: un minuscolo filo d’erba non vale meno di un alce, di un essere umano o di una roccia, perché — secondo un detto nativo — “Dio dorme anche nella pietra”. La Terra stessa è considerata come un essere vivente, una Madre dal cui organismo tutte le creature nascono e traggono nutrimento. Ne consegue che tutte le creature viventi, gli alberi e le piante e persino le pietre e le rocce sono considerati dai nativi come fratelli nati dalla stessa Madre Terra, anch’essi concepiti nella mente del Grande Spirito, considerato la Sorgente Creatrice di tutto ciò che esiste.
Il Capo Luther Standing Bear afferma: 204
Il vecchio Lakota era saggio. Sapeva che se il cuore dell’uomo si stacca dalla Natura diventa crudele. Sapeva che la mancanza di rispetto per le cose che crescono e vivono avrebbe presto condotto a mancare di rispetto anche agli esseri umani. Per questo i giovani erano tenuti a contatto con la dolce influenza degli anziani.
La natura della mente dell’uomo nativo si potrebbe a ragione definire olistico-globale, a indicare la sua capacità di immedesimarsi in globalità complesse e di mantenere queste strutture e le loro complessità in equilibrio dinamico. Nella loro concezione biocentrica non è l’uomo al centro dell’universo, come nella Weltanschauung antropocentrica occidentale: questi è considerato solo uno dei tanti esseri viventi tra gli altri e non padrone o signore della Terra.
La studiosa Paula Gunn Allen chiarisce che: 205
Nel mondo indiano non esiste la concezione secondo cui l’essere sarebbe distribuito lungo una scala gerarchico-verticale, con la terra e gli alberi collocati sui gradini più bassi, gli animali un po’ più in alto e l’uomo, soprattutto quello civilizzato, in cima. Tutte le cose sono considerate piuttosto come sorelle o parenti… tutte sono figlie del Grande Mistero e della Madre Terra, e membri indispensabili di una globalità ordinata, equilibrata e vitale. Questo concetto viene applicato sia agli aspetti soprannaturali sia ai fenomeni visibili dell’universo. Il pensiero nativo americano non opera nessuna distinzione dualistica, né traccia linee categoriche di separazione tra ciò che è considerato materiale e ciò che è spirituale, poiché entrambi sono visti e concepiti come espressioni della stessa realtà.
Una simile visione del cosmo, in verità, non è prerogativa dei soli popoli cosiddetti “indigeni”: Lauretano fa notare come essa si ritrovi anche nella storia della filosofia occidentale, con la denominazione di ilozoismo. Si tratta di una corrente di pensiero che inizia con i filosofi presocratici, continua con gli Stoici e viene seguita anche dai filosofi naturalisti del Rinascimento fino a Spinoza. Secondo gli ilozoisti esiste un’omogeneità cosmica: tutto è animato, tutto è in movimento, tutto è dotato di sensibilità, tutto è vivente. Il divino è dappertutto, diffuso e pervasivo: potremmo ben dire che “il mondo è pieno di dei”. 206
Abbiamo visto che il cerchio relazionale dell’universo viene vissuto dai nativi in un senso di spazio globale, cosmico, senza distinzioni, senza tempi lineari-cronologici e senza alcuna gerarchia e priorità all’interno dei vari segmenti del creato. Ciò mette in risalto la differenza tra la concezione circolare nativa e quella lineare occidentale, cioè l’antinomia tra il cerchio e la linea retta, tra lo spazio e il tempo, tra il biocentrismo e l’antropocentrismo. Alla concezione gerarchico-verticale della linea retta degli occidentali — la vita dell’individuo non è che un punto, distinto dagli altri, anche per ruolo ed importanza, posto su una linea infinita di progresso e di sviluppo che percorre le varie fasi del tempo storico — essi oppongono quella ciclica e globale, circolare, simboleggiata dalla rotondità del Sacred Hoop, il sacro cerchio dell’universo che tutto contiene.
L’uomo bianco era dell’opinione, e lo è ancora, che tutto deve avere un inizio e una fine, un principio e una conclusione. I nativi americani invece, non notando linee rette in natura, non percepivano inizi e fini, ma solo cambiamenti in un continuo processo evolutivo. Il cerchio per gli indiani d’America è sacro perché indica una via di comprensione: fornisce un mezzo per capire il cosmo, i misteri della vita e della morte. 207 Si può quindi ben dire che il cerchio è l’emblema dell’indianità ed è alla base di molte culture indigene e arcaiche; e poiché rappresenta la totalità dell’esistenza e l’intero cosmo, assume un carattere multidimensionale — fisico, spirituale-religioso, filosofico, mitico, relazionale — dal momento che accoglie dentro di sé materia e spirito, naturale e sovrannaturale, cose animate e inanimate, sogno e realtà, mondo animale vegetale minerale ed umano, e così via. Il cerchio esprime in maniera compiuta la visione che i nativi hanno della creazione, della vita e della morte, della natura, del cosmo, delle relazioni e correlazioni esistenti, del fluire circolare del tempo, poiché tutto è disposto e si muove in circolo e mostra quei valori di unità, di compattezza, di uguaglianza nella diversità, che il cerchio stesso suggerisce. Il cerchio, secondo Ludovici, è “il modello di relazioni interpersonali che combina uguaglianza e diversità”. 208
L’intera civilizzazione indiana fu costruita partendo dallo studio dell’ambiente che segue modelli circolari e ciclici: tutte le cose in natura si presentano in forma di cerchio. 209 L’uomo osserva il mondo fisico attraverso l’occhio, che è rotondo; la Terra è rotonda, così come lo sono il Sole, la Luna ed i pianeti; il sorgere e il tramontare del Sole segue un movimento circolare. Le stagioni formano un cerchio; gli uccelli costruiscono i loro nidi circolari; gli animali marcano il proprio territorio in cerchi. 210 Certamente per il nativo americano l’intera vita sembrava svolgersi secondo schemi circolari. Da qui l’utilizzo della forma circolare in qualsivoglia aspetto della vita comunitaria nativa, dalla costruzione del tapee rigorosamente a base circolare fino alla decisione di risolvere i propri conflitti interni con la tecnica del cosiddetto sentencing circle. 211
Il filosofo Bruno Lauretano suggerisce di usare, anziché il termine “ambiente”, quello più peculiare di “circostanza”, da intendere come “lo spazio che ci circonda, non lo spazio vuoto, ma quello abitato, popolato da esseri molteplici”. 212 Per circostanza, dunque, non si deve intendere soltanto l’ambiente inteso in senso paesaggistico o naturalistico, che faccia riferimento unicamente alla dimensione spaziale: la nozione, oltre a quella spaziale, include anche la dimensione temporale. Circostanza è, dunque, “l’insieme di appartenenza” e richiama l’idea di “coabitazione, coappartenenza, comunanza di destino, condivisione”. 213 Conseguentemente, ogni essere è necessariamente circostanziale, legato alle situazione e alle circostanze della sua esistenza in cui si viene a trovare: l’esistenza di ognuno non è separata e indipendente dalla circostanza, ma relazionale e reticolare. L’universo stesso è reticolare, costituito da una fitta rete di interdipendenze e di connessioni.
Al contrario, per l’uomo occidentale il quadrato rappresenta quello che per i nativi rappresenta il cerchio: sono quadrate le case in cui vive, le stanze, le porte che lo separavano dagli altri membri della famiglia, il televisore, il computer, le banconote, e via dicendo. È come se la vita dell’uomo bianco fosse formata da una serie di scatole, inserite l’una dentro l’altra e solo occasionalmente in connessione tra loro. A ciò segue la frammentazione dell’individualità dell’uomo bianco, che nel corso della sua vita si trova ora a rappresentare un ruolo, ora un altro, e che raramente o solo di sfuggita riesce a connettersi con il proprio “centro” (il Self junghiano). Inoltre, se un tempo anche le popolazioni europee fondavano la propria esistenza sui cicli della natura — si pensi alle cerimonie solstiziali ed equinoziali che hanno caratterizzato per millenni le antiche civiltà cosiddette pagane — e quindi vivevano anch’esse in armonia con il sacro cerchio dell’universo, appare oggi evidente come tale visione sia pressoché scomparsa: il tempo sacro è stato sostituito dal tempo storico, il cerchio dalla linea retta del progresso, la comunione con tutto ciò che nasce e cresce in natura dallo sfruttamento selvaggio ai soli fini del guadagno.
Note:
200 Quando, negli Stati Uniti, la Peabody Coal Company diede il via allo sfruttamento della sacra Black Mesa, gli Hopi intentarono causa presso il tribunale federale di Washington, accusando la corporazione con queste parole:
“Sventrare la Black Mesa con il processo noto come miniera a cielo aperto è una profanazione, un sacrilegio, un atto contrario alle istruzioni del Grande Spirito. [Queste terre] sono il centro spirituale dell’universo. Le profezie dicono che se [queste] terre verranno rovinate, il mondo finirà”. (S. Steiner 1976, p. 22).
201 N. Minnella 1998, p. 25.
202 G. Gibson MacDonald, J.B. Zoe e T. Satterfield 2013, p. 58.
203 Si veda capitolo 1, paragrafo 8.
204 K. Meadows 1990, p. 18.
205 P. Gunn Allen 1979, pp. 222-239.
206 B. Lauretano 2004, p. 16.
207 K. Meadows 2013, p. 44:
“Il cerchio era sacro agli Amerindiani perché indicava una Via di Comprensione. Forniva un mezzo per capire il Cosmo, i misteri della vita e della morte, la mente e l’individualità dell’Io. Con il cerchio lo sciamano amerindiano poteva mostrare come funzionava il Cosmo, come le leggi della Natura e del Cosmo governavano tutti gli esseri viventi, come scoprire la relazione fra l’uomo e le altre forme di vita sul Pianeta e come entrare in armonia con la Natura, con il Grande Spirito e con il proprio Spirito.”
208 N. Minnella, cit. 1998, p. 27.
209 È curioso notare come nella radice latina del termine “ambiente” vi sia l’idea di circolarità del territorio — ambitus in latino significa “cerchio, giro, ambito, circolo”.
210 K. Meadows 2013, p. 52.
211 Si veda capitolo 2, paragrafo 10.
212 B. Lauretano, cit. 2004, p. 17.
213 Ibidem.
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Articolo di Riccardo Tristano Tuis
La musica è stata spesso usata nei contesti più disparati, ma sempre con l’intento di creare un maggior impatto emotivo nell’individuo. Da millenni è impiegata nelle parate e in guerra per intimorire il nemico; gli scozzesi usavano le cornamuse, altri eserciti europei preferivano invece i tamburi, mentre i Confederati nella Guerra civile americana usavano i banjo. Ma anche ai giorni nostri l’esercito americano e quello francese impiegano frequenze soniche sotto la soglia udibile umana (gli infrasuoni), come nelle più micidiali armi belliche in grado di sgretolare corpi umani, carri armati ed edifici. Tra i moderni scienziati che studiarono il potere disgregante delle vibrazioni non si può non citare il genio serbo Nikola Tesla, con il suo raggio della morte. In ambito mediatico la musica esercita un ruolo imperante per la sua funzione di sublimazione dell’immagine, spot pubblicitari, colonne sonore nei film o nelle serie televisive sono oramai parte integrante della vendita dell’immagine. Senza le colonne sonore i film non avrebbero l’impatto emotivo che hanno e anche la televisione si vedrebbe alquanto spogliata di pathos senza il supporto sonico nei suoi programmi. Suoni, armonie o melodie potenziano l’immagine a tal punto da predisporre lo spettatore a diversi stati d’animo, ma se in alcune sue sfumature l’impiego della musica è propositivo, in molte altre è finalizzato solamente a un mero atto di marketing o per pilotare l’emozionalità umana.
La scienza dei suoni
I pitagorici e gli ermetici probabilmente inorridirebbero se vedessero come l’uomo del XXI secolo mercifica la scienza dei suoni, relegata al ruolo di arte, poiché furono tra i primi a comprendere la natura più eccelsa della musica e delle sue potenzialità. Essi avevano capito come musica e numero fossero due aspetti di un'unica cosa. La corrispondenza tra frequenze musicali, umori e stati mentali fu studiata proprio in queste scuole di gnosi. Il principio della risonanza simpatetica, ove se due corde sono regolate sulla stessa frequenza, nel momento in cui una viene pizzicata l’altra vibra con la medesima risonanza, mostrava loro come il simile influenza il simile. Questo principio fu interpretato come un’invisibile relazione tra tutte le cose, poiché tutte le cose hanno rapporti di corrispondenza, perfino in ciò che apparentemente l’uomo interpreta come disarmonico. Questo equilibrio e principio di corrispondenza in tempi moderni è stato esaminato dalla Teoria del caos e il cosiddetto Effetto farfalla è un recupero dell’ultima ora della scienza nei confronti degli studi ermetici. Il principio di risonanza simpatetica è anche ribadito nella cosiddetta legge di attrazione, ove si espone come una specifica emissione di pensiero conscio o inconscio, per risonanza simpatetica, influenzerà corrispondentemente la nostra realtà. Le ricerche della Neurosonic Programming prendono in considerazione questi concetti, gli studi sulla volontà umana e la risonanza (neurale) tra due o più cervelli, facendo propria l’equazione in cui maggiore è la nostra risonanza con ciò che si vuole raggiungere e maggiori saranno i potenziali risultati. Ma come si aumenta e come si misura questa risonanza simpatetica tra la nostra volontà e l’obiettivo che vogliamo raggiungere? Il concetto di misura è prettamente umano ed è un nostro modo di simbolizzare una presunta quantità presente in un fenomeno. Questa quantità in grado di influire nella nostra realtà è il pensiero stesso dell’operatore, che si manifesta sottoforma di volontà, atteggiamenti, idee, ecc. Il pensiero stesso è il grande architetto con cui costruiamo l’architettura della realtà, influenzando sia l’ambiente sia il nostro DNA. La risonanza simpatetica del pensiero con l’obiettivo può essere misurata e nelle neuroscienze questa misura è quantificata in coerenza neurale (sincronia dei network neurali), individuata in alcune specifiche aree cerebrali, in primis la corteccia prefrontale. Tale coerenza è spesso definita come sincronizzazione biemisferica, in cui la nostra neocorteccia lavora in maniera sincronica tra l’emisfero destro e il sinistro. L’emisfero sinistro, deputato alla logica e ai processi linguistici, rappresenta l’aspetto maschile del nostro cervello, mentre quello destro, preposto all’intuizione, alla sintesi e all’emozionalità, rappresenta l’aspetto femminile. Sincronizzare questi due emisferi polarizzati, la cosiddetta coniugatio oppositorum, equilibra la nostra forma mentis e il nostro modus operandi, integrando modelli diversi di computazione e percezione, che ci espandono come individui ricchi di potenzialità. La Neurosonic Programming è una moderna neuro-tecnologia basata sui principi ermetico-pitagorici, che impiega una distinta matematica, la cosiddetta matematica dell’8, con cui intonare e accordare le onde acustiche. Tali onde, per effetto di risonanza, stimoleranno specifici stati neurali a più alta coerenza, proprio perché l’8 e i suoi multipli sono numeri presenti in alcuni processi metabolici, tra cui la sincronizzazione biemisferica e la duplicazione cellulare. La programmazione neurosonica vuole essere dunque un mezzo per aiutarci ad aumentare questa risonanza o sincronizzazione biemisferica e così potenziare la nostra attenzione e volontà nel raggiungimento dei nostri obiettivi. Alcuni specifici suoni possono influenzarci nel cambiare lo stato di coscienza, proprio perché il nostro cervello vibra anche sulla banda di frequenza sonica. I suoni possono essere visti come codici informatici numerici, che entrano in risonanza con il nostro “computer portatile” che chiamiamo cervello, influenzando così i processi computazionali, emozionali e metabolici.
Guarigione con il suono
Già Pitagora e la sua scuola e poi gli ermetici alessandrini si resero conto che toni e armoniche corrispondono a numeri fissi e che le proporzioni delle scale sono basate sul numero. Pitagora, il suo discepolo Filolao, Platone e gli ermetici alessandrini e rinascimentali fecero propria la filosofia di accordare il microcosmo umano al macrocosmo. Gli ermetici rinascimentali, oltre a gettare le fondamenta del Rinascimento, in opposizione al culto oscurantista e sanguinario della Chiesa, riportarono in vita la musica accompagnata da poesia o la musica cantata per sollevare l’animo e curare lo spirito dell’ascoltatore, facendo così rinascere l’arte musico-terapica, pratica in precedenza in uso nelle scuole pitagoriche. Donington nei suoi scritti ha affermato come l’importanza della parola nella musica sarà ripresa in Occidente con i poeti ermetici della Pléiade nella Francia del XVI secolo, in cui si diede origine al dramma sacro musicale, a sua volta sviluppato in seguito nel madrigale, nel melodramma, nella masques e nell’opera. Nel periodo storico dell’Ottocento, in cui scienza positivista e religione alienavano sempre di più l’uomo dalla sua reale essenza, la visione ermetica fu debolmente ripresa dal simbolismo francese; poeti come Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, scrittori come Yeats, Joice, Mann e musicisti come Debussy la ripresentarono al pubblico come la via di mezzo per far nuovamente comunicare l’uomo con la propria anima. Durante la piena fioritura del Rinascimento la magia ermetica, forse influenzata dagli inni orfici, prevedeva uno studio in cui con i suoni di specifiche parole, emesse dalla voce con una particolare intonazione, timbro e cadenza e accompagnate da precisi toni e accordi fatti per creare una melodia, se ben integrati con una rigorosa matematica, si potevano creare dei talismani invocativi, in grado di modificare la realtà da parte del magus che li intonava. Tale pratica è stata adottata anche dagli sciamani lapponi per curare le persone. Ai giorni nostri questi affascinanti studi si ripresentano in una nuova veste, attraverso specifiche tecniche della programmazione neurolinguistica e della programmazione neurosonica. L’elemento della manipolazione si presenta in molteplici livelli, ma è l’elemento della coscienza dell’operatore il fulcro della “magia” e dell’Arte del cambiamento o della guarigione. La Programmazione Neurolinguistica e molti metodi o Scuole per lo sviluppo del potenziale umano utilizzano elementi presenti in corpus di conoscenze antiche, che spesso sono state banalmente generalizzate con il termine di Magia naturale (che è ben distinta dall’attuale magia da palcoscenico), basti pensare all’impiego di tecniche di ipnosi o di concentrazione dello sguardo nel punto mediano delle sopracciglia del soggetto, fino alla pratica del calco (la ripetizione di gesti della persona che ci sta di fronte, per creare un rapporto con essa) o alla visualizzazione. La tecnica Walk in the dark utilizzata nella Neurosonic Programming è una sorta di opera talismanica ermetica (il termine talismano deriva dal greco telesma, che significa “completamento” e può essere un oggetto, un’idea, ecc. che porta un elemento finale a un processo), che si serve della neurochimica dei nostri cervelli, stimolati sia dal buio sia dalle frequenze acustiche, e dell’utilizzo di specifiche affermazioni, atte a disattivare i programmi inconsci indesiderati o potenziare tratti della nostra persona. Un talismano non necessariamente possiede proprietà esclusive, la magia risiede nelle nostre menti, che credono al potere del talismano o di un rituale e dalle nostre menti facciamo accadere ciò che è da noi voluto. In base all’intento dell’operatore, la riprogrammazione neurale può essere vista come una sorta di modellamento di un diverso livello del reale, attraverso la manipolazione cosciente dell’operatore, che deve entrare in risonanza simpatetica con una nuova realtà personale. La moderna riprogrammazione neurale consapevole è una sorta di rivisitazione tecnologica del talismano rinascimentale, in cui un’affermazione di intento data in uno stato di coscienza a più alto ordine di coerenza neurale nei confronti della realtà vigente, per risonanza simpatetica, l’ambiente ne risponde sottoforma di sincronie ed eventi attinenti ai desideri del magus-operatore, modificando la realtà stessa attraverso i nuovi potenziali richiesti.
Alchimia e architettura
Per l’ermetico Pico della Mirandola tale orazione era uno dei modi con cui l’uomo poteva modellare la realtà, per avere piena responsabilità del proprio destino. Questo pensiero presente nelle scuole di antica saggezza afferma che noi siamo gli artefici del nostro destino e ciò è diventato il leitmotiv di una miriade di divulgatori del cosiddetto self improving, o sedicenti channeler che hanno ripreso questi insegnamenti spacciandoli per propri. Anche l’esoterismo francese di fin de siècle s’interessò a questo fenomeno e nel suo Contribution à l’égyptologie Isha Schwaller affermò: «Il bastone è un ramo di legno attraverso il quale ha circolato la linfa – la forma del vegetale. Allo stesso modo, la parola conserva la forma ma non la vita; questa vita gli sarà resa dall’intonazione, dalla voce. La parola è l’espressione udibile del Verbo Ideale… ». Nel Medioevo questi studi ermetici furono ripresi pure dalla Chiesa sottoforma di canto gregoriano. L’addestramento a questo canto divenne alquanto difficile, soprattutto per ciò che concerneva il controllo del respiro, creandosi così una sorta di parallelismo con alcune discipline orientali, basate sulle tecniche del respiro. Moderne ricerche hanno portato alla scoperta che il canto gregoriano è in grado di produrre effetti benefici fisiologici e psicologici e che i monaci, se privati della possibilità di cantare, tendono a essere sopraffatti dalla fatica e dalla stanchezza. Alla musica non erano interessati solo ermetici come Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e Leonardo da Vinci, ma anche diversi alchimisti, tra cui Thomas Norton, che in Ordinall of Alchimy, pubblicato nel 1477, scrisse: «Congiungi in musica i tuoi elementi a due fini, uno è la melodia: di quali armonie darà la tua mente, il vero effetto allora comprenderai. Con le altre armonie della musica, con le proporzioni che creano armonia, simili alle proporzioni in Alchimia (…)». Alchimia e musica furono un connubio perseguito nei secoli. In un testo rosacrociano del 1609, ad esempio, si rappresenta un alchimista in preghiera davanti ad un pentagramma, nella raffigurazione compaiono diversi strumenti a corda, sopra un tavolo che porta inciso un motto in latino: «La sacra musica disperde la tristezza e gli spiriti maligni.» La musica ebbe un’altra grande corrispondenza con l’architettura. Francesco Giorgi, frate cabalista, impiegò la musica per la progettazione architettonica e la chiesa costruita su suo progetto a Venezia fu concepita sulle proporzioni musicali. Il Giorgi soleva spesso chiamare Dio con il termine di Archimusico. Leon Battista Alberti, architetto, matematico, musicista e molto altro ancora, scrisse un libro per collegare l’architettura alla musica e citando Pitagora scrisse: «I numeri, attraverso i quali l’accordo dei suoni colpisce piacevolmente le nostre orecchie, sono gli stessi che riescono graditi ai nostri occhi e alle nostre menti (…). Dobbiamo quindi prendere in prestito le regole di armonica relazione dai musicisti, che sono esperti di questo tipo di numero». Anche un altro grande architetto come Andrea Palladio fu ispirato dalle proporzioni musicali e dalla proporzione aurea nella progettazione delle sue opere che influenzarono l’intera Europa e il suo stile è ben rappresentato anche oltre Europa, basti pensare alla Casa Bianca, residenza del presidente degli Stati Uniti, che è un chiaro esempio dello stile palladiano. Il Palladio aveva un’opinione simile a quella di Leonardo riguardo al fatto che «le proporzioni delle voci sono armonie per le orecchie, come quelle delle misure sono armonie per gli occhi », la prospettiva nella pittura rinascimentale si rifaceva proprio al principio di progressione armonica e la proporzione armonica della pittura impiegava frequentemente la proporzione aurea, usata da molti grandi compositori del passato. Leonardo da Vinci a tale riguardo sentenziò che «La musica è sorella della pittura». Giorgio Vasari, nel suo libro Vite dei più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani, descrive Leonardo da Vinci come un abile suonatore di lira, superiore a qualunque altro abbia mai suonato alla corte di Ludovico. Leonardo, oltre che eccellente pittore, scultore e scienziato, era un abile musico, tanto che si era costruito una lira d’argento a forma di testa di cavallo. Tutti i più grandi scienziati del passato e la stessa Royal Society appartenevano alle file dell’ermetismo e/o dell’alchimia e tutti loro avevano grande considerazione di quella che ai giorni nostri è etichettata come regina delle Arti. A quei tempi, però, la musica era considerata sia un Arte sia una scienza legata alla matematica e alla geometria, pertanto ci si serviva di essa con deferenza per funzioni terapeutiche o come fonte d’ispirazione, di meditazione o per pratiche prettamente iniziatiche, tant’è che la teoria musicale proviene dalle Scuole Misteriche di matrice egizia e babilonese, di cui Pitagora fu un alto iniziato.
Musica e magnetismo
Anche il controverso quanto geniale Franz Anton Mesmer ebbe un profondo interesse per quello che la musica riusciva a dare all’ascoltatore. Mesmer, dopo aver studiato filosofia, teologia e medicina, intraprese delle ricerche con quello che allora non sapeva essere l’elettromagnetismo. Lo scienziato di fatto chiamò fluidi leggeri quelli che ora chiamiamo campi di forza elettromagnetici e magnetismo animale il biocampo. Mesmer scoprì la relazione tra magnetismo e il metabolismo umano, divenendo così il caposcuola dei moderni studi sull’elettrobiologia e dei comuni rimedi che si trovano nelle nostre farmacie, come i braccialetti di rame. Il mesmerismo fu antesignano della moderna ipnosi e i suoi studi lo portarono a essere un pioniere delle cure delle malattie mentali, che furono sviluppate successivamente da Charcot, Bernheim, Freud e Jung. Mesmer fu uno tra i primi ad apprezzare Mozart, diventandone buon amico e una delle opere giovanili del genio musicale viennese fu rappresentata proprio nella casa di Mesmer a Vienna. Mesmer, al pari dei pitagorici, era profondamente convinto dell’efficacia della musica a scopo terapeutico, postulando che il magnetismo animale potesse essere veicolato attraverso di essa. A causa dell’accanimento degli scienziati dell’epoca si ritirò nel suo paese natale e negli ultimi tredici anni della sua vita si dedicò quasi completamente alla musica come vettore terapeutico. L’amore di Mesmer, Leonardo e Pitagora per la musica fu seguito da filosofi come Hegel, Schelling, Schopenhauer e Nietzsche, che posero la musica in primo piano nei loro rispettivi sistemi filosofici. La musica non è solo un insieme di suoni che scaldano l’anima o allietano la nostra giornata, i suoni hanno “magiche” proprietà in grado di modificare i tracciati neurali, il nostro umore e la percezione che abbiamo della realtà. La Neurosonic Programming è conscia di questa “magia” e studia le frequenze e il loro rapporto in cui risiede maggiormente tale “magia”, per aiutare a trasformare l’ascoltatore in un magus durante la propria programmazione neurale. In questo breve excursus sull’intima relazione tra ermetismo, scienza e musica, chiudiamo con l’atto V della scena I del Mercante di Venezia di Shakespeare: «Nulla è mai sì refrattario, duro e furibondo, che la musica non ne muti, fluendo, la natura».
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Andrea Venanzoni
Breve storia della magia e tecnologia dal XVI secolo alla fine del reich hitleriano.
Niall Ferguson, tra gli elementi che avrebbero agevolato l’egemonia britannica sui mari, pone l’accento sulla decisione assunta dalla regina Elisabetta I di legittimare la pirateria per consolidare il potere britannico sui mari, contro l’espansionismo spagnolo: la pirateria all’epoca era assai diffusa lungo le rotte oceaniche e parve quindi alla Corona una idea strategica legittimarla in chiave militare e di espansionismo coloniale. D’altronde la percezione inglese di dover dominare i mari e di strutturare un autentico impero oceanico andava in quegli anni prendendo corpo con forza. Andrew Fletcher scrisse: “Il mare è l’unico impero che per natura possa appartenerci”, mentre un secolo dopo James Thomson avrebbe parlato di “un ben meritato impero del mare”. Carl Schmitt annota come l’Impero britannico abbia costituito a suo modo un unicum tra tutte le potenze marinare: a differenza di Venezia, rileva il giurista di Plettenberg, potente nello spazio chiuso del mar Mediterraneo, l’Inghilterra dovette confrontarsi con lo spazio infinito degli oceani. A differenza della Repubblica veneziana, la cui autocoscienza di potenza terricola in certa misura solo prestata al mare era testimoniata da rituali complessi e altamente simbolici come lo “sposalizio del mare”, una potenza nativa dei flussi oceanici come la Gran Bretagna non nutriva alcun bisogno di schermarsi dietro una simile ritualità. Venezia e le Repubbliche marinare, come pure le dinamiche espansioniste di Spagna, Portogallo, Olanda, rappresentarono per gli inglesi modelli da imitare ai fini del pieno superamento, servendosi di innovazioni tecniche e di nuove dinamiche relazionali, di nuove forme istituzionali e di uno spirito inesauribile volto alla scoperta. Tra le scoperte tecniche più rilevanti che gli inglesi portarono alle estreme conseguenze, la cartografia e soprattutto la bussola. La bussola, che si dice sia stata inventata ad Amalfi, sconvolse la tecnica della navigazione perché, per la prima volta, sostituì alla direzione da intraprendere la localizzazione della posizione. Assieme alla cartografia, contribuì in maniera sensibile alla espansione oceanica e alla costruzione dei primi network di potere: elementi che possono essere rinvenuti nella modellazione infrastrutturale delle reti digitali, in cui la posizione orienta l’esistente e il mondo virtuale, a differenza della direzione che nel magma di pixel e bit può essere smarrita con notevole frequenza. Ma tra le risposte all’interrogativo di fondo sulla fenomenologia della vis espansiva britannica raramente vediamo figurare la sfera esoterica, e ancor più raramente ci si sofferma su quello che è invece un autentico dato di fatto: il nascente impero britannico ebbe una profonda radice magica. L’espressione, e la fisionomia che esso avrebbe dovuto rivestire, vennero coniate da un mago, John Dee, nel generale quadro della definizione di una autentica geografia imperiale elisabettiana, come rammenta Jason Louv. Dee, matematico, geografo, alchimista e appunto mago, ascese in poco tempo al ruolo di consigliere della regina Elisabetta I. Filosofo naturale e alchimista, con una promettente carriera di accademico a Oxford a cui pure egli pose fine per intraprendere le sue divinazioni, sostenne la legittimazione all’espansione coloniale inglese sulla base di una connessione magica con l’impero gallese risalente a re Artù e che avrebbe compreso l’Islanda, la Groenlandia e l’America. Tra il 1581 e il 1586 Dee inaugurò una lunga serie di rituali divinatori che avrebbero dato vita ad autentiche conversazioni angeliche. Con l’aiuto di un divinatore, capace di entrare in contatto con le figure angeliche per mezzo di un cristallo luminescente chiamato “pietra divinatoria” e con altri oggetti sacrali, tra cui la “tavola santa” ordinata dall’angelo Uriel, che nel loro insieme costituivano un autentico tempio, Dee ricevette voci, notizie, teorie dagli angeli sulla fine del mondo e sull’ordine naturale. Il sistema magico di Dee, conosciuto come divinazione angelica basata su chiavi enochiane e che il mago inglese portava avanti con la fida e indispensabile assistenza di alcuni cristallomanti tra cui il più noto e assiduo fu Sir Edward Kelley, divenne perno dell’architettura politica, amministrativa e geopolitica della Corona inglese. Tecnicamente, le conversazioni angeliche si basavano sulle chiavi enochiane, ovvero un alfabeto risalente alla figura biblica di Enoch che Dio aveva fatto ascendere al Cielo durante la sua vita e che Dee ritenne di poter codificare, in 48 chiavi angeliche. Si trattava di una tecnica che risentiva profondamente della Cabala e dell’alchimia, di cui Dee era grande studioso. Dalla Cabala, Dee riprese la non gerarchizzazione delle schiere celesti, mutuando l’importanza assegnata più ai nomi degli Angeli con cui interagiva che non al loro ruolo nelle gerarchie del Cielo. Dall’alchimia, al contrario, e in coerenza con la sua formazione di filosofo naturale, Dee riprese il grande interesse per le trasformazioni radicali e l’idea di fondare una dottrina medicale di Dio. La regina arrivò ad affidare le previsioni belliche agli oroscopi e alle conversazioni angeliche di Dee: tra queste, merita menzione quella riguardante il pericolo di una invasione spagnola. Da tempo l’espansionismo cattolico agitava i sonni dei regnanti inglesi e si riteneva plausibile un tentativo di conquista dell’Inghilterra da parte degli eserciti nemici. Dee avrebbe predetto l’annientamento della Invincibile Armata, e così fu. La potente flotta spagnola, all’esito, si narra, di un complesso rituale stregonesco che sarebbe stato replicato centinaia di anni dopo in piena Seconda guerra mondiale, venne annientata dal mare in tempesta. L’anno della distruzione della Invincibile Armata spagnola, il 1588, venne per vero raffigurato a Dee come anno della fine del mondo e dell’apocalisse. Profondamente pervaso da visioni apocalittiche, Dee consigliò la regina Elisabetta e il pirata Sir Francis Drake, ormai legittimato nella sua azione dalle patenti di corsa rilasciate dalla Corona, di utilizzare quella previsione escatologica per logorare la potentissima armata spagnola, mediante una sorta di guerriglia partigiana marinara che sarebbe poi culminata nella fine dei giorni per l’impero spagnolo, con una tempesta che in effetti avvenne davvero. Francis Drake, per parte sua, e una congrega di Streghe di mare unirono le loro forze, dopo ripetuti agguati marittimi contro la numerosa flotta spagnola, al fine di farla raggruppare nel medesimo punto della Manica e, sotto gli auspici evocativi di Dee, arrivarono a causare la furia elementale che avrebbe spazzato via la flotta nemica. D’altronde, anche nei secoli successivi, l’Inghilterra avrebbe visto un sinuoso intreccio di speculazione filosofica, calcolo politico e forma magica: dalla libera massoneria che si era incistata nel profondo di qualunque ganglio vitale dell’assetto istituzionale al rosacrocianesimo e alla teosofia, spesso con non banali intersezioni con la politica tedesca, mediante connessioni concettuali ed esoteriche tra “fratelli occulti” che di anno in anno si sarebbero poi replicate nei periodi infuocati dei due conflitti mondiali. Secondo un autorevole studioso delle dottrine politiche come Giorgio Galli, “la presenza di una cultura esoterica alle origini dello Stato moderno è un fatto storicamente accertato”. D’altronde lo stesso Galli si diffonde, tra le altre cose, sulla potente influenza esercitata da alchimia, spiritismo, astrologia e magia sui consiglieri politici e amministrativi della Francia del 1500-1600, per poi spostare la propria angolazione prospettica verso l’influenza della magia sulle dottrine cameralistiche e burocratiche prussiane, e weberiane, che avrebbero fondato lo Stato amministrativo moderno. I maghi direttamente coinvolti nella definizione di assetti di potere hanno sviluppato alcuni elementi cardine della contemporaneità, dalla rete comunicativa alle intersezioni ibride. Individualisti, ma mutualisticamente cooperativi, metafisici ma con i piedi ben saldi nel pragmatismo della decisione politica e burocratica, questi maghi non solo si “sporcarono” le mani collaborando con l’assai grigio mondo del diritto, della scienza, della guerra e della scienza dell’amministrazione, ma arrivarono a darne una modellazione capillare. Nel suo romanzo largamente autobiografico I mandarini, Simone De Beauvoir descrive il peso rivestito dagli intellettuali nella evoluzione della società francese: il termine “mandarino” indicava in origine gli altissimi dignitari di Corte in Cina, ciò che oggi definiremmo alti burocrati o Grand Commis, soggetti dalla elevatissima preparazione culturale e che venivano selezionati all’esito di dure prove intellettuali, sorta di antesignano concorso a cui avrebbero attinto, con gli adeguati aggiustamenti, tanto l’Ena francese quanto la nostra Sna nella definizione di procedure di ottimale selezione della dirigenza pubblica. Nella preparazione di questi altissimi burocrati cinesi però non c’erano soltanto materie giuridiche, sociologiche, politiche, diplomatiche e belliche, ovvero quel bagaglio culturale che immagineremmo essere sostanza profonda del background di un consigliere del Principe: al contrario, il mandarinato, vero sistema autoreferenziale basato sulla conoscenza minuziosa della antica lingua letteraria cinese, il mandarino appunto, finiva con l’atteggiarsi come comunità sapienziale che, pur formalmente destinata a tutti mediante il “concorso” aperto, si strutturava su linguaggi, conoscenze, codici del tutto differenziati rispetto a quelli della società comune e in cui gli strati più interni ed esoterici del confucianesimo costituivano architrave portante. Poco più a ovest della Cina, nel gelo nordico della Siberia, prima che il mondo venisse sconvolto dai fuochi della Rivoluzione d’ottobre, lo sciamano siberiano Grigorij Rasputin era divenuto, in maniera graduale ma inesorabile, consigliere dei Romanov e in particolare dello zar Nicola II: figura messianica, mistica e inquietante, il barbuto monaco siberiano occupò le cronache, le analisi politiche e i pettegolezzi di palazzo. Si aggirava per la gelida San Pietroburgo, città che era divenuta autentica patria psicogeografica del mondo culturale russo e che molto affascinava gli occidentali, proprio per questo suo essere frontiera e interfaccia tra Europa e mondo orientale. Rasputin divenne così potente, grazie ai suoi presunti poteri taumaturgici e alle sue visioni mistiche, da iniziare a esercitare una influenza che dallo spirituale tracimò nel politico e persino nel militare: a lui, in piena Prima guerra mondiale, si deve la destituzione del granduca Nicola dall’incarico di comandante supremo delle forze militari russe. Secondo alcune fonti, era un appartenente alla setta dei chlysty, un gruppo mistico che riteneva che Cristo potesse incarnarsi in chiunque e che allo stesso tempo sosteneva che Cristo si accoppiasse sessualmente con la Vergine Maria: una sorta di cristianesimo mistico e dionisiaco, che prevedeva riti di ebbrezza e scatenamento, non dissimili dai misteri eleusini, in cui si faceva abbondante uso di alcolici, di canti e di sesso e che segna non episodici punti di contatto con la Magia sexualis occidentale. La morte di Rasputin, voluta proprio dalla Casa regnante, e quella successiva dello zar Nicola II, massacrato con la famiglia dai bolscevichi nel cuore della Rivoluzione d’ottobre, in una sorta di affratellamento nel sangue e nella morte, rappresentano una inquietante connessione tra fattori storici, decisioni politiche e magia. Nello straordinario romanzo L’ultimo inverno di Rasputin di Dmitrij Miropol’skij, il Monaco Nero viene meticolosamente ricostruito come autentica figura spartiacque nella storia russa, al volgere del secolo e nel crollo del mondo ibernato in un perenne medioevo zarista sotto la squassante spinta del materialismo marxista e dei fucili bolscevichi: eppure, Rasputin si lascia dietro una scia caotica e sagittale di sapienza che sembra anticipare gli scoppi sordi del futurismo russo, della tensione tecnologica e dell’irruzione delle masse e dell’irrazionalismo come modalità quasi ipnotica per dominare e governare le masse stesse. D’altronde, la scomparsa di Rasputin e l’avvento del bolscevismo non avrebbero spezzato certo l’influenza esoterica sulle lande russe. In questo senso, ricorda Giorgio Galli come la dottrina leninista si sia ibridata con la sapienza esoterica ancestrale russa, fino a produrre correnti sotterranee di bolscevismo esoterico. E sia pure con formula dubitativa e certamente meno spiccata rispetto alla correlazione tra esoterismo e nazionalsocialismo, Galli sostiene la commistione tra alcuni ambienti marxisti e le dottrine magiche. Come non ha mancato di rilevare Luciano Parinetto in una sua singolare e affascinante opera, lo stesso Marx fu d’altronde grandemente affascinato dall’alchimia. Anello di congiunzione tra esoterismo, bolscevismo e alta tecnologia, la singolare dottrina cosmista, un comunismo utopico e teurgico predicato da Nikolaj Fedorov e in seguito da Alexandr Bogdanov, autore del romanzo Stella Rossa. Fedorov, soprattutto per l’influenza esercitata sullo scienziato Konstantin Ėduardovič Ciolkovskij, padre dei programmi spaziali sovietici, della geochimica e di una teorizzazione molto simile a quella sulla Noosfera e sulla intelligenza collettiva, entrambi cardini del futuro sviluppo di Internet e del digitale, sarà autentico ispiratore di gran parte degli astronauti russi, i quali si dimostreranno conoscitori ed estimatori di questa peculiare forma di pensiero. Stando a George M. Young, che al cosmismo sovietico ha dedicato un fondamentale saggio, il lascito culturale più significativo del cosmismo fu la commistione tra alta tecnologia come strumento emancipatorio e un ottimismo immane sul destino del genere umano. Secondo Svetlana Semenova, ritenuta la più autorevole studiosa del pensiero di Fedorov e del cosmismo in rapporto alla società russa, il concetto di evoluzione attiva predicato da questa singolare visione tecno-esoterica avrebbe rivestito enorme importanza nella evoluzione della società della tecnica: per i cosmisti infatti l’uomo è un essere in perenne divenire, in continua transizione, su cui poter intervenire mediante il progresso tecnologico per abbatterne potenziali limiti ed errori. La componente messianico-utopistica è evidente, analogamente a certo prometeismo teurgico che sarà, ad altre latitudini, sviluppato nella Silicon Valley. Il transumanesimo e l’idea ottimistica di una tecnica come fattore ierofanico capace di elevare l’uomo, in quanto individuo-sovrano, e di migliorare le condizioni di vita del genere umano tutto saranno pane per i denti dei titani dell’hi-tech. In una deriva preoccupante che sarà sottolineata da Douglas Rushkoff nel suo Team Human, le utopie cosmiste riadattate dal pensiero della Silicon Valley saranno alla base di una escatologia tecnologica capace di predicare l’annichilimento dei limiti umani. Tra gli aspetti caratterizzanti il cosmismo, la vocazione all’immortalità e alla resurrezione: nel cosmismo sovietico, già a partire dalle teorizzazioni leniniste sulla verità onnipotente del marxismo in quanto prodotto della scienza, si coglieva la congiunzione della figura di scienziato, che tende alla verità, e di mago, che invece ambisce alla onnipotenza. E in fondo, non solo la imbalsamazione della salma di Lenin e la sua esposizione e la autentica “necropoli comunista” nelle terre del Nord della Russia creata da Nikolai Setnitski in attesa della resurrezione delle carni testimoniano questa unione di magia e potere istituzionale: ormai da anni, nel corteo del 9 maggio in onore della vittoria nella Grande Guerra Patriottica si registra la presenza del Reggimento Immortale e delle teorizzazioni misticotransumaniste di Terra Eroica, secondo cui ogni morto sulla strada dell’onore della Russia potrà risorgere mediante la continua evocazione, con fotografie, cartelli, memorie, ricordi, esibiti in una sorta di rituale magico-patriottico. Non è certo sorprendente scoprire come il Reggimento Immortale, ovvero una associazione che ambisce alla resurrezione degli eroi dell’Urss attraverso una commistione di memoria collettiva, cosmismo e magia, sia stato cooptato istituzionalmente nelle celebrazioni del 9 maggio da Vladimir Putin. Sull’altro lato dell’oceano, le reti esoteriche che popolavano il ventre dell’Inghilterra e che ne avevano propiziato l’espansione coloniale ebbero buon gioco a insediarsi anche nel cuore dell’emergente potenza degli Stati Uniti. Il XIX secolo americano fu pervaso da profondi moti esoterici: la simbologia istituzionale statunitense, il dibattito pubblico, la caratterizzazione e gli interessi culturali dei principali padri della patria avevano tutti una radicata aura occulta. Si consideri solo, a titolo di esempio, la costituzione di un partito anti-massonico che arrivò a essere il terzo partito, per voti e numero di eletti, del Parlamento americano: per lungo tempo, il suo unico punto programmatico fu una opposizione frontale alla influenza massonica esercitata su ogni ambito della cultura e della società americane, a lasciar intendere chiaramente quanti fossero i cittadini americani partecipanti del mondo iniziatico. Il termine stesso New Deal, che avrebbe inciso sul modello istituzionale di Stato interventista in economia nel secolo successivo, derivava dal New Deal of Ages, un concetto esoterico coniato da H. Wallace, che sarebbe poi divenuto vicepresidente di F.D. Roosevelt. L’Ottocento americano e il volgere del secolo, come già avvenuto nel cuore del XVI secolo, furono pervasi da un profondo senso di inquietudine. Mesmerismo, spiritismo, rituali evocatori, corrispondenze tra distinti gruppi esoterici americani ed europei divennero prassi quotidiana. L’irruzione della tecnica, la riflessione sul senso di crisi e di perturbante, la costruzione delle masse e della loro intrinseca irrazionalità come fattori politici divennero elementi che riprodussero un autentico statuto epistemologico esoterico come metodo di investigazione e di comprensione di un presente sempre più complesso, opaco, difficile da vivere e accettare. Gli Stati Uniti devastati e logorati dalla Guerra civile si trovarono a dover fare i conti con una cultura della morte incistatasi nel ventre stesso del dibattito pubblico e della identità collettiva. Un autorevole storico come Drew Gilpin Faust ha sottolineato con forza come il carnaio della guerra abbia ancorato in maniera inscindibile morte, sofferenza, misticismo e religiosità nel senso comune statunitense, già a suo modo forgiato dalla colonizzazione interna delle aree selvagge e dalla lotta contro l’ignoto della scoperta. Proprio in questo senso, il secolo della tecnica, il Novecento, è anche il secolo della magia: al crescere esponenziale di invenzioni, scoperte, industrializzazione, sapere scientifico e di riflessioni e speculazioni filosofiche, giuridiche e concettuali sulla tecnica, fa da contraltare un revival magico senza precedenti. La fine del mondo evocata da John Dee nel 1588 aveva davvero visto la fine di un mondo: quello del vecchio colonialismo e delle potenze imperiali spagnola e portoghese. Ora, al volgere del secolo, la storia sembrava davvero ripetersi. Parigi si rese epicentro di una trasformazione magica del dibattito e delle interazioni sociali, vertice di un triangolo esoterico che vedeva come altri punti di intersezione Berlino e Londra. “Possiamo far finire la guerra col pensiero?” titolava, riferendosi alla Prima guerra mondiale, un articolo apparso sul quotidiano The Herald of the Star, un periodico teosofico. Terminate le ostilità della Prima guerra mondiale, il quinto libro più preso in prestito nelle biblioteche pubbliche inglesi era Raymond, volume di memorie dettate dall’aldilà dagli spiriti al padre di un giovane soldato morto nelle trincee. Come le famiglie americane straziate dal dolore si erano rifugiate nel misticismo e nelle tavole Ouija, così anche in Europa i gruppi esoterici iniziarono a conoscere un proliferare senza precedenti e soprattutto la cultura magica si diffuse in maniera esponenziale. La Prima guerra mondiale, trionfo della tecnica applicata alla distruzione, lungi dall’allontanare gli spettri della magia li rinfocolò. Centinaia di episodi, e l’influenza diretta di maghi, occultisti, stregoni e streghe nei dispositivi di mobilitazione bellica, come ricorda Owen Davies, dilagarono in una società sempre più impaurita dai misteri della tecnologia e del potere. La Germania di fine Ottocento e dei primi del Novecento, al di là delle società segrete ariane che avrebbero più o meno influenzato il nazionalsocialismo, pullulava di gruppi segreti, come l’Ordo Templi Orientis (Oto) o la Fraternitas Saturni, uno dei gruppi più influenti del luciferianesimo contemporaneo divenuto in seguito fattore propulsivo della magia del caos: questo oscuro sottobosco magico avrebbe costituito ideale interfaccia tra mondo germanico e Inghilterra, con organici addentellati nelle stanze del potere politico e amministrativo. Quindi non una mera esplosione di interessi magici occasionali e individuali, ma un incistamento pieno del sapere magico all’interno delle stanze dei bottoni. Un revival esoterico che avrebbe avviluppato la cultura, l’arte, la politica e la scienza, rendendosi a tutti gli effetti fattore indistinguibile rispetto agli ordinari mezzi di governo e di assunzione di decisioni. E se da un lato c’è la riflessione cruda ma solare di Heidegger, Freud, Mann, Spengler, Junger, Ortega y Gasset, dall’altro c’è, proprio in quegli stessi anni, la fantasmatica e oscura presenza di maghi come Aleister Crowley o il suo “fratello nero” Austin Osman Spare. In un intreccio vischioso e stordente, tecnica, pensiero politico radicale, arte, filosofia e magia si sono avvinghiati, in una configurazione serpentina, caotica e dalle cui spire è germinato un incubo che ha spalancato agli occhi del mondo un nuovo orizzonte di potere istituzionale e che è, come vedremo, anche all’origine della società digitale. Come insegna Mircea Eliade, le manifestazioni del sacro vengono proceduralizzate dalle società umane: ogni manifestazione di un mistero, per essere ricondotta a una figura sociale o istituzionale e divenire meno terrorizzante e più comprensibile, è fatta procedura, quale appunto è il rito. E chi padroneggia la formulazione di quel rito detiene il potere, sia esso sacrale o religioso, o politico o culturale o religioso. O magico, appunto. L’assonanza con l’alta tecnologia è autoevidente. Anche questa infatti viene utilizzata per ridurre, o azzerare del tutto, la complessità del mondo, governarlo, padroneggiarlo, secondo i propri rituali definiti ricerca e sperimentazione: anche essa è appannaggio di una ristrettissima cerchia di “iniziati”, conoscitori del verbo espressivo scientifico. Magia, potere e alta tecnologia si sono strettamente intrecciati nel nome della volontà di autoelevazione dell’individuo e di governo di questi sulle masse, sin dalla notte dei tempi. Epitome istituzionale di questa intricata matassa, senza dubbio alcuno, il Reich hitleriano. Un abbacinante intreccio di culti esoterici e di scienza, di pianificazione economica centralizzata e dottrine gnostiche: esattamente nella stessa misura in cui la sua struttura amministrativa e politica si presentava come un caos organizzato, come una arena di corpi tecnici e politici che si contendevano il potere, secondo la immagine lugubre evocata da Franz Neumann, così allo stesso tempo il fiorire di dottrine magiche, di culti esoterici, di riti iniziatici e ario-germanici collimavano, si univano e si scontravano, in un sincretismo oggettivamente stordente. Gli scienziati nazisti si adoperarono non solo per il volo a reazione e il nucleare che veniva sviluppato in Norvegia e che venne impedito dagli Alleati attraverso una serie di raid mirati, come quello del Telemark, ma anche attraverso la crittografia, nella ormai celebre sfida tra il sistema crittografico Enigma che sarebbe stato decrittato dal sistema Ultra, a cui avevano collaborato scienziati polacchi e inglesi, tra cui Alan Turing. Allo stesso tempo, l’azione politica e militare veniva monitorata, consigliata e anticipata assai spesso mediante il ricorso agli astrologi e agli oroscopi, analogamente a quanto avveniva in Inghilterra. Molti scienziati tedeschi, una volta rovinata al suolo la Germania all’esito della disastrosa sconfitta, avrebbero poi messo le loro intelligenze e scoperte tecniche al servizio degli Stati Uniti e dell’Urss, importando in quei Paesi non solo le loro conoscenze tecnologiche e scientifiche ma anche l’humus culturale ed esoterico di cui si erano nutriti fino a poco tempo prima. La stessa Seconda guerra mondiale fu un susseguirsi di alta tecnologia e di irrazionalismo puro, di speculazione teorica e di magia. Caso emblematico, la battaglia magica per l’Inghilterra. L’esoterista inglese, di origini norvegesi ed ex appartenente alla Golden Dawn, Dion Fortune iniziò a tenere una regolare corrispondenza, ciò che oggi definiremmo una newsletter, con i membri della sua Fratellanza magica subito dopo l’invasione della Polonia da parte delle truppe hitleriane. In ogni lettera forniva la sua chiave di lettura magica degli eventi bellici e definiva Hitler un medium. Le lettere sarebbero state poi raccolte nel volume, postumo, La battaglia magica d’Inghilterra. Ma la battaglia magica non fu solo un esotico libro, bensì un fatto concreto. La corrispondenza, che rimontava complessivamente a 134 lettere datate in un periodo che va dall’ottobre 1939 al luglio 1942, si trasformò ben presto in una serie di complessi rituali e in azioni magiche finalizzati a impedire l’avanzata delle truppe tedesche. Nel contesto di una autentica battaglia contro la Germania nazista, furono moltissimi i maghi impiegati. Da Evan Morgan, che fu allievo e amico di Crowley nonché membro del londinese Black Circle, reclutato dal servizio di intelligence della Corona e nominato nel 1939 direttore dei servizi radiofonici dei servizi segreti, all’ammiraglio John Godfrey, che pianificava le proprie azioni militari ricorrendo alle consulenze di astrologi arruolati per l’occasione. Godfrey ebbe al suo servizio anche Ian Fleming, che successivamente sarebbe divenuto il padre letterario dell’agente 007. Secondo R. Spence i servizi segreti di Sua Maestà avrebbero prodotto una serie di oroscopi del tutto falsi che avrebbero convinto i tedeschi ad aggredire la Russia – aprendo così un secondo fronte che avrebbe alleggerito la scomoda posizione dell’Inghilterra – e che avrebbero poi convinto il delfino di Adolf Hitler, Rudolf Hess, a volare in Scozia per negoziare una pace separata con l’Inghilterra. Nella mobilitazione magica inglese contro il Reich hitleriano vennero coscritti anche druidi e streghe, come riporta Gerald Gardner, il padre della Wicca, la neostregoneria contemporanea, autore del Book of Shadows: Gardner nel 1940 partecipò alla Operation Cone of Power, un rituale propiziatorio anti-nazista che alcune streghe tennero di notte nel cuore di una foresta al limitare della piccola località di Highcliffe on Sea, al fine di ingenerare un flusso magico che avrebbe dovuto colpire direttamente Hitler facendolo recedere dal suo proposito di invadere l’Inghilterra. Nel suo Witchcraft Today, pubblicato negli anni Cinquanta, ricordando l’episodio Gardner rimarcò come già prima, con la Invincibile Armata spagnola messa in rotta dall’infuriare della tempesta, forze elementali e in apparenza sconosciute avessero salvato l’Inghilterra dalla invasione. Pur non arrivando Gardner a sostenere che fosse stato quel rituale a impedire al Führer di conquistare l’Inghilterra, la mancata invasione rimase, strategicamente e militarmente, difficile da spiegare, come il volo di Hess, se non ricorrendo anche a paradigmi magici. E se i maghi inglesi avevano duellato alacremente contro i loro omologhi tedeschi, partecipando sia pure in maniera liminale e fantasmatica al conflitto, Adolf Hitler aveva già avuto modo di incrociare quelle che sarebbero divenute le personalità più influenti della magia, del postmodernismo e della controcultura, anche digitale, degli anni a venire: Aleister Crowley e Austin Osman Spare. Nato nel 1875 come Edward Alexander Crowley, in una famiglia estremamente conservatrice e religiosa, Aleister Crowley trascorse una irrequieta infanzia e una adolescenza non meno inquieta: leggeva avidamente, conoscendo la Bibbia interamente a memoria, interessandosi di filosofia e di poesia. Crowley sarà anche apprezzato scrittore, dallo stile decadente e dalle tematiche scabrose: il romanzetto pornografico Snowdrops from a Curate’s Garden, il maudit Diary of A Drug Fiend che sembrava emulare le cupe atmosfere di De Quincey, poesie pregevoli dal tono simbolista e gotico, che in alcuni loro versi particolarmente felici sembravano evocare atmosfere sospese tra Rimbaud e Lautremont, come in Aceldama – a Place to Bury Strangers in. La feroce curiosità intellettuale lo porterà presto a interessarsi di magia. Dapprima tra le fila della Golden Dawn, per poi discostarsene e avvicinarsi all’Ordo Templi Orientis, che però non soddisferà la ricerca crowleyana. Si può qui ricordare come il peso della Golden Dawn nel tessuto politico e culturale britannico sia stato oggettivamente enorme: si pensi che tra i propri membri oltre alla sorella del filosofo Henri Bergson, Moina, annoverava figure quali William Butler Yeats, Sir Arthur Conan Doyle, Arthur Machen, oltre a una miriade di notabili, scienziati, medici e alti burocrati. Ottimo alpinista, indefesso viaggiatore che si muove tra Cina, India, Nepal, Nord Africa, Francia, Italia, Germania, Stati Uniti, potendo contare sulla cospicua eredità paterna, in Egitto Crowley riceve la Rivelazione dall’entità astrale Aiwass che gli detta il Libro della Legge e gli predice la venuta di una nuova Era, l’Eone di Horus, informato ai canoni della Legge di Thelema, il cui motto sapienziale è “fa ciò che vuoi – questa è la legge”. I viaggi a Oriente inoltre concilieranno a Crowley un sincretismo magico che ibriderà la magia cerimoniale occidentale con le forme gnostiche e tantriche di magia sessuale e con le dottrine della Via della Mano Sinistra. Crowley d’altronde ebbe anche un’altra sfumatura esistenziale che sembrava far di lui perfetta incarnazione della congiunzione tra potere e magia: quella di presunto ispiratore, consigliere occulto, sorta di Joseph Fouché luciferino che portava all’orecchio dei potenti la sua voce. Se qualche decennio dopo, due filosofi di pregio come Alexandre Kojève e Leo Strauss si sarebbero confrontati, e intellettualmente sfidati, nel cercare di definire il perimetro di azione “politica” del filosofo, con Kojève assolutamente persuaso che il filosofo dovesse attivamente consigliare il tiranno e il potente, e Strauss di avviso del tutto antitetico, Crowley non ebbe mai alcun dubbio in proposito. D’altronde, lo stesso mago inglese si era sporcato le mani con lo spionaggio attivo, durante il suo soggiorno a New York, in piena Prima guerra mondiale: entrato in contatto con i servizi segreti germanici, Crowley aveva iniziato a scrivere per il quotidiano The Fatherland, sostenendo la necessità che gli Usa si mantenessero neutrali e non intervenissero nel conflitto. E vi furono provati rapporti tra Crowley ed esponenti dei servizi segreti britannici che in alcuni casi si servirono di lui per ottenere informazioni. Di una connessione triangolare, per quanto indiretta, tra il poeta lusitano Fernando Pessoa, Crowley e l’ascesa del Terzo Reich scrive Giorgio Galli. Secondo John Symonds in Medusa’s Head il mago inglese fu addirittura un consigliere occulto del Führer. Crowley cesserà di essere figura storica e diventerà dispositivo di produzione culturale, un autentico meme, capace di incidere sullo sviluppo di infrastrutture culturali, basate su un riallineamento dei canoni semantici e di un diverso universo concettuale, spirituale e linguistico. Sul versante opposto, troviamo Austin Osman Spare che pure intreccerà la sua esistenza con quella di Crowley, stante la sia pur breve permanenza nell’ordine dell’Astrum Argenteum che Crowley aveva fondato, e con Adolf Hitler. Spare, nato a Londra il 30 dicembre 1886, figlio di un modesto poliziotto, fu pittore e artista poliedrico, decadente bohémien, esoterista. In poco tempo divenne una delle figure più enigmatiche delle nebbie londinesi. Si proclamava allievo di una delle ultime streghe, diretta discendente delle poche sopravvissute ai roghi di Salem, l’enigmatica Signora Paterson, con cui sin dalla più tenera età aveva sviluppato un fortissimo legame affettivo e mentale. Con la Paterson, Spare esplorò le potenzialità astrali della mente, partecipando a Sabba che non avevano luogo nel mondo sensibile ma in quello, ctonio e profondissimo, dell’abisso della mente. Le rappresentazioni iconografiche e i dipinti spareiani, contenuti in Un libro di satiri o in The Focus of Life, evocano atmosfere intime, intrise di conoscenza e potere: inizialmente più celebrato di Aubrey Beardsley, ebbe però meno fama e meno successo di questi, a causa di un carattere solitario, riservato e per una patente idiosincrasia nutrita per i riconoscimenti. Per Spare, il sistema magico di Crowley era eccessivamente gerarchizzato, istituzionale e contorto, presupponeva un gruppo, una comunità, mentre la visione spareiana era iper-individualista. Fu sufficiente l’accostamento tra i due perché la pessima fama del secondo travolgesse pure il primo. Mario Praz, infatti, nel suo La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, liquida entrambi, frettolosamente e superficialmente, come due volgari satanisti. Spare visse realizzando piccoli ritratti su commissione, in una spartana povertà a cui però era del tutto indifferente: sovente esibiva la propria arte nei pub dei quartieri popolari di Londra, con una piccola cerchia di estimatori e di clienti che gli consentivano di andare avanti e di accudire la autentica colonia felina che si era costruito dentro casa. Padre “morale” della magia del Caos, ovvero il postmodernismo applicato alla sapienza esoterica, Spare coniò un sistema che trasfigurò lo sviluppo della psicologia degli archetipi junghiana e anticipò la paranoia-critica di Salvador Dalí, oltre ad aver posto le fondamenta per molti dei topoi dei surrealisti. Pur disprezzando la teorica psicanalitica, chiamava infatti Freud e Jung “Fraud & Junk”, Spare elaborò una dottrina che ha molti addentellati con gli sviluppi post-junghiani, ad esempio quelli proposti da James Hillman. Nel sistema di Spare, è centrale il Kia, una sorta di traslitterazione magica del koan zen; l’assoluto nulla femmineo, che compenetra la dimensione fisica, biologica, corporea e quella astrale e cerebrale, Zos, liberandone le infinite potenzialità, divenendo al tempo stesso nulla e tutto, nella discesa nel Vuoto che sembra ricordare la dottrina del Sunyata. Il Kia spareiano adombra la fisionomia della conoscenza assoluta, talmente intensa da sfociare nell’inconoscibile. Una gnosi sciamanica ebbra di sovraccarichi informativi e sensoriali, che avrà non secondarie similitudini con la strutturazione di Internet e delle reti della conoscenza. L’oblio assoluto capace di ingenerare la carica energetica del sigillo va sotto il nome di “Postura della Morte”. E la morte, quella vera, quella fisica, Spare la sfiorò quando nel carnaio della Seconda guerra mondiale Londra venne sottoposta a incessanti bombardamenti dall’aviazione tedesca. Mentre nel cielo notturno duellavano come corvi d’acciaio Spitfire e Messerschmitt, la sua casa venne sventrata da una micidiale esplosione. Ai soccorritori che lo estrassero dalle macerie, il pittorestregone disse trattarsi della vendetta magica di Hitler per il rifiuto ricevuto pochi anni prima. A quale rifiuto faceva riferimento Spare? La risposta risiede in un inquietante autoritratto, Self as Hitler. Un dipinto del 1936 in cui Spare si raffigura come Adolf Hitler, con un tratto di verosimiglianza assoluta e impressionante. L’ambasciatore tedesco a Londra negli anni Trenta, imbattutosi nell’opera, ne rimase impressionato: la acquistò e, di ritorno per un breve soggiorno in Germania, la mostrò al Führer che la gradì a tal punto da invitare Spare a Berlino per commissionargli un suo ritratto istituzionale. Memorabile l’inquieta risposta di rifiuto offerta da Spare: “Riuscirei a immaginarti solo attraverso le negazioni. Non ho sufficiente coraggio per dare vita alle tue aspettative e ai tuoi obiettivi. Se tu sei l’Oltreuomo, lascia che io sia per sempre un Animale”. Spare aveva avvertito nitidamente la intrinseca malignità del personaggio e se ne era tenuto lontano. Eppure il bombardamento della sua abitazione sembrava, in termini simbolici, qualcosa di più di una mera vendetta. Diveniva piuttosto la congiunzione pratica di magia, tecnica e innovazione tecnologica che aveva contraddistinto l’evoluzione sociale contemporanea e soprattutto l’azione del Terzo Reich e che decenni dopo avrebbe innervato i dispositivi di creazione della società digitale. L’impeto innovativo magico fattosi Stato totale. La visione di una magia sottoposta alla logica del potere istituzionale, pubblico o privato, e totalmente slegata dalla volontà libera dell’individuo che invadeva e aggrediva il caos individuale del mago lontano da qualunque compromesso con il potere. La tecnica che aveva armato il volo aereo e prodotto quelle bombe aveva incontrato l’opera del mago nero, il cui sguardo cupo e triste si posava ora su ciò che restava, fumante, dei suoi passati averi, in una collisione che rappresentava il segno di una battaglia che sarebbe poi proseguita nel cuore di silicio del digitale. Le volute nerastre che si levavano nel cielo rossiccio di una notte ingombra di sirene anti-aereo e di esplosioni e di urla furono la demonica manifestazione della congiunzione tra potere assoluto della distruzione bellica, mediata dallo strumento tecnico, e potere della forma magica. Per Spare la distruzione e la perdita della sua casa e dei suoi dipinti furono una dolorosa epifania: giunse così a comprendere come ogni impero nutra una vocazione intrinsecamente messianica ed esoterica, chiamata a operare quale cardine di legittimazione della spinta inesauribile alla conquista. Mentre un singolo Stato può fondarsi sul proprio ordinamento politico-giuridico, democratico o autoritario che sia, mediante gli usuali sistemi istituzionali di integrazione tra società e Stato, un impero ha necessità di un surplus in termini di dispositivi culturali, politici e strategici che tengano avvinto il tutto e legittimino, continuamente, la vis espansiva. In questa prospettiva, è assolutamente comprensibile la connessione che Dee operò tra costruzione di una compagine imperiale britannica e sapienza magico-arturiana. Nella stessa misura in cui il Reich nazista si abbeverò di dottrine misteriche predicanti la vocazione alla conquista e alla potenza delle stirpi germaniche o l’Urss utilizzò la declinazione tecno-messianica del cosmismo per approdare nello spazio e teorizzare un prometeismo teurgico. Cosmismo che sarebbe anche alla base, secondo lo studio di Elena Kostioukovitch, assieme a panslavismo, eurasiatismo e dottrine conservatrici di fine Ottocento, della visione imperiale della Russia putiniana. Non saranno da meno gli Usa, come vedremo oltre, con la loro dottrina del destino manifesto. Vero è che l’integrazione tra magia, politica e tecnica è un topos irrinunciabile ed essenziale per la germinazione di soluzioni politiche complesse trascendenti la finitezza di un singolo Stato nazionale. In tutto questo, l’infrastruttura eso-culturale che spinge alla conquista e alla sedimentazione della compagine imperiale si sposa con l’accelerazione della tecnologia. La marina britannica, negli stessi anni in cui Dee evocava spiriti angelici, mutuò alcune tattiche di navigazione e di costruzione delle navi dall’antica Repubblica di Venezia ma con i dovuti, rivoluzionari adattamenti tecnici richiesti dagli oceani, esattamente come durante la Seconda guerra mondiale le battaglie magiche che opposero esoteristi inglesi e tedeschi videro del pari emergere crescenti invenzioni tecnologiche, quali i radar e i sistemi di crittografia cui contribuì anche Alan Turing. Ogni impero ha una struttura culturale che ibrida, fisiologicamente, alta tecnologia, politica e magia. Così è stato per la Gran Bretagna, il Reich hitleriano, l’Urss, la Cina, gli Usa. Così è per la Silicon Valley.
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Andrea Venanzoni
La magia, come la tecnologia, si nutre di metafore. Ogni formula evocativa si basa su assunti che, facendo leva su connessioni semantiche, determinano l’insorgere di una realtà voluta e influenzata, creata cioè dalla volontà, conscia o inconscia, stessa. Davide Bennato sottolinea come senza dubbio alcuno lo sviluppo della tecnologia, punteggiato da metafore quasi magiche, segni una direzione tracciata ex ante da idee, forme organizzative, concetti, rituali, idiosincrasie, che finiscono come nella materia alchemica per prendere vita propria, slegandosi dalla posizione del creatore e spesso anche dalle aspettative di questi.
Con scatenata e sciamanica fantasia, Gibson aveva creato agli inizi degli anni Ottanta un vasto corpus letterario che sarebbe entrato nell’immaginario collettivo con il suggestivo nome di cyberpunk, assieme alle opere di altri autori, come Bruce Sterling, Rudy Rucker, Marc Laidlaw, Pat Cadigan, John Shirley, che indagarono il rapporto sempre più pervasivo tra cultura, antropologia, spiritualità, alta tecnologia e potere politico. Nel racconto breve La notte che bruciammo Chrome e successivamente nel capolavoro Neuromante Gibson non solo coniò il termine “cyberspazio”, immaginando una realtà-altra in cui l’informatica si rende oceano di dati e di connessioni neurali, ma sviluppò con attitudine misterica una visione che scandagliava come una fredda luce artificiale un mondo futuro e cupamente distopico in cui la tecnologia sarebbe divenuta corpo, carne, sangue e anima del genere umano. Come in La matrice spezzata di Bruce Sterling o nel successivo Snow Crash di Neal Stephenson, il mondo dipinto a tratti vividi dagli scrittori cyberpunk delineava un approccio di puro pensiero magico al modo di intendere la tecnologia. Quando, nel 1994, il giornalista di un quotidiano svedese, affascinato dalla “preveggenza” con cui Gibson aveva preconizzato il cyberspazio, chiese all’autore naturalizzato canadese quale fosse il suo rapporto con la tecnologia, Gibson rispose seraficamente di non avere nemmeno un modem. Non aveva quindi scientificamente preconizzato lo spazio sociale digitale, ma lo aveva “visto”; esattamente come, decenni prima, Crowley aveva intravisto tra le pieghe della storia e della realtà l’avvento prossimo dell’Eone di Horus e Spare, coi suoi sigilli, quegli elementi oscuri che si annidano, quasi lovecraftianamente, negli interstizi della psiche. Gibson si spinse oltre: nella Trilogia dello Sprawl, inserì organici riferimenti al voodoo, soprattutto in Count Zero, romanzo del 1986, ove compare uno dei maggiori loa del voodoo afro-haitiano, Papa Legba, descritto da Gibson come loa delle autostrade e dei sentieri, e in Mona Lisa Cyberpunk. Lo scrittore “malediceva”, ben dieci anni prima della formulazione di Gore, mediante un espediente magico-narrativo l’appropriazione da parte della sfera governativa della libertà concessa in apparenza dagli snodi digitali, sapendo perfettamente che questa appropriazione sarebbe giunta inesorabile. La mistica oscura e abissale della Rete come autostrada, magma nero di informazioni capaci di connettere l’essenza esteriore e quella interiore, lo spirito celeste e quello infero, è assai chiara a Gibson: d’altronde, quando ci connettiamo all’oceano delle informazioni circolanti sul web perdiamo il controllo razionale della limitazione sensoriale e siamo travolti da intersezioni, esondazioni spirituali e mentali, concetti che ci vengono riversati addosso in continuazione. L’utilizzo dei riferimenti ai loa del voodoo è poi proseguito in altri romanzi di Gibson, tra cui il molto più recente Spook Country, a testimoniare una autentica convinzione in questa sinergia tra esoterismo e tecnologia. Nel romanzo Snow Crash, Neal Stephenson immagina invece una America completamente colonizzata da poteri privati e da gated communities fattesi Stato, resa un agglomerato caotico, ipertecnologizzato e quasi feudale, percorsa da strade ad alto scorrimento su cui bande rivali, scienziati e fattorini combattono tra loro, al servizio di mega-corporazioni criminali tra cui la Yakuza e la Mafia di Zio Enzo: in questo mondo, pattuglie di hacker si contendono una realtà parallela, chiamata Metaverso, minacciati dall’utilizzo di un virus che rimanda, letteralmente, alla antica sapienza magica sumera. E se Stephenson con questo suo visionario romanzo è passato alla storia come “inventore” del Metaverso, ben prima che Second Life e poi Meta facessero la loro comparsa, l’aspetto che ha sempre suscitato più curiosità e inquietudine è il riferimento a caotiche divinità infere sumere, immerse in una coltre di archeolinguistica, simbologia, pensiero crittografico, filosofia, religiosità postmodernista e memetica. Stephenson immagina che Snow Crash, virus nel Metaverso e potentissima droga nel mondo reale, sia il frutto di una ricerca ingegneristica basata sul culto di Asherah, antica divinità sumera che avrebbe colonizzato un semplice linguaggio binario, come quello dei computer, mandandoli in crash. Per opporsi a questo pericolo, viene creato un programma, chiamato namshub, letteralmente “invocazione magica”, basato sul culto di Enki e capace di produrre linee glossolaliche, come quelle che avvengono durante le invocazioni o le possessioni demoniche: la capacità di parlare più linguaggi contemporaneamente impedisce al virus di potersi impadronire del sistema informatico. Analizzando il romanzo di Stephenson, N.M. Kelly passa in rassegna i molteplici fattori e le altrettanto numerose suggestioni letterarie, come Il vero nome di Vernor Vinge, in cui magia e scienza si sono tra loro combinate e mette così in luce il potere magico delle metafore nel loro rapporto di creazione con la tecnologia. Il romanzo di Vinge in particolare ha suscitato una enorme influenza sulla cultura cyberpunk e su quella della Silicon Valley; lo scrittore immagina un proto-cyberspazio, pur senza mai utilizzare l’espressione che sarebbe stata coniata in seguito da Gibson preferendo la più esotericamente evocativa “Altro Piano”, in cui stregoni, maghi e operatori magici, in realtà hacker, interagiscono con computer e alta tecnologia. Protagonista è Roger Pollack, noto scrittore di giochi di ruolo, che nell’Altro Piano si trasforma nel negromante “Mr Slippery”, a capo di una banda di maghi del computer; finché i federali, che sono sulle sue tracce, scoprono la sua identità e il suo “vero nome” e lo costringono ad aiutarli nella caccia al misterioso Postino, una caotica figura di esoterista dell’Altro Piano che ambisce a passare dalla conquista del virtuale a quella del reale. Tutto il romanzo, che venne pubblicato nel 1981, pochissimo tempo prima della esplosione del cyberpunk, si basa esattamente su alta tecnologia, magia e su alcune di quelle che sono e che sarebbero divenute le sfide tipiche tanto dell’esoterismo quanto della cultura digitale; trasparenza assoluta dei processi decisionali altrui, e del potere in particolare, estrema segretezza dei propri dati, continue sfide competitive e faide litigiose. Questo percorso è del tutto naturale e comprensibile. All’aumentare della complessità e della raffinatezza dei processi tecnologici innervati nel profondo della società, aumenta inevitabilmente il ritorno, su vasta scala, di un pensiero strutturalmente magico. La elaborazione sempre più intricata delle informazioni, crescenti nella quantità e nella difficoltà di decrittazione e di comprensione, spesso connesse a saperi iper-specialistici e a codici comunicativi ed epistemologici autoreferenziali e autopoietici, presenta non banali similitudini con gli elementi della iniziazione e dell’opera magica. Per razionalizzare un dato fenomeno attraverso la lente della tecnica, diventa necessario e imprescindibile essere parte di una cerchia oscura, impermeabile per i non iniziati e per chi cioè non possiede gli strumenti conoscitivi e intellettuali di quel dato ecosistema. La famigerata espressione “la scienza non è democratica”, eretta spesso in fretta e furia per evitare che orde di non iniziati prendano la parola in dibattiti social su argomenti scientifici, indica esattamente questo processo mentale e culturale. Lo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke ha coniato una famosa legge che correla in maniera inscindibile tecnologia avanzata e magia; scrive Clarke: “Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. Analogamente, in una intervista del 2016, il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi asserisce chiaramente che la matematica e la fisica contemporanee somigliano sempre di più alla magia. Si somigliano per la oscurità e la estrema, articolata complessità dei concetti espressi, per la non linearità dei termini utilizzati, per le intersezioni semantiche e le ibridazioni epistemologiche. In fondo, due brillanti fisici italiani come Getulio Talpo e Emilio Del Giudice pubblicarono sulla rivista astrologica Astra un interessante, e certamente curioso, saggio, “Siamo fatti di stelle”, in cui veniva sostenuta l’influenza dei fattori cosmici e degli influssi astrali sui casi della vita e dell’agire quotidiano. Ma vi è somiglianza anche per la condivisione di paradigmi concettuali e per personaggi che si sono traslati tra l’una e l’altra dimensione, come sottolinea sempre Giorgio Galli che dedica un intero capitolo, Il Regno dei quanti e i maghi atomici, del suo volume La magia e il potere: l’esoterismo nella politica occidentale, alla commistione tra magia e progresso tecnologico. Dave Smith investiga in maniera concisa ma estremamente lucida e priva di qualunque sensazionalismo o grossolana semplificazione la connessione tra i concetti più prettamente limite della fisica, come quello di materia oscura, attrattori, frattali, e i concetti più rilevanti della magia. Non può stupire: il tecnico molto esperto, lo scienziato sono ad esempio ricondotti da Carl Gustav Jung all’archetipo del magostregone. Ed è necessario ricordare come il padre della cibernetica, Norbert Wiener, nel suo capolavoro del 1948 La Cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina, abbia parlato, a proposito dei circuiti elettronici autocontrollanti capaci di adattarsi ai cambiamenti mediante captazione delle informazioni provenienti dall’esterno, di “demoni”. Molti elementi essenziali della fisica occidentale moderna appaiono similari alla filosofia orientale: entrambe esplorano fenomeni extrasensoriali con differenti strumenti e producono concetti e idee simili. Si pensi alla dottrina hindu, la quale considera una realtà totale, non parcellizzata, il Brahman, di cui gli individui percepiscono elementi frammentari tramite i sensi; la mente classifica e distingue quei frammenti assemblando una “mappa” che le persone scambiano per il “territorio”, producendo una inversione delle polarità e della percezione e della realtà stessa. Lo sviluppo del sistema dei media e della tecnologia della comunicazione è stato investito da istanze, interessi, linguaggi, codici simbolici tipologicamente ascrivibili alla dimensione sacrale, religiosa ed esoterica: questo perché da un lato, dal punto di vista didascalico, il ricorso alla magia è consolatorio e semplifica i processi di stratificazione concettuale da spiegare all’ascoltatore, al lettore o genericamente all’utente; e dall’altro lato perché il ricorso alla magia, esattamente come all’alta tecnologia, ambisce a “salvare” l’uomo per mezzo di una conoscenza assoluta. Un aspetto questo che Carlo Carboni, riattualizzando la lezione di Ernesto De Martino, investiga con attenzione, rilevando che più la tecnologia si rende complessa e raffinata, meno le persone ne sapranno e più saranno propense a trasformare questo beato stupore in una adesione a forme ritornanti di pensiero strutturalmente magico. Quando Al Gore fa collimare Internet e una autostrada, nella sua mente sta rendendo agevole per l’uditorio l’identificazione in chiave funzionale della Rete, cercando di far immaginare, visivamente, praticamente, lo spostamento delle informazioni lungo le direttrici virtuali. Ma così facendo, sta spostando, mentalmente, l’uditorio stesso in una dimensione altra, costruendo una apparente contro-realtà, un mondo alternativo, dove le informazioni sono tangibili: esse si animano, diventano reali, si spostano, vivono. È questo l’aspetto che differenzia radicalmente la valenza magica del digitale rispetto a qualunque altra precedente forma tecnologica: la capacità di distruzione innovatrice e di creazione. Il digitale veicola, sintetizza e proceduralizza universi resi comunicanti tra loro: è questo il senso profondo della declinazione disruptive dell’alta tecnologia. Se il mago elisabettiano, lo stregone russo o l’occultista nazista si muovevano lungo l’assetto istituzionale di una dimensione politica e monodirezionale della costruzione tecnica e magica, viste entrambe come manifestazione di una presenza conquistatrice nel mondo, il digitale, l’alta tecnologia, l’intreccio di robotica, sistemi algoritmici, Internet, determinano per la prima volta l’emersione di forze e polarità che trascendono il mondo e la volontà di conquista, per introiettare nel reale il cupo baluginare del caos primordiale che sarà esso stesso abitante di questo universo interconnesso e accelerato. Sorgono nuovi mondi, dove logica trascendente e immanente, ordine e caos, perdono completamente senso, trasmutandosi in forme ellittiche prive di contingenza. E dove, per dirla con Jean Baudrillard, è la carta ormai a precedere il territorio, proprio come nella percezione frammentaria che abbiamo del Brahman. L’unico discrimine diventa l’attitudine che anima l’indagatore, l’esploratore, il mago, la sua adesione a un progetto totalmente individuale o al contrario piantato nella forma di una qualche istituzione. Fondamentale diviene quindi la metafora della Rete come spazio abitato, capace così di riorientare i paradigmi culturali su cui si sono basati i codici scientifici di investigazione e di analisi sociologica. Lo abbiamo visto parlando della asserzione di Al Gore. Ma nelle dottrine magiche ogni formula evocativa è una metafora, e le metafore non sono mai neutre, hanno sempre conseguenze: la scelta di un determinato campo linguistico, esattamente come avviene nella formulazione di un rituale magico o nella creazione di un sigillo, è diretta alla edificazione e al raggiungimento di un risultato, al plasmare un mondo nuovo basato su una architettura di metafore viventi. Questo nuovo mondo fatto di silicio, dati e informazioni, si assembla attorno all’altare pagano della comunicazione digitale, ma ha bisogno dei suoi riti, dei suoi culti, dei suoi codici espressivi e di quelle procedure ierofaniche che, per dirla con Mircea Eliade, manifestano la presenza del divino come fattore di protezione dell’uomo. E quale migliore protezione se non assemblare un mondo radicalmente nuovo? Aumenta in maniera capillare la connessione tra management, psicologia comportamentale, alta tecnologia e magia: la costruzione di un nuovo mondo ha, per sua stessa inevitabile fisiologia, la conseguenza di portare il reale nel virtuale, di modificarlo strutturalmente, di riassemblarlo, di ricodificarlo e farlo quindi divenire un nuovo reale come se non fosse copia di nessun originale ma, al contrario, un atto di assoluta creazione. Ambizione di qualunque processo rivoluzionario e magico, e dello stesso totalitarismo che assommò rivoluzione e magia, è quella di creare un nuovo ordine delle cose e di popolarlo di uomini nuovi. L’apparente paradosso della contemporaneità iper-tecnologizzata risiede esattamente nella idea di una scienza egemone, quasi tiranna, che dovrebbe espungere i processi magici dall’orizzonte della presenza umana e che invece, al contrario, finisce per introiettarne e metabolizzarne in pieno i dispositivi culturali. Il paradosso però è davvero solo apparente. Emerge una innegabile centralità della magia nelle maglie sociali del mondo moderno, e tecnologico in particolare: questo processo ha determinato il paradosso di cui sopra, quello di una, solo apparente, espunzione del magico dal campo di azione del moderno a opera della espansione delle logiche tecniche e di progresso, le quali hanno però introiettato nel loro ventre la dinamica costitutiva del magico stesso. Una sorta di cannibalizzazione psichica che prelude alla costruzione di una magia hi-tech. Questo perché all’aumentare della complessità dei processi costitutivi dei fattori tecnologici, della loro sempre più ardua comprensibilità, al rendersi opaco e fantasmatico del linguaggio dei saperi tecnici, corrisponde il necessitato strumento di riduzione della complessità: la magia diventa tool per soluzioni gordiane, per azzerare la difficoltà di risoluzione dei problemi e per far ottenere quanto si vuole, senza, in apparenza, passaggi intermedi. La linearità percepita dell’ottenere C partendo da A, senza alcuna forma di passaggio intermedio per B, senza asperità, senza complessità nella ricerca, per darsi una via di fuga da un mondo reale percepito come caotico, eccessivo, pericoloso, arduo da vivere e da governare. È in fondo questo uno degli assunti di partenza di quello straordinario affresco di magia tecnologica rappresentato da Summa technologiae, di Stanislaw Lem: apparso nel 1964, immagina la costruzione di un sotto-mondo tecnologico che a fronte di un mondo di superficie troppo densamente popolato, annichilito da inquinamento e guerre, funzionerà da agevole via di fuga per la progenie dell’umanità. Lo spunto concettuale di Lem è basato sulla coincidenza tra fattore genetico umano e codici informativi: l’uomo non è altro che informazione. In questa prospettiva, il sotto-mondo sarebbe stato al tempo stesso virtuale e reale; virtuale in quanto i suoi abitanti non sarebbero altro che ologrammi basati su sistemi informativi, reale perché quella sarebbe divenuta l’unica consistenza possibile facendo collimare definitivamente realtà e virtualità. Ogni dottrina esoterica coltiva la necessità di teorizzare l’esistenza di un mondo interiore o nascosto nel ventre cavo della Terra, da cui la propria sapienza trarrebbe ispirazione, energia e nutrimento. In questa prospettiva, il sotto-mondo immaginato da Lem appare come una trasfigurazione iper-tecnologica del mitico regno di Agartha (o Agarthi), terra governata da una popolazione illuminata e dominata dalla figura carismatica del “Re del Mondo”. Agartha è stata per molto tempo oggetto di attenzione di avventurieri, mistici, letterati ed è stata al centro delle ricerche dello studioso tradizionalista René Guénon. In particolare, Guénon fu molto colpito dalle pagine di viaggio, politica e magia di Bestie, Uomini, Dei di Ferdynand Ossendowski. Ossendowski, scrittore e diplomatico di origini polacche, era finito nei primi decenni del Ventesimo secolo al centro di feroci polemiche che lo accusavano di aver inventato le sue memorabili avventure ambientate nel cuore dell’Asia. In buona sostanza, la parte descrittiva del lamaismo esoterico e di Agartha affrescata nelle pagine del volume di Ossendowski venne ritenuta una pura invenzione letteraria. Guénon, desideroso di precisare, e di difendere, alcuni concetti elaborati dallo scrittore polacco, quali appunto quello di Agartha e quello del legislatore universale Manu, scrisse appunto Il Re del Mondo. In queste figure del legislatore universale e di un mondo sotterraneo, autentico impero ctonio di informazioni e di comunicazione, si scorge la similitudine più potente con la teorizzazione di Lem e con la fisionomia della società altamente tecnologizzata. Agartha è stato epicentro dell’interesse magico e culturale di una vastissima schiera di intellettuali, maghi, esoteristi, politici, in un range che oscilla dal citato Guénon e da Julius Evola ai teorici della teosofia, come Madame Blavatsky, dai nazisti ai rosacrociani a Jules Verne, l’autore di Viaggio al centro della Terra, scrittore che ebbe non banali interessi esoterici e che proprio ad Agartha ispirò il romanzo in questione. Fino ad arrivare alla cultura digitale contemporanea, che avrebbe prodotto un autentico Elettrocene, una epoca in cui l’essere senziente è pura informazione, riprendendo lo spunto di Lem: in questa traslazione di campi sociali e spirituali, la rinascenza del mito della terra cava e della presenza di Agartha diventa un fattore centrale della emersione della cultura digitale. Nel volume collettivo del 2012, Between Science and Fiction: the Hollow Earth as Concept and Conceit, Dagmar Buchwald parla, destrutturando le parti salienti dell’afrofuturismo e dei futurismi etnici insiti nella cultura pop, nella musica e nell’arte, di una Agartha algoritmica fondata sulle invisibili connessioni gnostiche capaci di intessere la tela del governo del mondo. Nella dottrina esoterica, il Regno al centro della Terra simboleggerebbe la unità trascendente ed esoterica delle varie religioni e dei vari saperi. Nella declinazione hi-tech, diventerebbe il manto ontologico della società dell’informazione centralizzata nel cuore della emergente Silicon Valley. Ciò che appare di particolare interesse, in questa visione della tecnologia dell’informazione come modalità magica di costruzione di una nuova umanità e di un nuovo mondo, è la attiva propensione alla ricerca dell’assoluto e alla conoscenza altrettanto assoluta. Vera ossessione, ai limiti del tecnofeticismo, che informa tanto il mago quanto il cultore dell’alta tecnologia; la forma di conoscenza senza limiti, barriere o confini finisce per generare un insieme complesso e stordente dai profili quasi gnostici. Un’autentica dottrina tecnologica della salvezza mediante la conoscenza, elevata su un piedistallo di silicio e transistor. Espliciti in questo senso, i contributi di Erik Davis; in TechGnosis: Myth, Magic and Mysticism in the Age of Information l’autore aveva delineato un abbacinante quadro in cui la scienza e la tecnologia avanzata avevano tentato di far rivivere, e ricontestualizzare, la lezione razionalistica dell’illuminismo, assonanza dopo assonanza, metafora dopo metafora. L’alta tecnologia, rileva Davis, nella sua brama di definire la fisionomia di un uomo nuovo votato alla conoscenza totale, si è resa forma magica essa stessa, attraverso conflitti e destrutturazioni di identità, polarizzazioni radicali caricate energeticamente come sigilli magici, forme serpentine e caotiche della sorveglianza di massa, potere evocatorio dei dati, propaggini memetiche come dispositivi di riforma della cultura. Mentre, nel più recente Codici nomadi: avventure nell’esoteria moderna, Davis – riprendendo la lezione tecnognostica di anni prima – inferisce le connessioni tra cultura pop, controcultura musicale, cinematografica, filosofica e lisergica, e derive ipertecnologiche. Come nel XVI secolo maghi e pirati avevano aperto le rotte oceaniche nel tentativo di costruire nuovi imperi, e tra il XIX e il XX secolo maghi, filosofi, avventurieri e inventori avevano percorso oscuri sentieri, lungo e spesso anche dentro la Terra, l’età dell’informazione e del digitale sembra percorsa da analoghe inquietudini; informatici, titani del tech, hacker, maghi si inabissano lungo le direttrici di silicio del virtuale per scandagliare l’abisso dell’anima umana e di un mondo fino a oggi sconosciuto, assemblato passo dopo passo dalla infinita inventiva, nel tentativo di conquistarne porzioni sempre più estese. Ciascuno con le proprie motivazioni, spesso divergenti. In questo caos, iniziano a stagliarsi la fisionomia di una corsa all’oro mistico combattuta tra Stati, governi, imprese e singoli visionari, per arrivare a una forma di potere mai sperimentata prima dal genere umano. Da un lato, le piattaforme digitali che vanno sostituendosi alle forme statali, con i loro hacker trasformati in corsari e introiettati nei dispositivi di cybersicurezza, i motori di ricerca divenuti architettura portante del nuovo mondo, suggerendo e plasmando visioni di strutturazione della società come già fu per la regina Elisabetta I, Francis Drake e John Dee. E dall’altro lato, i pirati rimasti fedeli solo alla loro individualità, profeti del caos e hacker con scarsa propensione al compromesso.
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