[Ricorre domani l'anniversario del rapimento Moro]
"Le Br, realizzando l'impresa di via Fani, perseguivano anche lo scopo di affermare la propria egemonia su tutto lo schieramento eversivo ed erano quindi interessate a costruire per la propria organizzazione una immagine di altissima e autonoma efficienza, immagine che una presenza straniera avrebbe invece offuscato. Se ne trova conferma nella risoluzione strategica n.6, laddove orgogliosamente si afferma che «in via Fani, non c'erano misteriosi 007 venuti da chissà dove, ma avanguardie politiche tempratesi nella lotta della classe operaia e addestrate nei cortili di casa»". Dalla relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia, 28 giugno 1983.
Roma, giovedì 16 marzo 1978, ore 9.02: "Un commando di terroristi, appostato in via Fani all'incrocio con via Stresa, apre il fuoco sulla scorta del presidente della Dc, on. Aldo Moro, uccidendo Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera [e] Francesco Zizzi [...]. Il commando, sterminata la scorta e prelevato Moro illeso dalla sua auto (una Fiat 130), carica l'ostaggio su una Fiat 132 blu e si dilegua"(1).
Inizia così quello che è stato definito già nel lontano 1978 da Leonardo Sciascia, "l'affaire Moro": ovvero quell'insieme di eventi che per decenni hanno spaccato in due l'opinione pubblica italiana e internazionale.
Due le principali correnti di pensiero che si sono scontrate (e sicuramente continueranno a farlo) nelle decadi passate: quella del "quasi tutto è chiaro e conosciuto", e quella dei cosiddetti "dietrologi". I primi, sulla base di certe risultanze, credono fermamente che la storia del sequestro e dell'uccisione del presidente DC sia nota (nei limiti del possibile) nella sua interezza, e anche se venissero alla luce dei nuovi elementi non subirebbe delle revisioni traumatiche. I secondi, invece, pensano che i pezzi mancanti del puzzle potrebbero riscrivere buona parte del caso.
La tesi preponderante del secondo filone d'inchiesta, quello dei "dietrologi", è il "sequestro in appalto"(2).
Il primo ad aver pubblicamente teorizzato il cosiddetto "sequestro in appalto", è stato il controverso ma sempre ben informato Carmine "Mino" Pecorelli: direttore del settimanale d'informazione "Op", Osservatore Politico.
Questo il suo pensiero a pochi giorni dal tragico epilogo del rapimento: "L'agguato di via Fani porta il segno di un lucido superpotere. La cattura di Moro rappresenta una delle più grosse operazioni politiche compiute negli ultimi decenni in un Paese industriale, integrato nel sistema occidentale. L'obiettivo primario è senz'altro quello di allontanare il Partito comunista dall'area del potere nel momento in cui si accinge all'ultimo balzo, alla diretta partecipazione al governo del Paese. E' un fatto che si vuole che ciò non accada. Perché è comune interesse delle due superpotenze mondiali [Usa e Urss] mortificare l'ascesa del Pci, cioè del leader dell'eurocomunismo, del comunismo che aspira a diventare democratico e democraticamente guidare un Paese industriale. Ciò non è gradito agli americani... Ancor meno è gradito ai sovietici... E' Yalta che ha deciso via Fani"(3).
Una tesi che molto probabilmente troverebbe d'accordo lo stesso Moro. Profetica, in tal senso, un'annotazione tratta da un diario di Andreotti, è il 1977: "[Moro è] molto preoccupato che agenti stranieri di segno contrapposto, ma uniti dallo stesso fine di bloccare l'eurocomunismo, possano essere in azione per mandare all'aria l'equilibrio italiano"(4).
Chi ha sparato in via Mario Fani?
Per quanto incredibile possa sembrare, la domanda apparentemente più scontata non ha una risposta certa.
Destino vuole che la prima versione di comodo fornita da un brigatista, sia anche quella che squarcia una parte dell'alone di mistero sul rapimento del presidente della DC.
Nel lontano 1984, a sei anni di distanza dall'Operazione Fritz (nome in codice dato dalle BR al sequestro Moro), Valerio Morucci, ex membro di Potere Operaio appartenente alla colonna romana delle Brigate Rosse, messo di fronte ad uno sbigottito Ferdinando Imposimato (giudice istruttore del Tribunale di Roma), comincia a "cantare": «Quel 16 marzo 1978 un gruppo di nove brigatisti si portò all'incrocio tra via Fani e via Stresa, disponendosi in varie posizioni, secondo un piano stabilito dalla direzione della colonna romana nel villino di Velletri. Io facevo parte di quel nucleo di assalto. Poiché non intendo fare i nomi degli altri otto brigatisti [nomi che farà nel 1986], ricostruirò le varie fasi, indicando i vari partecipanti con dei numeri ed eseguendo dei grafici per descrivere i necessari movimenti degli uomini e dei veicoli impiegati nell'azione»(5).
Scrive Manlio Castronuovo nel suo libro “Vuoto a perdere”: "Cinque processi hanno permesso di stabilire che il commando di via Fani era composto da non meno di 12 persone: Mario Moretti (alla guida della Fiat 128 [targata Corpo Diplomatico]), Barbara Balzerani (a bloccare l'incrocio con via Stresa), Bruno Seghetti (alla guida della Fiat 130 che trasportò Moro nel primo tratto di fuga), Rita Algranati (con il ruolo di vedetta all'imbocco di via Fani [...]), Alessio Casimirri(6) e Alvaro Lojacono (sulla Fiat 128 bianca posta a sbarramento della strada alle spalle dell'Alfetta di scorta [...]), Valerio Morucci, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari e Franco Bonisoli (che, in divisa da avieri, aprirono il fuoco dal lato sinistro di via Fani [...]). Oltre naturalmente i due passeggeri della moto Honda(7), la cui presenza è ritenuta certa dagli inquirenti, ma che nessuno è mai riuscito a identificare".
Il colpo di grazia alle fantasiose versioni dei brigatisti, dissociati e non, verrà dato dall'avvocato Giovanni Pellegrino intervistato nell'ottobre del 2007 dal giornale l'Unità: «Non si sa ancora quanti e chi fossero i brigatisti che parteciparono all'agguato: di certo non i 7 o i 9 di cui hanno parlato sempre i brigatisti. Basti pensare che, per un sequestro come quello assai più facile del giudice Mario Sossi nel 1974, è stato accertato che vi parteciparono 19 brigatisti. C'è da supporre che in via Fani siano stati almeno 20 o 30, e ancora non si conosce la loro identità, salvo rendersi conto - dopo le perizie balistiche - che l'eliminazione della scorta di Moro è stata compiuta da due soltanto, capaci per la loro abilità militare di sparare una gragnuola di colpi in modo da uccidere i cinque uomini della scorta con matematica precisione senza torcere un capello al presidente che era a pochi centimetri da loro».
Certo, la ben nota(8) "abilità militare" delle Brigate Rosse. Abilità militare (e organizzativa) che non ha precedenti, e che guarda caso rimarrà un unicum nella storia dell'eversione italiana.
Ma al di là di questo, sono proprio i conti a non tornare.
"I periti stabiliranno che dei novantatre bossoli recuperati in via Fani, due provengono dalla pistola d'ordinanza dell'agente Iozzino, l'unico della scorta ad avere tentato una pur minima reazione, mentre gli altri novantuno appartengono al gruppo di fuoco brigatista [...]. Le perizie(9) sui reperti recuperati sono riuscite a stabilire che, oltre all'arma di Iozzino, quella mattina in via Fani hanno sparato [almeno] 2 pistole e quattro mitra. Ma tutte le testimonianze, vecchie e nuove, provenienti dall'interno delle Brigate rosse ci dicono che a sparare in via Fani sarebbero stati solo quattro brigatisti e precisamente Bonisoli, Fiore, Gallinari e Morucci. Tutti e quattro hanno spiegato che i loro mitra si incepparono. In particolare: in diverse interviste Bonisoli ha sempre dichiarato che il suo mitra si bloccò «quasi subito». Quindi se ne può dedurre che sparò poco. Anche Morucci ha sempre sostenuto, in interviste, interrogatori, deposizioni processuali e audizioni davanti alle Commissioni parlamentari che anche il suo mitra si inceppò «quasi subito». Gallinari, nel suo libro di memorie, ha scritto testualmente: «Quello che temevo accade: a metà della raffica il mitra si inceppa, estraggo istintivamente la pistola che porto alla cintura, continuando a sparare come se non fosse cambiato nulla». Dal momento che l'alimentazione di una pistola mitragliatrice è di circa trentadue cartucce, se ne può dedurre, con buona approssimazione, che l'arma che spara ventidue colpi (metà della raffica) sia quella di Gallinari. Di recente anche Fiore si è concesso un tuffo nel passato in una testimonianza raccolta dal giornalista Aldo Grandi ha affermato: «Ricordo che premetti il grilletto e il mio mitra, un M12, che avrebbe dovuto essere il migliore, si inceppò subito. Io avevo il compito di sparare sull'autista. [...] Tolsi il caricatore del mitra, ne misi un altro, ma non funzionò egualmente. [...]». Se ne deduce quindi che il mitra di Fiore non sparò affatto"(10).
La testimonianza di Fiore viene corroborata dallo stesso Franco Bonisoli, ascoltato dalla Corte d'assise nell'aprile del 1987 per il processo "Metropoli": «[in via Fani] ci fu un'arma che non sparò tra queste quattro. Praticamente in tempi diversi si incepparono tutte le armi dei quattro avieri - una, come già detto, proprio non sparò».
Il presunto Superkiller
La presenza di un membro «particolarmente addestrato» all'uso delle armi nel commando operante in via Fani (presenza che striderebbe non poco con la preparazione militare dei brigatisti) viene avallata da un testimone di nome Pietro Lalli, presente al momento dell'eccidio nella parte bassa di via Fani, a circa 100 metri di distanza dai protagonisti della carneficina. Questo è ciò che riuscì a scorgere la mattina del 16 marzo: «[Al momento degli spari] mi portai velocemente al centro della strada e guardando in alto, verso la provenienza dei colpi stessi, notai un uomo che all'incrocio, anzi un po' oltre l'incrocio tra via Stresa e il tronco superiore di via Fani, con le spalle rivolte ai locali del bar Olivetti e quindi dando la sinistra alla mia visuale, sparava con un'arma automatica che io, data la mia conoscenza nel settore delle armi, identificai per un mitra con caricatore a doppia alimentazione e funzionante a recupero gas. Assistetti allo sparo di due raffiche complete. La prima un po' più corta della seconda, a distanza ravvicinata rispetto al bersaglio che era una 130 blu. La seconda raffica, più lunga, fu estesa anche a una Alfetta chiara che seguiva la 130, e fu consentita da uno sbalzo indietro dello sparatore che in tal modo allargò il raggio d'azione e quindi del tiro. Quello che mi colpì in maniera impressionante fu la estrema padronanza di detto sparatore nell'uso preciso e determinato dell'arma. Esprimo un giudizio ma doveva essere certamente uno particolarmente addestrato. Sparava avendo la mano sinistra poggiata sulla canna dell'arma e con la destra, imbracciato il mitra, tirava con calma e determinazione convinto di quello che faceva [...]. Dal fatto che ricordo di non aver notato lo stacco di colore dell'arma, devo dedurre che l'individuo calzasse i guanti. Anzi adesso che mi sovviene posso essere sicuro. Sembrava un tipo agile, direi atletico, e dal salto che fece, munito anche di una notevole agilità»(11).
Sfortunatamente, la presenza di un elemento di spicco dal punto di vista militare all'interno del commando, non è stata appurata in maniera definitiva dalle varie perizie che sono state svolte nel corso degli anni: "La prima perizia balistica condotta nel 1978 [...] ha evidenziato come in via Fani spararono sei armi, per un totale di 91 colpi. Ben 49 colpi furono esplosi da un'unica arma (un FNA 43 o uno STEN). A questi rilievi vanno aggiunti i due colpi esplosi dalla pistola di Raffaele Iozzino. Una seconda perizia effettuata [...] a metà degli anni Novanta non fu [però] in grado di attribuire con certezza i 49 bossoli a un'unica arma"(12).
Certo è che sia il maresciallo Leonardi (caposcorta posizionato nel sedile anteriore destro della Fiat 130 che trasportava Moro) sia l'agente Rivera (alla guida dell'Alfetta che seguiva la macchina del presidente DC) vennero colpiti da proiettili provenienti dalla loro destra.
Questo particolare ha una duplice sfaccettatura: la prima smentisce clamorosamente la versione brigatista secondo cui "gli avieri" (che davano le spalle al bar Olivetti stando sulla sinistra del convoglio automobilistico) furono i soli ad aprire il fuoco sulla scorta di Moro; la seconda, ancora una volta, rivela un'abilità militare del tutto estranea al "know how" brigatista.
Ma andiamo con ordine...
Secondo la ricostruzione fatta dalla perizia tecnico-balistica-medico legale, "davanti al bar Olivetti una auto Fiat 128 giardiniera con targa CD frena improvvisamente, e l'auto del presidente Moro che la seguiva la tampona dopo avere tentato di deviare verso destra. Mentre nell'auto Fiat 128 ne escono due persone, tra cui una donna (pare) che si avvicinano ognuna dalla sua parte al guidatore e al passeggero anteriore, e immediatamente aprono il fuoco attraverso i vetri con precisione topografica perfetta in modo da risparmiare di colpire con proiettili e frammenti di vetro l'onorevole [Moro] che era di dietro. [...]. Chi sparò al Leonardi lo fece leggermente dietro avanti, destra sinistra, alto basso, proprio per non colpire il compagno che si trovava a sinistra dell'auto".
Ed ecco che viene a galla la seconda sfaccettatura che ci permette di affermare che «l'abilità militare [...] dimostrata in via Fani non era tutta delle Brigate rosse»(13): il fuoco incrociato.
L'importanza di questo dettaglio viene puntualmente delineata dal giudice Rosario Priore, che si è occupato in prima persona di eversione nera e rossa, del caso Moro, di Ustica e dell'attentato a Giovanni Paolo II: «[Sulla base dei risultati delle perizie balistiche] il fuoco non proveniva soltanto dal marciapiede di sinistra ma anche da quello di destra; e chi sparava da questo lato doveva essere particolarmente esperto nell'uso delle armi. Si era creata una situazione di fuoco incrociato. Pericolosissima, perché potevano essere colpiti anche Moro e i brigatisti. Ma né l'uno né gli altri riportarono ferite [...]. L'uomo che sparava da destra [...] doveva per forza essere un killer»(14).
Non è certo un caso che il capo brigatista Mario Moretti, nel libro intervista di Mosca e Rossanda, cerchi di occultare questo particolare: «I compagni incaricati di eliminare la scorta sono quattro, due per ciascuna macchina del convoglio. E sono ovviamente tutti piazzati dallo stesso lato della strada. Le ricostruzioni che dicono il contrario sono sbagliate, e soprattutto stupide: se uno si mette sulla linea di fuoco del compagno, si finisce con l'ammazzarsi uno con l'altro».
Peccato però che perizie e fori di proiettile abbiano una minor propensione alla menzogna degli esseri umani, in particolar modo di Moretti, bugiardo di professione(15).
La Rote Armee Fraktion
Un aspetto molto importante spesso taciuto, che forse ci aiuterebbe meglio a comprendere la geometrica potenza brigatista del 16 marzo 1978, è la plausibile presenza in via Fani della RAF: l'organizzazione terroristica che operava nella Germania Federale, definita dagli stessi brigatisti "avanguardia politico-militare del proletariato metropolitano europeo, uno dei punti di riferimento fondamentali della iniziativa rivoluzionaria in tutto il continente".
Scrive l’ex senatore del PCI Sergio Flamigni: "Non c'è dubbio che l'agguato di via Fani richiamava il modello operativo e l'esperienza di tecnica militare impiegati dalla Raf per il rapimento di [Hans Martin] Schleyer(16). [...]. Con l'operazione Schleyer, la Raf aveva fatto scuola alle Br per il rapimento di Moro".
Non sono certo casuali infatti, le strabilianti analogie tra l'operazione portata a termine dal gruppo tedesco e le "nostre" BR; e questo non vale solo per via Fani, ma anche per la gestione complessiva(17) del sequestro.
"Nell'agguato [...] non c'era stato niente di originale, rispetto al manuale della Raf (salvo le ovvie varianti obbligate dalla diversità dei luoghi e dei percorsi). [...]. La tecnica era quella dell'azione a cancelletto: interruzione del traffico con auto disposte trasversalmente alla strada, bloccandolo in entrambe le direzioni, così che il gruppo di fuoco potesse sparare senza intralci. Per creare ostacolo a fermare la corsa di Schleyer, i terroristi tedeschi avevano piazzato una Mercedes berlina nel mezzo della carreggiata (con accanto una carrozzina da neonato perché sembrasse un semplice incidente) sulla Vincenz Statz Strasse, subito dopo la curva che doveva compiere il loro bersaglio provenendo dalla Friedrich Schmidt Strasse [...] l'inatteso ostacolo aveva provocato un tamponamento fra le auto di Schleyer e della sua scorta, e nello stesso istante, forse ancor prima che gli agenti potessero avvedersi della trappola, cinque o sei terroristi si erano avvicinati alle auto tamponate e avevano ucciso, mirando con cura, l'autista e i tre agenti di polizia, quindi avevano strappato il presidente della Confindustria tedesca dalla sua auto caricandolo su un furgoncino parcheggiato all'incrocio. In via Fani, le Br avevano messo in scena l'ostacolo a sorpresa di un'auto targata Corpo diplomatico, poi avevano seguito la stessa tecnica, quella dell'annientamento: almeno sei erano state le armi della Raf che avevano sparato a Colonia, e almeno sette quelle delle Br in via Fani; i bossoli trovati nella Vincenz Statz Strasse erano 112, in via Fani 93 (la differenza era dovuta alla più vigorosa reazione della scorta tedesca, che era riuscita a sparare 11 colpi, ma non è escluso che in via Fani alcuni bossoli siano scomparsi nella confusione sul posto seguita alla strage); 44 bossoli e 22 proiettili, o parti di proiettili, erano stati sparati e in gran parte messi a segno da una sola arma nella Vincenz Statz Strasse, 49 bossoli sono stati sparati da un solo killer in via Fani. Altre analogie: cinque erano stati gli automezzi impiegati nell'operazione Schleyer, sei o sette nell'operazione Moro (l'agguato di via Fani aveva comportato l'impiego di un maggior numero di uomini in quanto le strade erano a doppio senso, mentre l'agguato della Raf era avvenuto in una strada con il traffico a senso unico). [...]. L'unica sostanziale differenza era nell'efficienza delle armi: 4 pistole mitragliatrici inceppate in via Fani, una solo pistola inceppata nella Vincenz Statz Strasse"(18).
"Inoltre, a far nascere il sospetto di un concorso di elementi stranieri [...] [insieme al] [...] rinvenimento sul luogo della strage di una borsa di fabbricazione tedesca, da cui alcuni aggressori avevano estratto pistole mitragliatrici, era stata l'affermazione secondo cui nel corso dell'operazione sarebbero stati impartiti ordini in tedesco [...]"(19).
A confermare l'inusuale incremento di "usi e costumi" germanici tra via Fani e via Stresa quella tragica mattina, c'è anche il teste Ettore Tacco, interrogato dalla Digos il 31 marzo del 1978: "Intorno alle 8.10 Ettore Tacco stava bevendo un cognac presso il bar Cinzia di via Stresa, mentre al suo fianco un giovane di circa vent'anni a lui sconosciuto stava consumando un cappuccino. Si trattava di una persona con barba bionda non molto folta e ben tenuta, capelli castano-biondi, alto circa un metro e settanta, e dalla breve conversazione si accorse che parlava un italiano con accento tedesco"(20).
Il 17 marzo, giorno successivo al rapimento, vennero addirittura fatte delle rivendicazioni a nome Banda Baader Meinhof, il nome con cui veniva comunemente identificata la RAF.
"Paola Fabretti, segretaria del Gr2 Rai, intorno alle 8.45 del 17 marzo rispose a una telefonata giunta in redazione. Dall'altro capo del telefono, una voce maschile dall'accento straniero disse: «Banda Baader Meinhof. Abbiamo Moro con noi. Vogliamo in cambio la libertà di tutti i brigatisti a Torino e poi tre miliardi in marchi tedeschi in pezzi da diecimila e da centomila. Moro sta bene. Ritelefoneremo». Verso le 12.00 [sempre del 17 marzo] Carla Tagliarini, giornalista della Zdf, la seconda rete tedesca, ricevette in redazione la telefonata di un uomo che parlava abbastanza male la lingua e che trasmise il seguente messaggio «Qui è la banda Baader Meinhof. Abbiamo Moro con noi. Vogliamo in cambio la libertà di tutti i brigatisti a Torino e poi tre miliardi in marchi tedeschi in pezzi da diecimila e da centomila. Moro sta bene. Ritelefoneremo»"(21).
Il 19 maggio del 1978, a sequestro Moro concluso, "la televisione austriaca [...] comunicava la probabile partecipazione di tre terroristi tedeschi all'agguato di via Fani, due donne ricercate e tale Christian Klar, responsabile del sequestro Schleyer [...]"(22).
Altri membri della RAF sospettati di aver partecipato al massacro della scorta di Aldo Moro sono Elizabeth von Dick(23) e Willy Peter Stoll, anche loro coinvolti nel sequestro Schleyer.
L'episodio principale che legherebbe Stoll al rapimento dell'on. Moro merita di essere raccontato nella sua interezza: "Nel pomeriggio [del 21 marzo 1978] [...], un ragazzo di quindici anni, Roberto Lauricella, riferì, telefonando al 113, di avere notato un pulmino giallo e bianco con targa tedesca e due persone a bordo, seguito da una berlina Mercedes color caffellatte anch'essa con targa tedesca e cinque passeggeri. Di questa seconda vettura era stata aperta per un attimo la portiera posteriore sinistra e Lauricella aveva ritenuto di intravedere, tra le gambe di uno dei passeggeri, una «machine pistol». Il ragazzo fu in grado di indicare la targa del pulmino: PANY 521. [...]. La Questura di Roma, informata, interessò, tramite l'Interpol la polizia tedesca. Il 24 marzo l'Interpol forniva due interessanti notizie: la targa segnalata non apparteneva ad un pulmino ma ad una autovettura Volvo; detta autovettura apparteneva a tale Norman Ehehalt, noto per avere prestato assistenza ad una associazione criminale e per la sua appartenenza ad un gruppo anarchico. [...]. Sempre tramite l'Interpol, la polizia tedesca chiedeva di conoscere i motivi che avevano indotto la polizia italiana a richiedere le informazioni. Purtroppo nessuno provvide a dare disposizioni ai posti di frontiera perché fossero effettuati controlli al momento in cui i due automezzi avessero effettuato il rientro in patria. Il 6 aprile il ragazzo fu finalmente convocato dalla Questura di Viterbo per mettere a verbale la sua deposizione. Il 18 maggio la polizia tedesca rinvenne, nel corso di una perquisizione in una tipografia, le targhe PANY 521 bruciacchiate e piegate. Nessuna traccia fu invece trovata dell'autovettura Volvo. Norman Ehehalt rifiutò di rispondere alle domande della polizia tedesca e successivamente all'interrogatorio per rogatoria del giudice istruttore di Roma [Imposimato]. La circostanza - successivamente riferita da[l brigatista Patrizio] Peci - che il terrorista tedesco Willy Peter Stoll sarebbe stato in contatto con [Mario] Moretti [...] [prima della] scoperta [fatta nell'ottobre del 1978] della base [milanese] di via Monte Nevoso, richiamò di nuovo l'attenzione sull'episodio di Viterbo. L'Interpol aveva infatti accertato - secondo quanto riferisce il giudice istruttore Imposimato nell'ordinanza di rinvio a giudizio dell'11 gennaio 1982 - l'esistenza di un rapporto tra Stoll e Ehehalt"(24).
"[...] Imposimato interpreterà il silenzio di Ehehalt «come un atto tendente a coprire Stoll, nel caso questi fosse stato uno degli occupanti delle macchine di Viterbo», mentre il collegamento con Moretti «induce alla ragionevole conclusione della probabile implicazione dello Stoll nell'impresa di via Fani»"(25).
"A conferma dei collegamenti di Stoll con i terroristi italiani, va sottolineato che, quando egli fu poi ucciso a Dusseldorf in un ristorante cinese, aveva con sé documenti concernenti tali rapporti"(26).
Le relazioni BR - RAF durante il sequestro Moro verranno convalidate anche da alcuni brigatisti, tra questi, Lauro Azzolini.
"[Azzolini confermò] di aver curato, su incarico del Comitato esecutivo, i rapporti con i rappresentanti della Raf durante i 55 giorni del sequestro Moro, attraverso periodici incontri con i terroristi tedeschi. «Venivano in Italia ogni quindici giorni», dirà l'ex brigatista del Comitato esecutivo, e durante quegli incontri lui li ammoniva a non prendere iniziative arbitrarie sul tipo di quella che la Raf aveva assunto durante il caso Schleyer (il dirottamento dell'aereo della Lufthansa a Mogadiscio), pregandoli di estendere l'invito anche ai «compagni palestinesi»: le Br, evidentemente, non desideravano che durante l'operazione Moro emergessero legami o connessioni di carattere internazionale"(27).
Di non pentiti il solo Prospero Gallinari ha riconosciuto che «i rapporti Br-Raf sono stati precedenti e successivi all'attacco di via Fani»(28).
Un'affermazione impegnativa visto che l'Ufficio operazioni dello Stato maggiore del Comando generale dell'arma dei Carabinieri, riteneva assodato "[un] incontro in Roma, [a cui aveva partecipato Gallinari] [...] del 15 novembre 1977 in un bar di via Appia Nuova, con un pregiudicato [Antonio Nirta(29) ? Giustino De Vuono(30) ? Oppure qualche esponente della banda della Magliana ?] ricercato per più sequestri di persona, presentatogli da una giovane donna a nome Bruna, ventidue anni, romana [...] abitante in detta via Appia Nuova. [Il Gallinari ha] proposto al medesimo di partecipare a un eclatante sequestro di persona a sfondo politico. Il pregiudicato non ha accolto la proposta, non ritenendola economicamente conveniente. In occasione del predetto incontro il Gallinari era accompagnato da un giovane tedesco, i cui connotati fanno presumere possa trattarsi del terrorista Sigmund Hoppe".
Insomma, anche volendo sminuire il profondo significato di tutti questi eventi, che costituiscono di per se una prova logica evidente di una presenza straniera in via Fani, resta quantomeno l'assoluta certezza che i massimi responsabili delle Br si siano avvalsi, nella fase di elaborazione del piano, della consulenza(31) di esponenti dell'organizzazione tedesca.
A seguire, il motivo per cui questa presenza ha un'importantissima valenza storico-politica.
I rapporti Rote Armee Fraktion - STASI
«La STASI [il Ministero della Sicurezza di Stato della Germania Est] era in grado di padroneggiare molte delle organizzazioni rivoluzionari dell'Europa e del Medio Oriente. A cominciare dalla RAF, l'organizzazione terroristica che operava nella Germania Federale. Per anni avevamo pensato che la Rote Armee Fraktion fosse una formazione rivoluzionaria con una sua purezza, se così si può dire, cioè senza direzioni esterne. E invece, dopo la caduta del Muro, abbiamo scoperto che era pilotata dal servizio segreto della Germania Est, era una sua struttura armata. Ho potuto [Priore] rendermene conto anche personalmente, dopo la riunificazione delle due Germanie, visitando, primo fra gli europei occidentali, i vecchi archivi della Stasi [...]. Non potevamo immaginare che quel servizio segreto riuscisse a seguire i membri di grandi organizzazioni internazionali, dalla Raf ai palestinesi di Settembre nero, in tutti i loro viaggi, in tutti i loro spostamenti, addirittura in tutte le loro comunicazioni e persino in tutte le loro telefonate. Aveva un'organizzazione capillare e, quando arriva la Stasi, i servizi degli altri paesi dell'Est cedevano il passo, oppure operavano secondo i modelli della Stasi stessa o secondo i suoi ordini. [...] La Germania Est aveva [...] un interesse specifico, in quanto nazione per molti anni non riconosciuta dai paesi occidentali, Italia compresa. Quindi, attraverso l'attività della sua intelligence esercitava il suo potere di condizionamento innanzitutto per indurre gli stati ad accettare la sua esistenza, e a riconoscerne il peso politico. Ma da un certo periodo in poi ebbe da Mosca anche una sorta di delega nel campo del terrorismo internazionale. [...] La delega alla Germania Est [...] coincide con la prima grave rottura tra il Pci e il mondo comunista orientale. La condanna da parte italiana dell'invasione della Cecoslovacchia, l'elezione di Enrico Berlinguer alla segreteria del Pci e il suo rifiuto di riconoscere la leadership moscovita sul movimento comunista internazionale erano molto di più di un semplice strappo. Erano tutti segnali di una vera e propria rottura strategica destinata a diventare più profonda. [...]. Il pericolo rappresentato dall'eurocomunismo per i sistemi dell'Est fu percepito fin dal primo momento in tutta la sua devastante potenzialità. La Primavera di Praga, per quanto fosse stata repressa con i carri armati, costituiva ancora un pericolo per i regimi dell'Est. Dove quelle idee riformiste, portatrici di un socialismo dal volto umano, continuavano a fermentare nonostante il giro di vite brezneviano. Il rischio maggiore, paventato dagli analisti dei servizi segreti orientali, era che quei fermenti finissero per trovare un punto di riferimento nell'eurocomunismo, e che la politica di Berlinguer fungesse da detonatore di nuovi conflitti politici e sociali. Per una parte di quel mondo, Berlinguer costituiva un pericolo mortale»(32).
Tanto mortale che i servizi segreti bulgari cercheranno di eliminarlo a Sofia nell'ottobre del 1973; ma questa è un'altra storia.
Tornando a noi.
I suddetti contatti tra la RAF e la DDR verranno addirittura confermati dall'ex "numero due" della STASI Markus Wolf: una delle più grandi spie della guerra fredda.
Questi scenari vengono descritti e spiegati al giudice Imposimato proprio da Wolf, nel gennaio del 2002, in un ristorante italiano a Berlino: “[Wolf:] Io ero nettamente contrario ad avere rapporti con i terroristi. E lo dissi al ministro Mielke [uno dei fondatori della STASI]. Ma egli rispose che gli uomini della Raf erano combattenti antifascisti, persone che lottavano contro il ritorno del nazismo in Germania. Per questo la Ddr li ha protetti per anni durante la latitanza, dopo gli attentati in Europa. Alla fine degli anni settanta il mio dipartimento collaborò con gruppi armati che giudicavano il terrorismo un efficace strumento di lotta politica.
Imposimato: A partire da quando iniziarono i rapporti con quelli della Raf?
Wolf: Non ebbi contatti diretti con questi gruppi; erano dei pazzi incontrollabili, se ne occuparono altri ufficiali della Stasi.
Imposimato: Quali erano questi gruppi?
Wolf: L'Organizzazione per la liberazione della Palestina; il sicario terrorista freelance Ilych Ramirez Sanchez, il cui primo nome era un omaggio a Lenin, meglio noto come Carlos [...] e il gruppo tedesco occidentale della Rote Armee Fraktion, o Raf, e prima ancora la Banda Baader Meinhof. L'entusiasmo del servizio segreto della Germania orientale per queste forme di collaborazione variava da caso a caso. Anche il Fplp e il gruppo di Abu Nidal erano controllati dalla Stasi, anche se io ero contrario. Erano troppo violenti e radicali. [...] La Raf si avvalse della Germania orientale come di un santuario. I fondatori della banda, Andreas Baader e Ulrike Meinhof [nel 1972-73, N.d.A] furono protetti dalla Stasi. A trovare rifugio in Germania Est furono Sussanna Albrecht, che aveva giustiziato con un amico di suo padre, Jurgen Ponto, direttore della Dresdner Bank. [...] Anche i terroristi della Raf Khristian Klar e Sielke Maier Witt, coinvolti nel rapimento e nell'assassinio di Hans Martin Schleyer, furono accolti in Germania orientale. [...] Inge Viett, Inge Nicolai e Ingrid Sipemann, anche loro della Raf, fuggirono dalla Germania occidentale in Cecoslovacchia e si trasferirono, con il consenso del ministro Erich Mielke, a Berlino Est"(33).
Il SISMI in via Fani: occhio vede, ma cuore non duole
"Nel 1991 l'ex carabiniere paracadutista Pierluigi Ravasio, appartenente alla sezione sicurezza del Sismi, rivelò a un inviato di Panorama e all'onorevole Cipriani (componente della Commissione stragi) che il colonnello Camillo Guglielmi (soprannominato «Papà»), suo superiore diretto [...] si trovò il 16 marzo a pochi metri da via Fani, senza tuttavia poter intervenire. Subito dopo aver fatto tale rivelazione, Ravasio fu convocato dalla Procura della Repubblica e il 13 maggio 1991 ritrattò la sua versione dei fatti negando tutto ciò che aveva rivelato. Dopo soli tre giorni, fu convocato [dal sostituto procuratore di Roma Luigi De Ficchy] il colonnello Guglielmi, il quale invece confermò che quel giorno [alle 9:30] si era recato in via Stresa numero 117 dal suo amico colonnello D'Ambrosio, che lo aveva invitato a pranzo"(34).
Armando D'Ambrosio confermerà la visita di Guglielmi anticipandola però alle 9: "Guglielmi si è presentato a casa mia poco dopo le 9, non era affatto atteso, e non esisteva alcun invito a pranzo [...] si è intrattenuto per qualche minuto a casa mia ed è tornato in strada dicendo: «Deve essere accaduto qualcosa»"(35).
"Secondo il racconto che Ravasio fece all'onorevole Luigi Cipriani, durante il caso Moro il Sismi attivò uno special team che qualche legittimo sospetto autorizza a pensare fosse stato creato prima del 16 marzo. Questo gruppo avrebbe dovuto agire in collegamento alla banda della Magliana(36) e la sua sede fu istituita a Forte Braschi (dove si trovava il comando generale del Sismi). I referenti principali del team furono il generale Musumeci [condannato in via definitiva per gli accertati tentativi di depistare le indagini relative alla strage di Bologna] e il colonnello Guglielmi. Il Parlamento restò ovviamente all'oscuro di tutto. L'esistenza di tale nucleo speciale è venuta alla luce solo nel 1991, grazie al coraggio e alla tenacia di Luigi Cipriani. Secondo Ravasio il gruppo era riuscito a infiltrare uno studente di Giurisprudenza di nome Franco [un nome in codice] nella colonna romana delle BR e questi informò i suoi superiori con mezz'ora di anticipo che i brigatisti stavano per portare a termine l'operazione proprio in via Fani. E' per questo che Guglielmi si recò in zona? Per controllare? Per assolvere qualche compito specifico? Sta di fatto che lo stesso Guglielmi, come abbiamo visto, oltre ad aver confermato la sua presenza nei pressi di via Fani [...] confermò anche l'esistenza di questo special team costituito in occasione del caso Moro e sciolto subito dopo la morte del presidente della Dc"(37).
Verrebbe da dire missione compiuta... Ma concentriamoci sulla figura della presunta "vedetta" di via Fani.
Guglielmi, quando nel '91 fu convocato in procura, dichiarò che all'epoca del "fattaccio" era in forza nella quarta brigata dei Carabinieri, operava a Modena, e non aveva ancora nulla a che fare con il Sismi.
Dello stesso avviso il generale Paolo Inzerilli: responsabile dell'organizzazione Gladio dal 1974 al 1986. Inzerilli ha tentato di negare l'appartenenza di Guglielmi al Sismi precisando che il colonnello dell'Arma sarebbe divenuto consulente del servizio segreto militare soltanto il 1° luglio 1978, ovvero a sequestro Moro concluso.
Di opinione diametralmente opposta l'ex senatore Sergio Flamigni, membro della Commissione Moro, P2 e Antimafia: "I magistrati militari Sergio Dini e Benedetto Roberti, nella loro inchiesta sulla Operazione Gladio, hanno [...] trovato documenti comprovanti i legami del colonnello Guglielmi con il servizio segreto militare fin dagli anni 1972-73, e il suo ruolo di istruttore in corsi speciali organizzati dal Sid [il precedente acronimo del SISMI] presso la base di Gladio a Capo Marrargiu [in Sardegna]"(38).
A confermare il legame con Gladio, la "nota integrativa" presentata alla Commissione stragi dal deputato Cipriani (colui che per primo raccolse la testimonianza del parà Ravasio), secondo cui "Guglielmi [...] faceva parte della VII Divisione(39), cioè di quella Divisione del Sismi che controllava Gladio".
Un’ulteriore conferma del suo legame con la rete Stay Behind arriva da un rapporto informativo del 19 gennaio 1972 stilato dall’ex direttore del SISMI Vito Miceli. Il rapporto documenta l’attività di Guglielmi “nel campo addestrativo” in un periodo addirittura precedente a quello ipotizzato dai magistrati Dini e Roberti: nel documento in questione infatti si parla di un lasso di tempo compreso tra il “15 febbraio 1971” e il “31 dicembre 1971”.
Un'altra plausibile motivazione che spiegherebbe la presenza del colonnello in via Fani il giorno della strage, verrebbe guarda caso, proprio da un "gladiatore".
"[Antonino Arconte] [...] ex appartenente alla Gladio delle Centurie, struttura segreta denominata anche Supersid composta da 280 agenti dipendenti dal ministero della Difesa e comandato dal generale Vito Miceli, ha reso pubblico un Memoriale nel quale ha raccontato le molte missioni che ha svolto all'estero. Dal Memoriale ne è scaturito un libro [...] edito dallo stesso Antonino Arconte che, tra le tante imprese, ha descritto un episodio che ha destato molto clamore: il 2 marzo 1978 ricevette l'ordine di imbarcarsi per Beirut per consegnare a un altro gladiatore, Mario Ferraro, un plico con l'ordine di contattare i terroristi islamici per aprire un canale con le BR, con l'obiettivo di favorire la liberazione di Aldo Moro. Avrebbe dovuto sovrintendere l'operazione il colonnello Stefano Giovannone che [...] [durante il sequestro] sarà indicato dallo stesso Moro come autorevole interlocutore per instaurare una credibile trattativa. Arconte avrebbe consegnato il plico nelle mani del colonnello Ferraro il 13 marzo 1978, tre giorni prima dell'agguato di via Fani. [...] Dal racconto di Arconte si evince [...] che i vertici di questa presunta Gladio segreta sarebbero stati a conoscenza del 16 marzo come data dell'operazione brigatista. L'ex agente, infatti, ha sottolineato come la sua imbarcazione fosse arrivata a Beirut con un imprevisto anticipo in quanto era programmato che giungesse a destinazione dopo il 16 marzo, proprio affinché quell'ordine non stesse a destare troppi sospetti. Arconte consegnò al tenente colonnello Ferraro il plico sigillato contenente documentazione a distruzione immediata. Ma egli non eseguì l'ordine proveniente dai suoi superiori [...]. Cosa avvenne dunque al momento della consegna ? Arconte diede il plico sigillato a Ferraro nella sua cabina a bordo dell'imbarcazione che lo aveva portato a Beirut. Ferraro aprì la busta, analizzò il contenuto, lo posò sulla scrivania e fu costretto a recarsi in bagno per un bisogno fisiologico impellente. Fu allora che Arconte decise di provare la cinepresa da poco acquistata ed effettuò alcune zoomate all'interno della sua cabina. L'occhio della cinepresa cadde anche sui documenti lasciati sul tavolo da Ferraro e molti anni dopo, quando Arconte rivide quel filmato, si rese conto dell'importanza di quelle carte. Nel luglio del 1995 Arconte riuscì, fortuitamente, a venire in possesso del documento originale che Ferraro non aveva distrutto diciassette anni prima, e che lo stesso diede ad Arconte al fine di custodirlo per conto suo, in quanto egli era stato oggetto di minacce. Poco dopo Mario Ferraro fu trovato impiccato nella sua abitazione. Nel marzo del 2003 il perito Maria Gabella, considerata una vera e propria autorità in materia e che studiò diversi documenti rinvenuti nei covi delle BR già nel '78 per conto della Procura di Roma, ultimò l'analisi del campione cartaceo che le avevano commissionato le due testate [Famiglia Cristiana e Liberazione] che ne hanno poi dato il resoconto ai proprio lettori [...] e il programma di approfondimento Primo Piano del TG3. Le conclusioni della dott.ssa Gabella non hanno, purtroppo, messo la parola fine sull'autenticità del documento. Infatti sebbene nella perizia si affermi che «il documento è compatibile con l'epoca dei documenti di raffronto» il perito aggiunge anche che «non è un documento recente nel senso che ha almeno tre anni e mezzo. Il che, ovviamente, non esclude che sia ancora più antico». [...]. La carta esaminata risulta essere di una tipologia particolare, nel senso che è stata prodotta con un impasto contenente metalli pregiati, ed è stato adoperato un microscopio speciale in grado di leggere il tipo di solco al fine di poter risalire alla macchina da scrivere che lo ha prodotto. Secondo il perito, insomma, non si tratterebbe di un documento artigianale e se non fosse originale, si tratterebbe di un falso raffinatissimo"(40).
In tutta questa storia abbiamo una sola certezza: il capostazione del SISMI di Beirut, il colonello Giovannone (amico di Moro), comunicò a Roma in data 17 febbraio ’78, il rischio dell’attuazione di “un’operazione terroristica” di “notevole portata” che avrebbe potuto “coinvolgere il nostro paese”.
Non finisce qui però, l'ombra della stay-behind italiana nel caso Moro si propaga anche grazie ad altri tre fatti che suscitano non poche perplessità. La prima: "Le perizie hanno appurato che in via Fani vennero usate anche munizioni di provenienza speciale. Tra i bossoli repertati, 31 erano senza data di fabbricazione e ricoperti da una particolare vernice protettiva, «parte di stock di fabbricazione non destinata alle forniture standard dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica militare». [...]. Secondo il perito Antonio Ugolini, «questa procedura di ricopertura di una vernice protettiva viene usata per garantire la lunga conservazione del materiale... Il fatto che non venga indicata la data di fabbricazione, è il tipico modo di operare delle ditte che fabbricano questi prodotti per la fornitura a forze statali militari non convenzionali». E quando verranno scoperti i depositi [di armi] [...] della struttura paramilitare segreta della Nato Gladio si riscontreranno le stesse caratteristiche nelle munizioni di quei depositi. Non è stata condotta alcuna inchiesta per accertare quale ente avesse commissionato quelle particolari munizioni e la loro destinazione, dato che esse non erano destinate alle forze armate regolari né potevano essere commercializzate essendo di calibro militare e interdette a usi civili: dagli atti dei vari processi Moro non risulta siano mai stati svolti accertamenti per scoprire da quali canali quelle munizioni arrivarono alle Br. In un appunto [...] datato 27 settembre 1978, siglato dall'allora questore di Roma Emanuele De Francesco e dal dirigente della Digos Domenico Spinella (appunto non trasmesso né alla magistratura né alla Commissione parlamentare Moro), si legge: «Dagli esami compiuti dai periti su alcuni bossoli rinvenuti in questa via Fani, risulterebbe che le munizioni usate provengono da un deposito dell'Italia Settentrionale, le cui chiavi sono in possesso di sole sei persone»"(41).
L'ennesima stranezza che si verifica nella zona di via Fani è riconducibile alla Sip: l'ente telefonico statale che nel 1994 cambierà nome in Telecom.
"La mattina del 16 marzo 1978 [...] un improvviso blackout impedisce le comunicazioni telefoniche in tutta via Fani e via Stresa, favorendo la fuga del commando [brigatista]. Secondo il procuratore della Repubblica, Giovanni De Matteo, l'interruzione sarebbe stata volutamente provocata [...]. Durante i cinquantacinque giorni del sequestro alcuni comportamenti della Sip danno adito a sospetti. [...]. Il capo della Digos Domenico Spinella, sottolinea l'estrema inefficienza della Sip e la sua ostruzionistica passività durante il sequestro. «Se la Sip avesse collaborato» dichiara Spinella alla Commissione parlamentare «gli sviluppi della vicenda Moro sarebbero stati completamente diversi». La Sip [...] è un ente pubblico controllato dalla finanziaria Stet, presieduta [al tempo] da Michele Principe [...] affiliato alla P2. [...]. Prima di diventare presidente della Stet, Principe è dirigente della segreteria Nato presso il ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni, quindi presidente dell'organismo strategico della Nato per le telecomunicazioni, il Civil Communication and Planning Committee. [...] All'interno della Sip viene creata la struttura segreta siglata Po-Srcs, Personale organizzazione - Segreteria riservata collegamenti speciali, che dispone di un incaricato per la sicurezza designato dall'autorità nazionale della sicurezza, cioè il capo del servizio segreto militare. La Segreteria riservata collegamenti speciali è una struttura formata da civili, tutti muniti di Nos, il Nulla osta di sicurezza Nato, organizzata con i criteri propri dei servizi segreti [...]. Il compito di tale ente è [...] quello di predisporre collegamenti speciali e fornire servizi tecnici alle forze dell'ordine, alle forze armate, alla Nato e ai servizi segreti, in situazioni critiche legate a atti di terrorismo, crisi nazionali o internazionali, eventi bellici. La persona responsabile dei problemi di sicurezza all'interno della Po-Srcs è proposta dal presidente della Sip e nominata direttamente dal Sismi, e la cosiddetta «cellula di risposta» che viene attivata in situazioni di emergenza è diretta da un ex militare. [...]. La «cellula di risposta» viene messa in stato di allarme alle 16.45 del 15 Marzo 1978"(42).
La chicca finale lascerà basiti i più. Sempre al tempo del sequestro, al civico 109 di via Fani (proprio sopra il bar Olivetti), c’era una società chiamata Impresandex, “una ditta di rappresentanze di caminetti e di lavori edili che ospita giovani funzionari dei Servizi di cui è proprietaria al 98% Licia Pastore Stocchi, sorella del colonnello Fernando Pastore Stocchi che addestra i gladiatori a Capo Marrargiu. L’altro 2% appartiene al marito della signora Pastore Stocchi, il signor Bruno Barbaro, che è cognato del gladiatore ed amministratore unico della società”(43).
La macchinetta del Sisde
Ovviamente quando si parla di “misteri italiani” cerca di non mancare mai all’appello il Sisde, il cosiddetto “servizio segreto civile”. I cugini scemi del Sismi, come per la bomba di via Fauro di qualche anno dopo, lasciarono sul teatro del fattaccio un’innocentissima automobilina (un’Austin Morris tipo “Mini Clubman”) che di fatto, volente o nolente, facilitò il lavoro dei terroristi impedendo all'auto di Moro di poter manovrare per districarsi dall'imbottigliamento e, ciliegina sulla torta, fornì un riparo al killer che sparò dal lato destro.
Scrive Carlo D'Adamo nel suo libro "Chi ha ammazzato l'agente Iozzino?": “Quell'Austin Morris blu è proprio in posizione strategica [...] all'alba del 16 marzo 1978. Per permetterle di occupare esattamente quello spazio, dove ogni mattina Antonio Spiriticchio, un fioraio ambulante, parcheggia il suo Ford Transit per vendere i fiori, durante la notte due brigatisti, Bruno Seghetti e Raffaele Fiore, hanno tranciato tutte e quattro le gomme del furgone. Il fioraio non può raggiungere via Fani e il suo posto viene occupato da quest'auto”.
Ma il “bello”, ovviamente, deve ancora venire.
La società proprietaria dell’Austin Morris infatti era la Società Immobiliare Poggio delle Rose, collegata ad un'altra società di copertura dei servizi segreti gestiti dal Viminale chiamata Findrev SRL; la Findrev, oltre a gestire l'organizzazione amministrativa e logistica del Sisde era a sua volta azionista di maggioranza della Gradoli Immobiliare (si, avete letto bene), anch'essa società di copertura del Sisde presente in quella stessa strada dove Moretti e soci decideranno di costituire la base logistica del sequestro Moro.
Conclusioni?
Nel corso degli anni, sono state fornite dai personaggi più disparati molteplici interpretazioni politiche del rapimento e dell'uccisione di una figura centrale (nella vita della prima Repubblica) come quella dell'on. Aldo Moro. In queste esposizioni, più o meno condivisibili, si evidenziano i presunti complotti (chiamiamoli così) e i ruoli giocati dai protagonisti del tempo: si passa dalla loggia massonica P2 di Licio Gelli, che è riuscita ad inquinare la vita politica ed economica del paese (ed in particolar modo, visto che parliamo del caso Moro, i famigerati "Comitati di crisi del Viminale" diretti da Francesco Cossiga, sotto la supervisione dell'esperto antiterrorismo del Dipartimento di Stato americano Steve Pieczenik), ad un intervento del servizio segreto israeliano, il Mossad, fermo oppositore del filo-arabismo di Moro. Si è ipotizzato un eterodirezione sovietica, che come abbiamo visto, era contraria alla svolta europeista del PCI in cerca di una sua autonomia da Mosca; per poi finire con personaggi riconducibili a gruppi dell'oltranzismo atlantico (Kissinger in primis) e all'immancabile CIA, contrari ad una qualsiasi apertura al PCI.
La perfetta sintesi di tutti queste entità protagoniste della vita politica nazionale ed internazionale, si trova nell'ormai famosa scuola di lingue Hyperion(44).
Una lucida analisi della vicenda viene fornita, ancora una volta, dal giudice Ferdinando Imposimato e dal giornalista Provvisionato nel libro "Doveva Morire".
"«Con il trascorrere degli anni e l'acquisizione di nuove prove - afferma Imposimato - [...] mi appare chiara una cosa: il sequestro Moro, partito come azione brigatista alla quale non è estranea l'appoggio della Raf e l'interessamento, per motivi opposti, di Cia e Kgb, è stato gestito direttamente dal Comitato di crisi costituito presso il Viminale. Il delitto Moro non ha avuto una sola causa. Ma ha rappresentato il punto di convergenza di interessi più disparati. In questa operazione, perfettamente riuscita, sono intervenuti la massoneria internazionale, agenti della Cia, il Kgb, la mafia ed esponenti di governo, gli stessi inseriti nel Comitato di crisi. Tutti questi, dopo il 16 marzo, hanno vanificato tutte le opportunità emerse per salvare la vita di Moro spingendo di fatto le Brigate rosse a ucciderlo». Nella storia del delitto Moro la prudenza è d'obbligo: occorre evitare di passare da una verità di comodo a una scarsamente dimostrata. Ma occorre anche evitare l'errore opposto: pretendere prove matematiche assolute, granitiche per dimostrare un fatto. «La verità - dice Imposimato - non è facile da scoprire ma non è possibile chiudere gli occhi di fronte a una storia che ha nei documenti occultati e fortunosamente ritrovati il suo fondamento indiscutibile. E nella confessione tardiva di uno degli autori del complotto un testimone importante. [...]». C'è in questa tragedia - come dicevamo - un testimone tardivo. Si chiama Steve Pieczenik. [...]. Nel corso delle confessioni che emergono dal suo lavoro in seno al Comitato di crisi e dalle sue interviste rilasciate periodicamente a distanza di anni emerge il vero scenario in cui è maturata la morte di Moro. «E' proprio Pieczenik - aggiunge Imposimato - che, per giustificare la decisione di abbandonare Moro, invoca una presunta ragion di Stato, una specie di stato di necessità, che è una esimente, una causa di non punibilità: per Pieczenik e Cossiga la vita di un uomo, quella di Moro, valse la salvezza di milioni di italiani. La tesi non era, dunque, la fermezza dello Stato italiano contro le Brigate rosse, ma un'altra, davvero agghiacciante: la morte di Moro era necessaria per stabilizzare la situazione interna e salvare milioni di italiani dal comunismo. Questo significava che la sopravvivenza di Moro sarebbe equivalsa all'anarchia, alla disgregazione sociale, alla destabilizzazione delle istituzioni di un Paese e alla fine della democrazia italiana. Per Pieczenik e i componenti del Comitato di crisi, la ragion di Stato comportava che la sicurezza nazionale fosse una esigenza di tale importanza che i governanti furono costretti, per garantirla, a violare le leggi giuridiche, morali e politiche, che invece sarebbero state inderogabili quando tale esigenza fosse stata in pericolo»".
Per correttezza, concludiamo il lavoro dando la parola al fratello dello statista democristiano, Alfredo Carlo Moro: "E' stato detto che il provvedimento di generale clemenza è necessario, perché un periodo tragico si è chiuso e lo Stato, che ha vinto, può dimostrarsi generoso con gli sconfitti. Un periodo storico però si chiude non solo quando è trascorso un certo lasso di tempo ma quando si è fatta pienamente chiarezza su quanto è realmente successo e quando sono definitivamente superati i pericoli che l'attuale vita politica sia ancora avvelenata da connivenze e ricatti. Se permangono anche oggi molti misteri, se non tutte le responsabilità sono appurate, se i brigatisti catturati sentono ancora il bisogno di celare la verità dietro una notevole cortina di menzogne, se è possibile che dietro i misteri insoluti e dietro le verità nascoste si celino anche pesanti ricatti, può seriamente e onestamente dirsi che un periodo si è completamente chiuso? E che senso ha l'affermazione che lo Stato ha vinto se gli attentati alla integrità fisica delle persone sono finiti, ma non si è ancora riusciti a scoprire l'intera verità su tutto un travagliato ed ambiguo periodo storico e non sono chiare sia tutte le responsabilità degli esecutori sia le connivenze che hanno consentito al terrorismo di operare o di raggiungere certi risultati?"(45).
Massimiliano Paoli (m4x)
[Le note stanno nell'articolo originale]
Non vi e' alcuna probabilita' che in un fuoco incrociato con armi automatiche e quindi scarsamente controllabili nella precisione su 5 persone una ne esca completamente illesa senza neanche i graffi dei finestrini.
Moro a quel punto era gia' fuori molto probabilmente fatto uscire da qualche "pezzo grosso" che non richiedeva un intervento istantaneo della scorta che poi e'stata trucidata in quanto testimone scomoda.
Cambia tutto perche' quei poveri zozzoni delle BR erano li solo a fare da comparse e questo sarebbe stato ufficiale.
Dubbi assolutamente fondati...non ci avevo mai fatto caso ma in effetti è molto strano che se Moro abbia assistito all'assassinio della sua scorta non abbia scritto mai nulla al riguardo. Non sarebbe stato da lui.
Così come è veramente troppo improbabile che nella sparatoria, con tutti i fattori random impliciti in essa, siano morti tutti e lo statista sia rimasto illeso.
Acuta osservazione direi.
Io dubito anche dei presunti testimoni. La storia del tizio che saltella col mitra in mano mi pare inverosimile, anche per il fatto che sarebbe stato visto da una sola persona che dice di aver riconosciuto l'arma perchè, guarda caso, esperto di armi.
L'unica cosa certa è che Moro non doveva morire. Se avessero voluto farlo fuori, bastava un cecchino appostato da qualche parte. Poi avrebbero trovato il "colpevole" di turno morto, o ammazzato perche opponeva resistenza all'arresto.
Le B.R. (ipnotizzate?) servivano solo per convincere l'opinione pubblica che l'ideologia comunista è pericolosa per la società.
Giusto per ricordare cosa è accaduto 5 anni fa:
straker-61.blogspot.it/.../...
indipendentemente se abbia ragione o meno chi dice che sarebbe stata una finzione, resta il fatto che una parte dell'opinione pubblica sicuramente è stata condizionata da tale evento.
IN RED WE TRUST
A mio parere se dopo 40 anni la verita' anche se incompleta emerge dalle nebbie create ad arte e'proprio per merito di persone che sono alla ricerca della stessa e non si accontentano delle commemorazioni (vedi Fasanella per esempio),qualche ragno dal buco si e' cavato e anche se a livello pratico puo' sembrare che non e' cambiato nulla la consapevolezza di essere stati ingannati spinge molti di noi a cercare un cambiamento sia pure a livello personale,non e' molto ma e' gia' qualcosa ,questo puo' essere un fastidio per il potere,avere davanti persone che sanno e vogliono sapere,dice il saggio...vivi come se fosse il tuo ultimo giorno, impara come se dovessi vivere per sempre, o qualcosa del genere.
P.S. La frase non e' proprio cosi' ma il significato e' lo stesso, paternita'... Gandhi.
IN RED WE TRUST
Concordo con te. Il patetico era riferito all’ipocrisia del sistema che vuole apparire trasparente e interessato alla verità ma alla fine non gliene frega nulla. Certo ci sono persone che sono seriamente alla ricerca della verità e meno male. Però si va avanti ad ondate. Che tra qualche giorno ricalerà il sipario sul caso Moro è del tutto prevedibile e non credo vi siano ombre di dubbio.
Tanto per rimarcare.... dal sito Disinformazione www.disinformazione.it/casomoro.htm
www.ilfattoquotidiano.it/.../4227882
Giusto! E noi cosa ci stiamo a fare? Dal nostro piccolo continueremo a strappare...il sipario
IN RED WE TRUST
Certo che sei proprio rinco!
Hai l'intervista di Fasanella completa a disposizione e vai sul fatto?
IN RED WE TRUST
Il nome della formidabile spada Romana è anche il nome della struttura occulta militare che l'Impero Anglosionista ha usato e usa tutt'ora per realizzare i suoi sporchi affari di geo-politica.
I colpevoli hanno il marchio Gladio.
L'affaire Moro non fa eccezione, è stata una operazione della famigerata Gladio che all'epoca non era conosciuta se non dagli addetti, a centinaia e migliaia disseminati, in uniforme, anche Italiana, o in borghese su tutto il nostro (il loro) territorio.
Essi vivono e sono ancora tutti intorno a noi.
Questo per ricordarci che siamo in Democrazia.
Se ti interessa approfondire :
g-71.blogspot.it/
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per chi ha una connessione a consumo è meglio lo scritto
Quale migliore occasione allora per un buon libro!
macrolibrarsi.it/.../__il-puzzle-moro-libro.php
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Hai voglia a parlare di CIA e Mossad….
adnkronos.com/.../...
Sono gli "utili idioti" che continuano a fare il loro sporco lavoro di intorbidare le acque,in questo articolo puoi leggere lo scontro tra una buffona serva del potere e un uomo che sta facendo i conti con la storia sua e di tutti noi, tra parentesi..fosse per me la dicitura pena non estinta non la applicherei sulla carta ma nella pratica,altro che...chi mi ospita? Fosse per me farebbe la "barbona" con tutto il rispetto per quelli veri
www.quotidiano.net/.../barbara-balzerani-1.3664492
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Fu stata la prima mossa per distruggere il comunismo, insieme all'invenzione "sionista" del partito radicale...Poi prima di un inquinamento selvaggio fu inventato il partito dei Verdi...erosione qua erosione là, naque Rifondazione dal cashmere ribelle...
Forse Moro con le sue alleanze andava contro questo progetto di usura del Brand Comunista...I poster di Ché Guevara finivano in cantina, Easy Rider pure...dopo il piombo, la Disco Music...Relax...la Isla Bonita...
Semplicemente l'Italia era una colonia sofisticata..
..dove oggi la Barilla è coniugata con una fabbrica di armi svizzera...
... e i beni culturali italiani, il $olito vecchio diktat..
..nel Borsellino, pochi spicci, il Falcone perse contro l'Aquilamericana e un'Ustica, che suona di ustione, poi altrettanti... bla bla bla!
Inoltre dimostra che tutti gli "inquirenti" che hanno indagato ufficialmente sul caso sono stati semplicemente dei "collaborazionisti" dei veri assassini, in quanto non potevano non capire una cosa cosi' evidente.
Tra l'altro i vari "inquirenti" accorsi sul posto erano talmente presi dalla voglia di preservare le prove che hanno consentito a cani e porci l'accesso al punto della strage, come testimonia un video che probabilmente si trova ancora in giro di uno spezzone di TG del giorno della strage con i propagandisti vespa e frajese.
P.S. Naturalmente questa e' una mia opinione.
Forza con i sipari strappati!!
IN RED WE TRUST
Qui la playlist dei 5 video su youtubewww.youtube.com/.../
No, questo non e' possibile perche' l'agguato e' stato "uno", e se Moro non era li' significa una sola cosa: Moro fu prelevato da uomini "di stato" fidati che conosceva, che probabilmente con una scusa ("questioni di sicurezza") lo hanno fatto salire su un altro veicolo, con una scorta alternativa, e portato via, e probabilmente solo piu' avanti si e' reso conto di essere stato rapito.
Ma questa ipotesi non potra' mai essere neppure menzionata...
Be' questo e' poco ma e' sicuro!
Lo so, questa e' la versione che avvalorerebbe l'ipotesi di un Moro assente in via fani,ma questo lo sappiamo io te e qualche migliaio che frequentano il sito,il circuito mainstream collocherebbe quelli che tu chiami "uomini di stato" nella parte dei cosidetti servizi deviati e complici delle br,del resto funziona cosi' anche nei rapimenti,c'e' un gruppo che agisce e un altro che fa da basista e pensa alla gestione del rapito,in quanto ai colpevoli, di capri espiatori se vogliono ne trovano in quantita',soprattutto pronti a "suicidarsi" per l'onta e la vergogna o morti per sopraggiunti limiti di eta', ecco perche' l' ipotesi di cui parli non potra' mai essere menzionata...non ne avrebbero bisogno, sempre a mio parere.
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quando hanno cominciato a sparare, Moro avrà fatto quello che faremmo tutti, ovvero abbassare la testa fino alle ginocchia e coprirsela con le braccia.
E la scorta fatto quello che farebbe qualsiasi scorta,avrebbero fatto scudo con il proprio corpo.
Ragazzi a mio avviso se cominciamo a disquisire se Moro era o non era li',perdiamo di vista il vero obiettivo che e' quello di mettere in luce i veri protagonisti dell'affaire Moro e relegare ad utili idioti quelli che per anni si sono spacciati per autori ed esecutori.
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hai ragione, ma mi sembrava giusto rispondere percho trovo troppo affrettata questa conclusione:
è solo un ipotesi che non fosse li, non un'evidenza.
Ma la cosa da considerare e' che se un gruppo di assalitori vuole fare un rapimento di un ostaggio VIVO E ILLESO, userebbe armi di precisione a singolo colpo, agendo di precisione in un paio di secondi.
Se invece il gruppo si presenta con armi automatiche allora va per fare una strage e basta, e questo scenario e' incompatibile con l'ipotesi di rapire un ostaggio vivo.
Su questo non credo ci possano essere dubbi.
Di cui era stato uno dei fondatori,non della scorta,di gladio.
IN RED WE TRUST
Quello di cui sono sicuro e' che BR=SSA (servizi segreti atlantici, tra cui anche quello italiano), quindi anche senza sapere nomi e cognomi ho capito da che ambienti questo fatto ha origine.
Se poi qualcun altro vuole credere alla versione ufficiale, padronissimi.
Quello che hai capito tu lo abbiamo capito tutti,l'importante e' insistere,delle versioni ufficiali ne abbiamo fatto carta straccia, sappiamo ora del coinvolgimento di servizi italiani ed esteri "amici" e "nemici" nonche' di criminalita' organizzata e formazioni clandestine di destra e sinistra,tutti interessati a che l'accordo Moro-Berlinguer non vedesse mai la luce.
A me personalmente per il momento interessa meno capire se Moro era o non era in via fani,per il risultato che ha avuto la vicenda cambia poco,tanto anche se fosse vero l'obbiettivo lo hanno raggiunto lo stesso,le ripercussioni le stiamo vivendo tutt'ora, a me interessa sapere con chi ho a che fare,sapere quando decidono della nostra vita cosa hanno deciso,perche' sono convinto che una persona che sa' e vuole sapere da' sempre fastidio ,quindi se l'ipotesi di Moro assente in via fani diverra' realta' ben venga,sara' un altro tassello aggiunto al puzzle.
IN RED WE TRUST
1 - Flamigni Sergio, La tela del ragno, Kaos Edizioni.
2 - Estratto dall'intervista di Rita di Giovacchino all'ex senatore dei DS Giovanni Pellegrino, presidente per due legislature consecutive della Commissione Parlamentare d'Inchiesta sulle Stragi e sul Terrorismo: "Alcuni testimoni che abbiamo ascoltato [in Commissione], Corrado Guerzoni [stretto collaboratore di Moro] ad esempio, si sono detti convinti che il sequestro Moro sia stato un sequestro in appalto, voluta dalla CIA perché Kissinger osteggiava fortemente il presidente DC. Ed è questa una linea ampiamente condivisa in alcuni ambienti del mondo cattolico. Che Moro fosse inviso a una parte dell'amministrazione americana e ad ambienti dell'oltranzismo atlantico è fuori di dubbio. Era odiato per la sua politica filoaraba e di apertura al PCI: anche questa non è una novità. Dico più per la politica filoaraba che per il compromesso storico; non a caso l'ammiraglio Fulvio Martini ci ha assicurato che l'ingresso del PCI nel governo italiano veniva si vissuto, in ambito NATO, come un problema, ma poteva essere sufficiente a risolverlo una riforma della Presidenza del Consiglio. I risultati della nostra indagine, nonostante alcuni interessanti sviluppi, non hanno però portato elementi che possano farci dire con certezza che fu la CIA a organizzare il sequestro o a volere Moro morto. Resto convinto che le Brigate Rosse siano state un fenomeno autenticamente italiano, anche se è possibile - anzi mi stupirei del contrario - che durante il sequestro i servizi americani, quelli NATO come anche il KGB si siano messi in contatto con i brigatisti direttamente o attraverso intermediari. Anche nei primi anni Settanta il Mossad contattò le Brigate Rosse, attraverso un esponente socialista milanese: a quanto ci ha raccontato l'ex capo BR Alberto Franceschini il servizio segreto israeliano offrì appoggi senza alcuna contropartita affermando: «A noi basta che esistiate»; perché ciò che al Mossad interessava, a detta di Franceschini, sarebbe stato il permanere in Italia di una situazione di instabilità, che agli occhi dell'alleato americano avrebbe esaltato l'importanza strategica di Israele nello scacchiere Mediterraneo".
3 - Op, 2 maggio 1978.
4 - Giulio Andreotti, Diari 1976 - 1979. Gli anni della solidarietà, Rizzoli.
5 - Quantomeno curioso, come fa giustamente notare il libro-inchiesta "Doveva Morire" (scritto a quattro mani dallo stesso Imposimato e dal giornalista Sandro Provvisionato), il fatto che "solo un anno prima [...] deponendo davanti alla Commissione Moro, Morucci aveva sostenuto che il commando era composto da «poco più di dodici [persone]»".
6 - Ascoltato in Commissione stragi il 9 marzo 1995, il magistrato Antonio Marini svilupperà la seguente analisi sul suddetto personaggio: "Vi è poi un aspetto molto delicato, che riguarda il procedimento contro Antonio Nirta [boss della 'Ndrangheta che secondo il collaboratore di giustizia Saverio Morabito era presente in via Fani al momento dell'agguato] e che si riferisce ad Alessio Casimirri. Dobbiamo decidere tra due versioni acquisite al processo. Secondo la prima, Antonio Nirta era confidente di un certo capitano dei carabinieri [il controverso Francesco Delfino] che operava nel campo dei sequestri di persona. Nirta avrebbe fatto fare una serie di operazioni a questo ex capitano dei carabinieri. Poi si dice che Antonio Nirta sarebbe stato messo in via Fani per partecipare al sequestro Moro [...]. Secondo un'altra ipotesi, Nirta avrebbe fatto compiere azioni all'ex capitano dei carabinieri che, a sua volta, si sarebbe accorto che [un] uomo fermato non era un comune sequestratore di persona ma addirittura un terrorista che si identificava in Alessio Casimirri e, resosi conto che si trattava di un brigatista, riuscì a sapere che stava organizzando non un comune sequestro ma il sequestro del presidente della Dc Aldo Moro, e allora lo passò al Sismi. [A Casimirri] il Sismi gli avrebbe fatto fare l'operazione, lo avrebbe avuto come infiltrato, avrebbe saputo tutto quel che voleva sapere su via Fani e sulla prigione di Moro, e poi lo avrebbe fatto fuggire all'estero". Sarà un caso ma Alessio Casimirri (figlio di un alto funzionario della Santa Sede), rimane ad oggi, tra i brigatisti individuati, l'unico membro del commando ad essere sempre riuscito a sottrarsi al cattura, e quindi al carcere.
Dal libro "Sequestro di verità": "Rifugiatosi a Parigi dopo la strage di via Fani, Casimirri venne poi arrestato dalla polizia francese, ma grazie all'aiuto dei servizi segreti italiani riuscì a raggiungere il Nicaragua utilizzando un falso passaporto [...]. A Managua si guadagnò la protezione di Aviterni Tomas Borge (il ministro dell'Interno del governo sandinista), e aprì un ristorante, "Magica Roma", in società con Manlio Grillo. La coppia Casimirri-Grillo si inserì nel giro locale dei servizi segreti [...]. Nel 1988 Casimirri ottenne la cittadinanza nicaraguense, revocatagli nel 1993 da una prima sentenza. Nell'estate del 1993 due agenti del Sisde, Mario Fabbri e Carlo Parolisi [suo ex compagno di scuola], incontrarono Casimirri, per circa una settimana, a Managua. Il 30 marzo 1994 gli agenti del Sisde Fabbri e Parolisi furono interrogati dal sostituto procuratore Franco Ionta [...] ma non fu possibile chiarire quale fosse stato il vero scopo della loro missione a Managua. Nel 1996 Casimirri venne indicato da una parte della stampa nicaraguense [...] come un fomentatore di disordini, alla vigilia della visita in Nicaragua del pontefice Giovanni Paolo II; Casimirri replicò con una minacciosa intervista a Nuevo Diario [...] e a Barricada, dichiarando: «Sono perseguitato. Se la mia situazione peggiora, aprite l'ombrello: dirò tutto. Tutto su chi manovra nell'ombra le prossime elezioni in Nicaragua. Tutto sugli appoggi dei quali ho sempre goduto in Italia»".
7 - Dal saggio di Sergio Flamigni "La tela del ragno": "La presenza in via Fani, durante l'attentato, di due individui armati i quali, appena sterminata la scorta e catturato l'ostaggio, fuggirono a bordo di una moto Honda seguendo le auto dei brigatisti, è una certezza processuale. La Honda venne vista dal testimone Luca Moschini prima della sparatoria vicina a due individui in divisa da avieri (e indossavano la divisa da avieri almeno quattro dei terroristi); venne vista da un secondo testimone, l'ingegner Alessandro Marini, al momento del sequestro: uno dei due motociclisti sparò proprio in direzione del Marini (infatti i brigatisti verranno condannati all'ergastolo per la strage e il delitto Moro, e per il tentato omicidio di Marini). Un terzo testimone, Giovanni Intervado, vide la Honda al momento della fuga del commando, e notò il caricatore di un mitra spuntare da sotto l'ascella di uno dei due motociclisti. [...]. Una moto Honda era stata notata, due-tre giorni prima della strage, parcheggiata in via Savoia, nei pressi dello studio privato dell'on. Moro, vicina a un «furgone colore avana chiaro... fermo in posizione favorevole per osservare l'ingresso dello stabile, ove è ubicato lo studio». L'uso dell'autofurgone, dotato di sofisticate attrezzatura spionistiche, rientra nel modus operandi dei servizi segreti".
Forse sarà solo un caso, ma il testimone Mario Lillo (nel febbraio del 1979) riferirà di aver osservato un particolare di notevole interesse: un rialzamento di circa 25 cm sulla parte superiore del detto furgone. Poteva quel rialzamento nascondere un'apparecchiatura dedita allo spionaggio ?
In occasione del ventennale del sequestro, il legale di parte civile per la DC Giuseppe De Gori, scrisse un libro di mancata pubblicazione: il testo fu consegnato alla magistratura e ai carabinieri del Ros. Nel manoscritto si afferma che i due uomini in sella alla moto Honda in via Fani erano in realtà due agenti del Mossad: "Il Mossad tentò, senza riuscirci, di usare le BR. Ebbe un colloquio con Renato Curcio e Mara Cagol, inviando loro un colonnello e un maggiore; i due si presentarono rispettivamente come avvocato e come rappresentante della comunità milanese. Da quel momento il Mossad non mollò più le BR, le controllò ventiquattro ore su ventiquattro. Seppe di via Fani, dove fu presente con due uomini su una Honda, e vide tutto. Conosceva la prigione, non disse nulla al governo italiano, né rapportò alcunché al governo degli Stati Uniti, né alla Cia, con la quale normalmente collaborava".
il gruppo di assalitori vuole per prima cosa rimanere vivo. Se poi l'ostaggio si dovesse ferire, poco male. Ma comunque non l'avrebbero ucciso, perchè da quella distanza è impossibile sbagliare bersaglio e sparare sui sedili posteriori
[Moretti:]Non esageriamo con la precisione. La nostra decantata capacità e precisione militare è stata sempre approssimativa.
Non si direbbe. Siete riusciti a uccidere i cinque uomini della scorta, lasciando Moro indenne e senza colpirvi fra di voi.
[Moretti:]Ma no, non confondiamo capacità organizzativa e capacità tecnico-militare della guerriglia. Ti assicuro che i brigatisti non sono stati dei grandi guerrieri. Sono stati formidabili organizzatori politici, militanti comunisti capaci di un'autodisciplina che, allora non me ne rendevo conto, rasentava la follia: è questo che ci vuole per una lotta armata che duri nel tempo e abbia qualche possibilità di successo in una città supermilitarizzata. Invece il nostro addestramento militare avrebbe fatto ridere un caporale di qualsiasi esercito.
Avrete pur fatto delle esercitazioni a fuoco ?
[Moretti:]Si, ma in modo occasionale, sempre a ridosso delle azioni di combattimento, per il gruppo di compagni che dovevano parteciparvi. Per il sequestro Moro non facemmo nemmeno quelle, perché i compagni incaricati dell'azione vera e propria sarebbero venuti da diverse parti d'Italia; se mai ciascuno si è arrangiato ad addestrarsi per conto proprio, so che i compagni romani lo facevano in montagna, sull'Appennino, dalle parti del Terminillo. Naturalmente si scelgono luoghi isolati, sentieri di campagna, oppure cave abbandonate. Si è favoleggiato che le Br avessero un poligono di tiro: non lo abbiamo mai avuto. La verità è che per un addestramento vero e proprio occorre sparare molto, ma è sempre e dovunque più difficile procurarsi munizioni che armi. [...]. Ci siamo esercitati pochissimo, in una decina d'anni avrò sparato con il mitra non più di un paio di volte. Nelle Br non conosco tiratori scelti, tipo quelli dei film per intenderci".
9 - Dalla "Relazione di perizia tecnico-balistica-medico legale sull'eccidio della scorta dell'on. Moro" Merli-Ronchetti-Ugolini: "Se si vuole oggi [...] ricapitolare sul numero delle armi impiegate nella sparatoria, attraverso l'esame dei bossoli e dei proiettili [...], riconfermando quanto collegialmente concordato in sede della perizia conclusiva disposta dall'Ufficio istruzione del Tribunale di Roma (gi dr. Imposimato, incarico del 27-6-80), nell'esecuzione della strage della scorta dell'on. Moro, vennero utilizzate:
· pistola semiautomatica Beretta mod. 52 cal. 7.65 mm Parabellum;
· pistola semiautomatica Beretta mod. 92S cal 9x19 Parabellum (dai bossoli, la pistola dello Iozzino);
· pistola semiautomatica Smith & Wesson mod. 39-2 cal. 9x19 Parabellum (dai bossoli, quella sequestrata al Gallinari Prospero)
· pistola mitragliatrice Fna43 cal. 9x19 Parabellum;
· pistola mitragliatrice Fna43 cal. 9x19 Parabellum;
· pistola mitragliatrice Tz45 cal. 9x19 Parabellum;
· pistola mitragliatrice Beretta Mp12 cal. 9x19 Parabellum (dai bossoli, quella sequestrata a Falcone Piero);
· va aggiunta una ottava arma, identificata solo attraverso due proiettili, e cioè una pistola semiautomatica Beretta cal. 9x17 (9M34) mod. 3.
[Secondo il memoriale difensivo di Valerio Morucci, il brigatista in questione] avrebbe impugnato una pistola mitragliatrice Fna43, il Fiore una pistola mitragliatrice Beretta Mp12, il Gallinari una pistola mitragliatrice Tz45, e il Bonisoli un'altra Fna 43".
10 - Imposimato Ferdinando; Provvisionato Sandro, Doveva Morire, Chiarelettere.
11 - Commissione Moro, volume 41, pag. 493-94.
12 - Castronuovo Manlio, Vuoto a perdere, Besa.
13 - Fasanella Giovanni; Priore Rosario, Intrigo Internazionale, Chiarelettere.
14 - Ibidem.
15 - Sempre dal libro-intervista di Rossanda e Mosca all'ex leader BR:
"Ma che armi avevate [in via Fani], due mitra che si inceppano in pochi secondi ?
[Moretti:]Eh si. Mi ero augurato sempre di non dover affrontare uno scontro a fuoco, perché con il nostro addestramento e la nostra dotazione di armi, sarebbe successo un disastro. [...]. In via Fani avevamo soltanto due armi efficienti e moderne: un M12 che è anche in dotazione alle forze di polizia, lo usa Fiore, e la famosa mitraglietta Skorpion che, ovviamente, tiene Barbara [Balzerani]".
Peccato che per ammissione dello stesso Fiore, il suo efficientissimo mitra non sia riuscito ad esplodere nemmeno un colpo, e che la mitraglietta Skorpion, l'altra arma «efficiente e moderna», non sia stata neppure utilizzata nell'azione.
16 - Schleyer, presidente degli industriali tedeschi ed ex SS, venne rapito a Colonia da un commando della RAF il 5 settembre del 1977. Verrà giustiziato, sempre dalla RAF, il 18 ottobre successivo.
17 - Estratto dal libro-intervista del giornalista Giovanni Fasanella al giudice Rosario Priore:
"[Fasanella:]Lei ha detto che il sequestro Schleyer era un modello al quale le Br si ispirarono per l'operazione Moro. Quali modalità del primo ritroviamo nel secondo?
[Priore:]Diverse. Io ritengo che ci sia stata una vera e propria trasfusione di un sapere terroristico. Perché sicuramente le nostre Br fecero proprie le modalità dell'operazione Schleyer. Innanzitutto modalità militari, che concernevano l'agguato in sé [...]. E poi i brigatisti appresero dalla Raf anche, come dire, un «sapere» logistico relativo alla gestione di un ostaggio sequestrato, come la predisposizione di vere e proprie prigioni. [...].
[Fasanella:]Dunque, ammettiamo pure che dietro l'operazione Moro non ci fossero entità e intelligenze straniere. Ma possiamo dire con certezza almeno una cosa, cioè che nel sequestro Moro c'erano tutta l'esperienza e l'intelligenza del sequestro Schleyer?
[Priore:]Si, possiamo dirlo con sicurezza. Molti particolari - per esempio le modalità di trasferimento da una «prigione» all'altra e di interrogatorio dell'ostaggio, le somiglianze tra il covo di via Montalcini [la famigerata «prigione del popolo»] e quello di Colonia - confermano che ci fu un trasferimento di conoscenze e di esperienze dai tedeschi agli italiani".
18 - Flamigni Sergio, La tela del ragno, Kaos Edizioni.
19 - Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta
20 - Bianco Romano; Castronuovo Manlio, Via Fani ore 9.02, Nutrimenti.
21 - Ibidem.
22 - Estratto da un appunto del Sisde redatto dopo la morte del presidente DC.
23 - Scrive Imposimato nel libro-inchiesta "Doveva Morire": «Ansoino Andreassi [...] [investigatore della Digos, segnalò] fin dal 1978 [...] lo stretto legame esistente tra Elizabeth von Dick e le Brigate rosse: due documenti, trovati indosso alla von Dick al momento dello scontro mortale con la polizia tedesca [avvenuto il 4 maggio 1979 a Norimberga], facevano parte [...] dello stesso stock di documenti che erano stati trovati in via Gradoli [l'appartamento-covo che funzionò da quartier generale delle BR nella capitale] [...]. [...] empre Andreassi, segnala un altro dato molto importante: sul documento della von Dick c'era un timbro perfettamente identico a quello trovato nel covo di via Gradoli. Esisteva dunque uno strettissimo legame oggettivo tra la von Dick e Moretti, affittuario e da anni frequentatore di quell'appartamento. Andreassi, nel suo rapporto, non escludeva, che "Elizabeth von Dick [avesse] direttamente partecipato all'agguato di via Fani"».
24 - Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia.
25 - Flamigni Sergio, La tela del ragno, Kaos Edizioni.
26 - Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia.
27 - Flamigni Sergio, La tela del ragno, Kaos Edizioni.
28 - Imposimato Ferdinando; Provvisionato Sandro, Doveva Morire, Chiarelettere.
Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi – XI Legislatura. Relazione sugli sviluppi del caso Moro, 28 febbraio 1994.
30 - Dal libro di Stefano Grassi "Il caso Aldo Moro. Un dizionario italiano": "Ex combattente della legione straniera, legato alla criminalità organizzata [calabrese] e a esponenti dell'ultrasinistra. Evaso dal carcere poco prima dell'operazione Moro, dopo aver subito una condanna per il sequestro e l'omicidio del militante di Potere operaio Carlo Saronio, compiuto da un gruppo misto di malviventi [...] e da militanti milanesi di Potere operaio [...]. Il suo nome e la fotografia compaiono nel volantone dei 20 brigatisti ricercati, diffuso subito dopo la strage di via Fani".
Il 15 gennaio 1981 il giudice istruttore Ernesto Cudillo ne ordinerà il proscioglimento per non aver commesso il fatto. De Vuono se la caverà grazie alla buona parola del SISMI, secondo il quale, al tempo del sequestro Moro, l'ex legionario si trovava all'estero.
31 - Scrive sempre il solito Imposimato nel libro-inchiesta "Doveva Morire": «Il sospetto che mi è sempre rimasto è che la Monhaupt [esponente di spicco della RAF dal 1977 al 1982] e [Sieglinde] Hoffman [coinvolta anche lei nel rapimento di Hans Martin Schleyer], in contatto con il capo brigatista [Moretti] prima dell'operazione Moro molto probabilmente fossero a Milano nei giorni precedenti il sequestro, perché erano coinvolte, quantomeno, nella stessa organizzazione del sequestro. E, in questa luce, appare credibile la nota del Sisde avente come oggetto "Il caso Moro e i collegamenti internazionali del terrorismo", la quale, riportando una notizia dello storico americano Katz, riferiva che la Monhaupt avrebbe partecipato a un vertice brigatista avvenuto a Milano nel corso del quale sarebbe stata decisa la condanna a morte di Moro. C'era poi Rolf Clemens Wagner, anche lui della Raf e, come abbiamo visto, anche lui arrestato a Zagabria due giorni dopo l'assassino di Moro. Secondo il pubblico ministero tedesco Klaus Pfliger, pubblica accusa nel processo Schleyer, Wagner era stato l'esecutore materiale dell'omicidio del presidente della Confindustria tedesca. Ma c'è di più [...] Wagner Rolf Clemens era stato a Roma in un periodo cruciale dell'operazione Moro. Con il terrorista Heiszler Rolf [...] nel febbraio del 1972, aveva allogiato, dal 30 dicembre 1977 al 1° gennaio 1978 all'Hotel Pace Elvezia di Roma [...]. Anche questa presenza a Roma non era stata casuale. Con elevata probabilità, assieme alla Monhaupt, era stato uno degli strateghi della operazione militare di via Fani».
32 - Fasanella Giovanni; Priore Rosario, Intrigo Internazionale, Chiarelettere.
33 - Imposimato Ferdinando; Provvisionato Sandro, Doveva Morire, Chiarelettere.
34 - Bianco Romano; Castronuovo Manlio, Via Fani ore 9.02, Nutrimenti.
35 - Imposimato Ferdinando, La Repubblica delle stragi impunite, Newton Compton Editori.
36 - Non bisogna dimenticare infatti che l'appartamento-covo di via Montalcini era situato proprio nel quartiere della Magliana. Sempre dal libro di Stefano Grassi "Il caso Aldo Moro. Un dizionario italiano": "Nel quartiere [la Magliana], controllato in modo capillare da questo particolare tipo di malavita collegato a settori deviati dei servizi segreti e all’eversione nera, è situata la prigione del popolo di via Montalcini. Nelle immediate vicinanze di via Montalcini abitano numerosi esponenti della banda: in via Fuggetta 59 (a 120 passi da via Montalcini) Danilo Abbruciati, Amleto Fabiani, Antonio Mancini; in via Luparelli 82 (a 230 passi dalla prigione del popolo) Danilo Sbarra e Francesco Picciotto (uomo del boss [di Cosa Nostra] Pippo Calò); in via Vigna due Torri 135 (a 150 passi) Ernesto Diotallevi [un altro subordinato di Calò], segretario del finanziere piduista Carboni; infine in via Montalcini 1 c'è villa Bonelli, appartenente a Danilo Sbarra".
Di fronte ad uno scenario del genere ci si può legittimamente chiedere se le BR, a loro volta, fossero anch'esse prigioniere. Curiosa, in tal senso, una citazione presa da un racconto del professor Enrico Fenzi (morettiano doc) fatta a Giorgio Bocca per il libro "Noi terroristi"; Fenzi sta raccontando al giornalista gli avvenimenti che hanno portato alla rottura tra la "Walter Alasia", colonna milanese dell'organizzazione, e il resto gruppo: "I milanesi rimproveravano Moretti di essersi legato alla «mafia romana»".
37 - Bianco Romano; Castronuovo Manlio, Via Fani ore 9.02, Nutrimenti.
38 - Flamigni Sergio, La tela del ragno, Kaos Edizioni.
39 - E' importante ricordare che all'interno della 7a Divisione del SISMI (incaricata di gestire la rete stay behind italiana), operavano gli OSSI, Operatori Speciali dei Servizi Italiani, conosciuti anche come sezione K: struttura segreta e rigidamente compartimentata che aveva una forte autonomia operativa e gestionale, composta da agenti specializzati nelle operazioni di guerra non ortodossa. Gli OSSI si raggruppavano in nuclei di quattro persone chiamati Gos (Gruppi operazioni speciali), costituiti da uno specialista explos-sabotaggio e da uno armi e tiro, con il compito di condurre sia azioni "dirette" ("condotte direttamente contro il nemico e il suo potenziale bellico con scopi informativi, di sabotaggio, di disturbo") che "indirette" ("attività di promozione e organizzazione della resistenza, supporto a unità della resistenza"). Il reclutamento degli operatori avveniva mediante la selezione di personale di leva delle forze armate. La sezione K salirà alla ribalta delle cronache quando verrà dichiarata dalla seconda Corte d’Assise di Roma (nel 1997), eversiva dell’ordine costituzionale, in quanto reparto militare che operava al di fuori dell’ambito delle Forze armate che, com'è noto, dipendono dal Capo dello Stato.
40 - Castronuovo Manlio, Vuoto a perdere, Besa.
41 - Flamigni Sergio, La tela del ragno, Kaos Edizioni.
42 - Grassi Stefano, Il caso Aldo Moro. Un dizionario italiano, Mondadori.
43 - D’Adamo Carlo, Chi ha ammazzato l’agente Iozzino?, Pendragon.
Dal libro "Terrore Rosso": Pietro Calogero [attualmente Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Venezia] - Approfondendo le indagini sulle origini di Potere Operaio e Autonomia, avevo scoperto contatti tra alcuni esponenti di queste organizzazioni e un gruppo di persone che nel 1969-70 avevano militato nel Collettivo Politico Metropolitano. Nel 1970 il Collettivo si scisse per divergenze sulle modalità di attuazione del processo rivoluzionario: Renato Curcio, Mario Moretti e Alberto Franceschini fondarono le Brigate Rosse, gli altri esponenti del Collettivo, Corrado Simioni, Duccio Berio [autodichiaratosi confidente del SID] e Vanni Mulinaris, sparirono. Cercai qualche informazione su queste figure di primo piano che non erano entrate a far parte delle Br, sospettando che non avessero abbandonato l'idea della lotta armata ma che avessero scelto una strada diversa. Mi trovai però di fronte al buio più completo [...]. La svolta avvenne con un colpo di fortuna. In una conversazione casuale con una conoscente mi giunse una traccia: Vanni Mulinaris era a Parigi e aveva un impiego presso la scuola di lingue Hyperion [...]. Partendo da quella esile traccia diedi incarico [...] [al] commissario Luigi De Sena [...] di indagare su Hyperion [...]. Riuscii ad ottenere che De Sena venisse accreditato presso i Renseignements generaux, l'omologo francese dell'Ucigos [ex Ufficio affari riservati], il dipartimento che già negli anni Settanta si occupava delle operazioni di polizia di prevenzione. Dalle intercettazioni telefoniche sull'utenza di Hyperion emerse che la scuola di lingue aveva anche un'altra sede, in una villa alla periferia di Rouen, in Normandia. Però quando De Sena e gli uomini dei Renseignements generaux tentarono di intercettare anche quell'utenza, si trovarono davanti a una cortina di ferro. I telefoni non erano intercettabili, e un triplice anello concentrico di sensori molto sofisticati rendeva impossibile l'avvicinamento alla villa per effettuare intercettazioni ambientali. Era chiaro che Hyperion era la struttura superprotetta di un servizio di informazioni di carattere internazionale, con compiti di supervisione e di controllo su gruppi che praticavano la lotta armata.
Silvia Giralucci - Intende dire la Cia?
P.C. - Verosimilmente. [...] [P]er poter poter proseguire le indagini, era necessario chiedere l'autorizzazione del ministero dell'Interno francese, che era all'oscuro dell'esistenza di quella struttura segreta. L'autorizzazione arrivò, e la sede parigina riservò altre sorprese. Le intercettazioni telefoniche permisero di individuare una terza sede di Hyperion a Bruxelles. Una missione di De Sena con i colleghi francesi in Belgio - dove ebbero la collaborazione dei servizi segreti - portò a individuare l'esistenza di una quarta scuola di lingue Hyperion, a Londra. Mandai De Sena, assieme al commissario Ansoino Andreassi [...] a indagare nella capitale britannica [...]. Chiesero aiuto ai colleghi di Scotland Yard, a cui comunicarono acquisizioni e ipotesi investigative. Erano appena passati due giorni dal loro arrivo [...] quando [...] De Sena mi chiamò molto agitato dall'albergo: rientrando aveva trovato la stanza completamente a soqquadro [...]. Non c'erano dubbi sul fatto che si fosse trattato di un avvertimento dell'ufficio di polizia londinese, che evidentemente non intendeva collaborare. Dissi a De Sena che il rischio era troppo alto ed abbandonammo il troncone britannico dell'indagine. [...] Appena poche settimane dopo una fuga di notizie, probabilmente orchestrata dai servizi segreti italiani, portò alla fine delle indagini su Hyperion. [...] Il 24 Aprile 1979 il Corriere della Sera pubblicò un dettagliato articolo [...] dal titolo "Secondo i servizi segreti era a Parigi il quartier generale delle Brigate Rosse". [...] Di molto sospetto c'è ancora da ricordare che in viale Angelico e in via Nicotera a Roma furono aperte, durante i 55 giorni del sequestro Moro, due sedi della stessa scuola di lingue, dove alloggiavano due noti esponenti di essa: [l'enigmatico] Corrado Simioni nella prima e Duccio Berio nella seconda. Ma questa è una scoperta che i miei colleghi fecero più tardi.
45 - Moro Alfredo C., Storia di un delitto annunciato, Editori Riuniti
#Mazzuccopelandrino
Cazzo che entrata!!Scommetto che non ci hai dormito stanotte
IN RED WE TRUST
Io non ho mai detto di credere alla versione ufficiale, ma ho obbiettato la TUA assoluta certezza in merito al fatto che Moro non fosse li:
con la mia risposta:
Evidentemente non sei in grado di sostenere le tue presunte certezze.
Se lo sei dovresti sapere come funzionano le armi automatiche, che TREMANO MENTRE SPARANO.
Se tu pensi che sia un ottimo piano quello di cercare di catturare un ostaggio vivo sparando 100 colpi con armi automatiche in tutte le direzioni allora tieniti la tua convinzione che io con te non ci perdo piu' tempo.
tu continui a ragionare come se fosse una gara di tiro al bersaglio da 100 metri
certo, sparando alla do cojo cojo, come no!
no, sono semplicemente consapevole che da quella distanza si può colpire un bersaglio immobile anche bendati.
Gladio aveva il preciso scopo di contrastare il comunismo, con tutti i mezzi.
Sopra a tutto stava e sta ancora Gladio, figlia della Cia.
Non a caso ora il Trump ha a destra la Gina Tortura e a sinistra Pompeo spia e manetta.
Moro strizzava troppo l'occhio a Berlinguer e tacchete!....
E cmq Moro non era un santo, nessuno di questa gente, i politici, compreso Berlinguer, lo è o lo era.
Comunque sia, questa è l'arma che ha sparato alla scorta nell'auto di Moro:
FNAB-43:Era un'arma ben fatta, precisa ed efficace. La caratteristica di sparare a otturatore chiuso e la cadenza, piuttosto lenta, del tiro a raffica la rendevano particolarmente stabile e ben controllabile.
it.wikipedia.org/wiki/FNAB-43
chi l'ha scelta per lo scopo non è un cretino.
Se realmente e' stata usata per l'agguato in via fani (FNAB-43), il messaggio fu forte e chiaro...un'arma che venne impiegata sia dal fascismo che dalla resistenza antifascista,nato e patto di varsavia...di nuovo le convergenze parallele usate contro Moro che le aveva create, non c'e' che dire la legge del contrappasso colpirebbe ancora una volta.
P.S. Ribadisco che sono le mie opinioni,non sparate sul pianista e non usate il fnab-43
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Visto giorni fa...
Curioso (ma non troppo) che per conoscere molti dei segreti del nostro paese ci sia bisogno di leggere i segreti di stato esteri desegretati. Non siamo mai stati uno stato libero. Solo una colonia subordinata ad altri paesi e che ora evidentemente può essere impunemente distrutta se necessario.
Fasanella in una presentazione del libro..Colonia Italia,ha dichiarato che molti documenti ancora classificati,quelli per intenderci con le strisce nere che coprono parti dei fogli,potrebbero essere declassificati su richiesta esplicita del governo italiano,allora Fasanella e' andato da chi di dovere a chiedere detta autorizzazione alla desecretazione,gli e' stato risposto....non abbiamo i fondi necessari,alla sua replica...vado a mie spese gli e' stato ribadito...non abbiamo tempo!!!
IN RED WE TRUST
Lo so...
Ma considera che da noi i documenti di stato riguardanti "il risorgimento" (altrimenti detta: invasione e distruzione del regno delle due sicilie) è segreto di stato ancora dopo 157 anni. Chissà cosa si troverebbe scritto su quelle carte per essere impossibile leggerle...
E poi è noto che gli italiani abbiano poca memoria storica e poco interesse per la memoria.
Moro è stato uno dei pochi che ha lavorato veramente per noi ed ha fatto la fine di tutti quelli (pochi) che non ci hanno tradito... è stato assassinato e tolto di mezzo.
- le divise da aviere servissero ai partecipanti (che non si conoscevano) per riconoscersi, e quindi non spararsi addosso;
- l'arma che spara da sola i 49 colpi, sarebbe stata utilizzata dal sicario "vero" , cioè l'unico che avesse un minimo di capacità di tiro;
- le altre armi fossero state manomesse per farle inceppare, onde evitare casini.
Una delle cose che stupisce è che nelle foto delle auto non vi è traccia del supposto tamponamento fra la Fiat 130 su cui viaggiava Moro e la prima auto, quella che doveva bloccarla.
- Assurdo che non si sia indagato sugli astanti presenti al "Bar Olivetti"
www.cronacaedossier.it/.../
corriere.it/.../...
Intanto se posso permettermi...
www.lafeltrinelli.it/.../9788820060602
lafeltrinelli.it/.../...
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da me sicuramente no, ci mancherebbe, ogni opinione è lecita
ma chi dice che è un' EVIDENZA che Moro non fosse li quel giorno, non si limita a dare un'opinione, giusta o sbagliata che sia, ma pretende di dettare una verità che nessuno fin'ora è riuscito a dimostrare.
Oltretutto non ho neanche negato questa possibilità, ma ho solo fatto notare che non è impossibile che Moro fosse li, quindi non capisco l'astio di alcuni utenti nei miei confronti. Ma tanto non me ne frega niente.
Questo non l'ho letto. Grazie
"in realtà una seconda perizia, Salza e Benedetti negli anni novanta, non confermò queste conclusioni e non fu in grado di attribuire tutti i 49 colpi allo stesso FNAB-43; è possibile, come affermato da Valerio Morucci, che essi appartenessero a entrambi i mitra di questo tipo in possesso dei brigatisti[158]. Peraltro anche i periti del 1978 stabilirono che del mitra FNAB-43 che avrebbe sparato 49 colpi furono ritrovati solo 19 proiettili di cui appena 7 sul corpo dell'agente Iozzino e 4 all'interno dell'Alfetta, quindi 30 sarebbero andati fuori bersaglio, mentre del secondo FNAB-43 furono recuperati 15 proiettili di cui 4 sul corpo del maresciallo Leonardi e 8 all'interno della Fiat 130. In conclusione dalle percentuali di colpi a segno e dal numero di proiettili sparati non sembra che si possa evincere con certezza una particolare abilità e specializzazione tecnica degli aggressori: è possibile inoltre che i 49 colpi attribuiti presuntivamente a un solo mitra, peraltro finiti in maggioranza fuori bersaglio, in realtà fossero da suddividere tra i due FNAB-43 a disposizione del gruppo e impiegati da Valerio Morucci contro la Fiat 130 e da Franco Bonisoli contro l'Alfetta"
it.wikipedia.org/wiki/Agguato_di_via_Fani
io NON LO SO se Moro era presente, so SOLO che NON è IMPOSSIBILE che fosse li.
Questo che tu citi è un indizio, ma non è una prova che non fosse li.
Io sono aperto a tutte le ipotesi, anche quella che i brigatisti fossero stati addestrati da qualche intelligence che, una volta terminata la loro missione, gli avrebbe cancellato i ricordi dell'addestramento. Non sarebbe la prima volta che dei fessi vengono addestrati da qualche agenzia segreta.
L'URSS coinvolta nella vicenda Moro? Ma da dove ti viene questa idea? A me pare assurda e senza alcuna prova. Inoltre CIA e Mossad avrebbero dovuto lavorare con il KGB. Non ci credo
Non potrei dir di meglio che in #22 OrtVonAllen...poi approfondendo...
Dal 1981, tra i 150 e i 200 brigatisti italiani sono rifugiati a Parigi. Una quarantina di loro beneficiano di un permesso di soggiorno, gli altri vivono in uno stato di non-diritto, tollerati...
insorgenze.net/.../...
"Tra gli Studenti un agente del KGB che si informava sulla scorta del Presidente"
A seguito delle notizie portate a conoscenza dell’opinione pubblica relative a un dossier dei Servizi di sicurezza dell’Unione Sovietica contenente, tra l’altro, un elenco di nominativi di persone legate al suddetto Servizio di sicurezza, ritengo doveroso riferire alcuni fatti e circostanze verificatisi nel 1978, anno in cui fu rapito e ucciso l’onorevole professor Aldo Moro. Come lei sa, il sottoscritto ebbe l’onore di essere stato prima allievo e poi assistente universitario ed amico personale del professor Moro. Per detta circostanza intratteneva con lui rapporti quotidiani e quanto qui riferisco ebbe a verificarsi nel periodo immediatamente precedente al rapimento e nei giorni seguenti. Era consuetudine del professor Moro intrattenersi con alcuni studenti, spesso per oltre un’ora dopo la lezione, nei corridoi della facoltà di scienze politiche dove insegnava istituzioni di diritto e procedura penale. Io ero solitamente presente sia alle lezioni che ai colloqui che il professore intratteneva con i suoi allievi. Tra gennaio e febbraio del 1978" – è da notare che in questo periodo parte la realizzazione, la messa in cantiere del progetto del sequestro di Moro – "in una delle suddette circostanze, mentre ero a colloquio con il professore un giovane" –– "si è avvicinato al professor Moro domandandogli in italiano corretto ma con accento evidentemente straniero ‘Lei è l’onorevole Moro?’. A seguito della risposta affermativa il giovane si intrattenne per svariati minuti discorrendo sempre in italiano sia con il professore che con me, informandoci che proveniva da Mosca ed era in Italia per aver vinto una borsa di studio; con tutta probabilità la disciplina afferente alla borsa di studio era storia del Risorgimento. Come solitamente accadeva per la sua particolare dedizione ed attenzione al mondo giovanile, l’onorevole Moro rivolse alcune domande al giovane al fine di conoscerne le attitudini, le aspirazioni e, nondimeno, per cogliere gli aspetti umani e caratteriali della sua personalità. Tra le prime domande che il professor Moro rivolse al giovane ve ne fu una che, ad avviso del sottoscritto, rivestiva particolare significato in quel contesto: ‘Tu hai già fatto il servizio militare?’. La risposta fu affermativa. ‘A che età?’. Il colloquio proseguì e l’onorevole Moro disse al giovane che lo avremmo invitato alle conferenze che eravamo soliti organizzare al di fuori dell’Università. Si trattava di cicli di conferenze sui temi più attuali dell’epoca, organizzate dal sottoscritto che dirigeva un centro culturale sorto per desiderio del professor Moro. Dopo che il giovane ebbe a congedarsi lasciando un recapito dove avremmo potuto inviare gli eventuali inviti alle conferenze rimasi a colloquio ancora per alcuni minuti con il professore, mostrando un certo stupore per la circostanza verificatasi, dovuto soprattutto alla considerazione che in quell’epoca non era facile incontrare studenti dell’Unione Sovietica nei corridoi della nostra Università. In tal contesto ebbi a rivolgere al professor Moro una domanda: "Non possiamo fare qualche cosa per avere informazioni su questo giovane? Non potremmo avere notizie tramite ambasciata?". Il professor Moro risposte testualmente: "Anche se volessimo lì sono tutte spie; se lui ti pone qualche domanda cerca di essere vago e generico". Peraltro, non mancai di far presente al professore il mio stupore relativamente al fatto che il giovane parlasse così bene la lingua italiana e la risposta di Moro fu: "di solito usano le cuffie; li tengono lì per molte ore e alla fine o impazziscono o imparano bene la lingua". Nei giorni successivi il giovane tornò a salutare l’onorevole Moro, cosa che accadde più volte. In una di quelle occasioni, rivolgendosi a me, ebbe a chiedermi inopinatamente se il sottoscritto era solito viaggiare in auto con l’onorevole Moro. La risposta fu ovviamente evasiva. Altrettanto strano apparve la domanda che il giovane rivolse ad altre persone nel corso di una conferenza tenutasi nel mese di febbraio o probabilmente agli inizi del mese di marzo 1978 in Roma alla quale il giovane era stato invitato. Al tavolo della Presidenza sedevano il professor Moro, l’onorevole Carlo Russo ed io stesso. Da quella posizione mi fu facile riconoscere il giovane borsista tra le prime file mentre chiacchierava con le persone che gli erano accanto. Fu proprio ad una di queste persone che fu rivolta la domanda: "Chi sono quei signori?" Si trattava degli uomini addetti alla sicurezza dell’onorevole Moro. Qualche giorno prima del rapimento l’onorevole Moro era riuscito ad ottenere alcuni inviti per i suoi allievi per assistere al discorso programmatico in occasione della presentazione del nuovo Governo alle Camere. Incontrando il giovane borsista disse che avrebbe cercato di ottenere l’invito anche per lui, sebbene il numero dei suddetti inviti fosse limitato a causa delle particolare occasione. Il giorno 15 marzo 1978, giorno prima del rapimento, il professor Moro mi disse che era riuscito a trovare il suddetto invito anche per "Sergio". Così l’onorevole Moro chiamava il giovane che aveva detto di chiamarsi Sergey Sokolov. Poiché il suddetto giovane non si era visto nel corridoio della facoltà quella mattina ci rivolgemmo al maresciallo responsabile della P.S. all’Università, che solitamente veniva a salutare l’onorevole Moro ed il maresciallo Leonardi, per sapere se aveva avuto occasione di incontrare il giovane e se poteva rintracciarlo. Dopo alcuni minuti, il maresciallo giunse in compagnia di Sergio che probabilmente era in qualche aula e il professor Moro ebbe a dire testualmente: "Hai visto? Ti abbiamo rintracciato tramite la polizia. Volevo dirti che sono riuscito ad ottenere l’invito alla Camera anche per te. Vai a ritirarlo presso il mio studio in via Savoia". Ciò detto si congedò dal giovane. Accompagnai alla vettura il professor Moro, il quale durante il tragitto ebbe a riferirmi la seguente frase: "Caro Franco – è il nome di battesimo del professor Tritto – vedrai che quest’anno avremo molta più violenza dello scorso anno" ed io in risposta: "Speriamo di no, Presidente". Ci congedammo; fu il mio ultimo incontro con il professor Moro. Il giovane sovietico, a quanto risulta, non si è mai recato in via Savoia per ritirare l’invito né è stato visto all’università nei giorni successivi al rapimento dell’onorevole Moro. Il giorno 16 marzo 1978, immediatamente dopo il sequestro dell’onorevole Moro nelle prime ore pomeridiane, insieme ad altri amici ed allievi dell’onorevole Moro, mi recai al Ministero dell’interno, presso l’ufficio del sottosegretario all’epoca, onorevole Nicola Lettieri, per raccontare quanto accaduto a proposito del giovane sovietico. L’onorevole Lettieri ci rassicurò, informandoci che della cosa avrebbe interessato una persona di sua fiducia. Dopo qualche giorno fui raggiunto telefonicamente da persona che si qualificò con un determinato nome e che disse di chiamare da parte del sottosegretario per chidermi un incontro. Concordammo di incontrarci presso la sede della Democrazia Cristiana in piazza del Gesù, cosa che avvenne di lì a poco. Nel corso dell’incontro questo dottore, persona compita e gentile, ebbe a comunicarmi che il suo nome in codice era il nome di battesimo con l’aggiunta di un "de". Esposi dettagliatamente quanto avvenuto all’università, dopodiché ci congedammo e questa persona ebbe a rassicurarmi che avrebbe effettuato le indagini del caso. Dopo alcuni giorni fui ricontattato dal suddetto ufficiale e nel corso di un nuovo incontro, sempre presso Piazza del Gesù, questo dottore mi comunicò che dalle indagini effettuate non era emerso nulla di particolare a carico del signor Sergey Sokolov, il quale risultava essere effettivamente un borsista dell’Unione Sovietica in Italia per motivi di studio. Ci congedammo con l’intesa che ci saremmo risentiti in caso di novità - segue l’indicazione del recapito telefonico di questo dottore che si incarica delle indagini, l’indicazione della sua vettura, della targa. Poi si passa all’altro capoverso - "fui ricontattato dal suddetto ufficiale il 7 aprile 1978, il giorno dopo aver ricevuto la prima telefonata delle Brigate rosse, con la quale mi si richiedeva – è sempre Tritto a parlare – a nome del Presidente Moro di recapitare una lettera alla signora Moro. L’incontro ebbe luogo questa volta presso il bar Canova, in piazza del Popolo, l’8 aprile 1978, intorno alle ore 11 o 12. Questo dottore mi chiese se avessi qualcosa di nuovo da comunicargli ed io risposti di non aver nulla da riferire, nel timore di interrompere il filo di speranza che mi sembrava si andasse edificando ai fini della salvezza del professor Moro. Nel pomeriggio dell’8 aprile 1978 fui ricontattato nuovamente dalle Brigate rosse che mi chiesero di andare a ritirare un altro messaggio del Presidente a piazza Augusto Imperatore. "Il Presidente ha deciso di abusare della sua cortesia" dissero così le Brigate rosse. Lì era giunta per prima la polizia che aveva intercettato la telefonata. Il giorno dopo una nuova telefonata delle Brigate rosse mi annunciava che non mi avrebbero potuto più utilizzare in quanto ero controllato dagli Interni".
foto:
upload.wikimedia.org/.../...
Roma, via Mario Fani, 16 marzo 1978. L'agguato di via Fani: i cadaveri dell'autista, l'appuntato Domenico Ricci (in primo piano), e dell'uomo della scorta, il maresciallo Oreste Leonardi (in secondo piano), all'interno della Fiat 130 del politico
it.wikipedia.org/.../...
in tutto erano 5 agenti di scorta: 2 a bordo della prima vettura (con Moro) e 3 in quella che la seguiva a distanza ravvicinata. Cosa ci sarebbe di anomalo in una scorta così composta?
questa è l'auto su cui viaggiava Moro nel vano posteriore:
i finestrini e le portiere posteriori sono rimasti intatti
Mancano entrambi i vetri dei finestrini laterali anteriori e quelli dei deflettori, andati in frantumi nell'agguato del 16 marzo 1978. Sulla fiancata destra sono visibili i fori di uscita dei proiettili che uccisero Domenico Ricci e Oreste Leonardi. www.panorama.it/.../#gallery-0=slide-4
per questi motivi continuo a ritenere che la tesi "è impossibile che Moro sia rimasto illeso" sia basata sul nulla.
Questo è quello che ci deve consegnare la storia. Non il numero delle pallottole.
La tragedia vera e' che anche tutto lo schieramento del patto atlantico europeo e quindi "amico"? Ha contribuito all'eliminazione di Moro e delle sue "convergenze parallele", facendo in modo che si arrivasse ad avere il ceto politico che abbiamo oggi, una schiera di pavidi senza attibuti,maschili o femminili che siano...eh gia', il collaborazionismo rende!
IN RED WE TRUST
sono d'accordo
#71 Vapensiero
beato te che da un foro sul parabrezza sei capace di capire come era posizionata l'auto e l'arma al momento dello sparo. Pensa che la prima perizia del '78 parlava di foro d'uscita: "andando a rileggere i rilievi della Polizia Scientifica dell’epoca, si scopre che, in base alle caratteristiche dell’impatto sul vetro – tieni presente che nella faccia di fuoriuscita i margini sono sempre slabbrati, in quella di entrata sono sempre più netti – si valutò, all’epoca, che il proiettile fosse penetrato dall’interno del parabrezza e uscito dalla faccia esterna. Insomma: in verso opposto a quello ipotizzato oggi."
www.lantidiplomatico.it/.../5496_22944
e con questo la chiudo qui.
L'aggettivo più corretto per questi "soggetti" è uno solo: TRADITORI!
E ogni tanto mi capita di invidiare le soluzioni di putin verso questi problemi.
www.lantidiplomatico.it/.../5496_22944
spero che nessuno abbia così poca intelligenza da non capire che, se si tratta di foro d'uscita, non è perchè l'autista di Moro abbia sparato al parabrezza, ma perchè il proiettile è entrato dal finestrino sinistro quando l'auto ha sterzato a destra.
Oltretutto è cosa nota che l'autista non ha avuto tempo per rispondere al fuoco.
Ma da chi non sa neanche quanti erano gli agenti nell'auto di Moro, e si da arie da grande esperto, non ci si può aspettare diversamente.
Metodo sovietico piu' economico
IN RED WE TRUST
- scorta non pronta con parte delle armi nel vano portaoggetti e baule
- Moro che non cita e/o scrive ai familiari della scorta e questo dopo che questi sono stati trucidati di fianco a lui, e poi finiti uno ad uno
- il fuoco incrociato e l’utilizzo di armi automatiche
Sù, dai facciamola finita ... “è possibile che lui fosse lì ... “, sì certo ...
Come è possibile che Moro si rimasto per 55 giorni nella prigione al buio della stanzetta quando lo rinvengono leggermente abbronzato, fresco di doccia (quando avrebbe dovuto lavarsi con una bacinella), con traccia di sabbia catrame e via dicendo sotto le scarpe ...
Lasciamoci guidare da un minimo di logica ... o ci sono degli altri interessi? Mah ...
Mooolto più economico...
@starburst3 l'articolo(ne) ha 5 anni buoni ... fra un annetto va alle elementari ... quelle che non ho mai fat... [Massimo Mazzucco imbavaglia e rapisce m4x ... Qualcuno grida al complotto :-D]
[Massimo Mazzucco imbavaglia e rapisce m4x ... Qualcuno grida al complotto :-D]
Se parli tanto quanto scrivi...ha fatto bene
IN RED WE TRUST
Non dirlo a me, mi sto guardando inghilterra irlanda del 6 nazioni di rugby.
IN RED WE TRUST
Una massima (di massimo?:-) appresa qui sul sito che dice "segui i soldi" assolve dall'impegno di sgarbugliare una matassa fatta di opportunismi e disinformazione.
Tarderà ma sapremo come si svolsero i fatti.
Dicono che l'assassino torni sempre sul luogo del delitto e che sarebbe un delitto nascondere i veri eventi di quel notevole delitto.
Certo sarà molto utile parlarne e non solo commemorare a testa china.
Tra l'altro proprio tu m4x hai postato in #39 l'intervista a Moretti che definisce "approssimativa" la loro capacita' di sparare.
Certo potrebbe mentire ovviamente ma immaginiamo se le teste di cuoio facessero un assalto simile nelle stesse condizioni per liberare un ostaggio vivo: credo sarebbero accusati di aver voluto uccidere l'ostaggio come minimo.
Ci sono 1000 cose della VU del sequestro Moro che non vanno, ma questa dell'assalto per me e' la piu' macroscopica e il fatto che pochi sembrino rendersi conto dell'assurdita' di questo racconto suona sospetto.
A proposito: sarebbe fantastica una nuova innovativa funzionalita' "filter out comments from user..." nei commenti, come qualcuno ha gia' suggerito.
"Il 22 maggio 2014, ascoltato come teste informato sui fatti, Alessandro Marini ribadiva ancora una volta davanti al Procuratore generale Luigi Ciampoli la sua mistificata versione di quanto avvenuto in via Fani. Da questa analisi emerge il fondato dubbio che Marini abbia mentito non solo sulla dinamica di fatti ma anche sulla propria posizione al momento dell’assalto brigatista.
Escusso succesivamente dalla Commissione Moro 2 (ma non audito in sede pubblica nonostante la rilevanza delle sue parole. In avvio dei lavori la Commissione aveva sposato la proprio versione dei fatti raccontata da Marini), dopo che erano emerse le prove documentali delle sue menzogne, Marini ha rettificato quanto ripetutamente affermato nei decenni precedenti dutante inchieste e processi. Se le bugie passate sono cadute in prescrizione, quelle reiterate nel 2014 hanno ancora rilevanza penale. Ricordiamo che sulla base delle mendaci affermazioni del teste Marini diverse condanne per un tentato omicidio mai avvenuto sono state emesse contro i brigatisti che hanno preso parte al rapimento di Aldo Moro."
Nell'attentato a Schleyer l'anno prima ne hanno sparati 119 in un minuto e indovina un po'... Tutta la scorta decimata e Schleyer illeso. Ti ricorda qualcosa ?
@Junkers
Mi piacerebbe sapere qual'è la fonte di quel pezzo Junkers, dato che tutti i siti che tentanto d'infangare Marini sono contro la "dietrologia" sul caso Moro.
Ne leggevo giustappunto uno oggi contiguo a Potere all'Alcol (Potere al popolo) dove si dava apertamente dei coglioni a Gero Grassi, Ferdinando Imposimato (LOL) e Stefania Limiti. Approposito di Alcol... Buon Weekend !!!
Mi faccio sequestrare anch'io!
corriere.it/.../...
Chiudo il post con il mio punto di vista verso coloro che aspirano ad avere un leader che li guidi e che dica loro cosa fare,una frase semplice ma che racchiude la pochezza di carattere di certa gente,altro che "viva lenin"!!
IN RED WE TRUST
Nel primo caso sarebbe congruo affermare che “ i nostri servizi hanno collaborato con la CIA per farlo fuori, bloccando così un percorso politico DEMOCRATICO all'interno del nostro paese”.
Nella seconda ipotesi, (perché ovviamente stiamo disquisendo su IPOTESI) si tratterebbe di un vero e proprio COLPO DI STATO e quindi non una “semplice” opera di condizionamento politico, ma una vero e proprio piano eversivo dell’ordine costituzionale.
Se, ipoteticamente il presidente non si fosse trovato in via Fani, verosimilmente significherebbe che avrebbe dovuto essere prelevato prima da uomini di apparati direttamente od indirettamente appartenenti allo Stato e dei quali lui si fidava. I testimoni di questa circostanza allora sarebbero stati gli uomini della sua scorta, unici a sapere che non era con loro.
A cascata questa IPOTESI comporterebbe una seria conseguenza, ovvero che il rapimento non sarebbe il frutto di un’operazione organizzata da un gruppo terroristico infiltrato dai servizi di intelligence di uno o più Stati (lo sono TUTTI, senza alcuna esclusione), quanto invece il frutto di un piano organizzato ed eseguito direttamente da apparati dello Stato con la indispensabile copertura istituzionale, il che, a mio modesto parere, fa una grande differenza.
Forse è questo che si dovrebbe consegnare alla storia.
Mancano ancora le risposte dopo 40 anni.
ilpartitocomunistaitaliano.it/.../...
Se fosse stato liberato, avrebbe raccontato come sono andate le cose.
Qualcuno dirà che anche le richieste erano finte e la sua morte era già prevista dall'inizio. Ma se così fosse, perchè non ucciderlo con esplosivo (l'auto non era neanche blindata) come hanno fatto per le stragi del '93?
O con cecchini a distanza, come per Kennedy?
Sarebbe stato molto più semplice che mandare un commando in città a trucidare la scorta, con il rischio che i poliziotti avrebbero potuto rispondere al fuoco e ferire o uccidere gli assalitori. Un agente è riuscito a spare 2 colpi, e con un po più di fortuna avrebbe potuto uccidere uno degli assalitori.
Senza contare il rischio di farsi scoprire da eventuali testimoni, che avrebbero potuto vedere la scena anche da una finestra o un balcone non troppo lontani.
Questo non vuol dire che la versione ufficiale (solo B.R.) sia vera. Molto probabilmente le B.R., a loro insaputa, avevano degli "angeli custodi" a dargli una mano.
Io credo che più che ucciderlo, dovessero dare un esempio a tutti gli altri.
Non dimentichiamo mai che , secondo la testimonianza della Signora Moro, lo stesso Kissinger aveva minacciato esplicitamente Moro qualche tempo prima.
www.youtube.com/watch?v=uBF0xsZxwVE
laveritadininconaco.altervista.org/.../
petalidiloto.com/2011/03/simbologia-massonica-ed-esoterica-ne.html
Invece molte risposte sono venute e stanno venendo fuori,basta leggere gli ultimi saggi pubblicati, la verita' e' che certe parti politiche non vogliono accettare i fatti per come sono andati e cioe' una convergenza parallela a livello mondiale tra forze politiche,apparati statali,malavite organizzate,formazioni clandestine di destra e sinistra che mai avrebbero pensato e voluto collaborare tra loro,un iniziativa preparata negli anni per ingannare la nostra visione del colpo di stato fissata sui carri armati nelle strade e un pupazzo di generale che fa annunci a reti unificate!
Per come e' andata, con Moro assente o presente in via fani, il risultato doveva essere ed e' stato questo a cui siamo arrivati, una serie di intentona e golpe bianchi che hanno avuto lo stesso effetto di un golpe militare ma molto meno violento e molto piu' subdolo,tutto il resto e' contorno o qualche tassello che manca ancora nel mosaico,ma dire che mancano ancora le risposte o andare ad ascoltare una manica di gaglioffi (cialtroni presuntuosi e sciocchi) che si e' venduta per un pezzo di pane mi pare perlomeno riduttivo,direi parafrasando la gaglioffa di turno che non e' fare la vittima che e' diventato un mestiere,fare l'utile idiota e' stato sempre un mestiere!!
IN RED WE TRUST
Armati di tempo e pazienza, di autori seri e precisi ne trovi in quantita' poi sta a te tirare le somme e farti un giudizio personale,almeno io ho fatto cosi' e sta' sicuro che continuero' a cercare,ascoltare,leggere,perche' e qui mi ripeto,una persona che sa' e vuole continuare a sapere oltre ad accrescere la sua cultura personale da' anche fastidio al potere ed alla sua informazione asservita e succube.
IN RED WE TRUST
Aldo Moro comunque aveva firmato un patto di accordo con Berlinguer.
Io sono in grillino comunista, quindi non mi sarà difficile pensare che non siano state le Br ad uccidere Moro.
Grazie mille
Anche perche' dopo l'arresto di curcio e Franceschini di comunista nelle br non rimase nulla!!
Se mi permetti ti suggerisco la lettura di :
www.bur.eu/libri/che-cosa-sono-le-br/
www.anobii.com/.../01f6091729e5f1761f
P.S. A mio modesto parere Franceschini e' l'unico delle br ad aver scontato gli anni di carcere affibiatigli dallo stato e non averci guadagnato nulla,lavora come socio dirigente in una coop di recupero.
IN RED WE TRUST
A chi interessasse...
Comunque alcuni delitti li hanno compiuti le Brigate Rosse, tipo quello di Sergio Ramelli, però in altri, come il caso Moro, c'è chiaramente dietro dell'altro.
Avevamo la Cia in casa nostra durante gli anni di piombo
E' un dato irrilevante. Il punto centrale è che i militanti delle BR si erano già auto-schedati ancor prima che l'organizzazione nascesse. Quando ancora i due collettivi che poi andranno a formare il gruppo terroristico lavoravano dietro la sigla di un giornale chiamato Sinistra Proletaria, Corrado Simioni (quello che poi se ne andrà a Parigi a fondare l'Hyperion), faceva prima compilare delle schede estremamente personali a tutti i militanti (attitudini sessuali comprese), e poi portava queste schede alla terrazza Martini di Milano a un tale chiamato Roberto Dotti, uomo di Edgardo Sogno, quello del tentato golpe del '74. Queste sono le BR.
Grazie mille
Ora siamo pieni di basi NATO
"Vediamo un po' di video"
Leggiamo un po' di commenti (tra parentesi il più votato di quel video)
"E infine è doveroso aggiungere, in questo momento supremo, che se la scorta non fosse stata, per ragioni amministrative, del tutto al di sotto delle esigenze della situazione, io forse non sarei qui".
Lettera di Aldo Moro a Zaccagnini diffusa dalle Br il 4 aprile 1978.
Provo a venirti dietro... Ma che senso aveva inscenare tutta quella roba con gente della RAF (quindi Stasi) ? E poi se Moro non era in via Fani, mi vuoi far credere che in 40 anni, nessun brigatista, nessun ndranghetista, nessun uomo del Sismi (Guglielmi era li che stava a guardare) ma soprattutto nessun crucco legato ai servizi segreti del campo opposto abbia detto niente ? Questo silenzio assordante potrebbe essere spiegato solo dalla presenza di un "doppione"... Chi ? Gestito da chi ? Per fare queste affermazioni servono prove, non pseudo intuizioni basate sul fatto che secondo Gino Seghettino sarebbe impossibile fare del fuoco incrociato... Guarda caso, nell'operazione di via Fani, tutte le armi delle "pippe" che spararono dal lato sinistro (lato bar Olivetti) s'incepparono (una non sparò proprio). Coincidenza ?
"Il fatto che la scorta fosse impreparata e le armi nel baule sta a dimostrare che non stava proteggendo l'uomo. Quando hai l'uomo in macchina hai la pistola col colpo in canna (già armata) e la sicura inserita".
Quindi questa è una delle prove "regine" del fatto che Moro non era in via Fani ? Sai che nella serie appena fatta da Byoblu dove intervistano Gero Grassi, Grassi rivela che Moro e la scorta erano stati mandati appositamente in via Fani dal ministero dell'interno con la scusa che quel percorso, seppure più lungo, era sicuro ?
Quanto a Byoblu, sì l'ho sentita l'intervista integrale di Grassi, embeh?! Il fatto che abbiano deviato la scorta non vuol dire che Moro fosse con loro in macchina. Senti per cortesia non prendiamoci per i fondelli sono cresciuto in un ambiente della Benemerita e conosco le procedure. Non ci prendiamo per il culo. OK? Il tutelato (Moro) quasi sicuramente non era in macchina perché con la persona da proteggere presente, le armi non rimangono mai nel baule (mitraglietta) e/o nel cassetto documenti (pistola) dove sono state rinvenute, invece. Oppure stai alludendo al fatto che il povero Maresciallo Leonardi dopo essere stato assassinato si fosse rialzato ed avesse riposto le armi per farle trovare ai posteri? Infine c'è il discorso della SIP che ha silenziato i telefoni proprio in quel momento, casualità?? Le auto delle forze dell'ordine ricevevano ordini tramite un Radio Telefono all'epoca e, guarda caso, non solo i telefoni vengono silenziati dopo aver deviato la scorta, ma l'ordine di deviazione non si trova sul brogliaccio di servizio (come lo si chiama in gergo) e quindi manca il nome di chi avesse telefonato alla scorta e l'avesse deviata proprio in Via Fani dove c'era un Colonnello del SISMI (Camillo Guglielmi) ad attendere la scena assieme alle BR e gli altri professionisti vestiti da aviatore. Ma ovviamente, secondo te han fatto tutto le BR, non è vero? E gli uomini in divisa d'aviatore che ci facevano lì? Poi perché Moro non avrebbe MAI speso una parola nelle sue epistole per descrivere l'inferno di fuoco dal quale sarebbe sopravvissuto? Perché un uomo come Moro si sarebbe lamentato della scorta se avesse saputo che costoro avevano perso la vita nell'esercizio delle loro funzioni? Io credo il fardello della prova ricada su colui il quale asserisce che Moro c'era in via Fani, non su chi, invece, ne dubita la presenza. Dopotutto le scorte prima di prendere il tutelato e dopo averlo recapitato, viaggiano vuote. Qui si tratta allora di 'lèggere' la scena del crimine e capire se, in base alle dinamiche a noi pervenute, Moro potesse essere con la scorta in Via Fani o meno. E da quello che ci viene detto, è più no che sì.
Tralasciando la vicenda Leonardi e l'effetto sorpresa che ovviamente fai finta di non vedere (il capo scorta viene bersagliato per primo da personaggi che saltano fuori da un auto targata corpo diplomatico), se come dici te tutte le armi fossero state rinvenute nel baule o nel cassetto porta documenti... Come ha fatto Iozzino a rispondere al fuoco ?
"Perché un uomo come Moro si sarebbe lamentato della scorta se avesse saputo che costoro avevano perso la vita nell'esercizio delle loro funzioni?"
Anche i bambini sanno che certe cose scritte da Moro non sono di dominio pubblico: vedi il memoriale, tanto per fare un esempio.
"Io credo il fardello della prova ricada su colui il quale asserisce che Moro c'era in via Fani, non su chi, invece, ne dubita la presenza"
Bene. Quindi il teste Marini che ha riconosciuto Moro mentre veniva sequestrato mente... Prove ? Consigliati con Junkers magari lui le trova
Ahh, è m4x l'autore dell'articolo???
Bellissimo articolo m4x, complimenti sinceri
Vuoi dire che Moro era convinto che gli agenti di scorta, che secondo te lo avrebbero consegnato ai servizi segreti che poi l'avrebbero sequestrato con l'inganno, erano sani e salvi e se ne stavano a casa loro a guardare il telegiornale???
Anche se Moro fosse stato prelevato prima dell'agguato, come dici tu, comunque lo avrebbe capito subito che la scorta è stata fatta fuori perchè testimone dei fatti.
che fai?
tiri il sasso e nascondi la mano?
Ora dirai che Moro quel giorno non è neanche partito da casa sua con la scorta, come racconta sua moglie?
Secondo me non dirai niente perchè non sai niente.
La vedova del maresciallo Leonardi :«Sta scendendo il presidente, ti debbo lasciare..ti chiamo più tardi»... invece non mi ha più potuto chiamare.
fonte:anniaffollati.it - Il caso Moro - Cronaca di un rapimento -
Mi sembra evidente che Moro era partito con la la sua scorta quel giorno.
Quando sarebbe stato prelevato?
Da chi sarebbe stato prelevato?
Avvisami quando ti deciderai finalmente a rispondere alle domande che ti ho posto.
Ti faccio comunque notare che con qualsiasi modalità e tempo di prelievo (COME DA TUA CITAZIONE) non cambia il mio ragionamento:
ragionamento che tu non se sei stato capace di confutare. Carenza d'argomenti eh?
Le auto sono ancora in movimento quando entra in azione il gruppo di fuoco. I primi colpi sono singoli e, probabilmente , indirizzati, da Morucci, all'indirizzo dell'autista della 130 Domenico Ricci. Sempre, Morucci si avvicina alla 130 e con il calcio del mitra rompe il vetro anteriore sinistro.
Morucci , dopo aver infranto il vetro, indirizza il mitra verso i due uomini posti sul sedile anteriore della 130 che sono ancora vivi, l'arma, un FNA, si blocca.
Poi, Morucci, che è riuscito a far nuovamente funzionare il mitra ritorna nella sua posizione ed a brevissima distanza esplode alcune raffiche che colpiscono mortalmente Leonardi e Ricci.
fonte:anniaffollati.it - Il caso Moro - Cronaca di un rapimento -
Vuoi dire che Moro era convinto che gli agenti di scorta, che secondo te lo avrebbero consegnato ai servizi segreti che poi l'avrebbero sequestrato con l'inganno,
Io questo non l'ho mai detto. Qui stai dicendo che 'secondo me' la scorta avrebbe consegnato Moro ai servizi perché guarda bene il tuo italiano quando dici "gli agenti di scorta, che secondo te (ossia me) lo avrebbero consegnato ai servizi segreti" qui stai chiaramente mentendo - io non ho mai detto una cosa simile.
Le scorte possono essere dirette a prelevare il tutelato e nell'atto di fare ciò, la persona non è in auto fino a quando non lo vanno a prendere.
ti rifiuti per l'ennesima volta di spiegare chi e quando avrebbe prelevato, come DICI TU, Aldo Moro prima che arrivasse in via Fani
Io non ho MAI detto di credre a tizio o a caio, ti sto dicendo da giorni che la TUA AFFERMAZIONE
Sbucando fuori dalle siepi del bar Olivetti i quattro brigatisti travestiti da avieri, Morucci, Fiore, Gallinari e Bonisoli, percorsero in pochi attimi i circa cinque metri di carreggiata che li dividevano dalle auto dell'onorevole Moro, essendo via Fani larga in quel punto non più di dieci metri, e poterono quindi aprire il fuoco direttamente sui bersagli da una distanza ravvicinata che, secondo le valutazioni di Pietro Benedetti – autore insieme a Domenico Salza della perizia degli anni novanta – avrebbe consentito anche a persone non specialiste di colpire agevolmente con armi automatiche gli uomini della scorta senza mettere in pericolo la vita dell'uomo politico[162].
it.wikipedia.org/wiki/Agguato_di_via_Fani
SEI TU CHE DEVI DIMOSTRARE CHE NON E' VERO CHE ERANO A DISTANZA RAVVICINATA!
oppure
SEI TU CHE DEVI DIMOSTRARE CHE DA DISTANZA RAVVICINATA E' "IMPOSSIBILE CONTROLLARE I MITRA E LASCIARE MORO ILLESO"!
SEI TU CHE NON VUOI RIBATTERE AL MIO RAGIONAMENTO SUL SAPERE O MENO DI MORO DELLA FINE DELLA SCORTA:
La vedova del maresciallo Leonardi :«Sta scendendo il presidente, ti debbo lasciare..ti chiamo più tardi»... invece non mi ha più potuto chiamare.
fonte:anniaffollati.it - Il caso Moro - Cronaca di un rapimento -
repeat:
con qualsiasi modalità e tempo di prelievo (COME DA TUA CITAZIONE), comunque Moro lo avrebbe capito lo stesso che la scorta è stata fatta fuori perchè testimone dei fatti (presunto prelievo).
ah non sei tu quello che parlava di "asini che volano", "depilatori"(?), "depistatori", spargere menzogne, falsità etc ???
Io porgo la prima guancia, poi porgo la seconda e poi le guance da porgere ai provocatori (presunti esperti di raffiche di mitra a distanza ravvicinata) sono finite.
Io ti ho fatto semplicemente dei ragionamenti, sul tuo "impossibile", che come risposta hanno avuto solo provocazioni e saccenza da presunto espertone d'armi.
Quindi non fare la vittima che non è il caso.
Per coloro che attaccano invece sul piano personale, beh ... onestamente non è che la cosa mi tocchi molto ...
Questo vittimismo fasullo ha stancato.
Ti invito a rileggere ciò che IO avevo scritto in merito alle "possibilità", prima di lanciarti in certe difese sulla libertà di pensiero. Libertà che nessuno qui ha mai osteggiato.
luogocomune.net/.../...
PS - "Credo di aver riconosciuto in questa persona trasbordata l’onorevole Aldo Moro"
Alessandro Marini.
La frase di Marini (al quale hanno sparato dalla moto Honda se non vado errato per intimidirlo) e cito "Credo di aver riconosciuto la persona di Aldo Moro" lascia il tempo che trova. Appunto dice "Credo" ed in italiano che vuol dire, che è sicuro? In un frangente del genere il teste, semplicemente, non è attendibile. Poi, ovviamente esistono i teste messi lì apposta dai servizi per fabbricare prove come quelli del subito dopo 11 Settembre che già spiegavano per filo e per segno alle telecamere il 'cedimento strutturale' come poi fece il NIST dopo le loro 'ricerchine' (virgolettato d'obbligo qui). Mi spiego? Se vuole (dall'articolo di cui sopra dal quale si evince di tutto e di nulla allo stesso tempo) una sequenza un po' più precisa dei fatti gliela offro io. Che ne dice?
Ps - Grazie Parsifal, non conoscevo questa frase del Leonardi: «Sta scendendo il presidente, ti debbo lasciare..ti chiamo più tardi». Però sempre meglio dubitare come fa il Dottor Va... Magari la vedova oltre ad esser vedova era pure sorda.
PS non mi ha ancora risposto: il teste in mezzo alla sparatoria, non si ripara, ma va a vedere chi fosse il tizio portato via...? Lei che avrebbe fatto? Lo sa che quando si interrogano i teste l'attendibilità è una delle componenti più importanti? Lei non ha mai interrogato nessuno, evidentemente. E neppure è stato in mezzo ad una sparatoria.
Dottò, io faccio del mio meglio, del resto sono solo un ragazzo che cerca di capire la storia del proprio paese, non sono un esperto... E se i miracoli non gli hanno fatti manco i guru del settore investigativo, pretende che li faccia io ?
download.luogocomune.net/download/pdf/Hyperion.pdf
Spero che quest altro mio umile lavoro riesca a stuzzicare un po' di più le sue celluline grige.
"il teste in mezzo alla sparatoria, non si ripara, ma va a vedere chi fosse il tizio portato via...?"
Dottò, la verità è che Marini ha scambiato Moro per Maria De Filippi (sapientemente usata come doppione dai Rettiliani), la vedova Leonardi si era dimenticata di comprare il Galaxy S6 per documentare la discesa del marito e tra tutti gli esperti che hanno trattato il caso, Lei, Junker e Solange Manfredi siete gli unici che ci hanno capito qualcosa. Chiedo umilmente perdono... Però Dotto, è sabato, io qui a Langley so rimasto da solo, quindi timbro il mio bel cartellino, saluto quella splendida gigantografia di Babbo Bush che ho attaccato alla parete dal '63 a questa parte (i miracoli dello scotch), e me ne torno a casa... Buon weekend.
3 ore dopo la sparatoria:
Alle 12:36 i sanitari del Policlinico Gemelli comunicarono ufficialmente che anche il vicebrigadiere Francesco Zizzi, ricoverato in gravi condizioni dopo l'agguato, era morto per collasso cardiocircolatorio da shock emorragico a seguito di triplice ferita da arma da fuoco al torace[36].
it.wikipedia.org/wiki/Agguato_di_via_Fani
ovviamente io non so quale sia la ricostruzione/perizia giusta e quale sia quella sbagliata, e credo non lo sappia con certezza nessuno, ma comunque non mi sembra il massimo come "colpo di grazia".
Ovvero scenari internazionali, mandanti, collusioni, etc ...
Poi questi “Dotto’”, “Primavera” ... cercano di provocare? Non è necessario guardate ...
Grazie per il link che hai segnalato a proposito di Francesco Zizzi.
Quindi per comodita' (per risparmiare, a chi fosse interessato, la fatica di leggerlo), faccio copia/incolla dei passi in cui si parla di Francesco Zizzi.
--- Inizio testo wikipedia
In via Fani rimasero la Fiat 130, targata «Roma L59812» su cui viaggiava Moro, con i cadaveri... e il vicebrigadiere di Pubblica sicurezza Francesco Zizzi (30 anni) gravemente ferito ma ancora in vita; riverso supino sul piano stradale, vicino all'auto, ...
Alle 12:36 i sanitari del Policlinico Gemelli comunicarono ufficialmente che anche il vicebrigadiere Francesco Zizzi, ricoverato in gravi condizioni dopo l'agguato, era morto per collasso cardiocircolatorio da shock emorragico a seguito di triplice ferita da arma da fuoco al torace.
Alle ore 12:45, dopo un iniziale rinvio, si aprì la seduta alla Camera dei deputati.
- Mancata reazione della scorta:
... Inoltre il 16 marzo 1978 la scorta sull'Alfetta era guidata per la prima volta dal vicebrigadiere Francesco Zizzi che, provenendo da incarichi amministrativi, non aveva esperienze precedenti come caposcorta. I due capiscorta che si alternavano nel servizio erano il brigadiere di P.S. Rocco Gentiluomo e il brigadiere di P.S. Ferdinando Pallante: in teoria il compito il 16 marzo sarebbe spettato al brigadiere Gentiluomo che però era in ferie e aveva richiesto il giorno precedente al vicebrigadiere Zizzi di sostituirlo per una settimana ...
... Questa ricostruzione permetterebbe di spiegare le direzioni dei colpi rilevate dalle perizie sui corpi ... e del vicebrigadiere Zizzi, su cui le perizie sono più incerte.
--- Fine testo wikipedia
it.wikipedia.org/wiki/Agguato_di_via_Fani
...
P.S.: Immagino che anche tu, come me, abbia notato perlomeno 2 coincidenze che ho evidenziato nel testo wikipedia.
---
A proposito di coincidenze/casualita' (incuriosito dal link che hai segnalato), ho trovato il seguente link che copio/incolla, solo per la parte interessata:
Coincidenze.
Domenico Ricci era gia' di servizio nella scorta il giorno prima, il 15 marzo 1978: lo attende il turno di riposo.
Ma un collega ha un problema e lui si ripresenta al lavoro.
Casualita'.
Francesco Zizzi viene inserito nella scorta soltanto poche ore prima: e' al suo primo giorno di servizio.
Nemmeno i familiari sanno che sta lavorando a protezione di un importante uomo politico.
books.google.com.do/.../
---
Infine, le note biografiche:
Vice brigadiere Francesco Zizzi - Note biografiche -
Nasce a Fasano, in provincia di Brindisi, il 4 giugno 1948. Entra nella Pubblica Sicurezza nel 1972
e dopo il corso di formazione, frequentato presso la Scuola allievi guardie di P.S. di Caserta, è
assegnato al Raggruppamento P.S. di Roma. Quattro anni dopo vince il concorso per sottufficiali e
dopo il corso alla scuola di Nettuno, l’11 gennaio 1977 con il grado di vice brigadiere è assegnato
alla questura di Parma. Esigenze personali legate al progetto di nozze con la fidanzata Valeria, una
ragazza di Latina, lo determinano a chiedere il trasferimento per Roma, Reparto autonomo del
ministero dell’Interno; trasferimento che arriva il 30 gennaio 1978.
Il 16 marzo 1978 è il suo primo giorno di servizio di scorta all’onorevole Aldo Moro, aveva
sostituito nel turno un collega. Al momento dell’agguato da parte del commando delle Brigate
Rosse si trovava nell’Alfetta che precedeva la macchina dell’Onorevole, seduto al posto del
passeggero; muore durante il trasporto all’ospedale Gemelli.
È insignito di Medaglia d’oro al merito civile.
www.poliziadistato.it/statics/03/zizzi.pdf
...
P.S.: "muore durante il trasporto all’ospedale Gemelli".
... Alle ore 12:36 ?
OK (La seduta puo' iniziare).
di stranezze ce ne sono tante, ad esempio queste:
La commissione ha esaminato i libretti personali dei componenti le scorte e per quanto riguarda le esercitazioni di tiro risulta che il personale non compiva affatto le esercitazioni settimanali. Si è poi riscontrato che la scorta non si addestrava a reagire in caso di attacco all’auto sulla quale viaggiavano, ne erano state impartite direttive per tale addestramento. E stato inoltre riscontrato che il mitra a disposizione della scorta non era usato nel corso delle esercitazioni, ne controllato continuamente ai fini della sua efficienza, ne era stata effettuata un’adeguata manutenzione.
Far parte della scorta era un posto ambito perché sicuro.” Moro era considerato troppo in alto per subire un attentato" confermeranno gli uomini della seconda scorta
fonte: mausil55.it - 4 - I mitra inceppati e l'impreparazione della scorta -.
riguardo all'agente morto in ambulanza o in ospedale, penso che gli assalitori potevano benissimo sparargli un colpo alla testa se volevano essere sicuri della sua morte. Perciò io tenderei a escludere la teoria del colpo di grazia per non farli parlare, anche se non reputo questa teoria impossibile, al contrario di chi ritiene impossibile che Moro fosse in via Fani e/o ritiene impossibile che brevi raffiche a distanza ravvicinata lascino illeso il passeggero nel vano posteriore, senza portare prove concrete di queste presunte impossibilità. Poi tutto può essere.
Che diventa per altri un " ... al contrario di chi ritiene impossibile che Moro fosse in via Fani ... "
Niente è impossibile ... si sta cercando di capire insieme ...
@Vapensiero ... non saprei ... col senno di oggi è facile dire così, non so cosa fosse normale o consueto nel 1978 ...
Il pezzo di un mio commento, che tu hai riportato solo parzialmente, non era riferito a te, ma a chi ha proprio scritto la parola "impossibile", con cui ho già discusso abbondantemente. Io non ho trasformato nessun tuo commento, come invece falsamente fai intendere tu.
Alla terza menzogna vinci una bambolina.
contropiano.org/.../...
Forse che le indagini ne avrebbero dovuto tener conto, a pro di che?
Moro, un uomo morto ben prima di essere rapito.
Certo che avrebbero dovuto tenerne conto, sarebbero cambiate le dinamiche nonché le piste da seguire nell'immediato dopo-attentato. Invece per molti decenni vi fu un insabbiamento straordinario in quell'affare come in altre tragedie tutte italiane.
(.)
Forse che vi sia una chiara sottigliezza tra queste due frasi:
Forse che le indagini avrebbero dovuto tenerne conto ... il riferimento è il passato.
Forse che le indagini ne dovrebbero tener conto, a pro di che? ... il riferimento è il presente.
Oltre via Fani, quale importanza assegnare alla presenza o meno del Moro in quello scenario?
Forse che le indagini ne dovrebbero tener conto, a pro di che?
Moro, un uomo morto ben prima di essere stato rapito.
Premetto che diffido delle coincidenze.
Mi immagino i "dialoghi" per comporre la scorta per il maggior esponente della D.C. (primo partito) in un giorno importante con attese di una svolta politica per il nostro Paese.
Si tratta di riempire le caselle per scegliere i componenti della scorta, che "dovrebbe" prelevare l'onorevole Moro.
Primo problema:
Domenico Ricci era gia' di servizio nella scorta il giorno prima, il 15 marzo 1978: lo attende il turno di riposo.
Ma un collega ha un problema e lui si ripresenta al lavoro.
... con il senno di poi, il problema del collega ha giocato a "testa o croce" con la vita di entrambi.
Secondo problema:
Il caposcorta, brigadiere di P.S., Rocco Gentiluomo era in ferie e come alternativa nel servizio c'era il brigadiere di P.S. Ferdinando Pallante, l'altro caposcorta.
... con il senno di poi, il problema delle ferie NON ha giocato a "testa o croce" con la vita di entrambi, infatti sono ancora vivi (per fortuna).
Non conosco le giustificazioni del Pallante, ma buon per lui, deve avere qualche Santo in Paradiso (beato lui che ci puo' credere).
Terzo problema:
Verrebbe da dire che tra i 2 litiganti il terzo gode, se non si stesse parlando di fatti tragici.
Fatto sta che, Il caposcorta, brigadiere di P.S., Rocco Gentiluomo, come detto, era in ferie e aveva richiesto il giorno precedente al vicebrigadiere Zizzi di sostituirlo per una settimana.
... con il senno di poi, il problema delle ferie ha giocato a "testa o croce" con la vita di entrambi.
Ora mi immagino che la decisione di inserire Francesco Zizzi nella scorta sia stata una decisione ponderata, dal Reparto autonomo del ministero dell’Interno di Roma, anche se:
... con il senno di poi, la scelta e' stata tragica, considerato che svolgendo incarichi amministrativi non poteva avere esperienze come caposcorta, ma chi poteva prevederla per decidere della vita di Francesco Zizzi?
Verrebbe da dire che e' stato sfortunato considerato che "svolgeva incarichi" da soli 45 giorni (dal 30 gennaio 1978 al 16 marzo 1978)!
Francesco Zizzi viene inserito nella scorta soltanto poche ore prima: e' al suo primo giorno di servizio.
---
Per chiudere con le coincidenze della scorta:
Caso Moro, ex poliziotto: “Il giorno dell’agguato in via Fani furono sospesi i controlli di ‘bonifica’ nelle strade vicine”
Ascoltato in Commissione l’ex agente di Pubblica Sicurezza Adelmo Saba.
Saba ha poi ricordato le parole del suo collega che faceva parte della scorta di Moro: era il più esperto, molto affidabile con le armi ma quel giorno viene anche lui esentato dal servizio senza un motivo. “Mi disse che qualcuno evidentemente aveva voluto salvargli la vita“.
www.ilfattoquotidiano.it/.../2814675
---
Interessante questo video che ho trovato in rete, anche se non e' recentissimo:
Chi ha ammazzato l’agente Iozzino? Lo Stato in via Fani
youtu.be/P1YH69YVRRw
---
Con il senno di poi, allargando i confini, si tratta di un "inside job" che: Ce lo "chiede" l'America (non c'era ancora l'Unione Europea).
L'ipotesi che in Via Fani Moro non c'era, e' quella che piu' mi convince ora e alla quale onestamente non avevo mai pensato, anche per come e' stata trucidata la scorta, anche se non ci sono prove (forse perche' questa possibilita' e' stata molto ben depistata).
Grazie Vapensiero.
Anche secondo me, Vapensiero, la mattina e il momento della messa potrebbero essere la chiave di tutto, considerando l'ipotesi del Moro non in via Fani.
In quest'ottica le sostituzioni degli agenti sarebbero state fatte per salvare le persone che fino ad allora avevano collaborato con i servizi (come state logicamente dicendo voi ora ...) ed indebolire la risposta delle persone rimaste.
Obiettivo comunque era la strage, il colpo grosso mediatico. O forse anche altro?
- - - -
Qui ho pero' un dubbio, venutomi leggendo un articolo di Paolo Franceschetti, ovvero questo: libreidee.org/.../...
Se diamo per vera l'ipotesi del Moro non in via Fani, con i colpi di grazia dati alla scorta (tranne uno di loro, deceduto in ospedale un'ora dopo circa), allora era chiaro che Moro non avrebbe assolutamente dovuto essere salvato ... avrebbe potuto dire che era stato prelevato in altro momento, avrebbe potuto chiedere della scorta, e cosi' via ...
Sempre espandendo su questo articoli, quanti di voi credono al ruolo dell'esoterico in questo caso?
- - - -
Per il resto: Sorry, I don't feed the trolls ...
Per il resto: Sorry, I don't feed the trolls...
(recapitata il 29 marzo)
Caro Francesco,
mentre t'indirizzo un caro saluto, sono indotto dalle difficili circostanze a svolgere dinanzi a te, avendo presenti le tue responsabilità (che io ovviamente rispetto) alcune lucide e realistiche considerazioni.
Prescindo volutamente da ogni aspetto emotivo e mi attengo ai fatti. Benché non sappia nulla né del modo né di quanto accaduto dopo il mio prelevamento, è fuori discussione - mi è stato detto con tutta chiarezza - che sono considerato un prigioniero politico, sottoposto, come Presidente de ...
(non recapitata)
27-3-78
Mia Carissima Noretta,
vorrei dirti tante cose, ma mi fermerò alle essenziali. Io sono qui in discreta salute, beneficiando di un'assistenza umana ed anche molto premurosa. Il cibo è abbondante e sano (mangio ora un po' più di farinacei); non mancano mucchietti di appropriate medicine.
Puoi comprendere come mi manchiate tutti e come passi ore ed ore ad immaginarvi, a ritrovarvi, ad accarezzarvi.
Spero che anche voi mi ricordiate, ma senza farne un dramma. E' la prima volta dopo trentatré anni che passiamo Pasqua disuniti e giorni dopo il trentatreesimo di matrimonio sarà senza incontro tra noi.
Ricordo la chiesetta di Montemarciano ed il semplice ricevimento con gli amici contadini. Ma quando si rompe così il ritmo delle cose, esse, nella loro semplicità, risplendono come oro nel mondo. Per quanto mi riguarda, non ho previsioni né progetti, ma fido in Dio che, in vicende sempre tanto difficili, non mi ha mai abbandonato. Intuisco che altri siano nel dolore. Intuisco, ma non voglio spingermi oltre sulla via della disperazione. Riconoscenza e affetto sono per tutti coloro che mi hanno amato e mi amano, al di là di ogni mio merito, che al più consiste nella mia capacità di riamare. Non so in che forma possa avvenire ma ricordami alla Nonna. Cosa capirà della mia assenza? Cose tenerissime a tutti i figli, a Fida col marito, ad Anna col marito ed il piccolino in seno, ad Agnese, a Giovanni, ad Emma.
Ad Agnese vorrei chiedere di farti compagnia la sera, stando al mio posto nel letto e controllando sempre che il gas sia spento. A Giovanni, che carezzo tanto, vorrei chiedessi dolcemente che provi a fare un esame per amor mio. Ogni tenerezza al piccolo di cui vorrei raccogliessi le voci e qualche foto.
Per l 'Università prega Saverio Fortuna di portare il mio saluto affettuoso agli studenti ed il mio rammarico di non poter andare oltre nel corso.
Ricordami tanto a fratelli e cognati ed a tutti gli amati collaboratori. A Rana in particolare vorrei chiedere di mantenere qualche contatto col Collegio e di ricordarmi a tutti.
Mi dispiace di non poter dire di tutti, ma li ho tutti nel cuore. Se puoi, nella mia rubrichetta verde, c'è il numero di M.L. Familiari, mia allieva. Ti prego di telefonarle di sera per un saluto a lei e agli amici
Mimmo, Matteo, Manfredi e Giovanna, che mi accompagnano a Messa.
Ed ora alcune cose pratiche. Ho lasciato lo stipendio al solito posto. C'è da ritirare una camicia in lavanderia. Data la gravidanza ed il misero stipendio del marito, aiuta un po' Anna. Puoi prelevare per questa necessità da qualche assegno firmato e non riscosso che Rana potrà aiutarti a realizzare.
Spero che, mancando io, Anna ti porti i fiori di giunchiglie per il giorno delle nozze. Sempre tramite Rana, bisognerebbe cercare di raccogliere 5 borse che erano in macchina. Niente di politico, ma tutte le attività correnti, rimaste a giacere nel corso della crisi. C'erano anche vari indumenti da viaggio.
Ora credo di averti stancato e ti chiedo scusa. Non so se e come riuscirò a sapere di voi. Il meglio è che per risponderne brevemente usi giornali.
Spero che l'ottimo Giacovazzo si sia inteso con Giunchi.
Ricordatemi nella vostra preghiera così come io faccio.
Vi abbraccio tutti con tanto tanto affetto ed i migliori auguri.
Vostro Aldo
P.S. Accelera la vendita dell'appartamentino di nonna, per provvedere alle necessità della sua malattia.
(non recapitata)
Miei carissimi Fida e Demi,
credo di essere alla conclusione del mio calvario e desidero abbracciarvi forte forte con tutto l'amore che, come sapete, vi porto. Forse in qualche momento sarò stato nervoso o non del tutto capace di comprensione. Ma l'amore dentro è stato grande in ogni momento con un desiderio profondo della vostra felicità sempre in una vita retta, quale voi conducete. Con Luca, dicevo, mi avete dato la gioia più grande che io potessi desiderare. Questa è per me la punta più acuta di questa dolorosissima vicenda. Non vedere il piccolo e non potergli dare tutto l'amore, tutto l'aiuto, tutto il servizio che avevo progettato. So poi i problemi di Fida che tutti dobbiamo aiutare. Ho già detto a quanti lo amano che gli siano vicini, che facciano la mia parte, che prendano il mio posto. Anche tu, Demi carissimo, tienilo pieno d'amore come egli merita; tienilo tra le braccia come vorrei tenerlo e come sarei felice di fare, lasciando ogni altra cosa. Vivete uniti con la nonna, con gli zii, con gli amici. Per ogni cosa consigliatevi con il carissimo Rana. Ricordatevi di me che ricordo e prego. Che Iddio vi aiuti a passare questo brutto momento e dia a voi ed al piccolo tutta la felicità. Che Iddio vi benedica come io vi benedico e vi abbraccio dal profondo del cuore.
Papà
per Fida e Demi
P.S. Se il piccolo, come spero, deve andare al mare, la nonna inviti la Signora Riccioni3 con due bambinetti. Ho paura che stia solo. Mi raccomando.
3 Si tratta della moglie di Otello Riccioni, l’appuntato dei carabinieri assegnato alla scorta di Moro, che la mattina del 16 marzo 1978 non era in servizio.
(non recapitata)
Dott. Nicola Rana Via Giovagnoli 27 Roma
Carissimo Rana,
lei sa quanto Le devo da ogni punto di vista.E' stato confidente, consolatore ed amico. Non capisco a fondo perché questo avviene e le ragioni degli uomini che sono stati amici. Accetto dal Signore quanto egli mi manda. Mi resta l'acutissima preoccupazione della famiglia che resta priva di guida e l'ansia per il piccolo amatissimo, di cui Lei conosce le vicissitudini. Io non cesso di pensarci e di guardarlo, come faccio del resto per le persone care in queste ore infinitamente tristi.
E' inutile che Le dica che nella mia tragedia, mi resta la speranza che Ella con saggezza ed amore continui ad occuparsi di noi, tra l'altro consigliando persone estremamente inesperte e fragili. Farò la stessa raccomandazione a Freato.
Due, amati e amici, sono ancora poco in una disgrazia come questa. Controlli anche molto bene le eventuali proposte di alienazione di qualche cosa mobile. Un abbraccio forte con infinita gratitudine.
Aldo Moro
Un abbraccio a Melpignano, a Ticconi, a tutti.
Sono state recuperate delle borse in macchina? O sono sequestrate come corpo di reato? Si può sbloccare?
(non recapitata)
Genesi 44-29 segg.
"e se mi togliete anche questo, e se gli avviene qualche disgrazia, voi farete scendere la mia canizie con dolore nel soggiorno dei morti. Or dunque, quando giungerò da mio padre, tuo servitore, se il fanciullo, all'anima del quale è legata, non è con noi, avverrà che, come avrà veduto che il fanciullo non c'è, egli morrà e i tuoi servitori avranno fatto scendere con cordoglio la canizie del tuo servitore nostro padre nel soggiorno dei morti. ...Perché come farei a risalire da mio padre senz'aver meco il fanciullo? Ah, ch'io non vegga il dolore che ne verrebbe a mio padre".
Così Luca lontano fa scendere la mia canizie con dolore nel soggiorno dei morti.
Mia dolcissima Noretta,
ti mando alcune lettere da distribuire che vorrei proprio arrivassero come mi è stato promesso.
Aggiungo due testamenti che ho già mandato, ma che temo possono non essere arrivati. Uno è il mio lascito ad Anna della mia quota di condominio al terzo piano. L'altro è un lascito a Luca, il mio archivio che, come esecutori testamentari il Sen. Spadolini ed il Dott. Guerzoni dovrebbero opportunamente alienare ad Istituto o Biblioteca, preferibilmente italiani, per costituire una piccola rendita per il piccolo, al quale va la mia infinita tenerezza.
Carissima, vorrei avere la fede che avete tu e la nonna, per immaginare i cori degli angeli che mi conducono dalla terra al cielo. Ma io sono molto più rozzo. Ho solo capito in questi giorni che vuol dire che bisogna aggiungere la propria sofferenza alla sofferenza di Gesù Cristo per la salvezza del mondo. Il Papa forse questa mia sofferenza non l'ha capita. E sembra, d'altro canto, impossibile che di tanti amici non una voce si sia levata.
Pacatamente direi a Cossiga che sono stato ucciso tre volte, per insufficiente protezione, per rifiuto della trattativa, per la politica inconcludente, ma che in questi giorni ha eccitato l'animo di coloro che mi detengono. Salvi dovrebbe ripensare all'inutilità di questo lavoro e del mio sacrificio. Ma ormai è fatta.
Mi è stato promesso che restituiranno il corpo ed alcuni ricordi. Speriamo che si possa. E voi siate forti e pregate per me che ne ho tanto bisogno. Tutto è così strano. Ma Iddio mi dia la forza di arrivare fino in fondo e mi faccia rivedere poi i tanto dolci visi che ho tanto amato ed ai quali darei qualunque cosa per essere ancora vicino. Ma non ho, purtroppo, tutto quello che dovrei dare. Così fosse possibile.
Dopo si vedrà l'assurdità di tutto questo. Ed ora dolcissima sposa, ti abbraccio forte con tutto il cuore e stringo con te i nostri figli e i nipoti amatissimi, sperando di restare con voi così per sempre. Un tenerissimo bacio.
Aldo