E fanno sei. Sei anni di incubo, sei anni di orrori, sei anni di lotta per non affogare nella marea di falsità con cui la strategia del consenso globale ha cercato di sommergere l’umanità.
Dopo l’ondata iniziale, che ha strappato il 99% degli esseri umani dalle loro certezze, per fortuna qualcuno aggrappato allo scoglio c’è rimasto, ed è a loro che in un certo senso dobbiamo la vita: grazie ai primissimi, e più coraggiosi, ricercatori sull’11 settembre (Alex Jones, Thierry Meyssan, Eric Hufschmid, ecc.) - la verità non è stata sepolta del tutto, e abbiamo così potuto compiere un lento percorso a ritroso, che fortunatamente accelera man mano che ci si allontana dalla data iniziale degli eventi.
Come ormai persino in media tradizionali hanno riconosciuto, è stato tutto merito di Internet: è infatti impossibile capire quello che è accaduto nel mondo in questi ultimi anni, rispetto all’11 settembre, se non si comprende la potenza devastante, e teoricamente illimitata, di questo nuovo mezzo di comunicazione.
Internet infatti non è un “ luogo“, nel quale molti ci vorrebbero confinare, come topi di fogna tenuti a bada in un recinto chiuso. Internet è solo un mezzo, esattamente come lo sono il telefono, il fax, o lo stesso televisore. Ma questo mezzo ha il potere straordinario di permettere un collegamento diretto fra gli individui, senza alcuna filtratura intermedia, e solo grazie a Internet è stato possibile raccogliere, organizzare e presentare in maniera fruibile la marea di informazioni che costituisce l’ossatura della critica alla versione ufficiale sull’11 settembre.
Per gli studiosi del caso Kennedy, indagare significava attendere impazienti l’ultimo libro di un loro collega, assorbirne qualche nuova informazione, ... ... e poi magari scambiarsi un paio di lettere con altri colleghi, in attesa del prossimo libro sull’argomento. Ma la evidente lentezza di questo tipo di propagazione, sommata alla relativa scarsità di informazioni disponibili, si è tradotta in 40 anni di ricerca, prima di riuscire a mettere insieme un quadro complessivo che rispecchi in qualche modo la verità dei fatti.
Con internet abbiamo fatto, in quattro anni, molto di più di quanto ne abbiano fatto in 40 i ricercatori del caso Kennedy. E questo non solo da un punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo, nel senso che oggi è possibile supportare le proprie affermazioni in maniera diretta e immediata, per cui a sua volta il ragionamento collettivo può crescere molto più solidamente e rapidamente.
Se solo provassimo a immaginare ciascun ricercatore sull’11 settembre isolato nella sua casa, con tutte le informazioni che ha raccolto finora, ma senza più Internet, ci renderemmo immediatamente conto di quali difficoltà incontrerebbe a far conoscere al mondo quello che lui stesso è venuto a sapere.
La radio, la televisione e i giornali funzionano a senso unico, cioè “diffondono” informazione, ma devono andare altrove per alimentarsi, mentre Internet è sia un canale di ricerca che di diffusione. Funziona nei due sensi, ininterrortamente, e su milioni di “terminali” (ciascuno di noi) contemporaneamente.
Internet è quindi un caso, più unico che raro, di analisi e sintesi insieme.
Naturalmente, c’è un altro fattore di cui tenere conto, ed è la velocità con cui una certa società è in grado di accettare un determinato cambiamento. Questa velocità - purtroppo o per fortuna - non dipende dalla tecnologia, ma dalla natura umana, e quella, a quanto pare, è immutabile. Sono infatti arrivati al paradosso dove la velocità della ricerca ha superato la capacità di adeguamento della società ai risultati di quella ricerca.
Mentre una volta, in un certo senso, i “libri su Kennedy“ raccoglievano e sintetizzavano il comune sentire della gente – cioè, lo seguivano - Internet addirittura lo precede, e chi ne fa uso regolare vive in un costante stato di ansia, attendendo che anche quelli che non ne fanno uso raggiungono lo stesso livello di conoscenza.
Se c’è oggi infatti un vero divario sociale, non è più soltanto di tipo economico: oggi la grossa differenza è fra chi è informato e chi non lo è. Questi ultimi, sono destinati a scomparire con la propria ignoranza, chi invece è informato non potrà che mettere in moto nuove generazioni che seguano lo stesso percorso.
Ma forse la caratteristica più importante di Internet è che le informazioni sono fisse, e non più latenti. Mentre una volta un servizio televisivo andava in onda, e poi scompariva nel buio della memoria - a meno che qualcuno si fosse preoccupato di registrarlo – quelle informazioni non le avrebbe mai più avute a disposizione nessuno.
Con Internet invece ogni singola pagina di giornale, ogni singolo telegiornale, ogni singola intervista radio, vengono sistematicamente memorizzati in questo gigantesco archivio storico in tempo reale, che è diventato ormai una specie di cassaforte della verità, per chiunque abbia voglia di mettersi a cercarla. Provate invece a pensare che fine avrebbe fatto, ad esempio, l’intervista di Norman Mineta che inchioda Dick Cheney alle sue responsabilità sull'undici settembre, se fosse passata una volta sola – in tempi pre-Internet – su una qualunque tv nazionale. In quattro secondi la Casa Bianca sarebbe intervenuta, avrebbe fatto sparire quella registrazione, e nessuno ne avrebbe mai più saputo nulla nel mondo. (Viene un brivido, solo a immaginare “quanto” ci possa essere stato nascosto, solo fino all’altroieri).
Oggi invece la deposizione di Mineta sta praticamente in ogni computer il cui proprietario si occupi di 11 settembre, ed è quindi diventato impossibile eliminarla, obbligando in qualche modo chi difende la versione ufficiale a doverci fare i conti quotidianamente.
Altrimenti, i “benefattori del silenzio sociale” l’avrebbero avuta vinta sin dal primo giorno.
In realtà, anche nell’antichità dicevano scripta manent, e il detto era assolutamente valido. Ma lo scriptum “maneva” solo per colui che lo possedeva. Solo lui poteva leggerlo, e bastava lui solo per decidere di distruggerlo.
Chi ha avuto il potere sin dall’inizio della storia umana ha sempre potuto raccontare al popolo tutto quello che ha voluto, mentre da oggi, per la prima volta, non può più farlo.
La lotta ovviamente è ancora tutta da combattere, e la battaglia è tutta da vincere, ma le armi finalmente ci sono, e i risultati si stanno vedendo: due anni fa ci battevamo il capo dalla disperazione, frustrati dalla “assoluta impossibilità“ di uscire con il nostro messaggio dal ghetto della rete.
Solo un anno dopo, nell’autunno 2006, il dibattito sul 9/11 aveva raggiunto i media nazionali, al punto di apparire a volte persino ridondante.
Ma si parlava ancora della prima fase, quella in cui è assolutamente necessario stabilire con grande chiarezza perchè la versione ufficiale sia una montagna di baggianate inaccettabili. Solo avendo mostrato questo con certezza (a chi vuole vederlo, ovviamente), può iniziare la seconda fase, in cui l’analisi storico-politica che sta dietro gli attentati dovrebbe venire a combaciare con quello che è già stato accertato dal punto di vista fattuale.
Come ha detto Lee Hamilton, uno dei due presidenti della Commissione per l’11 settembre, “Noi abbiamo scritto soltanto la prima bozza di questa vicenda. La gente continuerà a indagare sull’11 settembre per altri 100 anni, e certamente scopriranno cose che a noi sono sfuggite”.
Al di là degli eufemismi - obbligatori in certi casi - il messaggio è trasparente: non dobbiamo accontentarci di certi risultati ottenuti, pensando che il grosso del lavoro sia stato fatto. Se la curva di accelerazione, che sta portando al lento smantellamento della grande bugia, continuerà con lo stesso ritmo, sarà solo perché tutti coloro che la alimentano giorno per giorno, con loro piccole azioni quotidiane, avranno continuato a perseguire la verità dovunque e a qualunque costo: non solo sono i “grandi scoop” a portare avanti la lotta per la verità, ma anche l’impegno costante di ciascuno a non tornare a piegarsi al conformisno della bugia, conscio della necessità di uscire al più presto da questa mostruosa campana di vetro che ci tiene prigionieri ormai da sei anni, e con un bisogno sempre maggiore di tornare a respirare una boccata di aria decente. Non dico sana, per ora, ma almeno non così irrimediabilmente inquinata.
Massimo Mazzucco
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