Quello che segue è il resoconto di una breve chiacchierata, intrattenuta per caso con una persona appena rientrata dall'Iran. Si tratta di una donna iraniana, che era emigrata negli Stati Uniti ai tempi di Kohmeini, per poter perseguire un sogno che nel sue paese alle donne era proibito: diventare dottoressa. Una volta all'anno si reca a Teheran, per manterene i contatti con la famiglia e con la propria terra. Le sue impressioni valgono quindi come quelle di una "persona qualunque": non sono necessariamente inquadrate in un'ottica politica, ma dalla stessa non sono certo nemmeno inquinate.
La cosa più sorprendente di tutte è stato sapere che assolutamente nessuno, in Iran, pensa oggi che un'invasione americana sia anche solo lontanamente possibile: semplicemente, non fa parte delle previsioni. "Non siamo mica l'Iraq", ha detto. Ma non c'era nessuna sfumatura di orgoglio nazionalista, nelle sua parole, c'era piuttosto … … il senso di una constatazione di fatto, che evidentemente poggia sulla consapevolezza di una solidità popolare, nel suo paese, ben diversa da quella dei vicini iracheni.
"E' vero che da noi molti odiano gli americani - ha commentato la signora - ma è per quello che stanno facendo all'Iraq, non per il fatto di essere americani. Se stessero a casa loro, nessuno avrebbe niente da ridire."
Altra sorpresa non da poco, il fatto che iraniani ed ebrei, in ogni parte del paese, vadano perfettamente d'amore e d'accordo. "Fra noi e gli ebrei non ci sono mai stati problemi - ha detto la signora - Sono i sionisti che creano i problemi, ed è con loro che noi ce l'abbiamo".
"Comunque non creda - ha aggiunto con un sorriso sornione - il nostro presidente urla e sbraita contro i sionisti dal mattino alla sera, ma c'è moltissima gente che è convinta che siano tutti d'accordo. Lui è amico degli americani, dopotutto, e questo non è un segreto per nessuno."
Per quel che riguarda la "faccenda burqa", tanto gonfiata in Occidente da essere quasi diventata un motivo di intervento bellico da parte nostra, la signora ha semplicemente confermato che la cosa in Iran non è affatto istituzionalizzata, ma varia moltissimo a seconda della zona geografica, del tipo di famiglia e del livello sociale in genere. In una famiglia il burqa può essere ritenuto d'obbligo tutti i giorni, mentre in quella accanto non compare nemmeno per le feste comandate, senza che nessuno ne faccia un grande problema.
Quelle meno sorprendenti di tutte, curiosamente, sono state le notizie riguardo alla povertà diffusa, all'arretratezza delle zone meno popolate, alla corruzione dilagante, e al senso generale di impotenza che unisce (anche) quel popolo verso gli abusi di potere dei suoi governanti. "Certo che abbiamo il petrolio - dice la signora un pò stizzita - ma se lo vendi a tremila dollari, e di quelli duemila se li intascano politici e faccendieri, alla gente come al solito rimangono soltanto le briciole".
Sembra davvero che l'unico denominatore comune, capace di superare nel mondo anche le più profonde barriere religiose, sia quello della perenne frustrazione delle popolazioni verso la classe che le governa.
Tenute a bada con una religione piuttosto che con l'altra (calcio compreso, sia ben chiaro), le "masse" da sempre vengono convogliate le une contro le altre, per puro ed esclusivo interesse dei pochi che le governano, esattamemte come dei pedoni di una partita di scacchi, che vengono sacrificati all'inizio di ogni battaglia, per permettere poi a re e regine di giocarsi la vera partita lontano da sguardi indiscreti.
A proposito, anche da noi si avvicinano le elezioni: cerchiamo quindi di schierarci per bene, e di arrabbiarci a dovere, gli uni contro gli altri, "destra" contro "sinistra", "fascisti" contro "comunisti", per regalare a chi ci inganna da sempre un altro sereno quinquennio di furti e ruberie fatte sul sudore del nostro lavoro.
Massimo Mazzucco
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