La storia nascosta

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1199 da Starburst
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Citazione Giano:

Che quadretto! La demolizione di Winston.
Grazie Starburst, tutti post interessanti.
(e chi se ne importa se non è storia antica! :wink: )


Grazie, e' vero non e' storia antica ma e' moooolto nascosta.

NO FAITHS NO PAIN
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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1207 da Starburst
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SETTEMBRE 1927 CHURCHILL DA' IL "CONSENSO" AL FASCISMO ITALIANO.

Su Mussolini ed il fascismo
L'Italia [...] è retta da un governo che, sotto la sicura guida del signor Mussolini, non arretra di fronte alle logiche conseguenze della realtà economica e ha il coraggio di imporsi i correttivi finanziari indispensabili per stabilizzare la ripresa del paese.[18]
[A Mussolini] Se fossi stato un italiano, sono sicuro che avrei dato la mia entusiastica adesione alla Vostra vittoriosa lotta contro gli appetiti e le passione bestiali del leninismo... L'Italia ci ha offerto l'antidoto necessario al veleno russo. D'ora in poi nessuna grande nazione sarà priva dei mezzi decisivi per proteggersi contro la crescita del cancro bolscevico. (1927: citato in George Orwell, Chi sono i criminali di guerra?, in Tra sdegno e passione, p. 369)
Se io fossi italiano sarei stato con voi [Mussolini] fin dal principio [...] il vostro movimento ha reso un servigio al mondo intero. (nel 1927, ai giornalisti nel corso di una sua visita a Roma[19])
Il signor Mussolini è il più grande legislatore fra i viventi. (1933[20])


Continua la saga dei "nostri" politici se non creati dalle potenze straniere, cooptati e finanziati per formare governi "amici".

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1208 da Starburst
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APRILE 1945 CHURCHILL DA' IL "CONSENSO" PER ELIMINARE MUSSOLINI

Gettare un esercito di un quarto di milione di uomini, comprendente il fior fiore della popolazione maschile italiana, su uno sterile lido distante duemila miglia dalla patria, contro l'opinione del mondo intero e senza controllo dei mari e quindi, in questa situazione, imbarcarsi in quella che può essere una serie di campagne contro un popolo ed in regioni che nessun conquistatore in quattromila anni ha ritenuto che valesse la pena di sottomettere, è un rendersi ostaggio del destino, che non ha un parallelo in tutta la storia. (da un discorso tenuto al City Carlton Club di Londra nel settembre del 1935 a proposito dei preparativi di Benito Mussolini per invadere l'Abissinia[21])
Che sia un grand'uomo. [Mussolini] io non lo nego... ma è anche un criminale.[22]
W.C.

Dal Corriere della Sera

Wiston Churchill avrebbe ordinato l'assassinio di Benito Mussolini come parte di un complotto per distruggere un compromettente carteggio fra di due leader protagonisti della Seconda Guerra Mondiale. Lo riporta il quotidiano britannico Telegraph, basandosi sull'ultimo libro-inchiesta di Pierre Milza, specialista dell'Italia contemporanea e del fascismo, scrittore e storico francese, che torna sul mistero delle ultime ore del Duce e Claretta Petacci con Gli ultimi giorni di Mussolini.

La morte del Duce avvenne in circostanze non ancora del tutto accertate. Non c'è chiarezza infatti sulle modalità dell'esecuzione di Mussolini e della sua amante intorno al 28 aprile 1945, nei pressi di Giulino di Mezzegra, a circa 20 km a sud di Dongo: il fatto continua ad alimentare polemiche e congetture. Storici e giuristi ancora dibattono, oltre che sulla qualificabilità dell'atto come esecuzione di una condanna a morte comminata dal Clnai o come semplice atto d'impulso, sugli eventuali moventi specifici e sui mandanti.

«Non vi è dubbio, a giudicare dalle sue dichiarazioni pubbliche fatte tre gli anni '20-'30, che Churchill fosse un fan di Mussolini. E anche Roosevelt», scrive Milza, teorizzando che il primo ministro in tempo di guerra può aver voluto uccidere Mussolini per giungere in possesso di particolari lettere, in cui esprimeva la sua ammirazione per l'omologo italiano prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.

L'esistenza del carteggio è stata per lungo tempo negata, sia da parte italiana che da parte inglese. In un primo tempo anche lo storico Renzo De Felice si mostrò scettico, salvo poi effettuare una ricerca specifica che lo avrebbe indotto a parlare di "congiura del silenzio" e ad ipotizzare che non solo l'esistenza del carteggio fosse nota da prima della guerra, e che le lettere sarebbero state intenzionalmente cercate, trovate e distrutte, ma che con esse si sarebbe distrutto altro materiale detenuto da Mussolini, ad esempio sul delitto Matteotti, e su altre vicende riguardanti la sinistra italiana.

«Churchill una volta ha anche detto "Il fascismo ha reso un servizio a tutto il mondo... Se fossi italiano, sono sicuro che sarei stato con lui - continua Milza - Ma questo era comprensibile nel 1927, come allora essere un fascista non significava essere un amico di Hitler o un complice di genocidio. Ma quando si è capo di stato e si è considerati eroe di guerra dal popolo britannico, non si desidera che tutto venga alla luce».

Ufficialmente, Mussolini e la sua amante Clara Petacci, sono stati sequestrati dai partigiani comunisti vicino a Dongo sul lago di Como mentre cercavano di fuggire in Svizzera. Nonostante il travestimento da ufficiale tedesco il Duce fu riconosciuto e fucilato insieme alla Petacci. I loro corpi furono portati a Milano ed esposti in piazzale Loreto. Nel suo libro Milza ricorda che Churchill, ormai privato cittadino, avrebbe effettuato nell'immediato dopoguerra gite sotto falso nome a poche miglia dal luogo in cui Mussolini era stato sequestrato. «Forse era andato lì solo per dipingere. E' credibile, tuttavia, che ci fossero altri motivi: è noto infatti che un certo numero di tronchi furono gettati nel lago con i documenti e bottino di guerra», aggiunge Milza.

Un'inchiesta di alcuni giornalisti, fra cui Peter Tomkins, ex agente segreto americano a Milano durante la guerra, formulò l'ipotesi che Mussolini fosse stato ucciso da agenti segreti inglesi interessati a impossessarsi del famoso carteggio. L'inchiesta riporta la testimonianza di Bruno Giovanni Lonati, a quel tempo partigiano comunista nelle Brigate Garibaldi a Milano, che dice di essere stato, insieme ad un agente italo-inglese di nome John, l'esecutore materiale dell'uccisione di Mussolini e di Claretta Petacci. Lonati, tra i pochi presunti attori di questa vicenda ancora in vita, sostiene anche l'esistenza di una foto che proverebbe la sua versione dei fatti, ora segretata insieme al rapporto sulla missione e custodita a Milano all'ambasciata inglese che, nonostante siano ormai trascorsi i 50 anni previsti dal segreto militare, si rifiuterebbe di rendere pubblica.

La fine di benito mussolini non e' solo nell'ottica di uno sconfitto dalla storia e dagli eventi, la sua morte e' la conseguenza dell'aver "disobbedito" alle direttive dei suoi referenti e finanziatori della prima ora, come vedremo in avanti, altri politici e ministri dei governi italiani del secondo dopoguerra hanno pagato lo scotto di una appena ventilata sovranita' nazionale.

La storia dell'esecuzione di mussolini porto' con se ,fatti che solo da pochi anni sono venuti alla luce, parleremo anche dell'accordo segreto tra l'Intelligence Service, servizi segreti inglesi e il comitato centrale del pci,altro che "l'italia fuori dalla nato". Dedicato a quelli che ancora credono che i nostri politici siano "duri e puri".


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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1209 da Starburst
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APRILE 1945 CAMBIANO "GLI AMICI"

Un episodio mai chiarito e nascosto, il famoso oro di dongo, l'oro e beni preziosi che mussolini e i suoi gerarchi portarono con se',sequestrato dalla brigata garibaldi che effettuo' anche l'arresto di mussolini e la fucilazione dei suoi gerarchi.
L'oro spari' come il famoso carteggio tra churchill e mussolini stesso, l'Intelligence Service inglese e la direzione del p.c.i. milanese ancora una volta fecero un patto "segreto", come capita nei corsi e ricorsi storici di questo paese a sovranita' limitata e teleguidata.
Un patto che alcuni partigiani "quelli veri" si rifiutarono di accettare e per questo pagarono con la vita.
Emblematica la morte del capitano "neri" e della sua compagna "gianna".

Iniziamo dalla vicenda dell'oro



La morte e conseguente sparizione del capitano neri e della sua compagna

INTERVISTA DI PAOLA CIONI:

A differenza di quanto avviene nei paesi anglosassoni, in Italia il mondo accademico guarda con grande sospetto alla divulgazione. Divulgare, però, non vuol dire semplificare, né trattare gli argomenti con superficialità, ma trasmettere, per utilizzare le parole di Gramsci, “delle verità già scoperte, socializzarle”, rendendole quindi patrimonio comune. E alcune storie, per la loro complessità e per il coinvolgimento emotivo che richiedono, possono, infatti, essere narrate solo attraverso una divulgazione di alto livello, basata cioè su una ricerca accurata delle fonti, che, attraverso le armi della prosa, riesce a penetrare la complessità di sentimenti personali e collettivi di un´epoca. E´ questo il caso di “Un amore partigiano: storia di Gianna e Neri, eroi scomodi della resistenza” (Longanesi 2014, pagine 224, euro13,94) di Mirella Serri, nel quale, sullo sfondo delle complesse vicende che accompagnarono gli ultimi mesi della Repubblica di Salò e il periodo immediatamente successivo, si narra la storia del comandante partigiano della 52 Brigata Garibaldi Luigi Canali (Neri) e della staffetta Giuseppina Tuissi (Gianna), coinvolti nella cattura di Benito Mussolini e Claretta Petacci e soprattutto testimoni scomodi della sparizione dell´oro di Dongo. La loro storia è forse una delle più drammatiche della Resistenza: i due partigiani furono, infatti, prima vittime dei fascisti, che li catturarono e torturarono, poi dei loro stessi compagni. Neri, infatti, era riuscito a fuggire, Gianna, invece, che probabilmente aveva rivelato i luoghi di nascondigli ormai abbandonati per salvarsi e, allo stesso tempo, non mettere a rischio i compagni, era stata liberata. Per i due amanti furono giorni tragici, come testimonia la particolare durezza delle torture cui furono sottoposti durante la prigionia. La loro sofferenza e la loro determinazione a resistere alle torture non fu apprezzata, ma, al contrario, ripagata con accuse di tradimento e con una condanna a morte, comminata da un tribunale partigiano. Riabilitati, prenderanno poi parte alla cattura del Duce e della Petacci. E´ a questo punto che la vicenda di questi due eroi della resistenza si macchia di sangue: Gianna e Neri verranno fisicamente eliminati e per i loro delitti nessuno pagò il conto. I sospetti che su i due amanti si erano addensati in seguito alla cattura da parte dei fascisti, ma soprattutto il fatto di essere testimoni della scomparsa dell´oro di Dongo, ne decretarono la fine. I loro corpi sparirono per sempre e i processi per determinare le responsabilità di quelle sparizioni non portarono a nulla. Quella che narra Mirella Serri è la storia di uno dei periodi più oscuri della nostra storia, nel quale i confini tra legalità e illegalità si confondono e diviene difficile tracciare una netta linea di demarcazione tra vittime e carnefici. Passati ormai quasi settant´anni da quei fatti è arrivato, però, il momento di guardare a quelle vicende con necessario distacco e indagare sulle reali responsabilità di una classe dirigente che di quel momento storico fu protagonista, ma anche sull´intreccio di “omertà, di paure e di reciproche coperture che alla fine frutteranno carriere, riconoscimenti, onori” e che a oggi non sono state ancora chiarite. Del resto nonostante l´interesse degli storici e le numerose ricerche relative alla sparizione dell´oro di Dongo e della documentazione che Mussolini portava con sé non si è ancora arrivati alla verità e difficilmente si giungerà a ricostruire i particolari dell´intera vicenda. Interessante è l´interpretazione che Mirella Serri offre della figura di Claretta Petacci. La giornalista, infatti, rifiuta l´immagine di una donna “innamorata esemplare, fuori dal potere e dai giochi” e rileva invece come Claretta fosse una sostenitrice convinta delle idee di Mussolini e della politica razziale. Non fu vittima innocente dell´amore per l´uomo sbagliato quindi, ma persecutrice “del partigiano e dell´ebreo”. Gianna e Neri saranno riabilitati da Veltroni e dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi, ma il loro nome non risulta ancora inserito tra l´elenco degli eroi partigiani indicati sul sito dell´ANPI.

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1239 da Starburst
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ELEZIONI POLITICHE DEL 1948 LA COLONIA ITALIA CAMBIA PADRONE.

Inizio' l'era dei partiti e degli uomini politici guidati e finanziati a distanza, se da un lato la democrazia cristiana rappresentava insieme a liberali,repubblicani,destra che poi diventera' movimento sociale italiano, il fronte atlantista, il p.c.i. e in un primo tempo il p.s.i. che poi passera' armi e bagagli a favore della nato, rappresentavano almeno nell'immaginario collettivo l'opposizione alle politiche filostatunitensi.La realta' come vedremo fu molto piu' complessa e intricata e sebbene le redini andarono nelle mani nordamericane,inghilterra e francia rimasero nell'ombra e come vedremo in seguito tramarono nell'ombra..Le elezioni politiche del 1948 seguirono al primo referendum che vide la vittoria neanche tanto netta dello schieramento repubblicano su quello monarchico,reo di essersi alleato con il fascismo e di aver trascinato il paese in una guerra catastrofica. A parte poi tratteremo la fuga ignominiosa della famigerata famiglia savoia che lascio' il paese in mano alla furia dei tedeschi passati da alleati a nemici in 24 ore.


Iniziamo dalle ingerenze degli u.s.a. nelle scelte degli italiani alle prime elezioni "libere" dopo la dittatura fascista.
Tratto dal sito instoria

L’intervento degli Usa.
 
Nell’attesa dei primi aiuti finanziari del Piano Marshall, previsti per l’aprile del 1948 (troppo tardi, dunque, per influire tangibilmente sull’elettorato), il governo statunitense varò – in sostituzione del programma Unrra, ormai conclusosi – due iniziative d’emergenza destinate ai partner europei più bisognosi: la prima, noto come post-Unrra e destinato a “coprire” i mesi rimanenti dell’anno, destinava all’Italia 117 milioni di dollari; la seconda, l’Interim-Aid (in vigore fino a fine marzo del 1948), attribuiva all’Italia una quota di 176 milioni.
 
Questi quasi 300 milioni di dollari (destinati generalmente all’acquisto di generi di prima necessità), insieme alle navi cariche di aiuti statunitensi che cominciavano ad affluire sempre più numerose nei porti italiani, costituivano un capitale politico di primaria rilevanza che l’ambasciatore James Dunn seppe utilizzare anche e soprattutto per promuovere l’immagine degli Stati Uniti nel Paese.
 
L’ambasciata americana, sotto la guida di Dunn, si prodigò infatti in un lavoro febbrile, in quei mesi, organizzando simboliche cerimonie celebrative – il cui significato politico andava sempre più chiarendosi - in occasione dell’arrivo di ogni centesima nave americana, intervenendo continuamente da un capo all’altro della penisola per festeggiare insieme ai futuri elettori l’avvenuta realizzazione (finanziata dagli aiuti d’oltreoceano) di infrastrutture, abitazioni, ospedali o lo sbarco festoso di medicinali, sacchi di farina e container; ed ottenne l’entusiastico sostegno del governo e del mondo politico italiano (escluse le sinistre) in genere, ansioso di sottolineare, evidenziare e lodare gli apporti d’oltreoceano con ogni mezzo a disposizione, radio e stampa (governative) comprese: “gli aiuti d’America ci aiutano ad aiutarci da noi”, campeggiava su un famoso manifesto dell’epoca.
 
Ma l’importanza degli aiuti statunitensi non si limitò a questo: consistette anche nell’ingabbiare sottilmente la propaganda comunista, costretta a isolarsi dal coro di unanime apprezzamento per la generosità americana, a denunciare la sostanziale subalternità del Paese alla politica statunitense e l’intento propagandistico dei discorsi pronunciati in quelle occasioni (“L’ambasciatore americano apre la campagna elettorale della Dc”, titolava ironicamente l’“Unità” all’indomani dell’approdo della 400ma nave statunitense a Reggio Calabria, il 5 marzo 1948).
 
Anche la società civile americana decise di partecipare a quella che si cominciava ad avvertire come una battaglia decisiva, non solo per le sorti del disastrato Paese mediterraneo: un convoglio pieno di regali (il “treno dell’amicizia” ideato dal giornalista Drew Pearson), dopo il trasporto per nave degli aiuti privati, prese a percorrere la penisola e a seminare lungo la via comizi e cerimonie, festeggiato ad ogni tappa da autorità entusiaste e folle imbandierate; gruppi di cittadini, spesso italo-americani, s’impegnarono oltreoceano a sostenere le forze anti-comuniste; e lettere o cartoline individuali, inizialmente basate su preesistenti legami di parentela e d’amicizia e prevalentemente indirizzate all’Italia meridionale, cominciarono a piovere copiose nelle caselle postali degli italiani con contenuto variabile: dagli inviti amichevoli al voto filo-americano alle accuse anti-comuniste, dai consigli elettorali alle “rimesse” dei familiari, dalle minacce concrete – stop agli aiuti o all’emigrazione – agli anatemi metafisici – “la maledizione di Dio cadrà su di te e sulla tua famiglia”.
 
L’intervento americano, però, s’intensificò notevolmente a partire dalle elezioni di Pescara, che polverizzarono d’un colpo il cauto ottimismo dei filo-occidentali nei mesi precedenti.
 
Innanzitutto, nella discussione politica fu introdotto il problema di Trieste, dove la situazione era rimasta immutata dalla fine della guerra (la zona B era ormai entrata di fatto a far parte del territorio jugoslavo, mentre la zona A rimaneva controllata dagli anglo-americani, che potevano così presidiare il tratto meridionale della “cortina di ferro”): una “dichiarazione tripartita” anglo-franco-americana del 20 marzo che proponeva di restituire alla sovranità italiana il Territorio Libero di Trieste (la zona A, in pratica) ebbe l’effetto di recuperare alla propaganda occidentale un tema di sicura risonanza emotiva e di anticipare un’analoga mossa, che si riteneva in preparazione da parte sovietica; le sinistre, prese in contropiede, dovettero di nuovo limitarsi a denunciare la “speculazione elettorale” incassando, nella sostanza, un altro pesante successo propagandistico degli avversari; contemporaneamente, cominciarono a piovere nelle caselle postali degl’italiani migliaia di lettere false, opera di un fantomatico cittadino triestino che invitava a votare contro il comunismo in sua vece.
 
Per minimizzare almeno in parte gli effetti dirompenti dell’aiuto economico americano, i dirigenti del Fronte ricorsero all’artificio di annunciare pubblicamente la continuazione dei rifornimenti statunitensi anche in caso di successo elettorale delle sinistre, riservandosi però il diritto di gestirli in senso favorevole alle classi lavoratrici e a patto che nessun condizionamento derivasse alle autonome scelte nazionali in politica interna ed estera.
 
Era una posizione già di per sé debole, come vedremo in seguito, ma l’ambasciatore Dunn si attivò comunque per disinnescarne gli effetti, che ai suoi occhi rischiavano di mettere a repentaglio il faticoso lavorìo propagandistico dei mesi precedenti: il problema fu sollevato dal giornalista americano Cyrus Sulzberger, autore di un articolo chiaramente concordato che rivelava il proponimento governativo di annunciare l’esclusione dell’Italia dal Piano Marshall in caso di ascesa al potere dei comunisti (con mezzi legali o meno); il giorno seguente toccò a Michael McDermott, funzionario del Dipartimento di Stato, confermare l’esattezza dell’indiscrezione: “I comunisti in Italia hanno sempre detto di non volere l’Erp. Se i comunisti vinceranno – cosa che non possiamo credere, conoscendo lo spirito e lo stato d’animo del popolo italiano – non si porrà più il problema di un’ulteriore assistenza economica da parte degli Stati Uniti”.
 
La stampa governativa cavalcò con decisione la notizia, costringendo gli avversari ad occuparsene; tuttavia, mentre l’“Avanti!” preferì tacere, l’“Unità” pubblicò una versione largamente manipolata delle dichiarazioni del funzionario, tentando di sminuire la portata delle sue parole invece di insistere sull’evidente scopo ricattatorio del discorso.
A quel punto, sotto la pressione dei dirigenti italiani interessati ad allargare la falla apertasi nella proposta di governo del Fronte, gli americani tornarono sull’argomento: il 20 marzo il segretario di Stato George Marshall, in un discorso a Berkeley, in California, dopo aver ricordato che i comunisti italiani – nel corso della campagna elettorale - “hanno pubblicamente affermato che se il loro partito risultasse vincitore, l’assistenza economica americana all’Italia continuerebbe senza cambiamenti” mentre “a tutte le nazioni europee sotto l’influenza comunista è stato impedito di partecipare all’European Recovery Program”, concluse: “Dato che l’associazione all’Erp è completamente volontaria, i cittadini di ogni Paese hanno il diritto di cambiare idea e, in effetti, di ritirarsi. Se decidono di votare per mandare al potere un governo nel quale la forza politica dominante è un partito che ha spesso, pubblicamente ed enfaticamente, proclamato la propria ostilità per questo programma, questo voto potrebbe essere giudicato solo come una prova del desiderio di tale Paese di dissociarsi dal programma stesso. Al nostro governo non rimarrebbe che prendere atto che l’Italia si è tagliata fuori dai benefici dell’European Recovery Program”.
***Vedi asterischi a fondo pagina..
 
Con queste parole il sostegno alla Dc da parte degli Stati Uniti raggiunse lo zenit, rivelandosi un patrimonio propagandistico di primaria importanza a favore del blocco filo-occidentale.

*** Questo e' un sito di "complottisti" e voglio esserlo fino in fondo, davvero crediamo che quello fu un errore non voluto dal fronte popolare,un errore politico cosi' enorme da non essere visto da fior di politici, in primis togliatti? O fu la logica conseguenza della spartizione di campo,di coscenza,di ideali ,dell'elettorato italico?

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8 Anni 7 Mesi fa #1303 da Starburst
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L'INGERENZA DELLO STATO VATICANO NELLE ELEZIONI DEL 1948

Diventata religione di stato con il beneplacido dell'imperatore costantino, la religione cristiana si trasformo' nella cattolica,apostolica,romana,assunse il potere riservato ai sacerdoti e ai senatori del decaduto impero romano (varie cariche mantennero lo stesso nome : pontefice massimo, curia,ecc.) e divento' ben presto potente e influente per secoli su tutta europa ed in seguito anche oltre.
Il risorgimento italiano non lo scalfi' sebbene ci vogliano far credere il contrario, semplicemente come tutti gli imperi stava perdendo potenza a livello materiale "le colonie costano", ma non perse il potere piu' infido, quello persuasivo, e' con questo potere che pio XII alle elezioni politiche del 1948 mise in campo ogni risorsa per evitare una svolta a sinistra che secondo lui avrebbe compromesso la fede degli italiani, in verita' la paura piu' grande era che da sudditi fedeli si trasformassero in cittadini con una coscienza e quindi con qualche dubbio.

DAL SITO INSTORIA:

“CON CRISTO O CONTRO CRISTO”
 
La Chiesa di Pio XII, all’indomani del secondo conflitto mondiale, ribadì il ruolo della direzione ecclesiastica nella riedificazione della società pur accettando l’affermazione della democrazia a fondamento dell’ordinamento internazionale: e lo fece precisando, fin dall’inizio, che la legittimità del nuovo ordinamento dovesse riposare “nel quadro complessivo di una società diretta dalla Chiesa”.
 
Si schierò fin dall’inizio, quindi, a favore di una democrazia che non poteva non essere cristiana, e come tale ostile al comunismo; proprio su queste basi si delineò una convergenza con le potenze occidentali, per quanto le vedute su alcune posizioni diplomatiche potessero rivelarsi divergenti, che si trasformò in allineamento al momento dell’irrigidimento dei blocchi.
 
Chiesa ed Occidente trovarono un trait d’union nella decisa opposizione al comunismo; e se l’Occidente stesso si trovava alle prese con una sempre più diffusa secolarizzazione e con un impietoso abbandono della pratica rituale/sacramentale, la Chiesa scelse di collegare quest’ultima all’orientamento politico dei fedeli: basti pensare all’istituzione della devozione per il Sacro Cuore, canale privilegiato per il raggiungimento di quella società ieratica (il Regno di Cristo) che il pontefice aveva vagheggiato fin dalla prima enciclica.
 
Fin dalle prime consultazioni elettorali (2 giugno 1946), quindi, la Dc potè beneficiare di un concreto sostegno, di un appoggio capillare e costante da parte delle gerarchie ecclesiastiche, che intendevano indirizzare i suffragi moderati verso la lista scudocrociata facendone il perno della riedificazione economica, politica ed etica del Paese: e senza questo fondamentale sforzo “il successo della Dc, fin dalle elezioni amministrative del marzo-aprile 1946, non sarebbe spiegabile”. In questo senso la politica di apertura di Togliatti – esplicitata dalla posizione assunta nei confronti dell’art. 7 della Costituzione, votato per evitare lacerazioni nella coscienza del Paese e in nome di una volontà di collaborazione che animava tutta la sua azione politica del periodo – non bastò a tacitare gli animi, né ad appianare le contrapposizioni.
 
L’inserimento a pieno titolo della Chiesa nelle vicende politiche italiane si realizzò compiutamente con il discorso che papa Pio XII pronunciò a Piazza San Pietro il 22 dicembre, vigilia di Natale del 1946, anticipando in effetti gli indirizzi della politica governativa (che, come abbiamo visto, giunse solo nel maggio del 1947 alla rottura dell’“alleanza antifascista”): quel giorno, davanti a migliaia di romani, Pio XII sferrò un violento attacco contro gli “empi negatori di Dio, profanatori delle cose divine, adoratori del senso” che macchiavano di ignominia e coprivano di fango “il volto sacro di Roma”; e proseguì affermando che “Dal suolo romano, il primo Pietro, circondato dalle minacce di un pervertito potere imperiale, lanciò il fiero grido di allarme: resistere forti nella fede. Su questo medesimo suolo noi ripetiamo oggi con raddoppiata energia il grido a voi la cui città natale è ora teatro di sforzi incessanti, volti ad infiammare la lotta tra due opposti schieramenti: o con Cristo o contro Cristo; o per la sua Chiesa, o contro la sua Chiesa”.
 
Fu il segno di un avvenuto salto di qualità, d’una presa di posizione convinta e d’un intransigente irrigidimento della politica vaticana, che di fatto riconosceva e sanciva il contemporaneo processo di bipolarizzazione in atto a livello politico, e insieme d’un invito allo scontro che si sapeva prossimo, e non s’aveva più cura d’attendere:
 
“La persecuzione religiosa nei Paesi dell’Est è spietata. Rapporti molto dettagliati in materia impressionano molto il Santo Padre. Vi è un rischio del genere da noi, se le elezioni le vinceranno gli altri? Senza dubbio sì. Per questo varie proposte mirano a impegnare direttamente il Vaticano nella campagna elettorale”, scrisse Andreotti, giovane sottosegretario ala presidenza del Consiglio, alla vigilia del 1948.
 
Le elezioni italiane del 1948 costituirono appunto il teatro in cui si esplicò il coinvolgimento diretto nell’agone politico delle 22.000 parrocchie italiane e dell’Azione cattolica, come Pio XII stesso ebbe a definirla l’organizzazione laicale per “una speciale e diretta collaborazione [sostituito a partecipazione, il termine scelto dal predecessore, per sottolineare la direzione della gerarchia] all’apostolato gerarchico della Chiesa”.
 
La dichiarata apoliticità dell’associazione fu posta in secondo piano dal fervente attivismo del medico genetista Luigi Gedda (allievo del famoso endocrinologo Pende), nominato presidente degli uomini dell’Aci nell’ottobre del 1946, dopo dodici anni passati alla guida del settore giovanile.
 
Non si trattò di un’investitura contingente, dettata dall’urgenza della situazione e dalla necessità di tamponare il pericolo comunista: gli spazi politici conquistati in quei mesi agitati continuarono ad appartenerle anche dopo le elezioni, nonostante gli sforzi di alcuni dirigenti (come C.Carretto, 1910-1988 e M.V. Rossi, 1925-1976) che tentarono di ri-orientarne gli interessi verso la sfera religiosa prima di essere costretti alle dimissioni; e l’organizzazione seguitò ad essere mobilitata quando necessario per influenzare le scelte di un governo di per sé già “cattolico”.
 
Comunque sia le manifestazioni dell’Aci crebbero, dopo l’elezione di Gedda, in numero e in visibilità, presero a frequentare di proposito le zone più “rosse” parallelamente alle “missioni religioso-sociali”, che si proponevano di effettuare “una profonda aratura della coscienza, nel cui solco sarebbe poi stato più facile far cadere il seme delle decisioni politiche coerenti”; tali iniziative consegnarono così al Paese un’immagine di forza e compattezza culminante nell’adunata romana del 7 settembre del 1947, nel corso della quale papa Pacelli prescrisse ai militanti di prepararsi all’“ora della prova e dell’azione”: a tutti gli effetti “una manifestazione di forza, che con l’imponenza numerica, dimostri a tutti, agli amici e agli avversari della Religione, chi siamo, quanti siamo, che cosa vogliamo”.
 
Parallelamente, si evidenziò la necessità di uno strumento più flessibile , nella lotta al comunismo, della struttura della Dc, che l’affiancasse e la pungolasse, proposto da Gedda già nella riunione della presidenza generale dell’Aci, il 10 gennaio del 1947: ma il progetto, alquanto confuso e oltretutto guardato con sospetto da coloro che temevano la nascita di un secondo partito cattolico, cadde nel nulla.
 
Fu l’intensificazione della campagna elettorale, nei mesi che accompagnavano la fine dell’anno, a resuscitare quell’idea. Se ne fecero promotori, forti del sostegno di Pio XII, monsignor Montini e il cardinale Pizzardo; furono loro a rivolgersi a Gedda, l’uomo che aveva fin’allora mostrato maggiore comprensione per le nuove esigenze della situazione politica: i Comitati Civici, la sua opera più famosa, nacquero infine l’8 febbraio del 1948 per ampliare la base elettorale delle forze anti-comuniste, e ricevettero questo nome per differenziarsi dall’Aci, oltre che per aggirare le imposizioni dei Patti Lateranensi.
 
“Pio XII”, ha poi testimoniato lo stesso Gedda, “Tante volte mi ha detto che ciò che i comunisti avevano fatto in Oriente (Polonia, ecc.) bastava da se stesso a qualificarli e a dimostrare cosa essi avrebbero fatto in Italia una volta al governo. Fu il papa stesso che mi invitò il 26/1/1948, il 1/2/1948 e il 14 dello stesso mese a promuovere un movimento che potesse raccogliere i cattolici militanti dell’Aci e delle altre organizzazioni perché si potessero queste forze validamente contrapporre al comunismo che, a giudizio di Togliatti, avrebbe vinto le elezioni. Il S. Padre mi diede tale incarico perché era rimasto favorevolmente impressionato dalla manifestazione degli Uomini Cattolici che si era svolta nel settembre 1947. Pio XII mi diede queste indicazioni perché l’Aci non poteva, per effetto dei Patti Lateranensi, interessarsi di politica […] Il Comitato Civico era pertanto al di fuori dell’Aci; l’incarico fu ad personam”.
La separazione tra Comitati Civici ed Aci apparve da subito relativa: da una parte, Gedda seguitò a mantenere il precedente incarico; dall’altra, fu l’Azione Cattolica a fornire i primi attivisti al nuovo istituto.
 
Comunque sia, i Comitati Civici si diffusero a macchia d’olio – “nelle ultime settimane della campagna elettorale il nostro esercito poteva contare su 300.000 volontari”, riferì Gedda - a livello regionale e zonale, fungendo da centri coordinatori di tutte le opere religiose della zona, effettuando censimenti dei mezzi di trasporto per portare alle urne anziani e malati, distribuendo il materiale di propaganda elaborato dal Centro Direzionale, spingendo a votare per quei candidati maggiormente fedeli alla dottrina cristiana.
 
Un impegno dunque organizzativo e contemporaneamente logistico: “si trattava di convincere e, in molti casi, quasi di portare la gente a votare; poi bisognava essere sicuri che, una volta giunti davanti alle urne, anche i meno colti, anche gli analfabeti e i vecchi contadini, sapessero cosa fare, dove mettere la loro croce […] anche il linguaggio usato dai loro opuscoli, slogan come ‘coniglio chi non vota’, che ricordavano espressioni simili dei comunisti e dei qualunquisti, hanno avuto un ruolo notevole nello scuotere gli strati più assonnati della popolazione”; si puntava, evidentemente, a scuotere la psicologia e l’autostima dell’elettore, semplicizzando slogan e registro comunicativo dei manifesti e riscoprendo la tradizione dell’illustrazione cartellonistica, illustrata più che scritta: stereotipata, caricaturale ed immediata.
 
I nuovi arrivati – presto affiancati da Civiltà Italica, organizzazione “incaricata di formare l’opinione pubblica per mezzo di diversi mezzi di comunicazione e di fornire una stanza di compensazione per contatti e attività tra individui e gruppi che si oppongono ai partiti comunista e socialista di sinistra”, secondo le parole del suo organizzatore, mons. Ronca - turbarono seriamente il presidente generale dell’Azione Cattolica, Vittorni Veronese, oltre a molti suoi responsabili locali. Ed entrarono anche in contrasto con il servizio di propaganda della Dc, la “Spes” (Servizio propaganda e studi), generando non pochi timori in gran parte dei dirigenti democristiani, timorosi di un controllo diretto del Vaticano e della perdita dei finanziamenti fin’allora ricevuti: anche per questo, soprattutto a posteriori, gran parte dei dirigenti democristiani ne minimizzarono l’apporto.
 
Accanto al fondamentale lavoro dei Comitati, “la forza d’urto, il reparto d’assalto, di un esercito già esistente, ben addestrato e combattivo” si schierarono massicciamente le gerarchie, intenzionate a spostare di forza il conflitto sul terreno più congeniale della “guerra santa”, ed il clero secolare e regolare in genere: ad esempio, i vescovi della Toscana, della Liguria, del Triveneto, della Campania, dell’Emilia, della Regione Flaminia, della Sicilia, collettivamente o individualmente; ed esemplari, in questo senso, si rivelarono le accorate richieste di differire il ritiro delle truppe americane, le “preghiere dell’elettore” che si andavano diffondendo, le prediche di padre Lombardi, noto come “il microfono di Dio”, oppure le lettere circolari emanate da alcuni vescovi di grandi diocesi, tra cui Giuseppe Siri a Genova e dal cardinale (e futuro beato) Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, che il 22 febbraio 1948 scrisse ai sacerdoti della sua diocesi:
 
 “Non si possono assolvere gli aderenti al Comunismo o ad altri movimenti contrari alla professione Cattolica: 1) quando aderiscono formalmente agli errori contenuti nelle loro dottrine; 2) quando prestino cooperazione anche solo materiale specie mediante il voto ed ammoniti rifiutino di desistere. Si deve inoltre omettere la benedizione liturgica alle case dei promotori e dei propagandisti dei suddetti movimenti. La Chiesa ammette qualsiasi legittima forma di governo, purché diretta al bene comune, ed organizzata giuridicamente, in armonia con le leggi divine e con i diritti sociali, specialmente dell’individuo e della famiglia: a) è grave dovere di coscienza di ogni Cristiano, l’esercizio del voto così politico che amministrativo, il quale deve essere tuttavia libero e secondo retta coscienza; b) è gravemente illecito ad ogni fedele dare il proprio voto a candidati, o ad una lista di candidati che siano manifestamente contrari alla Chiesa, ovvero all’applicazione dei principi religiosi e morali Cristiani nella vita pubblica; c) Il voto può e deve essere dato solo a quei candidati o a quella lista di candidati che offrano maggiori garanzie di esercitare il loro mandato nello spirito e secondo le direttive della Morale Cattolica”.
 
Spettò quindi all’intervento pasquale del papa, il 28 marzo 1948, sollecitare il “popolo di Dio” ad una precisa scelta di campo nell’imminenza delle elezioni, riecheggiando echi già sentiti e riproposti col sostegno di manifesti e di volantini lanciati dagli aeroplani.
 
Dopo la benedizione urbi et orbi Pio XII – in italiano - spiegò infatti che:  “La grande ora della coscienza cristiana è suonata. O questa coscienza si desta a una piena e virile consapevolezza della sua missione di aiuto e di salvezza per un’umanità pericolante nella sua compagine spirituale; e allora è la salute, è l’avveramento della formale promessa del redentore: ‘Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo’. Ovvero (che a Dio non piaccia) questa coscienza non si sveglia che a metà, non si dà coraggiosamente a Cristo, e allora il verdetto, terribile verdetto!, di Lui non è meno formale: ‘Chi non è con me è contro di me’.  Voi diletti figli e figlie, ben comprendete che cosa un tale bivio significa e contiene in sé per Roma, per l’Italia, per il mondo. Nella vostra coscienza, destatasi a tale piena consapevolezza, della sua responsabilità, non vi è posto per una cieca credulità verso coloro che dapprima abbondano in affermazioni di rispetto alla religione, ma poi, purtroppo, si svelano negatori di ciò che vi è di più sacro”.
 
Se è vero che la Chiesa aveva già da tempo preso posizione a favore della Dc, è altrettanto vero che mai si era schierata in modo tanto esplicito, mai aveva puntato così tanto su una singola tornata elettorale: basti dire che il pontefice, il giorno del voto, potè seguire l’andamento dei risultati dall’ufficio elettorale appositamente predisposto dall’Azione cattolica in Vaticano.
 
La pressione esercitata dalla Chiesa, ovviamente, suscitò però dure recriminazioni nel campo avverso, esasperato per quello che veniva ritenuto uno “sconfinamento” indebito e aggressivo.
 
Ne è testimone la polemica di Togliatti, che all’inizio di marzo scrisse sull’“Unità”: “Il Partito della Democrazia Cristiana rapidamente superato un primo momento iniziale in cui tenne a dichiararsi ‘non confessionale’, è ora chiaramente il partito del Vaticano. Esso è diretto dalle alte sfere ecclesiastiche”; oppure, restringendo l’immagine al piano locale, lo sfogo frustrato di Leonida Rapaci, candidato al Senato per il Fronte Popolare nel collegio di Palmi: “Battuto da un sordomuto”, scrisse infatti nel volume conclusivo del Ciclo dei Rupe, “è il colmo. Mentre io parlavo a immense masse di popolo trascinandole all’entusiasmo, il mio avversario (Domenico Romano, già alto funzionario del Ministero dei Lavori Pubblici in età fascista e ministro con Badoglio, ndr) teneva la bocca chiusa e faceva parlare per lui i parroci nei confessionali”.
 
L’on. Fausto Gillo riferì alla Camera il 9 giugno del 1948, nel corso di una dura requisitoria contro i pesanti interventi delle gerarchie nella campagna elettorale, che nei seminari si costringevano gli alunni a scrivere ad amici e parenti, per convincerli a votare Dc. Per dimostrarlo, lesse una lettera di un seminarista di Arezzo: “L’ora fatale che dovrà segnare il destino d’Italia sta per scoccare: o un’Italia libera, o un’Italia schiava; o un’Italia religiosa, o un’Italia senza Dio: a te il decidere con il tuo voto e con quello di tua moglie. Ricorda che questa volta la lotta non è politica, ma religiosa. Bada che, se vince quel partito, io non potrò nemmeno ascendere al sacerdozio. Ti avverto, di fare propaganda fra gli amici e i compagni della nostra scuola perché votino tutti per i candidati Dc”.
 
Nei certificati per la cresima, proseguì, oltre al nome del bambino, il suo indirizzo, il nome di padrino e madrina, si leggeva: “Dichiaro di non essere iscritto o aderente al partito comunista o socialista o ad altri partiti contro la Madre Chiesa”; e concluse il suo intervento denunciando la mancata benedizione pasquale a tutti i militanti del Fronte.
 
Si può ben vedere come l’attivismo del Vaticano apparisse, anche ai contemporanei (ed agli avversari), massiccio e determinante: nel piccolo scenario come nei grandi palcoscenici nazionali, all’inizio come alla fine.
 

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1326 da Starburst
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A proposito di storia nascosta, ecco un altro esempio di come la memoria corta sia l'occupazione principale dei nostri storici, tesi a pianificare la pace sociale per il loro tornaconto personale, una categoria di pavidi, con il "volemose bene" come ragione di vita.

Tratto dal dal sito del fatto quotidiano


Giorno della Memoria, Risiera di San Sabba: la fabbrica della morte nel cuore di Trieste. “5mila morti. E un record di spie e delazioni”
di Elisa Murgese


L'OLOCAUSTO 71 ANNI DOPO - Al Teatro della Cooperativa di Milano arriva "I me ciamava per nome: 44.787", spettacolo teatrale di Renato Sarti che racconta l'unico lager con il forno crematorio in Italia. Il regista: "Tutti sapevano. Ci sono testimonianze che raccontano come nei giorni di scirocco non si riuscisse a respirare. E fare la spia ai fascisti fruttava bene
26 gennaio 2016


A venti metri da un’osteria. A meno di duecento dallo stadio della Triestina. Talmente vicino al centro, che alcune guardie andavano al lavoro con l’autobus, il numero 10. Eppure pochi sanno che l’unico campo di sterminio in Europa all’interno di una città era proprio in Italia, a Trieste. È la Risiera di San Sabba, il solo lager nazista in Italia con forno crematorio, camino da cui sono passate da 3mila a 5mila vittime. Una pagina della storia italiana ricordata al Teatro della Cooperativa di Milano con lo spettacolo I me ciamava per nome: 44.787, in scena dal 25 al 31 gennaio. “Un colpevole oblio ha soffocato fin dall’immediato dopoguerra le voci di quanto accadde”, racconta a ilfattoquotidiano.it l’autore e regista Renato Sarti.
Una scena spoglia; sul palco solo un tavolo, alcune sedie e uno schermo per diapositive. Nelle orecchie del pubblico, i passi dei detenuti mandati a morire, che a San Sabba erano sopratutto anziani, donne, bambini e alcuni partigiani. “Tutti sapevano – racconta il regista – Ci sono testimonianze di triestini che raccontano come nei giorni di scirocco non si riuscisse a respirare per la puzza di bruciato. Altri, ricordano dei sacchi di cenere scaricati dai camion”. In effetti il quartiere di San Sabba è una sorta di anfiteatro naturale, dove la ciminiera della Risiera si erge in maniera molto visibile. “Un’altra prova che il lager non fosse sconosciuto ai triestini è il fatto che, subito dopo la Liberazione, tutto il quartiere si è precipitato al campo per fare razzia dei mobili”. Un’operazione di silenzio, quindi, ha cercato di insabbiare l’esistenza di un campo di concentramento, dove “i detenuti non potevano affacciarsi alle finestre, mentre le guardie alzavano il volume della musica per non fare sentire ai passanti quello che accadeva tra le mura”.

Mentre la prima parte racconta della Risiera di San Sabba, la seconda metà della messa in scena – che gode dell’alto patronato del presidente della Repubblica – si concentra sulla deportazione triestina, che equivale a un terzo di quella nazionale. Da Trieste, infatti, sono partiti 1.235 ebrei. Direzione: Auschwitz. Solo 39 hanno fatto ritorno. “In nessun’altra città in Polonia, Olanda o Belgio si sono verificati così tanti casi di delazione da parte degli abitanti della città – continua Sarti – Denunciare un ebreo fruttava bene e la comunità ebraica di Trieste era numerosa e decisamente ricca”. Tra le testimonianze di ex prigionieri, raccolte da Marco Coslovich e Silva Bon dell’Associazione nazionale ex deportati, resta nella memoria quella di una triestina che ha partorito a Ravensbrück, il più grande campo femminile. Suo figlio è rimasto in vita solo qualche ora. Ma lei è riuscita a fingere per tre giorni che il neonato tra le sue braccia fosse ancora vivo. “Temeva di essere trasferita nel blocco 23 – prosegue Sarti – cioè il reparto dove erano portate le neo-mamme prima di essere cremate”. Una testimonianza che si conclude con una frase originale della deportata: “Nessuno può capire cos’era, nessuno mai capirà. Neanche se mi ricoprissero d’oro sarei ripagata per quello che mi hanno fatto”.
“Il nostro è un Paese che ha fatto della memoria un optional – continua Sarti – Ricordiamo sempre quel che è successo in Germania, lasciando nell’oblio le storie italiane”. Inoltre, secondo il regista triestino, poco ci si è spesi a raccontare le deportazioni di rom, omosessuali, etnie asiatiche e slave. “Tanto che il paradigma dello straniero slavo mediorientale sentito come inferiore è rimasto dentro di noi. Se non si fa un lavoro di bonifica serio, come è stato fatto in Germania, alla fine i problemi di razzismo ritorneranno”. Un oblio tollerato nonostante ci siano ancora testimoni di queste vicende. “Quando saranno morti tutti i testimoni oculari, toccherà a noi che li abbiamo ascoltati portare avanti questa memoria. Perché il rischio è che possa ricapitare che una nazione si senta superiore a un’altra”. Alla fine del teatro-documento, neppure un applauso. Il pubblico resta-, ancora avvolto dal buio della sala. “Percepisco un grande stupore – dice Sarti – Si pensa sempre che gli italiani siano ‘brava gente‘, ma questa storia è la viva testimonianza che le cose non sono andate in questo modo”.


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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1348 da Starburst
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IL FALLIMENTO DEL FRONTE POPOLARE ALLE ELEZIONI DEL 1948

Da diverse fonti la maggior parte dell'epoca, risulta evidente l'errore politico enorme che fece il fronte popolare (p.c.i.-p.s.i.u.p.) il psiup era il partito socialista italiano di unita' proletaria, l'avere sottovalutato l'avversario politico (democrazia cristiana) forte dell'alleanza con gli usa e il vaticano. Fu veramente una serie di sbagli madornali prima e dopo le elezioni del 1948 a sancire il flop dell'alleanza di sinistra?
Dall'articolo che segue sembra di si, ma l'evoluzione della storia ed il crollo del muro di berlino hanno messo a nudo gli intrecci,gli accordi,naturalmente sotto banco che le due superpotenze negli anni hanno stipulato anche nel decidere il destino dei loro paesi alleati (vedi colonie).
Il p.c.i. capi' l'antifona fin dal 1945, sarebbe stato inutile cercare di spostare l'asse politico e sociale dell'italia, ormai i confini e le competenze erano state assegnate tutto il resto avrebbe fatto parte del famoso gioco delle parti, anche i cosidetti "errori" politici di valutazione e di giudizio.

DAL SITO INSTORIA

Il fattore URSS e l’intrinseca debolezza del Fronte
 
In ogni ricostruzione di quei mesi d’attesa il ruolo degli Stati Uniti merita almeno un capitolo: comprensibilmente, si direbbe, data l’influenza della prima potenza mondiale – rafforzata dal monopolio nucleare – nel panorama politico d’un Paese sconfitto, che rientrava in effetti nella sua sfera d’interessi.
 
Molto spesso, però, si trascura l’URSS, o la si riduce ad una sterile centrale ideologica interessata esclusivamente al consolidamento del settore di competenza; oppure ancora non si collega questo consolidamento alle fortune della Dc, e non si considera che in effetti il blocco filo-occidentale non avrebbe potuto sperare in un ‘padrino’ peggiore, per i frontisti, dell’URSS di quei mesi; già di per sé, è questo un modo per negarne la marginalità.
 
Innanzitutto l’URSS comparve nella campagna elettorale nelle vesti di oppressore, come riportato dai racconti sui metodi di governo imposti da Stalin in Europa orientale; e su questi resoconti l’immaginario popolare innestò un’altra immagine secolare, d’una Russia medievale, spietata, arretrata e brutale, sovrapponendola al mito contemporaneo forgiato dalla resistenza al conquistatore nazista; con questo ‘cambio d’abito’ l’URSS smise le sue vesti rivoluzionarie per indossare il completo del censore, e talvolta del boia, e non seppe reggere la concorrenza della fascinazione americana (la “rendita di posizione degli Stati Uniti”, secondo Gambino), fondata su un secolo e più di racconti, favole e miti.
 
Anche per questo la politica dell’URSS, al contrario di quella statunitense, danneggiò sensibilmente gli interessi del blocco che nelle elezioni italiane ne rappresentava gli interessi, incrinandone sensibilmente i tentativi elettorali e costringendolo sulla difensiva; e solo saltuariamente rivelò – come avvenuto l’11 febbraio del 1948, quando propose ufficialmente di ripristinare un “mandato a tempo determinato” dell’Italia sulle ex-colonie – un interessamento, pur tiepido, per i temi centrali della campagna elettorale.
 
Abbiamo già detto della “svolta” intransigente imposta al Pci ed al Pcf nel corso dell’incontro di Szklarska Poreba, che impose la rottura con i “traditori” socialdemocratici. E abbiamo visto di quanto questa scelta contribuì a indebolire le posizioni del Fronte.
 
Notizie ancora peggiori, tuttavia, cominciarono a giungere dalla Cecoslovacchia, l’altro Paese – oltre all’Italia, almeno fino al voto – a non essere stato del tutto inserito nel meccanismo dei blocchi, nell’ultima decade di febbraio del 1948.
 
In quei giorni il regime di coalizione che governava da tre anni – rafforzato dalle elezioni del 26 maggio 1946 e caratterizzato da una posizione di minoranza dei comunisti, che pure mantenevano la Presidenza del Consiglio con Klement Gottwald – crollò sotto i colpi del ‘colpo di mano’ del Pc cecoslovacco e poi delle purghe, delle repressioni, degli omicidi (come quello del Ministro degli Esteri Jan Masaryk, unico democratico ad aver accettato di far parte del nuovo esecutivo, trovato morto sotto la finestra della sua abitazione) che ne conseguirono, lasciando campo libero all’instaurazione di un esecutivo comunista: in questo modo, a differenza dell’Italia, rottura dell’alleanza anti-fascista (comprendente i partiti comunista, socialista nazionale, socialdemocratico, cattolico popolare, democratico slovacco) ed inserimento nel blocco d’appartenenza avvennero simultaneamente. Stalin, adeguandosi alla spaccatura dell’Europa, stringeva il cappio intorno ai suoi protetti colpendo proprio quello più convintamente imbevuto di tradizioni democratiche.
 
Se quest’operazione miope fu capace d’indebolire il consenso di cui il Pci ancora godeva, ciò avvenne perché i dirigenti di quel partito – spalleggiati dagli omologhi socialisti - imboccarono allora una strada d’intransigente unilateralismo, d’insensato ed acritico irrigidimento ideologico, e prestarono così il fianco ai prevedibili attacchi degli avversari filo-occidentali.
 
L’“Avanti!” e l’“Unità” liquidarono rapidamente la morte di Masaryk, figlio del fondatore della repubblica cecoslovacca, ricorrendo alla spiegazione più sospetta: il suicidio; il giornale socialista, a sua volta, si spinse a proporre un “momento d’alienazione mentale”, mentre i colleghi comunisti preferirono optare per la volontà di sottrarsi alle ingerenze “anglo-americane”. Analogamente, le responsabilità dell’accaduto furono addebitate allo “spionaggio americano” dalla stampa comunista, mentre i socialisti esultarono per la “vittoria del popolo” sui “circoli reazionari”, ed arrivarono a recapitare un telegramma di felicitazioni al leader socialdemocratico Zdenek Fierlinger.
 
La politica del doppio metro di giudizio, aggressivo contro le malefatte dei Paesi capitalisti quanto remissivo nei confronti del Blocco sovietico, si rivelò allora nella sua pienezza: ma costituiva una debolezza per così dire strutturale e malcelata, fondata sulla pretesa superiorità del modello sovietico e sul settarismo ideologico che la rafforzava. Un cocktail, in fin dei conti, indigesto anche per l’elettorato più tiepido e per quella fetta del ceto medio o della classe operaia più “gradualista”, che seguitava a rifarsi al Psi, rimasta disorientata dall’istantaneo allineamento alle posizioni comuniste: “Togliatti e Nenni”, scrisse Valiani, “commisero l’incredibile errore di non limitarsi a cercare giustificazioni economico-sociali a quanto accadeva a Praga, e che colpiva profondamente l’opinione italiana, ma di esaltarlo come una prova di democrazia politica, ché, dicevano, i comunisti e socialisti cecoslovacchi avevano, messi assieme, il 56% dei seggi al parlamento. Chi li ascoltava, ne traeva la conclusione che se Togliatti e Nenni avessero potuto disporre del 56% dei seggi al futuro parlamento italiano, non avrebbero avuto scrupoli ad imitare la soppressione delle libertà democratiche avvenuta a Praga. Secondo molta verosimiglianza si trattava di un pericolo immaginario…Ma l’impressione al Paese fu data, e il Paese, che sentiva ancora il bruciore della dittatura mussoliniana, ne tenne conto”: l’eliminazione delle “vie nazionali” al socialismo comportò anche l’assunzione e – quel ch’è peggio – la rivendicazione di colpe altrui.
 
Questa impostazione costrinse il Fronte, nonostante il volto garibaldino scelto per rappresentarlo, su una posizione difensiva che alla lunga nocque alla campagna elettorale delle sinistre: una prospettiva, questa, suffragata ad esempio dall’atteggiamento tenuto sul piano Marshall, che in quei mesi si preparava ad entrare in funzione e godeva già di grandi aspettative ma continuava a dividere comunisti e socialisti, intransigenti i primi, critici ma aperturisti i secondi, nonostante il 78% degli italiani lo conoscessero ed il 65% fossero favorevoli, contro il 14% dei contrari, secondo un sondaggio internazionale effettuato prima delle elezioni.
 
A prescindere dall’intervento americano di cui sopra, la posizione frontista (sì agli aiuti, ma a condizione di poterli gestire per i lavoratori e di non pregiudicare l’autonomia nazionale) mancava di coerenza, come acutamente notato da Giorgio Galli: “Se il Piano Marshall era rigidamente concepito quale strumento di difesa del capitalismo europeo e di espansione di quello americano, non sarebbe stato certo un successo elettorale della sinistra italiana a far desistere Washington da un piano così architettato, per trasformarlo nel suo opposto, cioè in un mezzo di soddisfazione dei bisogni popolari. Se invece il piano fosse stato modificato perché un governo italiano diverso da quello De Gasperi lo avesse chiesto, allora veniva a cadere tutta la valutazione ‘catastrofica’ che ne veniva data.
 
L’ammissione che neanche l’eventuale governo del Fronte avrebbe rifiutato gli aiuti era una concessione all’orientamento dell’opinione pubblica che si intendeva acquisire, ma mentre questo fatto era privo di efficacia sul terreno propagandistico (non basta la buona volontà frontista di ricevere gli aiuti, occorre anche quella americana di fornirli, si osservava) permetteva agli avversari di rilevare l’incoerenza di cui si è detto”.
 
Contemporaneamente, le sinistre subirono l’offensiva delle lettere dall’America e non seppero far altro che bilanciarla con messaggi pro-frontisti dei gruppi di sinistra e di alcuni sindacati. Lo stesso atteggiamento confuso rivelarono riguardo la questione di Trieste: alla dichiarazione tripartita risposero prima richiamando la solita “speculazione elettorale”, aggravata dal tentativo di trascinare l’Italia in un’atmosfera di guerra, e poi rivendicando la disponibilità polacca a restituire all’Italia le vecchie colonie.
 
Allo stesso modo non riuscirono a supplire alle lacune sul fondamentale tema della politica estera, alle contraddizioni generate da una precisa situazione storica (e insieme strategica, politica, culturale…): mancò, in fin dei conti, un’alternativa credibile.
 
Basti pensare alla dichiarazione dell’11 aprile che chiedeva “a tutti i partiti l’impegno solenne di rifiutare in qualunque caso l’adesione dell’Italia a qualsiasi alleanza, coalizione o blocco che abbia direttamente o indirettamente contenuto o significato militare e di preparazione ad un nuovo conflitto armato e assume per conto proprio questo impegno davanti al popolo”: propositi di non allineamento che nessuno, e tantomeno il Pci aderente al Comintern, poteva garantire.
 
Quest’ambiguità fu rivelata dagli organi di stampa frontisti, che d’altra parte censurarono fedelmente ogni minima forma di dissenso, od anche solo di critica, nei riguardi del sistema sovietico; si renda ad esempio “l’Unità” del 2 aprile, capace di celare il riferimento all’URSS dell’articolo di Henry Wallace, candidato progressista alle elezioni americane di novembre, sulla situazione italiana: il quale sosteneva che, se fosse esistita una legge internazionale “per regolare la libertà delle elezioni gli Stati Uniti avrebbero buone probabilità di essere i primi a essere condannati per la sua violazione. La Gran Bretagna e la Russia (sostituito con: “e qualche altro Paese”, nda) si batterebbero per conquistare il secondo posto”.
 
Fu lo stesso Wallace, per primo, a denunciare queste manipolazioni, rifornendo di facili ironie la stampa anti-comunista: e si può intuire come la maggior parte dei votanti considerasse la pretesa delle sinistre, una volta al governo, di difendere l’autonomia italiana con i fatti, se non ci riusciva con le parole.
 
Non bastavano, per bilanciare il piatto, i documentari elaborati dal Pci, il richiamo alla lotta partigiana (che aveva clamorosamente fallito l’obiettivo di modificare mentalità e valori del Paese), le critiche alle scelte finanziarie del governo favorevoli alle classi privilegiate, gli attacchi sulle riforme promesse e sull’oscura utilizzazione degli aiuti americani (come nel caso del “fondo-lire”, un residuo derivante dalla distribuzione a prezzi di mercato degli aiuti Unrra e post-Unrra, sovente gratuiti o quasi), le ironie sull’“americanismo” o sul carattere straniero del leader democristiano (rinominato “Von Gasper”, per richiamarne il passato di deputato austriaco), le rivelazioni dell’“Unità” e dell’“Avanti!” sui presunti documenti segreti vaticani, sfoderati per dimostrare le interferenze della Chiesa nella politica italiana; il modello politico e sociale di riferimento delle sinistre (nonostante i tentennamenti socialisti), l’Unione Sovietica, non reggeva neanche lontanamente il confronto con l’avversario, eppure fu descritto come un eden incantato dai notabili frontisti, manovrati dagli omologhi sovietici.
 
La Dc, allora, ebbe gioco facile: screditando il modello, infatti, riuscì a smantellare d’un colpo il coeur ideologico degli avversari. Uscire da una posizione di così profonda debolezza si rivelò, in fin dei conti, impossibile.

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Ultima Modifica 8 Anni 7 Mesi fa da Starburst.

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8 Anni 7 Mesi fa #1360 da FrancescaR
Risposta da FrancescaR al topic La storia nascosta

Perché il rischio è che possa ricapitare che una nazione si senta superiore a un’altra



Ma no; si rilassi e riposi tranquillo, l'egregio Renato Sarti.
Non accadrà, nessuno oserà soffiare Loro il Primato assoluto e incontestabile.
I goyim continueranno a sottomettersi docilmente.

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8 Anni 7 Mesi fa #1372 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
DOPO IL 1948 , INIZIA IL PERIODO DELLE PSYOPS

PSYOPS , termine con cui sono indicate le operazioni di guerra psicologica atte a sottomettere e guidare i governi "amici" delle nazioni alleate "colonie".
In italia subito dopo il 1948 iniziano le operazioni per mantenere a tutti i costi il paese entro certi limiti dettati dalla guerra fredda in atto tra le due super potenze dell'epoca u.s.a. e u.r.s.s.
Saranno anni come vedremo costellati di tentati golpe,attentati e formazioni clandestine di destra e di sinistra tutte naturalmente infiltrate e manovrate.
In italia la persona che a mio avviso e' piu' preparata per parlare di queste cose e' Solange Manfredi,questo un breve video di presentazione.


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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1405 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
PORTELLA DELLA GINESTRA LA MADRE DI TUTTE LE STRAGI

Ci sono voluti 50 anni per sapere la verita' sulla strage di portella della ginestra avvenuta il 1° maggio del 1947, 50 anni per sapere le scelte precise del nuovo "padrone", alleanze con i vecchi nemici per fermare come dice la versione ufficiale la deriva comunista, in verita' per bloccare l'emancipazione del paese italia da vassallo a nazione con sovranita' effettiva. In quanto nazione sconfitta siamo ancora nell'orbita nato,che lo vogliamo o meno, i nostri politici devono rendere conto del loro operato e del loro voler fare a tali entita' politiche,finanziarie,militari.
La strage di portella della ginestra e' stato l'imput.
Questo video e' tratto dal film "segreti di stato",il primo che ha svelato dietro la visione di documenti u.s.a. desecretati , le precise volonta' politiche e la "strana" alleanza tra mafia, servizi segreti occidentali, elementi della x mas di junior valerio borghese,personaggio salvato da un processo per crimini di guerra dal servizio segreto americano e usato in funzione anticomunista e destabilizzatrice, lo ritroveremo spesso nelle storie "nascoste" di questo paese.


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8 Anni 7 Mesi fa #1431 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
ALDO MORO IL PRIMO DEGLI "AMICI INGRATI"

Politico e poi ministro di prima grandezza fino ad arrivare a presidente del consiglio Aldo Moro personaggio di spicco della d.c. cresciuto a pane e politiche filo nato, ad un certo punto si convinse che l'italia poteva diventare padrona del suo destino, con una politica equidistante sul medio oriente e l'apertura al p.c.i. di berlinguer, fece male i suoi calcoli, la sua "disobbedienza" gli costera' cara, diventando il primo degli amici ingrati :

di Gianni Lannes

«La decisione di far uccidere Moro non venne presa alla leggera. Ne discutemmo a lungo, perché a nessuno piace sacrificare delle vite. Ma Cossiga mantenne ferma la rotta e così arrivammo a una soluzione molto difficile, soprattutto per lui. Con la sua morte impedimmo a Berlinguer di arrivare al potere e di evitare così la destabilizzazione dell’Italia e dell’Europa». 

Così parlò nel 2006 Steve Pieczenik, il consigliere di Stato USA, chiamato al fianco di Francesco Cossiga per risolvere la condizione di crisi, in un’intervista pubblicata in Francia dal giornalista Emmanuel Amara, nel libro Nous avons tué Aldo Moro. Ancora prima il 16 marzo del 2001 in una precedente dichiarazione rilasciata a Italy Daily, lo stesso Pieczenik disse che il suo compito per conto del governo di Washington era stato quello 

«di stabilizzare l’Italia in modo che la Dc non cedesse. La paura degli americani era che un cedimento della Dc avrebbe portato consenso al Pci, già vicino a ottenere la maggioranza. In situazioni normali, nonostante le tante crisi di governo, l’Italia era sempre stata saldamente in mano alla Dc. Ma adesso, con Moro che dava segni di cedimento, la situazione era a rischio. Venne pertanto presa la decisione di non trattare. Politicamente non c’era altra scelta. Questo però significa che Moro sarebbe stato giustiziato. Il fatto è che lui non era indispensabile ai fini della stabilità dell’Italia».

Queste dichiarazioni di un esponente ufficiale del governo United States of America (assistente del segretario di Stato sotto Kissinger, Vance, Schultz, Baker) di dominio pubblico da tempo, anzi il 9 marzo 2008 sono peraltro state riportate dal quotidiano La Stampa ("Ho manipolato le br per far uccidere Moro"). E non sono mai state smentite da Cossiga e Andreotti. Ma allora, come mai la magistratura italiana, ovvero la procura della Repubblica di Roma, non convoca Steve Pieczenik in Italia e lo torchia legalmente a dovere? Proprio Pieczenik nei primi anni Settanta fu chiamato da Henry Kissinger a lavorare da consulente presso il ministero degli Esteri con l'approvazione di Nixon. Kissinger aveva minacciato di morte Aldo Moro. Kissinger ai giorni nostri è stato ricevuto come se niente fosse da Giorgio Napolitano, quello eletto da onorevoli illegittimi, che ha piazzato ben tre governi abusivi, ossia Monti, Letta, Renzi (sentenza della Corte costituzionale numero 1 del gennaio 2014) che il popolo "sovrano" non ha votato.

L'ex vicepresidente del CSM ed ex vicesegretario della Democrazia Cristiana Giovanni Galloni il 5 luglio 2005, in un'intervista nella trasmissione NEXT di Rainews24, disse che poche settimane prima del rapimento, Moro gli confidò, discutendo della difficoltà di trovare i covi delle BR, di essere a conoscenza del fatto che sia i servizi americani che quelli israeliani avevano degli infiltrati nelle BR, ma che gli italiani non erano tenuti al corrente di queste attività che sarebbero potute essere d'aiuto nell'individuare i covi dei brigatisti. Galloni sostenne anche che vi furono parecchie difficoltà a mettersi in contatto con i servizi statunitensi durante i giorni del rapimento, ma che alcune informazioni potevano tuttavia essere arrivate dagli USA:
 

«Pecorelli scrisse che il 15 marzo 1978 sarebbe accaduto un fatto molto grave in Italia e si scoprì dopo che Moro doveva essere rapito il giorno prima (...) l'assassinio di Pecorelli potrebbe essere stato determinato dalle cose che il giornalista era in grado di rivelare».

Lo stesso Galloni aveva già effettuato dichiarazioni simili durante un'audizione alla Commissione Stragi il 22 luglio 1998, in cui affermò anche che durante un suo viaggio negli USA del 1976 gli era stato fatto presente che, per motivi strategici (il timore di perdere le basi militari su suolo italiano, che erano la prima linea di difesa in caso di invasione dell'Europa da parte sovietica) gli Stati Uniti erano contrari ad un governo aperto ai comunisti come quello a cui puntava Moro:

«Quindi, l'entrata dei comunisti in Italia nel Governo o nella maggioranza era una questione strategica, di vita o di morte, "life or death" come dissero, per gli Stati Uniti d'America, perché se fossero arrivati i comunisti al Governo in Italia sicuramente loro sarebbero stati cacciati da quelle basi e questo non lo potevano permettere a nessun costo. Qui si verificavano le divisioni tra colombe e falchi. I falchi affermavano in modo minaccioso che questo non lo avrebbero mai permesso, costi quel che costi, per cui vedevo dietro questa affermazione colpi di Stato, insurrezioni e cose del genere».

La prigione di Aldo Moro, nel cuore di Roma, ovvero nel quartiere ebraico, ad un soffio da via Caetani dove il 9 maggio 1978 fu ritrovato il corpo senza vita dello statista, era ben nota al governo di allora (Cossiga e Andreotti). Il 16 marzo 1978 la strage di via Fani fu compiuta da uomini dei servizi segreti italiani. Era presente in loco il colonnello Camillo Guglielmi, ufficiale del Sismi, il servizio segreto militare, addetto all’Ufficio “R” per il controllo e la sicurezza. Quei cosiddetti brigatisti rossi non sapevano neanche tenere in mano un'arma giocattolo, figuriamoci sparare con armi vere e assassinare due carabinieri e tre poliziotti. Mai come allora gli apparati di cosiddetta sicurezza italiana unitamente alle forze dell’ordine, mostrarono una così grande inettitudine voluta. I brigatisti grazie a una trattativa segreta con lo Stato tricolore sono oggi tutti liberi. Come se la spassano adesso Valerio Morucci (vari ergastoli), Mario Moretti (condannato a 6 ergastoli) e Barbara Balzerani? A proposito: le carte sulla vicenda Moro, in barba alla legge vigente, sono ancora sottoposte all’impermeabile segreto di Stato, nonostante i proclami propagandistici di Renzi. Anche per questo siamo una colonia a stelle e strisce, un’Italietta delle banane eterodiretta dall'estero, a sovranità inesistente.


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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1457 da polaris
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Imprimatur, il libro scomparso

Nel lontano 2002 esce in italia un libro pubblicato da Mondadori scritto da due storici, Rita Monaldi e Francesco Sorti, intitolato Imprimatur. Il libro scala rapidamente le classifiche e diventa in poco tempo uno dei libri più letti nel nostro paese e all'estero, tanto che il pubblico italiano chiede immediatamente una seconda edizione. Nonostante il record di vendite l'editore non pubblica alcuna ristampa. Qualcuno parla di censura, ma a quale editore sano di mente verrebbe mai in mente di censurare un romanzo di successo? Nel frattempo i due autori si stabiliscono a Vienna, dove risiedono tutt'ora e scrivono altri romanzi con lo stesso protagonista di Imprimatur, diventando famosi in tutto il mondo con più di 60 milioni di copie vendute, ma sconosciuti in patria.

Una volta scoperto di cosa parla Imprimatur non è difficile capire da dove possa essere calata la scure che ha troncato per tredici anni ogni parola su questo libro nel nostro paese. Imprimatur è un giallo storico erudito, come Il Nome della Rosa, che vede protagonista l'abate Atto Melani, cantante castrato e spia del re di Francia Luigi XIV, indagare sulla morte di un misterioso gentiluomo francese alla locanda del Donzello nella Roma del Seicento, mentre sullo sfondo le armate cristiane riunite da Papa Innocenzo XI combattono a Vienna per respingere i turchi dall'Europa. La ricostruzione storica è finissima ed elegante, i personaggi parlano proprio con i toni ampollosi degli scritti secenteschi e nonostante questo le seicento pagine del romanzo scorrono via piacevolmente.

Il romanzo non è solo una bella ricostruzione storica ma contiene anche una clamorosa rivelazione su Innocenzo XI, tradizionalmente visto come un Papa pio e frugale, supportata dalla vasta ricerca documentale dei due autori, rivelazione che ha impedito la canonizzazione del pontefice, belva insatiabilis.

Nello spoiler la succulenta rivelazione. Vi consiglio però di leggere prima il romanzo e anche i suoi seguiti, come sto facendo io, perché il duo non è nuovo a scoprire misteri e magagne che mandano all'aria la comoda placidità della storiografia ufficiale.

Per cui lasciate stare lo spoiler e andate in libreria.

Attenzione: Spoiler!


Ai cultori di Fomenko in particolare, consiglio la lettura di Mysterium, il quarto romanzo dei due autori in cui si parla della cronologia critica, cioè del taglio di secoli e secoli di storia, inventati di sana pianta dagli antichi. Monaldi e Sorti sono anche stati sfidati proprio su questo argomento da uno storico che però dopo aver lanciato la sfida non si è più fatto vedere, adducendo varie giustificazioni.

Nota demenziale: Il libro si apre l'11 settembre 1683, giorno in cui viene nominata una malattia che affligge tutti gli utenti di LC, il Mal di Mazucco. :goof:
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8 Anni 7 Mesi fa #1466 da Starburst
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COSA SONO LE PSYOPS

Tratto dal sito coscienze in rete

Un percorso da brividi.

Proprio così: questo il testo predisposto da Solange Manfredi con la redazione di “PSYOPS”. Un percorso ben documentato che suscita ripetutamente il brivido di una conferma lungamente attesa: “Ma allora era proprio così… Non ero uscito di senno…”.
In tanti avevamo sospettato, in parte anche saputo per esperienza diretta… di essere oggetto di trame per condizionarci in certe direzioni di scelta politica. E avevamo compreso che potenze straniere, spesso legate ad oscuri poteri manipolatori, avevano “talvolta” operato per influenzarci. E come sempre tutti i grandi media, gli accademici “riconosciuti” e le persone “sensate”, ribattevano con grande sicurezza che non era così. Che tutto era trasparente e che questo era il solito “complottismo” privo di fondamento. Un coretto così diffuso e “autorevole” da insinuarci talvolta qualche dubbio…
Ma era solo l’antico coretto plaudente degli inconsapevoli condizionati o dei servi del potere…
Da questo rigoroso studio di Solange Manfredi emerge invece con forza qualcosa di ben più solido del momentaneo sospetto: la certezza che il disegno di manipolazione delle masse, delle classi politiche e delle dirigenze italiane è un vero e proprio, costante modus operandi. Sempre in funzione di condizionamento e stravolgimento delle regole e dei principi di democrazia. E per nulla sporadico. E che a questo gioco perverso si sono prestate schiere di traditori del loro Paese e della propria coscienza, spesso dentro le strutture dello Stato. Talmente “dentro” da risultare normalmente del tutto, ancora, impuniti.


Se i cittadini o i politici si orientano liberamente in certi modi, c’è sempre qualcuno che fa di tutto per porli nelle condizioni di scegliere diversamente, in direzioni che corrispondono non agli interessi o alle autonome opzioni dei cittadini, ma ai disegni schiavizzanti dei grandi poteri di manipolazione che si muovono dietro le quinte. E questo avviene di norma nella pressoché totale impunità e senza badare ai mezzi che freddamente e cinicamente si adoperano: corruzione, stragi, bombe, omicidi, terrorismo… persino guerre. Si creano tensioni e inimicizie che non esistevano, si imbrogliano generazioni di ragazzi, di cittadini e di politici con falsi problemi, false ideologie, falsi leader, falsi profeti, falsi schemi mentali.
E ad organizzare queste trame personaggi spesso oscuri ma insolitamente potenti, una strana commistione tra esoterismo deteriore, capacità di corruzione, affarismo e profili morali bassissimi… E sono loro a cucire insieme ordini oscuri, servizi segreti, ideologie depravate, ragazzi immaturi, servitori deviati dello Stato, carrieristi politici senza scrupoli, industriali e finanzieri impauriti o affamati, giornalisti venduti, pezzi di logge massoniche e di ordini religiosi. Per eseguire precise strategie di manipolazione che come primo obiettivo hanno quello di ridurre gli spazi di crescita e di libertà delle nostre coscienze. Perché rimangano schiave di quegli stessi antichi poteri che, pur cambiando di epoca in epoca volti e modalità, proprio grazie alle catene psichiche che ci opprimono continuano a dominare il mondo della politica, della scienza, della cultura e dell’economia.
Ecco, sono proprio queste “catene psichiche” - che noi normalmente già nutriamo nella nostra vita individuale – che gli stessi poteri amplificano e sfruttano in modo raffinato, freddo e calcolato. Aggiungendo al momento opportuno paure, ansie, seduzioni, con quegli antichi meccanismi che ora gli anglosassoni - amanti delle sigle e delle abbreviazioni - chiamano PSYOPS, Psychological Operations.
Questo libro documenta con chiarezza come questo sia avvenuto con costanza e pervicacia per settanta anni della nostra Storia recente, e getti ancora un’ombra sinistra sul presente e sul futuro, facendo sorgere un’ovvia domanda: lo stanno facendo anche adesso? Nulla è cambiato nelle strutture di potere, che stanno anche ora continuando a manipolare le nostre coscienze con gli stessi intenti, e certamente continueranno a farlo. Basta guardarsi intorno con occhi lucidi e pensiero libero per rendersene conto.
Volti e temi nuovi sono solo le maschere aggiornate di vecchissimi poteri. Sia negli schieramenti di maggioranza che nelle opposizioni, che vengono accuratamente selezionate, condizionate o create per alimentare il gioco della manipolazione, come risulta ottimamente documentato dal testo di Solange Manfredi.
E le efficaci manovre occulte dell’ineffabile spia crowleyana Cambareri traggono alimento da una ideologia “mondialista” che si ritrova decenni dopo nelle motivazioni occulte dell’assassinio di Aldo Moro, e tuttora nei pesanti condizionamenti eurocentrici alla sovranità delle democrazie europee. La firma dietro le manovre di Cambareri appare la stessa che è dietro al caso Moro e alle pesanti spinte accentratrici odierne.

Qui in fondo c'e' un video con un interessante intervista a Solange Manfredi,e' un po' lunga dura circa un 'ora ma ne vale la pena.



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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1480 da Starburst
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BETTINO CRAXI E SIGONELLA

Un altro amico "ingrato", bettino craxi, esponente di punta del p.s.i. anni 80 dello scorso secolo, un partito che trenta anni prima era passato armi e bagagli sotto l'ombrello nato, un partito il p.s.i. che rappresentava il peggio o il meglio dipende dai punti di vista, di quello che l'elettore italiano medio desiderava dalla politica, il buon Gaber li aveva inquadrati magistralmente ed impietosamente nel brano "io se fossi dio", caratterizzandoli per le loro spensierate alleanze di destra,di sinistra,di centro, con i suoi uomini di partito nuovi di fuori e vecchi di dentro, tutti allineati e coperti a favore della politica che washington dettava e detta tuttora.
Ebbene Craxi ebbe un sussulto di orgoglio o piu' semplicemente pensava di poterselo permettere, quella famosa notte a sigonella,quando da politico vero decise per la sovranita' del territorio italiano, nel filmato che seguira', egregiamente condotto da giovanni minoli craxiano convinto della prima ora, minuto per minuto la vicenda che decise il destino di craxi e la fine del p.s.i. con l'inchiesta "mani pulite", anch'essa teleguidata dall'estero, la vendetta si abbatte' di nuovo sulla colonia italia,servivano altri servi, che a qualcuno piaccia o meno, servi di governo e servi di opposizione,il tempo della d.c. e del p.s.i. era finito.


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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1494 da Starburst
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1992 GLI USA DANNO IL VIA LIBERA A MANI PULITE

Per anni nell'immaginario colletivo abbiamo avuto come figure eroiche il pool di mani pulite, un pool guidato dal giudice di origini umili (di pietro), qualcuno che arrivava agli onori della cronaca partendo dal basso, per anni ci hanno fatto credere che le cose stessero cambiando, in un colpo solo ci siamo sbarazzati del proporzionale con la scelta del nome del candidato per arrivare al maggioritario neanche tanto secco e le liste bloccate, dicevano per poter finalmente interrompere il proliferare di partiti inutili, meglio due grandi schieramenti come i paesi "civili", abbiamo creduto di aver eliminato ministeri inutili e ce li siamo ritrovati sotto un altra definizione e la corruzione? Beh quella e' rimasta, cosa credevamo di aspettarci? Sono cambiati soltanto gli esecutori, esecutori che hanno ricevuto il beneplacido del padrone di turno.
Quella che segue e' un intervista di maurizio molinari a reginald bartholomew ambasciatore usa a Roma dal 1993 al 1997,notare come siano stati decisi i politici del "nuovo corso", tanto per continuare a rinfrescare la memoria a chi crede che il suo politico sia "duro e puro"!

Maurizio Molinari
corrispondente da new york


Il mese scorso ho incontrato a New York l’ex ambasciatore Reginald Bartholomew che, dopo avermi detto di aver visto il mio libro «Governo Ombra», sull’Italia del 1978 descritta dai documenti del Dipartimento di Stato, mi ha chiesto se avevo voglia di parlare con lui dei suoi anni alla guida dell’ambasciata di Roma, cosa che non aveva mai fatto. «Non ho diari, ho solo la mia mente per ricordare» osservò. Ci vedemmo a cena da «Felidia» a Manhattan e Bartholomew incominciò subito a raccontarmi di Tangentopoli e del terremoto politico-giudiziario che trovò al suo arrivo in Italia. Era già molto malato, anche se non ne fece parola, e aveva urgenza di lasciare una testimonianza. Raccolsi il suo racconto - che lui ha avuto modo di rivedere trascritto- con l’intenzione di usarlo come base per una nuova inchiesta sul rapporto tra Italia e Stati Uniti e sull’approccio americano al team «Mani Pulite». Da quel momento ho cominciato a cercare i documenti dell’epoca e i protagonisti ancora in vita. Primo tra tutti l’ex Console generale Usa a Milano Peter Semler, a cui Bartholomew attribuiva un ruolo chiave nell’iniziale sostegno americano all’inchiesta di Antonio Di Pietro. Quando ho saputo dell’improvvisa morte del 76enne Bartholomew, avvenuta domenica all’ospedale Sloan-Kettering di New York a causa di un tumore, ho pensato che fosse giusto pubblicare quanto finora raccolto. A cominciare da questa prima puntata che contiene appunto la testimonianza di Bartholomew, un diplomatico raffinato e colto, convinto che il passaggio alla Seconda Repubblica dovesse essere opera di una nuova classe politica - a cui aprì le porte dell’Ambasciata - e non solo opera dei magistrati. Ecco il suo racconto.

Completo blu, camicia bianca e cravatta rossa, Reginald Bartholomew arriva puntuale all’appuntamento nell’Upper East Side fissato per ricordare il periodo, dal 1993 al 1997, che lo vide guidare l’ambasciata americana a Roma. «L’Italia politica era in fase di disfacimento, il sistema stava implodendo a causa di Tangentopoli iniziata l’anno precedente ed io mi trovai catapultato dentro tutto questo quasi per caso», esordisce. In effetti Bartholomew, ex sottosegretario di Stato agli Armamenti, ex ambasciatore a Beirut e a Madrid, era ambasciatore presso la Nato. «Lo aveva deciso Bush padre prima di lasciare la Casa Bianca, poi quando arrivò Bill Clinton decise di farmi inviato in Bosnia e stava pensando di nominarmi ambasciatore in Israele». Ma in una delle prime riunioni sulla politica estera tenute da Bill Clinton nello Studio Ovale, con solo sette stretti consiglieri presenti, l’Italia spunta nell’agenda. Siamo all’inizio del 1993, Clinton sta incominciando la presidenza, l’Italia appare in decomposizione e «uno dei sette fece il mio nome al presidente», osservando che in una fase di tale delicatezza a Roma sarebbe servito un veterano del Foreign Service. Clinton assentì, rompendo con la tradizione di mandare in Via Veneto un ambasciatore politico scelto fra i maggiori finanziatori elettorali, e Bartholomew venne così catapultato nell’Italia del precario governo di Giuliano Amato sostenuto dagli esangui Dc, Psi, Psdi e Pli, con Oscar Luigi Scalfaro arrivato al Quirinale sulla scia della strage di Capaci, il Pds di Achille Occhetto in ascesa e Silvio Berlusconi impegnato a progettare la discesa in campo. «Ma soprattutto quella era la stagione di Mani Pulite - dice Bartholomew -, un pool di magistrati di Milano che nell’intento di combattere la corruzione politica dilagante era andato ben oltre, violando sistematicamente i diritti di difesa degli imputati in maniera inaccettabile in una democrazia come l’Italia, a cui ogni americano si sente legato».

Indagini giudiziarie, arresti di politici «presero subito il sopravvento sul resto del lavoro, perché la classe politica si stava sgretolando ponendo rischi per la stabilità di un alleato strategico nel bel mezzo del Mediterraneo», ed è in questa cornice che Bartholomew si accorge che qualcosa nel Consolato a Milano «non quadrava». Se fino a quel momento il predecessore Peter Secchia aveva consentito al Consolato di Milano di gestire un legame diretto con il pool di Mani Pulite, «d’ora in avanti tutto ciò con me cessò», riportando le decisioni in Via Veneto. Fra le iniziative che Bartholomew prese ci fu «quella di far venire a Villa Taverna il giudice della Corte Suprema Antonino Scalia, sfruttando una sua visita in Italia, per fargli incontrare sette importanti giudici italiani e spingerli a confrontarsi con la violazione dei diritti di difesa da parte di Mani Pulite». Bartholomew non fa i nomi dei giudici italiani presenti a quell’incontro nella residenza romana, ma ricorda bene che «nessuno obiettò quando Scalia disse che il comportamento di Mani Pulite con la detenzione preventiva violava i diritti basilari degli imputati», andando contro «i principi cardine del diritto anglosassone». Pochi mesi più tardi, nel luglio del 1994, il presidente Clinton arriva in Italia per partecipare al summit del G7 che il governo del neopremier Silvio Berlusconi ospita a Napoli. In coincidenza con i lavori, Mani Pulite recapita al presidente del Consiglio un avviso di garanzia e la reazione di Bartholomew è molto aspra. «Si trattò di un’offesa al presidente degli Stati Uniti, perché era al vertice e il pool di Mani Pulite aveva deciso di sfruttarlo per aumentare l’impatto della sua iniziativa giudiziaria contro Berlusconi», sottolinea l’ex ambasciatore, aggiungendo: «gliela feci pagare a Mani Pulite». Nulla da sorprendersi se in tale clima l’ambasciatore Usa all’epoca non ebbe incontri con i giudici del pool, «neanche con Antonio Di Pietro», mentre si dedicò a fondo a tessere i rapporti con le forze politiche emergenti. «I leader della Dc un giorno mi vennero a trovare, fu un incontro molto triste, sembrava quasi un funerale, era la conferma che bisognava guardare in avanti». Con il Pds, attraverso Massimo D’Alema, si sviluppò «un rapporto che sarebbe durato nel tempo». «D’Alema mi chiamò al telefono, gli dissi di venirmi a trovare e lui, dopo una certa sorpresa, accettò - rammenta Bartholomew -; quando lo vidi gli dissi con franchezza che il Muro di Berlino era crollato, quanto avevano fatto e pensato i comunisti in passato non mi interessava, mentre ciò che contava era la futura direzione di marcia, se cioè volevano essere nostri alleati così come noi volevamo continuare a esserlo dell’Italia». Ne nacque «un rapporto solido, continuato in futuro» con il Pds, «mentre con Romano Prodi fu tutto complicato dal fatto che, quando diventò premier nel 1996 del primo governo di centrosinistra della Repubblica, voleva a tutti i costi andare al più presto da Clinton, ma la Casa Bianca in quel momento aveva un altro calendario, e Prodi se la prese con me». Per tentare di riconquistare il rapporto personale con il premier «dovetti andare una domenica a Bologna, farmi trovare nel suo ristorante preferito e allora finalmente mi parlò, ci spiegammo». L’apertura al Pds coincise con quella a Gianfranco Fini, che guidava l’Msi precedente alla svolta di Fiuggi. «Con entrambi l’approccio fu il medesimo, si trattava di aprire una nuova stagione - dice Bartholomew -, ed ebbi lo stesso approccio, guardando avanti e non indietro, anche se devo ammettere che nei salotti romani il mio dialogo con Fini piaceva assai meno di quello con D’Alema».

L’altro leader che Bartholomew ricorda è Berlusconi. «La prima volta che ci vedemmo lo aspettavo all’ambasciata da solo, ma si presentò assieme a Gianni Letta, voleva il mio imprimatur per la sua entrata in politica e gli risposi che toccava a lui decidere se essere “King” o “Kingmaker”», ma l’osservazione colse in contropiede Berlusconi, «che diede l’impressione di non sapere cosa significasse “Kingmaker” e dopo essersi consultato con Letta mi rispose “Kingmaker? Noooo”». Dall’incontro, avvenuto poco prima dell’entrata in politica di Berlusconi nel 1994, Bartholomew trasse comunque l’impressione che si trattava di una candidatura molto seria «e nei mesi seguenti, girando l’Italia, mi accorsi che aveva largo seguito, sebbene personaggi come Eugenio Scalfari, direttore di Repubblica, mi obiettavano che non potevo capire molto di politica italiana essendo arrivato solo da pochi mesi». A conti fatti, guardando indietro a quella fase storica, Bartholomew rivendica il merito di aver rimesso sui binari della politica il rapporto fra Washington e l’Italia, dirottato dal legame troppo stretto fra il Consolato di Milano e Mani Pulite, identificando in D’Alema e Berlusconi due leader che negli anni seguenti si sarebbero rivelati in più occasioni molto importanti per la tutela degli interessi americani nello scacchiere del Mediterraneo.  

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1525 da Starburst
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ANNI 70 IL TERRORISMO COME PSYOPS

Facciamo un salto indietro di una ventina di anni dal post precedente, siamo negli anni 70 del secolo scorso, l'italia era in fermento politico,culturale,sociale, dagli operai agli studenti alla classe media che in quegli anni rappresentava la classe impiegatizia,tutti rivendicavano un maggior protagonismo sulla scena nazionale,erano anni veloci, sembrava davvero che la svolta fosse dietro l'angolo, ma come dimenticare le ombre dei colonizzatori vecchi e nuovi che si allungavano dietro ogni decisione presa in autonomia.siamo un paese strategicamente importante,troppo importante per essere lasciato "al nemico".Di fatto stati uniti,inghilterra e francia da una parte u.r.s.s. dall'altra tentarono di rovesciare la gia' fragile repubblica italica,in modo da avere governi o dittature asservite,all'epoca spagna,portogallo,grecia erano guidate da dittature militari fasciste e violente,l'italia era il paese occidentale che si affacciava sul mediterraneo che rappresentava un'eccezione molto pericolosa,tutti i tentavi di golpe erano falliti per motivi che vedremo in seguito, come fare allora per destabilizzare?
Tratteremo una delle organizzazioni eversive che maggiormente ha scritto pagine insanguinate culminate con il rapimento e l'uccisione di aldo moro,le brigate rosse, se da una parte le formazioni di destra erano palesemente infiltrate e finanziate dall'ombrello nato, quelle di sinistra ebbero un'evoluzione anomala,quelle che non vollero assoggettarsi alla logica dell'infiltrazione furono ben presto sgominate,le brigate rosse subirono un cambio di leadership che ha dell'incredibile.
Seguiamolo con Roberto Bartali giornalista e storico fuori dagli schemi, lo conosceremo con un intervista dal sito segreti di stato,sia l'intervista che il suo saggio sulle brigate rosse verra' diviso in piu' parti data la lunghezza e la completezza dell'argomento.

Brigate Rosse: una storia italiana della guerra fredda. Intervista a Roberto Bartali

Intervista tratta dal sito Segreti di Stato :

Con Roberto Bartali assistente di Storia dell’Europa presso l’Università di Siena, ci scriviamo da diverso tempo. Lui ha seguito le nostre discussioni sulla Mitrokhin e sul Caso Moro intervenendo di rado direttamente anche perché impegnato a completare un saggio sulle Brigate Rosse da poco pubblicato su Nuova Storia Contemporanea. Un’anticipazione era uscita qualche tempo fa sulla rivista inglese Modern Italy e sempre in Inghilterra in un volume sugli anni ’70 in Italia (AAVV, Speaking Out and Silencing: Culture, Society and Politics in Italy in the 19070’s, Legenda 2006). Roberto ha curato per l’appunto il capitolo sulla storia delle BR ed il caso Moro.
Quello che segue è un breve abstract che ci ha gentilmente inviato a cui abbiamo fatto seguire alcune domande dirette.
Brigate Rosse: una fenomeno italiano, una storia della guerra fredda
Con la destituzione di Kruscev nel 1964 l’Unione Sovietica iniziò – soprattutto a livello ‘non ufficiale’ – una politica maggiormente aggressiva nei confronti dei paesi occidentali, con un ricorso più intensivo alle cosi dette ‘covered operations’. Queste operazioni riguardavano anche i Partiti comunisti in odore di ortodossia, com’era considerato il Partito comunista italiano; le cosiddette misure attive venivano attuate mediante l’infiltrazione di agenti e l’addestramento di giovani estremisti, e con il loro tramite venivano inviati veri e propri “avvertimenti” al PCI. Anche in questo contesto possono dunque essere inquadrati tre degli accadimenti che hanno caratterizzato gli anni tra il 1968 ed il 1973: il sorgere dei primi gruppi terroristici in Italia (GAP e BR), l’attentato al traliccio dell’energia elettrica dove perse la vita Giangiacomo Feltrinelli, l’incidente in auto occorso ad Enrico Berlinguer a Sofia nel 1973. Il saggio di Bartali si prefigge dunque rileggere la nascita di quell’area di brigatismo che ebbe un origine anteriore ed una matrice dissimile da quella conosciuta e studiata fino ad oggi, e che risulta collocabile a pieno titolo nel contesto della Guerra Fredda.
E’ da sottolineare che quanto emerso dalla lettura delle carte prese in esame non smentisce né si pone in contrasto con quelle ricostruzioni storiche (Flamigni, Cipriani, De Lutiis, Ganulli, Biondo) che puntano l’indice sull’opera di infiltrazione all’interno delle BR da parte di elementi che genericamente potremmo definire filo-atlantici, ma le va semmai ad integrare allargando il quadro interpretativo. Risulta cosi del tutto inappropriato l’appellativo di ‘tesi dietrologiche’ o ‘cospirative’ che certi osservatori hanno riservato ad alcuni lavori sulle Brigate Rosse – soprattutto per quanto riguarda i primi anni di vita del gruppo – in quanto abbiamo ormai la documentata sicurezza che le infiltrazioni si sono realmente verificate.
Durante la Guerra Fredda, insomma, i servizi di sicurezza fecero a pieno il loro mestiere.
Roberto, poco prima che uscisse il tuo saggio su Nuova Storia Contemporanea il quotidiano Libero ha pubblicato un estratto di quel saggio il 19 dicembre scorso. So che non hai apprezzato l’operazione, puoi dirci perché?
Quando uno storico vede pubblicato su un quotidiano il proprio saggio non può essere felice… sul giornale il lavoro non può essere riportato interamente per ovvi motivi di spazio… come minimo restano fuori le note, che sono poi quelle che rendono la scientificità dell’articolo… e poi il giornale di Feltri è decisamente molto schierato politicamente, e non vorrei che vedendo uscire il mio saggio lì mi si appiccicasse un’etichetta cui non tengo proprio (bada bene, questo Destra o Sinistra che siano… faccio solo ricerca storica e dalla politica cerco proprio di non farmi coinvolgere).
Ho però inteso il fine che il direttore della rivista si prefiggeva, cioè soprattutto quello di pubblicizzarla, di rendere “appetibile” il suo acquisto presso il vasto pubblico del giornale di Feltri. E’ una cosa logica ed al tempo stesso priva di secondi fini. In poche parole non l’ho apprezzato, ma tant’è…
L’articolo apparso su Libero in effetti oltre ad essere molto conciso punta decisamente ad evidenziare in maniera molto sbrigativa le responsabilità del PCI. Ci sembra che una recensione più attenta del tuo saggio sia comparsa in un blog ( lostruscio.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=1308427 ).
Non ho letto quel blog, ma in effetti hai ragione. Dalla lettura del mio saggio – sempre se letto con attenzione – non emergono affatto conclusioni “anti-PCI”… anzi, direi che una delle cose di cui sono stato maggiormente colpito studiando le carte è stato l’emergere della posizione di Enrico Berlinguer; un ruolo difficile, complesso, ma a mio avviso affatto “negativo”. Il fatto che il suo partito abbia iniziato a combattere il nascente terrorismo ben prima di quanto comunemente viene ritenuto è una cosa da sottolineare, e finora colpevolmente sottovalutata…
Io ricostruisco e riconosco la storia delle BR – soprattutto delle prime BR, diciamo fino al ’75/’76 – come filiazione diretta di un’ala del PCI, quella comunemente definita “secchiana” (ivi compresi quindi i collegamenti di carattere internazionale… con Praga, tanto per fare un esempio), tenacemente rivoluzionaria, che però all’interno del partito era non solo una ristrettissima minoranza, ma era decisamente in antitesi con il percorso intrapreso fin dalla metà degli anni ’50 dalla leadership, un percorso democratico ribadito con decisione e coraggio prima da Togliatti e poi in maniera ancor più decisa proprio da Berlinguer. Si tratta però di una parte importante della storia delle BR, e soprattutto è completamente assente attualmente dalle ricostruzioni storiche “in voga”.
Con questo non voglio dire che il ’68 e l’autunno caldo non abbiano avuto un ruolo determinante nello sviluppo del gruppo di Curcio e Fanceschini…ci mancherebbe… dico solo che è un qualcosa che partiva da più lontano… che affondava le proprie radici nelle tensioni e nelle aspettative rimaste deluse in una certa area, seppur minima, della base comunista. Questo va detto con molta onestà.
Tu hai avuto modo di scorrere carte e documenti della Commissione Mitrokhin. Che idea ti sei fatto.
Per quanto ho potuto vedere, tra mille difficoltà e “divieti” (visto che moltissimi documenti sono vincolati da segreto, dunque non sono accessibili…), la mia tesi contraddice – anche se solo in parte – quanto emerso da alcuni elaborati prodotti dalla Commissione Mitrokhin.
Diciamo che confutando alcune cose giungo invece ad una interpretazione molto diversa su altre. A mio avviso, infatti, il PCI non può essere considerato colpevole di essere stato per 50 anni una V° colonna dell’URSS in Italia, come affermano taluni, ma a ben vedere fu lo stesso PCI (ed in modo particolare la leadership di Enrico Berlinguer) ad essere stato la vittima (o una delle vittime) delle operazioni del KGB in Italia, operazioni – che loro chiamavano aktivnye meropriyatiya “operazioni attive” appunto – attuate anche attraverso l’aiuto della cosiddetta “ala staliniana” del partito, che poi è proprio quella da cui filiarono (se così si può dire) le prime BR. Quell’ala sì che era una vera e propria V° colonna dei sovietici… ma essa era presente, con funzioni di “controllo”, all’interno del PCI, non era l’intero PCI.
Non entro poi nel merito della polemica politica su Prodi, né sulla nuova pista sulla Strage di Bologna (per quanto quest’ultima sia ben argomentata, tanto da spingere dei magistrati a riaprire le indagini, se non erro…).
Sto aspettando con ansia che l’archivio della commissione Mitrokhin venga depositato presso l’archivio storico del Senato, così da poter avere accesso alla totalità dei documenti. Ho però il timore che non ci sia esattamente la volontà di rendere disponibile per gli storici tutto quel materiale.

Fine prima parte.

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1583 da Starburst
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ANNI 70 IL TERRORISMO COME PSYOPS

Intervista con Roberto Bartali

Seconda Parte

In questo paese c’è una sorta di “area culturale” trans-partitica molto forte, che per qualche motivo insiste nel sostenere che sugli anni di piombo tutto è ormai noto… C’è la volontà di chiudere con il periodo senza approfondire ulteriormente…. Mentre, a mio sommesso avviso, se fossero rese pubbliche ed accessibili tutte le carte potrebbe essere in parte riscritta la storia dell’Italia contemporanea… insomma, ci sarebbe proprio da “divertirsi”……

Tu saprai che nel dicembre 2005 la Commissione Mitrokhin compì una missione in Ungheria. Al ritorno il Senatore Guzzanti parlò di “verità pazzesche”. Parlò di documenti “in cui è trascritto il diario delle operazioni congiunte fra Brigate Rosse e la rete del terrorismo in Europa e in Medio Oriente diretta dal Kgb e pianificata dalla Stasi tedesco orientale”. Fece anche dei nomi di brigatisti, per esempio Savasta.

C’è un episodio che abbiamo cercato a suo tempo di approfondire che vale la pena essere ricordato.

Il Presidente Guzzanti disse che ad un certo punto durante quella missione l’onorevole Valter Bielli pose personalmente una domanda al rappresentante della procura di Budapest e a quello dei servizi di sicurezza: ‘Ma siamo sicuri che quando dite Brigate rosse non intendiate riferirvi a generiche brigate rivoluzionarie internazionali per comodità indicate come brigate rosse?’. Domanda alla quale, secondo Guzzanti, il portavoce ungherese cortesemente rispose: ‘No, onorevole Bielli: si tratta delle Brigate Rosse italiane, sono le uniche brigate rosse che conosciamo’. L’onorevole Valter Bielli, recentemente definito da Guzzanti “mio acerrimo nemico e nemico dichiarato della Commissione stessa”, da noi contattato nel febbraio dello scorso anno in merito ebbe a dirci:” per quanto attiene alla visita della comm.ne a Budapest e alla mia domanda la risposta, data da un funzionario ungherese che aveva in precedenza rimarcato che mai aveva seguito quell’inchiesta e che nulla poteva dire al riguardo ha poi detto che per quanto poteva presumere, ma non ne aveva cognizione, al novanta per cento se si trovava scritto Br si doveva pensare all’Italia. Le faccio notare che nei documenti ungheresi si parta della Br svizzere, ma in Svizzera agivano altri gruppi non le Br”.

Insomma nei documenti sta scritto BR.

Ho potuto solamente dare un’occhiata molto parziale alle carte trovate in Ungheria (come ho detto sono carte in buona parte vincolate da segreto…). Alcune cose sono però riportate nelle relazioni finali in Commissione Mitrokhin. Ho notato – ovviamente – che si fanno i nomi di Morucci e Savasta come di contatti italiani del “gruppo Carlos”. Non mi è chiaro, però, se essi fossero parte integrante del gruppo o se invece fossero considerati solo dei referenti, dei punti di riferimento, magari di tipo logistico, nel nostro paese…

Certo che se fosse vera la prima ipotesi si aprirebbero scenari davvero interessanti. Il “Tex Willer” di Via Fani (quello che spara la maggioranza dei colpi e che è così abile da fare perfino un saltello reggendo il mitra che sta facendo fuoco…), in uno scenario simile, potrebbe infatti essere stato uno in “prestito” dalla banda Carlos. Però, ripeto, trovare dei nomi in un’agendina, a livello storiografico, non è granché probante…

Tu sai come il Senatore Guzzanti interpreta la famosa seduta spiritica dell’aprile 1978 in cui venne fatto il nome di Gradoli. Vuoi esprimere una tua opinione in merito?

Questo è un altro dei misteri insoluti del caso Moro, in barba a tutti quelli che affermano che ormai tutto è chiaro…

A prescindere dalla assoluta stranezza della cosa, forse la teoria più sensata resta quella di Andreotti: la seduta spiritica era solo un modo piuttosto goffo di coprire la fonte delle informazioni proveniente dagli ambienti contigui alle BR a Bologna. Sono però apertissimo ad altre spiegazioni… sul caso Moro ormai non mi stupisco più di niente…

Così “a naso”, però, mi pare un pò limitativa l’affermazione che il KGB abbia gestito il rapimento Moro… nel senso che le cose probabilmente sono assai più complesse… insomma, non penso che le bierre abbiano potuto tenere prigioniero un uomo come Moro nella Roma degli anni ’70 se TUTTI i servizi segreti non convergevano sull’idea di lasciarglielo fare…

Roberto non ti chiedo se sei di destra o di sinistra ammesso che questa classificazione abbia un senso. Ma ti volevo comunque chiedere una cosa. Anch’io come sai, recentemente dopo che ho cercato di andare a fondo, onestamente credo, su certe questioni, ho ricevuto una serie di attacchi un po’ da tutte le parti, anche da quella in cui, politicamente parlando, più mi riconosco. Immagino che sia così anche per te, visto la delicatezza degli argomenti che le tue ricerche toccano, argomenti che, mi sento di dire, attraversano trasversalmente tutti gli schieramenti e la loro storia. Vuoi raccontarci qualcosa?

Io provo a fare lo storico, della politica non me ne curo granché. Di attacchi, a dire il vero, non ne ho ricevuti moltissimi… solo qualcuno, ma evidentemente era distratto… oppure ha voluto vedere per forza qualcos’altro dentro al mio saggio. Un messaggio politico magari… e invece proprio non c’è. D’altronde, come ho già accennato, chi legge il mio lavoro con attenzione si rende conto che non è né di sinistra né di destra, come non lo è la Storia (almeno quella con la “S” maiuscola).

Dico senza problemi che il PCI ha avuto nel dopoguerra un apparato paramilitare clandestino, che esso è poi caduto in disuso ed è stato “disarmato” dal partito stesso in conseguenza della via parlamentare, definitiva, che era stata intrapresa… è però vero che qualcosa di quella struttura, una “rete informale” (come la chiama Alberto Franceschini) ha continuato a sopravvivere nel tempo con tanto di contatti internazionali, e che da essa ha avuto origine una componente importante delle prime BR. Non si può però dimenticare che in tutta la sinistra la paura del golpe sul modello del Colonnelli greci (e non a torto….) era e rimase fortissima fin dalla fine del 2° conflitto mondiale, e questo nel coso degli anni ha avuto certe conseguenze.

Per concludere una considerazione finale. Negli archivi le carte per fare certe affermazioni – e ricostruire davvero la storia d’Italia – ci sarebbero. Solo che non sono pubblicabili. Purtroppo nel nostro paese vigono norme assai restrittive (rispetto agli altri paesi occidentali) sull’accesso ai documenti, e se come storico mi azzardassi a pubblicare qualche notizia che – per delle inconcepibili motivazioni tutte italiane – è ancora vincolata da segreto (dopo 40, 50 o 60 anni!) rischierei di prendermi da 5 a 20 anni di prigione…. Insomma, uno scrive quello che “può scrivere”.
A ciò si lega il fatto che gli archivi dell’Arma dei Carabinieri, che sarebbero una vera e propria “miniera d’oro” per gli storici, non sono accessibili, anche perchè tutte le note inerenti il partito comunista (come mi ha raccontato un Generale dei Carabinieri ormai a riposo) o i gruppi della estrema-sinistra erano fatte rientrare sotto vincoli di riservatezza NATO, dunque per accedervi servirebbe il NOS, sulla osta di sicurezza….che per ovvi motivi noi storici non abbiamo.
Il problema, però, si risolverà da sé tra pochi anni, e senza “aiuti” esterni. I telex che servivano per scambiare notizie importanti tra le varie forze di polizia (di nuovo una fonte essenziale per gli storici) erano fatti di “simpaticissimi” fogli di carta velina rosa stampati con una assai risicata quantità di inchiostro… ebbene stanno rapidamente sbiadendo, cosa che renderà in breve tempo la loro lettura del tutto impossibile. Una vera manna per gli “insabbiatori”.
Come se non bastasse certe notizie vengono bellamente ignorate: nel 2001 una sentenza definitiva ha stabilito che tra i militanti “regolari” delle BR, nel periodo che va all’incirca dal ’73 al ’75, era riuscito ad infiltrarsi un confidente della polizia di cui ormai si sa nome e cognome, e che questo non solo concorse fisicamente al rapimento del giudice Mario Sossi [che dunque poteva essere evitato…chissà cosa ne pensa il diretto interessato, visto che trascorse 45 giorni chiuso in una “prigione del popolo”…], ma che successivamente era a conoscenza del piano per far evadere Renato Curcio dal carcere di Casale Monferrato [fuga che quindi, di nuovo, poteva essere evitata…]. Detto per inciso, due delle più spettacolari azioni criminose compiute dalle prime BR erano del tutto evitabili… Ma quando qualche “povero cristo” di storico prova a scrivere (o meglio, a ricordare…) queste cose come minimo è tacciato di dietrologia. Ricostruire la storia repubblicana (quella ancora nascosta), dunque, è un pò come seguire un percorso ad ostacoli circondato da un fossato pieno di famelici coccodrilli [mi si perdoni l’ardita metafora ma “calza a pennello”]. Spero di non avervi annoiato con queste problematiche da storico poco serio, d’altronde noi “pagliacci” ci divertiamo così.

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8 Anni 7 Mesi fa #1607 da Shavo
Risposta da Shavo al topic La storia nascosta
@Pyter

Ho per le mani il libro di Magnani. Per ora solamente iniziato, ma già sento di doverti ringraziare. Me lo sto studiando diciamo, perché di semplice lettura non si tratta..
Manco a farlo apposta questo mese toccherò sia Firenze che Siena, puoi immaginare quanto sia felice nel pregustare il piacere di vedere dal vivo quelle opere poveramente riprodotte su carta. Il tuo intervento è stato provvidenziale!

Pyter ha scritto: Secondo: ho notato che l'interesse per le cose di cui parlo è basso è basso anche quando non parlo d'arte, il che è incredibile se si raffrontano col successo che hanno invece avute le fregnacce di Dan Brown.

:beers:
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8 Anni 7 Mesi fa #1629 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
@Shavo
Non portarti troppo avanti che a me deve ancora arrivare...:stuckup:

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8 Anni 7 Mesi fa #1653 da Giano
Risposta da Giano al topic La storia nascosta
Articolo tradotto e pubblicato su Comedonchisciotte sulla tratta degli schiavi irlandesi.
Copio ed incollo integralmente.



"Sono arrivati come schiavi; un enorme carico umano trasportato su Grandi Navi Inglesi verso le Americhe. sono stati trasportate centinaia di migliaia di persone includendo uomini, donne e bambini anche fra i più piccoli. Quando si sono ribellati o anche disobbedito un ordine, son stati puniti nel peggiore dei modi. Lo schiavo doveva distruggere le sue proprietà e come punizione le sue mani o i piedi dati fuoco. Venivano bruciati vivi e la loro testa messa sul Mercato come un avvertimento per gli altri prigionieri. Non abbiamo bisogno di elencare Tutti i cruenti dettagli, non e vero? Sappiamo fin troppo bene le atrocità della tratta degli chiavi.

Ma stiamo parlando della schiavitù in Africa? Re Giacomo II e Carlo I hanno cercato continuamente di asservire gli Irlandesi. Il famoso britannico Oliver Cromwell continuò a perpetuare la sua pratica della disumanizzazione del vicino più prossimo.

Gli schiavi commerciali Irlandesi iniziarono quando Giacomo II vendette 30.000 prigionieri politici Irlandesi come schiavi nel Nuovo Mondo. Il suo proclama del 1625 ordinava che prigionieri politici Irlandesi fossero inviati all'estero e venduti ai coloni inglesi nei Caraibi. Alla metà del XVI Secolo, gli Irlandesi erano la maggioranza degli schiavi venduti in Antigua e Montserrat. A quel tempo, il 70% della popolazione totale di Montserrat era composta da schiavi Irlandesi.

L'Irlanda divenne presto La più grande fonte di bestiame umano per i mercanti inglesi. La maggior parte dei primi schiavi nel Nuovo Mondo erano in realtà bianchi.

Nel periodo 1641-1652, più di 500.000 irlandesi sono stati uccisi dagli inglesi, e 300.000 sono stati venduti come schiavi. La popolazione irlandese scese da 1,5 milioni a 600.000 in un solo decennio. Intere famiglie sono state distrutte perché gli inglesi hanno proibito ai padri irlandesi di portare con sé donne e bambini dall'altra parte dell'Atlantico. Questo ha creato una popolazione inerme fatta di donne e bambini senza casa. La soluzione britannica è stata di mettere all'asta anche loro.

Durante il 1650, più di 100.000 bambini Irlandesi tra i 10 e i 14 anni sono stati presi dai loro genitori e venduti come schiavi nei Caraibi, in Virginia e nel New England. Nel corso di quel decennio, 52.000 Irlandesi (per lo più donne e bambini) sono stati venduti nelle Barbados e in Virginia. 30.000 uomini e donne Irlandesi sono stati trasportati e venduti al miglior offerente. Nel 1656 Cromwell ha ordinato che 2.000 bambini Irlandesi fossero portati in Giamaica e venduti come schiavi dei coloni Inglesi.

Molte persone oggi evitano di chiamare gli schiavi Irlandesi per quello che realmente erano: schiavi. Usano parole come "Servi a contratto" per descrivere la condizione degli Irlandesi. Tuttavia, Nella maggior parte dei casi nel XVII al XVIII Secolo, gli schiavi Irlandesi non erano né più né meno che bestiame umano.

Per esempio, il commercio degli schiavi africani era appena iniziato in quell'epoca. E 'ben noto che gli schiavi africani, non erano viziati dalla odiata teologia cattolica, ed erano più costosi da acquistare, ed erano spesso trattati meglio degli schiavi Irlandesi.

Gli schiavi africani erano molto costosi durante il 1600 (50 sterline). Gli schiavi Irlandesi erano a buon mercato (non più di 5 sterline). Se un piantatore colpiva o batteva uno schiavo irlandese a morte, non era considerato un crimine. La morte di uno schiavo era solo una battuta d'arresto finanziaria, ma era molto meno costosa che uccidere un più costoso africano. I padroni inglese ben presto cominciarono ad allevare un sempre maggior numero di donne Irlandesi sia per il loro piacere personale che per aumentare i profitti. I figli di schiavi erano loro stessi schiavi, che ampliarono il lavoro non pagato dei padroni di schiavi. Anche se una donna irlandese era diventata libera in qualche modo, i suoi figli rimanevano schiavi del suo padrone. Di conseguenza, le madri Irlandesi, nonostante l'emancipazione di nuova acquisizione, raramente lasciavano i loro figli e rimanevano in schiavitù.

Con il tempo, gli inglesi hanno pensato a un modo migliore per utilizzare queste donne (in molti casi, ragazze di dodici anni) per aumentare la loro quota di mercato: i coloni hanno cominciato ad allevare donne Irlandesi e ragazze con schiavi africani per produrre un colore distinto. Questi nuovi schiavi "mulatti" avevano un prezzo superiore a quello del bestiame Irlandese e, allo stesso modo, hanno consentito ai coloni di risparmiare denaro, piuttosto che comprare nuovi schiavi africani. Questa pratica di incrociare le donne Irlandesi e uomini africani è durata diversi decenni ed era così diffusa che nel 1681 è stata approvata una legge "che vieta l'allevamento di schiave Irlandesi femminili con uomini schiavi africani per produrre schiavi per la vendita". In sintesi, la pratica è stata fermata solo perché interferiva con i profitti di una grande compagnia di trasporti di schiavi.

L'Inghilterra ha continuato ad inviare decine di migliaia di schiavi Irlandesi per più di un secolo. I documenti storici mostrano che dopo la rivolta irlandese del 1798, migliaia di schiavi Irlandesi sono stati venduti in America e in Australia. Ci sono stati orribili abusi sui prigionieri africani e irlandesi. Una nave britannica ha anche gettato in Atlantico 1.302 schiavi perché l'equipaggio doveva mantenere le riserve di cibo.

Non c'è dubbio che gli Irlandesi hanno sofferto gli orrori della schiavitù (molto più nel XVII secolo) tanto quanto gli africani. Ci sono anche pochi dubbi sul fatto che quei volti bruni che vedete nei vostri viaggi ai Caraibi è probabilmente una miscela di africani e di Irlandesi. Nel 1839, la Gran Bretagna ha Infine deciso, solo per finire la sua partecipazione alla discesa agli inferi da Satana, di fermare il trasporto di schiavi. Anche se questa decisione non fermò i pirati, che fanno un piacimento loro, la nuova legge lentamente chiuse questo capitolo incubo di miseria irlandese.

Ma se qualcuno, bianco o nero, pensa che la schiavitù è stata solo una esperienza africana, sbaglia del tutto. La schiavitù irlandese è un argomento che merita il presente, da non cancellare dalla nostra mente.

Ma dove sono le nostre scuole pubbliche (e private)? Dove sono i libri di storia? Perché è così raramente discusso? Il ricordo di centinaia di migliaia di vittime Irlandesi non si merita più di un riferimento a un autore sconosciuto?

Oppure diventa la loro storia come quella dei pirati Inglesi: una storia irlandese (a differenza della storia africana) completamente dimenticata , come se non fosse mai esistita.

Nessuna delle vittime Irlandesi potè tornare in patria a raccontare il suo calvario. Questi sono gli schiavi perduti; quelli che il tempo e i libri di storia parziali hanno convenientemente dimenticato."
John Martin

La fonte originale di questo articolo è Oped News and Global Research

Traduzione di Servus

www.globalresearch.ca/the-irish-slave-tr...n-white-slaves/31076
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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1666 da Starburst
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Complimenti! Un bel pezzo di storia nascosta,del resto quando si tratta di inglesi! Loro con la storia ci giocano a nascondino.

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 7 Mesi fa #1667 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
Tratto da un saggio di Roberto Bartali, storico e ricercatore laureato all'universita' di Siena, a mio modesto parere un saggio che getta una nuova luce sul caso moro mai del tutto svelato, gli intrecci politico-diplomatici nazionali ed internazionali , le alleanze vecchie e nuove e la nostra sudditanza cronica dalle potenze straniere, il tutto condito con la "guida" amichevole per i nostri politici da parte di vari personaggi molto influenti sia nazionali che sopratutto internazionali, guida amichevole che ancora dura, anche se a qualcuno specie in questo blog risulta indigesto!

Roberto Bartali
Rilettura critica della storia delle BR e del rapimento di Aldo Moro


PRIMA PARTE :

Nel rileggere 18 anni di lotta armata in Italia ci si accorge che ogni tanto, qua e là, rimangono dei buchi neri nel terrorismo rosso, buchi coperti anche di segreti, spesso inconfessabili, di chi contro quella stagione di utopie rivoluzionarie e sanguinarie ha esercitato l'arma della repressione in nome dello Stato, ma anche di chi a Sinistra ha assistito alla gestazione ed alla nascita del fenomeno BR. A parziale conferma di ciò e nella stessa direzione del mio pensiero - per quanto sarebbe comprensibile se a qualcuno sembrasse inopportuno fare della mera dietrologia con quanto affermato da un ex terrorista - vanno le parole di Patrizio Peci, primo "pentito" delle Brigate rosse: "Lo stato allora [agli inizi dell'attività brigatista] - poi non più - ti lasciava gli spazi per poter sperare nella vittoria [...] lo stato poteva avere interesse a lasciare spazio alla lotta armata. Interessi velati, e magari contrapposti, ma certamente tesi a creare confusione. Altrimenti la lotta al terrorismo sarebbe stata più immediata e aspra. Ci avrebbero stroncato subito, come hanno fatto quando gli è parso il momento". Il fatto è che non ritengo ammissibile parlare di dietrologia quando in ballo ci sono anche dei morti ammazzati, ma soprattutto quando perfino a distanza di 25-30 anni dagli accadimenti continuano ad amergere nuovi frammenti di verità fino ad ora nascoste. Analizzando la storia della folle epopea brigatista, ci si accorge che sono presenti con una certa costanza degli accadimenti "particolari", delle coincidenze strane, così prodigiosamente tempestive, da far supporre - pur nella scarsità di prove certe - degli interventi esterni ben mirati in una determinata direzione.
Non possiamo però esimerci dall'aprire una finestra su una certa parte della Sinistra italiana, ed in modo particolare su quell'area "dura" che dal 25 Aprile 1945 (ma forse sarebbe meglio far risalire il tutto alla c.d. "Svolta di Salerno") non ha mai smesso di sognare la rivoluzione. Un grigio alone di mistero e di 'indicibilità' avvolge ancora certi aspetti degli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale ed in particolare gli avvenimenti che riguardano l'evoluzione di quella che fu Resistenza una volta finita la guerra. Basti pensare alle violente polemiche che il volume scritto da Pansa (Il sangue dei vinti) ha provocato. Questo ha probabilmente due ordini di ragioni: il primo concerne il fatto che la Resistenza, in quanto elemento decisivo e fondante della Repubblica, ha assunto e continua ad avere -per certi aspetti giustamente- un alone di mito. Il partigiano che combatte per la libertà dal nazi-fascismo fa parte della storia, del costume e del sentire comune della maggior parte degli Italiani. Il mito del partigiano è dunque un elemento fondamentale dell'Italia post-fascista anche perchè aiuta -se così si può dire- a "ripulire" gli italiani dalla macchia costituita dal diffuso sostegno al regime di Mussolini e -perchè no- da quel brusco cambio di alleanze (che per taluni fu un vero tradimento o, come la chiama Elena Aga Rossi, una "morte della Patria") che fu l'8 Settembre. Il secondo aspetto che non consente una tranquilla trattazione dell'argomento "Resistenza dopo la fine della Resistenza" è invece decisamente meno nobile, e riguarda direttamente la storia del PCI, un partito che -è bene ricordarlo- ebbe poi un ruolo fondamentale nella sconfitta del terrorismo nostrano, ma che dall'immediato dopo-guerra ha mantenuto un reale dualismo al proprio interno: un lato ufficiale fieramente democratico, l'altro nascosto e con delle mai dome velleità insurrezionali. Detto per inciso, per 50 anni hanno convissuto all'interno del PCI due anime frontalmente contrapposte, e se è vero che l'ala dura che faceva riferimento a Pietro Secchia venne pesto messa in minoranza, è anche vero che soldi provenienti da Mosca sono continuati ad arrivare in Via delle Botteghe oscure fino a tempi relativamente recenti (vedere pubblicazioni di Victor Zaslavsky), e che una parte del PCI ha continuato ad avere con il blocco sovietico un atteggiamento di "vicinanza" nonostante i vari allontanamenti e strappi che via via il partito ufficialmente faceva dal PCUS. Non possiamo, in qualità di ricercatori, esimerci dal sottolineare come almeno 2000 uomini dalla fine della guerra sono passati dai campi di addestramento in Cecoslovacchia, e di questi una buona parte era costituita da ex partigiani che si erano macchiati di crimini nel dopoguerra e che per sfuggire alla giustizia italiana erano stati fatti scappare in quel paese con l'aiuto del PCI. Non possiamo non notare come già nel '52 il Sifar avesse scoperto che questi uomini frequentavano corsi di addestramento al sabotaggio, psicologia individuale e di massa, preparazione di scioperi e disordini di piazza, l'uso delle armi; come trasmissioni in lingua italiana provenissero da Praga (Radio Italia Oggi) con il preciso scopo di fornire una controinformazione comunista e che gli stessi uomini che gestivano le trasmissioni avevano teorizzato una insurrezione rivoluzionaria per il 1951 (abortita per una fuga di notizie che allarmò, e non poco, i nostri servizi segreti); come l'addestramento di giovani comunisti italiani sia proseguito fino a tutti gli anni '70, quindi ben dopo il seppur pesante strappo operato dal PCI dopo la fine della 'Primavera di Praga'. La domanda che ci si deve porre, in relazione all'argomento di questa pubblicazione, riguarda dunque i rapporti che le Brigate Rosse possono aver avuto con l'area dei Secchiani e con l'Stb (servizio segreto cecoslovacco) nei loro 15 anni di storia, se quel passaggio simbolico di armi dalle mani dei vecchi partigiani alle nascenti BR di cui parla Franceschini non nasconda in realtà anche un passaggio di contatti ed aiuti con i paesi di oltrecortina e con la Cecoslovacchia in primis, se con la morte di "Osvaldo" Feltrinelli nelle BR siano confluiti solo i membri dei suoi GAP o anche tutta la rete di contatti internazionali che l'editore-guerrigliero aveva. La storia la si scrive leggendo gli avvenimenti a 360°, senza paraocchi politici o ideologici, così se è corretto considerare l'influenza che gli USA, la CIA, certi ambienti filo-atlantici e l'area neo-fascista hanno avuto nella storia repubblicana, è anche corretto considerare la fazione che ad essi era contrapposta, comprese le eventuali 'macchie'; non per infangare ma per studiare a fondo, per capire.
Tutto il percorso evolutivo delle Br è caratterizzato, a cominciare dai suoi albori, dalla presenza di infiltrati di varia natura; ciò, se non fosse abbondantemente provato da riscontri e testimonianze, risulterebbe inoltre perfino facile da ipotizzare alla luce del fatto che forze di varia natura erano riuscite ad insinuarsi con successo già negli ambienti più "caldi" del periodo storico che della lotta armata fu un po' la culla: il '68. E' da considerare che già nell'estate 1967 la CIA aveva promosso la "Chaos Operation" per contrastare il movimento non violento e pacifista americano che si batteva per i diritti civili e contro la guerra del Vietnam. Quindi aveva deciso di estenderla su scala internazionale, in particolare in Europa, per contrastare anche il movimento studentesco-giovanile del vecchio continente, inquinandone gli assunti anti-autoritari e non violenti. L'operazione consisteva anche nell'infiltrazione, a scopo di provocazione, nei gruppi di estrema sinistra extraparlamentare (anarchici, trotzkisti, marxisti-leninisti, operaisti, maoisti, castristi) in Italia, Francia, Germania Occidentale con l'obbiettivo di accrescerne la pericolosità inducendo ad esasperare le tensioni politico-sociali con azioni aggressive, così da determinare un rifiuto dell'ideologia comunista e favorire spostamenti "a destra" (secondo la logica di "destabilizzare per stabilizzare"). In tale direzione - dunque una conferma di quanto detto - va anche un rapporto dedicato alla contestazione studentesca datato Febbraio 1971 e redatto in forma riservata proprio nell'ambito della "Operazione Chaos" dall'Ufficio Affari riservati del Viminale: "almeno all'origine si deve rilevare la spinta di qualche servizio segreto americano [alludendo alla CIA] che ha finanziato elementi estremisti in campo studentesco". Un ulteriore dato interessante lo ritroviamo nella lettura del resoconto sulla riunione del coordinamento delle forze di polizia che si tenne a Colonia il 19 Gennaio 1973 e dedicata al problema dell'infiltrazione nei gruppi terroristici Br e RAF e nei gruppi della sinistra extraparlamentare. Risulta infatti evidente che l'intendimento dei vari servizi segreti non era quello di predisporre semplici confidenti o informatori ma anche veri e propri terroristi, in grado di arrivare al vertice del gruppo da infiltrare. E che dire delle strane "premonizioni" avute dall'allora capo del SID, Miceli, nel 1974? Egli, interrogato innanzi al giudice tamburino nel settembre di quell'anno dichiarò con una inquietante lungimiranza: "Ora non sentirete più parlare di terrorismo nero, ora sentirete parlare soltanto di quegli altri".
Alla luce di ciò, non appare sconvolgente scoprire che le infiltrazioni all'interno delle Br cominciarono piuttosto presto. La prima talpa di cui si hanno notizie certe fu Marco Pisetta; già compagno di Renato Curcio e di Mara Cagol alla libera università di Trento, grazie alla sua testimonianza (il suo memoriale, che sosterrà essergli stato ispirato direttamente da uomini dei servizi segreti, fornirà una prima e importante fonte, anche cronologica, di dati sulla nascita della Br) il 2 Maggio 1972 venne individuata la principale base milanese delle Br, in Via Boiardo, ed arrestato un primissimo nucleo di brigatisti. Ma all'interno delle Br l'Ufficio Affari Riservati del Viminale era riuscito ad infiltrare un altro agente, ed anzi era stato proprio questo - nome di battaglia "Rocco" - a prelevare materialmente il giudice Sossi insieme ad Alfredo Bonavita per portarlo alla così detta "Prigione del Popolo". Francesco Marra, questo il nome di battesimo di "Rocco", era un paracadutista addestratosi in Toscana e in Sardegna all'uso delle armi e con una sorta di specializzazione nella pratica delle "gambizzazioni" (della quale faranno ampio ricorso le Br nel corso degli anni) prima di entrare nelle Brigate Rosse; in seguito, a differenza di Pisetta, la doppia identità di Marra non è venuta alla luce, ed il suo nome è rimasto fuori da tutti i processi, stranamente coperto anche dal brigatista Alfredo Bonavita dopo il suo pentimento. Per sua stessa ammissione, Marra si era infiltrato nelle Br per conto del brigadiere Atzori, braccio destro del Generale dei Carabinieri Francesco Delfino. Tra gli avvenimenti "strani" della vita delle Br è impossibile non menzionare anche l'infiltrazione da parte dei Carabinieri di Silvano Girotto, la terza infiltrazione all'interno del gruppo nei suoi primi quattro anni di vita, un'ulteriore defayans della banda di Curcio e compagni che dimostra come a confronto con l'esperienza ed il mestiere del servizio di sicurezza dello stato - o quantomeno di parte di esso - le prime Brigate Rosse possano essere tranquillamente definite come "Tupamaros all'amatriciana". Reso noto dai rotocalchi come "Frate Mitra", Girotto era un ex francescano con dei trascorsi - a dire il vero poco chiari - di guerrigliero in Bolivia ma che tra le forze extraparlamentari (Lotta Continua in primis) godeva di una fama di tutto rispetto, e che riuscì a far catturare in un sol colpo due capi storici delle Brigate Rosse del calibro di Alberto Franceschini e Renato Curcio, l'8 Giugno 1974. Come racconta lo stesso Franceschini "Frate mitra appena rientrato in Italia cercò subito di entrare in contatto con le Br [...] si fece precedere da alcune lettere dei dirigenti del Partito Comunista di Cuba in cui si attestava di essere addestrato alla guerriglia e vantò rapporti anche con i Tupamaros. La cosa non poteva non interessarci".
Dopo alcuni tentennamenti i brigatisti si fecero convincere ad incontrare Girotto, e durante il terzo incontro, a Pinerolo, la trappola dei Carabinieri scattò inesorabile. I lati oscuri riscontrabili in merito a questo arresto sono diversi: anzi tutto bisogna fare riferimento ad una telefonata ricevuta dalla moglie dell'avvocato - con note simpatie brigatiste - Arrigo Levati che mise in preallarme l'organizzazione sui rischi di quell'ultimo appuntamento. Da più parti, ivi compresi i diretti interessati, si ipotizza che gli autori di quella telefonata furono gli agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano, da sempre interessato alle attività delle Br per via dell'instabilità che la loro azione terroristica avrebbe potuto portare ad un governo - quello italiano, appunto - che da tempo stava seguendo una linea in politica estera definibile come filo-araba. A confermare questa ipotesi ci sono i racconti degli stessi terroristi, (Moretti e Peci) i quali affermano che già nel 1974 il Mossad si era fatto vivo con l'organizzazione offrendo armi e denaro, in più, per rompere la loro iniziale diffidenza, gli posero - come si suole dire - su di un piatto d'argento l'indirizzo del nascondiglio del "traditore" Pisetta, che era stato portato dalla polizia italiana in Germania. Alla luce di questi elementi non ritengo impossibile dare credito alla veridicità di questa ipotesi, una congettura che, tra le altre cose, è condivisa sia da Giorgio Bocca sia - però solo indirettamente - dal Generale Delfino, ma che non cambia l'interessante realtà delle cose: attorno alle Br ruotavano, fin dall'inizio, tutta una serie di interessi particolari, anche molto differenti tra loro. E' un fatto, comunque, che la telefonata di avvertimento ci fu veramente, e fu lo stesso Moretti ad essere incaricato di darsi da fare per cercare di rintracciare Curcio prima dell'appuntamento con Girotto; una ricerca che però si rivelò vana, come altrettanto vane e poco convincenti sono - a mio modesto parere - le spiegazioni fornite da Moretti per giustificare il suo fallimento in quella occasione. E poi, come ha scritto Franceschini, pur conoscendo ora e luogo dell'appuntamento arrivò con un'ora di ritardo, quando eravamo già stati arrestati". Come afferma sempre Franceschini: "Quella era la seconda volta che i servizi di sicurezza avrebbero potuto arrestare tutti i brigatisti e porre fine all'esperienza delle Br [...] noi avevamo concordato con Girotto di dare vita a una scuola di addestramento, da lui diretta, alla cascina Spiotta, dove nel giro di un mese tutti gli appartenenti all'organizzazione, un po' alla volta, avrebbero partecipato ad un breve corso di addestramento. Se chi lo aveva infiltrato avesse chiesto a Girotto di continuare a stare al gioco dopo un mese sarebbe stato in grado di far arrestare non solo me e Curcio, ma tutti i brigatisti. E il fatto che questo non sia avvenuto è la riprova che l'organizzazione delle Br poteva tornare comoda per qualcuno delle alte sfere dei servizi di sicurezza e del potere".

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Ultima Modifica 8 Anni 7 Mesi fa da Starburst.

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8 Anni 7 Mesi fa #1671 da Edmondo
Risposta da Edmondo al topic La storia nascosta
Salve a tutti, non so quanti qui conoscono, ed hanno letto, "I protocolli dei savi". Tralasciando per un attimo la questione falso/vero, non ho potuto che rimanere colpito, da diversi punti che vengono esposti e mi piacerebbe discuterne qui con voi, sempre che non sia considerato (soprattutto da massimo) un argomento "tabù" o comunque che possa portare più problemi che altro.. che naturalmente è quello che voglio evitare. Che ne dite?
Saludos

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8 Anni 7 Mesi fa - 8 Anni 6 Mesi fa #1672 da Starburst
Risposta da Starburst al topic La storia nascosta
Edmondo, veri o falsi i protocolli di sion, ne ho conservato un brano che gia' a leggerlo fa venire voglia di prendere come minimo a calci nel culo (magari con la punta dello scarpone) chi lo ha scritto. Non so se la tua proposta avra' un seguito per quello che mi riguarda va bene discuterne perche' secondo me non e' importante sapere se siano veri o falsi, l'importante e' rendersi conto che c'e' stato qualcuno che li ha scritti ma sopratutto molti che li seguono ,li accettano e li mettono in pratica.
Ecco il brano che ho conservato :

Non c'è nulla di più pericolosa dell'iniziativa personale. Se dietro di essa c'è del genio, tale iniziativa può creare più danni di quelli che possono fare i milioni di persone tra le quali abbiamo seminato il disaccordo. Noi dobbiamo indirizzare l'educazione delle comunità goyim in modo che, quando capita una questione che richiede un'iniziativa, le cadano le braccia nell'impotenza disperata. Con tutti questi mezzi stancheremo in modo tale i goyim che saranno obbligati ad offrirci il potere internazionale, e ciò ci permetterà di assorbire gradualmente tutti gli Stati del mondo e di formare un super-Governo.
Al posto dei governanti odierni, metteremo un fantasma che chiameremo l'Amministrazione del super-Governo. Le sue mani si stenderanno in tutte le direzioni, e la sua organizzazione sarà di una dimensione talmente colossale che non potrà che assoggettare tutte le nazioni del mondo.

Il nostro governo dev'essere dispotico, altrimenti non può raggiungere gli scopi che si prefigge. Appena la folla s’impossessa della libertà, la trasforma subito in anarchia, che è il grado massimo della barbarie. Noi aboliremo ogni libertà politica, di insegnamento e di coscienza. L’ordine sarà ristabilito, con un certo ricorso anche alla violenza, ma l’ordine sarà ristabilito veramente. Dimostreremo di essere i benefattori che hanno restituito la libertà e la pace al mondo torturato. Ognuno potrà godere della tranquillità della pace, dell’ordine nei rapporti sociali, ma a condizione che tutti osservino le nostre leggi. Dimostreremo che né la posizione sociale, né il potere danno ad un uomo il diritto di propugnare principi contestatori e distruttivi, quali la libertà di coscienza, la uguaglianza, ed altre cose simili.

NO FAITHS NO PAIN
Ultima Modifica 8 Anni 6 Mesi fa da Starburst.

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