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Le specie sono esseri viventi?
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1 Anno 3 Mesi fa - 1 Anno 3 Mesi fa #51667
da Davide71
Risposta da Davide71 al topic Le specie sono esseri viventi?
Il processo di riproduzione in un mammifero
Nei miei post precedenti ho proposto l'idea che le specie siano esseri viventi, i cui corpi sono il corpo di ogni esemplare che le appartiene. Alcuni post hanno elaborato questa idea, mentre altri hanno mostrato che questa idea spiega molte prove scientifiche riguardanti diversi aspetti della vita. Questo fa parte del secondo tipo di post, in cui voglio mostrare come le prove scientifiche sull'embriogenesi possano essere spiegate considerando le specie come esseri viventi, e dovrebbe essere letto nel contesto stabilito dai miei precedenti. Di conseguenza, se non avete letto i post precedenti, non riuscirete a capire molto di quello che ho scritto qui.
Ecco come vedo il processo di fecondazione. Quando lo spermatozoo si lega all'ovocita l'entità intelligente che io identifico con la specie (nel caso dell'essere umano, la specie è "L'Uomo") compirà ogni fase del processo che dai due gameti aploidi costruisce un neonato. Lo fa spostando le proteine, gli enzimi, gli RNA nei posti giusti e così via. Non credo che la gestazione sia solo un processo chimico e mi chiedo cosa come possono anche solo concepire, gli scienziati, una cosa del genere. L’assenza di un’intelligenza operante nella gestazione rende, a mio avviso, tutte le spiegazioni scientifiche del tutto insufficienti.
Tale essere probabilmente crea anche la placenta. Dico "probabilmente" perché la placenta è una caratteristica comune a tutti i mammiferi. Poiché credo che non solo le specie siano esseri viventi ma anche le classi, è perfettamente possibile che la classe dei mammiferi costruisca la placenta. La costruzione della placenta comporta il rilascio di ormoni e reazioni dal cervello e da altri organi agli ormoni. Qualunque cosa rilasci gli ormoni deve essere diversa da ciò che reagisce al loro rilascio. Questo principio (nessuno invia una lettera a se stesso) di per sé sostiene l'idea che esseri diversi operino nel corpo di una creatura vivente.
Esistono non poche barriere riproduttive che impediscono ai “gameti maschili non idonei” di avviare il processo di fecondazione. Poiché non sono un biologo, ne cito solo tre. Vi è una parete di cellule (la corona radiata) attorno all’ovulo, recettori specifici sulla zona pellucida (la membrana esterna dell’ovulo) e il numero di cromosomi nei gameti. Tutte e tre impediscono ai gameti di specie tassonomiche diverse di fecondare l'ovulo, anche se provengono da esemplari imparentati. Uno scienziato direbbe che, in termini evoluzionistici, proteggono la specificità dei tratti di una popolazione, evitando incroci con altre popolazioni non idonee a vivere in quell'ambiente. Egli non ci prova neanche a spiegare cosa potrebbe avere creato un meccanismo così complesso, si limita a constatarne l’utilità. Io dico che tutte queste barriere riproduttive sono generate da un essere intelligente, che può essere la specie o un essere al di sopra di essa, per proteggere un pool genetico di successo (in termini di adattamento all’ambiente in cui vive) dalla diluizione (con materiale genetico proveniente da popolazioni adattate ad altri ambienti o nicchie ecologiche). Evitano anche (come ultimo baluardo, perché ci sono altre barriere riproduttive molto efficaci prima di loro) la fecondazione da parte di specie appartenenti a famiglie diverse.
Domanda: se credo che la specie sia intelligente, perché è necessario creare tante barriere riproduttive? Perché la specie non può semplicemente riconoscere un diverso gamete maschile ed evitare di iniziare il processo di fecondazione se non è quello “giusto”? La risposta generale è che ogni intelligenza è limitata dagli strumenti che può utilizzare, e i suoi strumenti sono funzionali al ruolo di quella particolare intelligenza nello “schema della vita”.
Per spiegarmi meglio paragonerò il corpo di un animale ad una fabbrica. Perché funzioni servono operai, “colletti bianchi” e una gerarchia di supervisori della forza lavoro, la quale culmina nell'amministratore delegato dell'azienda. Ognuno di loro è intelligente e ognuno di loro ha una conoscenza specifica. Un tornitore sa cose che il CEO non sa, ma allo stesso tempo deve mantenersi entro i limiti del proprio ruolo. Come tutti coloro che hanno esperienza lavorativa sanno, non conviene scavalcare il proprio ruolo e svolgere funzioni che sono riservate a personale gerarchicamente superiore.
Tornando alla specie, una volta che il gamete maschile è penetrato nell'ovulo significa che esso ha superato tutti i “controlli di sicurezza”, e la specie può ora svolgere il suo ruolo di costruzione di un nuovo corpo, senza chiedersi quale DNA le sia stato dato. Essa proverà a costruire l'unico tipo di essere che conosce, e se tutto funziona bene, e normalmente funziona benissimo, ci riuscirà. Se ho ragione, la conseguenza scientifica sarebbe che l'ovulo di un criceto cercherà sempre di creare un criceto qualunque sia il gamete maschile con cui è stato nutrito. Nella mia teoria la specie sa creare uno dei suoi “corpi”, ma non sa creare altro.
Gli scienziati generalmente credono che i corpi siano creati dal loro DNA. Se avessero ragione dovrebbe essere possibile clonare un essere utilizzando l'ovulo di un'altra specie (come hanno fatto in “Jurassic Park”) oppure creare un essere con caratteristiche appartenenti a due specie diverse, qualunque esse siano. Io mi baso sul fatto che, con l'attuale tecnologia, possiamo superare tutte le barriere riproduttive e sostituire il materiale genetico all’interno dell’ovulo di un criceto con un DNA di una specie completamente diversa e fecondare tale ovulo modificato con un gamete della stessa specie. Il criceto non è un animale a caso. Un esperimento scientifico recente ha permesso di fertilizzare l’ovulo di un criceto con uno spermatozoo umano. Io non ho capito se il processo di embriogenesi è partito oppure no. Non so neanche se sarebbe legale/moralmente accettabile creare un embrione nell’attuale cornice bioetica.
Utilizzando un ovulo di criceto potremmo provare a creare un altro animale che non sia un criceto, per esempio un gatto (certo non un essere umano!). L’idea è simile al processo di clonazione: si feconda un suo ovulo (il cui nucleo sia stato sostituito con quello di un ovulo di gatto) con il gamete maschile del gatto. Se è possibile generare un gatto allora la mia teoria sarebbe smentita, ma in caso contrario la mia teoria regge. Al momento sono abbastanza sicuro che non ci siano riusciti perché so che vi sarebbero parecchi motivi per provarci. Per esempio hanno trovato il DNA di mammut e vorrebbero "resuscitarlo". Sono abbastanza sicuro che ci abbiano provato, ma non ci sono riusciti. Sfortunatamente i fallimenti raramente vengono pubblicati sulle riviste scientifiche, ma dal punto di vista delle implicazioni sulla nostra conoscenza della natura sarebbe importante che lo fossero.
Ho già detto, in uno dei miei post precedenti, che il termine specie, per come lo utilizzo io, corrisponde in genere alla famiglia tassonomica. Sappiamo che esemplari appartenenti alla stessa famiglia ma non alla stessa specie possono incrociarsi con successo, ma il risultato (detto ibrido) potrebbe non essere ottimale. Può essere perfettamente sano ma sterile, oppure può essere debole e malaticcio (succede quando capre e pecore si incrociano) o può nascere morto. Tutti questi possibili risultati sono correlati all’esistenza di numerose barriere riproduttive e alle loro interazioni, che presumo siano troppo complesse per poter essere comprese appieno. Secondo la mia teoria, se l'incrocio è possibile, anche attraverso l'inseminazione artificiale, allora essi appartengono alla stessa famiglia tassonomica (specie nel senso che gli do io).
Gli evoluzionisti hanno un concetto di specie tale da consentire ad una specie di tramutarsi in un'altra nel corso del tempo. Questo è un’idea cardine della moderna teoria dell’evoluzione delle specie, e l’idea che le specie siano esseri viventi ha conseguenze potenzialmente devastanti su questo principio. Un essere vivente non diventa qualche cosa di diverso nel corso della sua vita. Esso nasce e muore, e nel frattempo subisce anche numerose modificazioni, ma nessuna di queste ne altera la natura al punto da tale da farlo diventare un altro essere vivente. Guénon direbbe che ogni essere ha una sua personalità, e non la cambia nel corso del tempo. La sua interazione con l’ambiente cosmico genera la sua individualità, la quale invece muta continuamente, dalla nascita alla morte. Tali mutamenti, che sono continui e magari anche profondi, non sono mai tali da intaccare il “senso di identità” che l’essere prova dal momento in cui nasce fino a quando muore. Se le specie sono esseri viventi esse hanno una personalità, immutabile, ed un’individualità, che si esprime in tutte le differenti forme che i membri assumono nei vari ambienti in cui vivono. Per me la variabilità genetica è un’espressione dell’individualità della specie, e si esprime nei limiti della sua personalità, e non è possibile che una specie si trasformi in un’altra. Il concetto di personalità appartiene ad un piano che è completamente al di fuori dell’indagine scientifica, e la sua esistenza non potrà mai perciò essere provata scientificamente. La sua esistenza sarebbe però corroborata dalla constatazione che la variabilità di specie è limitata e non ne altera i caratteri principali.
L’analisi del processo di riproduzione di un animale corrobora quest’idea, in quanto un ovulo di una certa specie non può che generare esseri di quella specie, perché l’essere che interviene in esso è in grado di costruire quello e non qualche cosa d’altro. Il patrimonio genetico su cui lavora certamente guida l’essere in una direzione piuttosto che in un’altra, ma il costruttore interpreterà tale patrimonio genetico in un modo compatibile con quello che egli è. Dal punto di vista scientifico si potrà dire che ogni ovulo esprimerà un determinato gene in un certo modo piuttosto che in un altro.
Possiamo fare un confronto con i programmi per computer. Sono tutti memorizzati nel disco rigido come numeri in codice binario, ma un file realizzato con un programma deve essere letto utilizzando lo stesso programma usato per scriverlo. Leggerlo con un programma diverso creerà un elenco disordinato di istruzioni prive di significato, generando un errore. Ogni specie può essere paragonata ad un diverso programma. Creare un nuovo esemplare è come creare un nuovo file, mentre creare una nuova specie è come creare un programma differente. Continuando l’analogia mi sento di dire che tutte le specie di una classe condividono lo stesso linguaggio di programmazione, come dire, lo stesso modo di esprimere i geni. Non è difficile capire che c'è differenza tra creare un file con un programma, creare un programma con un linguaggio di programmazione e infine creare un linguaggio di programmazione. Sono cose diverse e sono fatte da entità diverse. Qui non spiegherò come vengono create le diverse specie, perché ho scritto un libro a riguardo. Qui voglio colmare una sorta di lacuna nel mio lavoro, nel senso che c'è tanto da dire sulle specie come esseri viventi e ho trascurato questo aspetto nel mio lavoro sull'evoluzione.
Nei miei post precedenti ho proposto l'idea che le specie siano esseri viventi, i cui corpi sono il corpo di ogni esemplare che le appartiene. Alcuni post hanno elaborato questa idea, mentre altri hanno mostrato che questa idea spiega molte prove scientifiche riguardanti diversi aspetti della vita. Questo fa parte del secondo tipo di post, in cui voglio mostrare come le prove scientifiche sull'embriogenesi possano essere spiegate considerando le specie come esseri viventi, e dovrebbe essere letto nel contesto stabilito dai miei precedenti. Di conseguenza, se non avete letto i post precedenti, non riuscirete a capire molto di quello che ho scritto qui.
Ecco come vedo il processo di fecondazione. Quando lo spermatozoo si lega all'ovocita l'entità intelligente che io identifico con la specie (nel caso dell'essere umano, la specie è "L'Uomo") compirà ogni fase del processo che dai due gameti aploidi costruisce un neonato. Lo fa spostando le proteine, gli enzimi, gli RNA nei posti giusti e così via. Non credo che la gestazione sia solo un processo chimico e mi chiedo cosa come possono anche solo concepire, gli scienziati, una cosa del genere. L’assenza di un’intelligenza operante nella gestazione rende, a mio avviso, tutte le spiegazioni scientifiche del tutto insufficienti.
Tale essere probabilmente crea anche la placenta. Dico "probabilmente" perché la placenta è una caratteristica comune a tutti i mammiferi. Poiché credo che non solo le specie siano esseri viventi ma anche le classi, è perfettamente possibile che la classe dei mammiferi costruisca la placenta. La costruzione della placenta comporta il rilascio di ormoni e reazioni dal cervello e da altri organi agli ormoni. Qualunque cosa rilasci gli ormoni deve essere diversa da ciò che reagisce al loro rilascio. Questo principio (nessuno invia una lettera a se stesso) di per sé sostiene l'idea che esseri diversi operino nel corpo di una creatura vivente.
Esistono non poche barriere riproduttive che impediscono ai “gameti maschili non idonei” di avviare il processo di fecondazione. Poiché non sono un biologo, ne cito solo tre. Vi è una parete di cellule (la corona radiata) attorno all’ovulo, recettori specifici sulla zona pellucida (la membrana esterna dell’ovulo) e il numero di cromosomi nei gameti. Tutte e tre impediscono ai gameti di specie tassonomiche diverse di fecondare l'ovulo, anche se provengono da esemplari imparentati. Uno scienziato direbbe che, in termini evoluzionistici, proteggono la specificità dei tratti di una popolazione, evitando incroci con altre popolazioni non idonee a vivere in quell'ambiente. Egli non ci prova neanche a spiegare cosa potrebbe avere creato un meccanismo così complesso, si limita a constatarne l’utilità. Io dico che tutte queste barriere riproduttive sono generate da un essere intelligente, che può essere la specie o un essere al di sopra di essa, per proteggere un pool genetico di successo (in termini di adattamento all’ambiente in cui vive) dalla diluizione (con materiale genetico proveniente da popolazioni adattate ad altri ambienti o nicchie ecologiche). Evitano anche (come ultimo baluardo, perché ci sono altre barriere riproduttive molto efficaci prima di loro) la fecondazione da parte di specie appartenenti a famiglie diverse.
Domanda: se credo che la specie sia intelligente, perché è necessario creare tante barriere riproduttive? Perché la specie non può semplicemente riconoscere un diverso gamete maschile ed evitare di iniziare il processo di fecondazione se non è quello “giusto”? La risposta generale è che ogni intelligenza è limitata dagli strumenti che può utilizzare, e i suoi strumenti sono funzionali al ruolo di quella particolare intelligenza nello “schema della vita”.
Per spiegarmi meglio paragonerò il corpo di un animale ad una fabbrica. Perché funzioni servono operai, “colletti bianchi” e una gerarchia di supervisori della forza lavoro, la quale culmina nell'amministratore delegato dell'azienda. Ognuno di loro è intelligente e ognuno di loro ha una conoscenza specifica. Un tornitore sa cose che il CEO non sa, ma allo stesso tempo deve mantenersi entro i limiti del proprio ruolo. Come tutti coloro che hanno esperienza lavorativa sanno, non conviene scavalcare il proprio ruolo e svolgere funzioni che sono riservate a personale gerarchicamente superiore.
Tornando alla specie, una volta che il gamete maschile è penetrato nell'ovulo significa che esso ha superato tutti i “controlli di sicurezza”, e la specie può ora svolgere il suo ruolo di costruzione di un nuovo corpo, senza chiedersi quale DNA le sia stato dato. Essa proverà a costruire l'unico tipo di essere che conosce, e se tutto funziona bene, e normalmente funziona benissimo, ci riuscirà. Se ho ragione, la conseguenza scientifica sarebbe che l'ovulo di un criceto cercherà sempre di creare un criceto qualunque sia il gamete maschile con cui è stato nutrito. Nella mia teoria la specie sa creare uno dei suoi “corpi”, ma non sa creare altro.
Gli scienziati generalmente credono che i corpi siano creati dal loro DNA. Se avessero ragione dovrebbe essere possibile clonare un essere utilizzando l'ovulo di un'altra specie (come hanno fatto in “Jurassic Park”) oppure creare un essere con caratteristiche appartenenti a due specie diverse, qualunque esse siano. Io mi baso sul fatto che, con l'attuale tecnologia, possiamo superare tutte le barriere riproduttive e sostituire il materiale genetico all’interno dell’ovulo di un criceto con un DNA di una specie completamente diversa e fecondare tale ovulo modificato con un gamete della stessa specie. Il criceto non è un animale a caso. Un esperimento scientifico recente ha permesso di fertilizzare l’ovulo di un criceto con uno spermatozoo umano. Io non ho capito se il processo di embriogenesi è partito oppure no. Non so neanche se sarebbe legale/moralmente accettabile creare un embrione nell’attuale cornice bioetica.
Utilizzando un ovulo di criceto potremmo provare a creare un altro animale che non sia un criceto, per esempio un gatto (certo non un essere umano!). L’idea è simile al processo di clonazione: si feconda un suo ovulo (il cui nucleo sia stato sostituito con quello di un ovulo di gatto) con il gamete maschile del gatto. Se è possibile generare un gatto allora la mia teoria sarebbe smentita, ma in caso contrario la mia teoria regge. Al momento sono abbastanza sicuro che non ci siano riusciti perché so che vi sarebbero parecchi motivi per provarci. Per esempio hanno trovato il DNA di mammut e vorrebbero "resuscitarlo". Sono abbastanza sicuro che ci abbiano provato, ma non ci sono riusciti. Sfortunatamente i fallimenti raramente vengono pubblicati sulle riviste scientifiche, ma dal punto di vista delle implicazioni sulla nostra conoscenza della natura sarebbe importante che lo fossero.
Ho già detto, in uno dei miei post precedenti, che il termine specie, per come lo utilizzo io, corrisponde in genere alla famiglia tassonomica. Sappiamo che esemplari appartenenti alla stessa famiglia ma non alla stessa specie possono incrociarsi con successo, ma il risultato (detto ibrido) potrebbe non essere ottimale. Può essere perfettamente sano ma sterile, oppure può essere debole e malaticcio (succede quando capre e pecore si incrociano) o può nascere morto. Tutti questi possibili risultati sono correlati all’esistenza di numerose barriere riproduttive e alle loro interazioni, che presumo siano troppo complesse per poter essere comprese appieno. Secondo la mia teoria, se l'incrocio è possibile, anche attraverso l'inseminazione artificiale, allora essi appartengono alla stessa famiglia tassonomica (specie nel senso che gli do io).
Gli evoluzionisti hanno un concetto di specie tale da consentire ad una specie di tramutarsi in un'altra nel corso del tempo. Questo è un’idea cardine della moderna teoria dell’evoluzione delle specie, e l’idea che le specie siano esseri viventi ha conseguenze potenzialmente devastanti su questo principio. Un essere vivente non diventa qualche cosa di diverso nel corso della sua vita. Esso nasce e muore, e nel frattempo subisce anche numerose modificazioni, ma nessuna di queste ne altera la natura al punto da tale da farlo diventare un altro essere vivente. Guénon direbbe che ogni essere ha una sua personalità, e non la cambia nel corso del tempo. La sua interazione con l’ambiente cosmico genera la sua individualità, la quale invece muta continuamente, dalla nascita alla morte. Tali mutamenti, che sono continui e magari anche profondi, non sono mai tali da intaccare il “senso di identità” che l’essere prova dal momento in cui nasce fino a quando muore. Se le specie sono esseri viventi esse hanno una personalità, immutabile, ed un’individualità, che si esprime in tutte le differenti forme che i membri assumono nei vari ambienti in cui vivono. Per me la variabilità genetica è un’espressione dell’individualità della specie, e si esprime nei limiti della sua personalità, e non è possibile che una specie si trasformi in un’altra. Il concetto di personalità appartiene ad un piano che è completamente al di fuori dell’indagine scientifica, e la sua esistenza non potrà mai perciò essere provata scientificamente. La sua esistenza sarebbe però corroborata dalla constatazione che la variabilità di specie è limitata e non ne altera i caratteri principali.
L’analisi del processo di riproduzione di un animale corrobora quest’idea, in quanto un ovulo di una certa specie non può che generare esseri di quella specie, perché l’essere che interviene in esso è in grado di costruire quello e non qualche cosa d’altro. Il patrimonio genetico su cui lavora certamente guida l’essere in una direzione piuttosto che in un’altra, ma il costruttore interpreterà tale patrimonio genetico in un modo compatibile con quello che egli è. Dal punto di vista scientifico si potrà dire che ogni ovulo esprimerà un determinato gene in un certo modo piuttosto che in un altro.
Possiamo fare un confronto con i programmi per computer. Sono tutti memorizzati nel disco rigido come numeri in codice binario, ma un file realizzato con un programma deve essere letto utilizzando lo stesso programma usato per scriverlo. Leggerlo con un programma diverso creerà un elenco disordinato di istruzioni prive di significato, generando un errore. Ogni specie può essere paragonata ad un diverso programma. Creare un nuovo esemplare è come creare un nuovo file, mentre creare una nuova specie è come creare un programma differente. Continuando l’analogia mi sento di dire che tutte le specie di una classe condividono lo stesso linguaggio di programmazione, come dire, lo stesso modo di esprimere i geni. Non è difficile capire che c'è differenza tra creare un file con un programma, creare un programma con un linguaggio di programmazione e infine creare un linguaggio di programmazione. Sono cose diverse e sono fatte da entità diverse. Qui non spiegherò come vengono create le diverse specie, perché ho scritto un libro a riguardo. Qui voglio colmare una sorta di lacuna nel mio lavoro, nel senso che c'è tanto da dire sulle specie come esseri viventi e ho trascurato questo aspetto nel mio lavoro sull'evoluzione.
Ultima Modifica 1 Anno 3 Mesi fa da Davide71. Motivo: Non mi piaceva come era impaginato.
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1 Anno 3 Mesi fa #51772
da Davide71
Risposta da Davide71 al topic Le specie sono esseri viventi?
Sulla divisione sessuale
Uno dei tanti misteri della vita che l’evoluzionismo darwiniano non può spiegare è la divisione in due sessi tipica del regno animale. Tale divisione è presente anche in quello vegetale, ma le piante sono molto più disinvolte. Alcune hanno due sessi distinti, come l’ortica, altre hanno fiori in cui la componente maschile e quella femminile convivono allegramente ma in genere la singola pianta evita di impollinarsi da sola. Gli esseri unicellulari, ma anche i funghi, non sono distinti sessualmente.
Non occorre essere un genio per capire l’abisso che separa il regno vegetale e quello animale, che infatti nei moderni alberi della vita non sono assolutamente imparentati; quindi, gli scienziati devono spiegare come si è potuti passare da esseri unicellulari e asessuati a esseri multicellulari e divisi in sessi.
Essi possono affermare senza tema di smentita che, dal punto di vista evolutivo, la divisione sessuale assolve alcune importanti funzioni. Innanzi tutto permette la selezione sessuale, a cui Darwin dedicò un intero libro. Tale selezione è una barriera riproduttiva in se stessa, che facilita la riproduzione del maschio più robusto (riconoscibile da alcuni tratti specifici, oppure dal fatto che esce vittorioso dai combattimenti) con la femmina più robusta, la quale si riconosce dal fatto che riesce a portare a termine la gravidanza, allattare e svezzare le sue creature. Inoltre, oltre un certo livello di complessità della creature, diventa anche biologicamente efficiente. A quel punto l’apparato riproduttivo è ingombrante e biologicamente costoso, come pure la riproduzione: dimezzare gli individui che sono costretti a gestirlo migliora le chance di sopravvivenza della specie.
Io qui sto semplificando mostruosamente, e spero che i più edotti mi perdonino. Ogni specie ha un diverso approccio alla selezione sessuale, privilegiando certi aspetti piuttosto che altri. A queste barriere riproduttive “fenotipiche” si aggiungono barriere “genotipiche” (relative al numero e alla qualità del materiale genetico trasferito), e biologiche (come per esempio la corona radiante attorno all’ovulo da fecondare). Questo non vuole essere un trattato sulla riproduzione. Io voglio solo sottolineare che la divisione sessuale ha principalmente lo scopo di creare delle barriere riproduttive che permettano di ridurre il numero di processi di produzione di cattiva qualità (non portati a termine oppure che generano prole sterile, malata o poco adatta all’ambiente in cui vive). La riproduzione di un animale è, spesso, una questione piuttosto complessa che può richiedere qualche mese, e in Natura è già abbastanza difficile da portare avanti per un individuo forte.
Peraltro la Natura sembra essere consapevole che la funzione di “controllo della salute” di una popolazione da parte della divisione sessuale va a discapito della capacità riproduttiva, che è una potente arma di sopravvivenza della specie. Consideriamo 5 classi di animali, ponendole in ordine di complessità, cioè gli insetti, i pesci, gli anfibi e i rettili, gli uccelli e i mammiferi. Lo so, ce ne sono molte altre, ma qui m’interessa concentrare l’attenzione sull’aumento di complessità che informa l’ordine in cui ho disposto le classi. Gli insetti mostrano divisione sessuale soltanto negli ultimi stadi della loro vita, mentre i pesci e alcuni anfibi possono ancora cambiare sesso, quando necessario, nel corso della loro vita. Qualche specie non troppo complessa può addirittura ancora ricorrere alla partenogenesi. Non mi risulta che uccelli e mammiferi possano farlo, ma è interessante notare come, ancorché il sesso è predeterminato alla nascita e non modificabile, i tratti sessuali si sviluppino solo dopo un certo periodo (dopo alcuni mesi nei polli, ma anni negli esseri umani).Quando gli scienziati considerano i fatti della vita dal punto di vista evolutivo stanno, molto semplicemente, riflettendo sulla loro funzione. La scienza moderna è meccanicista, e per ciò stesso non ammette che un evento naturale possa essere causato da qualcosa che accade nel futuro. Questo si verifica quando un essere compie un’azione in vista di un vantaggio futuro, come per esempio quando immagazzina il cibo. Io ho discusso questo argomento in un altro libro; qui mi preme ricordare che un evento può certamente essere “causato” da un evento che lo segue se la causa è un essere intelligente, che perciò pianifica le sue azioni. Qui non intendo discutere la natura dell’intelligenza, perché non penso di essere all’altezza, ma mi sento di dire che un’entità che pianifichi le proprie azioni deve necessariamente essere intelligente. Gli scienziati hanno enormi difficoltà ad ammettere che esistano esseri intelligenti, a parte l’uomo, e fanno di tutto per evitare di doverne coinvolgere qualcuno. Nel caso della divisione in due generi del regno animale essi sono ancora più in imbarazzo, perché non è difficile intuire che, se un’intelligenza fosse coinvolta, sarebbe necessariamente una in possesso di conoscenze che l’uomo non ha, e perciò dovrebbe essere qualificata senza discussioni come sovrumana. La scienza moderna, spero che lo si sia capito, non è assolutamente disposta ad ammettere l’esistenza di un’intelligenza del genere, perciò gli scienziati, constatando il fatto che la vita animale è indubbiamente divisa in due generi, e non vedendo nessun artefice di tale divisione, concludono che essa si sia prodotta da sola! In particolare mediante un certo numero di mutazioni genetiche casuali, avvenute in un nostro lontano progenitore ancestrale, che si sono perpetuate grazie alla loro indubbia utilità.
Gli evoluzionisti sono indubbiamente soddisfatti di questa spiegazione, e se qualcuno osa contestargliela la loro risposta è che, innanzi tutto, occorre definire scientificamente la parola “intelligenza”. Dopo di ché occorre dimostrare scientificamente che esistano altre intelligenze (oltre quella umana, beninteso), e che tali intelligenze intervengano nella vita. Nessuna delle due cose è fattibile perché la scienza moderna è stata costruita su basi razionaliste, meccaniciste e materialiste. La sua base razionalista impone di considerare come non esistente qualche cosa che non possa essere studiato scientificamente. La sua base meccanicista le impedisce di considerare come scientifici gli effetti che precedono le loro cause, come ho già detto, mentre le sue basi materialiste le impongono di considerare esclusivamente l’esistenza di corpi fisici. Per questo, dal punto di vista scientifico, alcuni di essi si trovano a loro agio nel considerare gli animali intelligenti, in quanto possono indicare il cervello come sede dell’intelligenza. Essi potrebbero anche trovare il modo, nel rispetto dei rigidi limiti imposti dalla loro impostazione filosofica, di ammettere che un singolo essere vivente possa essere intelligente anche se privo di cervello – molti scienziati che studiano piante e microorganismi, i quali non hanno proprio sistema nervoso, sicuramente lo fanno – ma la mia idea che esista un essere intelligente che possa operare su di una popolazione di individui separati, in cui i singoli individui sono dotati d’intelligenza (avendo ogniuno il loro cervello) è allo stato attuale considerata del tutto antiscientifica.
Se uno spende un po’ di tempo a indagare le basi filosofiche della scienza moderna, arriva necessariamente a concludere che essa non potrà mai trovare una spiegazione credibile delle complessità coinvolte nella vita e nella sua storia, incluso l’argomento del capitolo presente, cioè la divisione sessuale. Lo stesso ragionamento potrebbe essere applicato a moltissimi altri fatti, come per esempio l’origine della vita, il passaggio da forme di vita procariote a eucariote, da forme di vita unicellulari a pluricellulari, la complessità della struttura di un qualunque essere vivente e potrei continuare all’infinito. Insomma, per quanto riguarda la vita, i risultati della scienza moderna sono un punto di partenza la cui spiegazione riposa in idee e concetti che trascendono la scienza moderna.
Nel caso della divisione in generi un aspetto importante è la relazione tra la specie, considerata come essere vivente, e il singolo individuo. Abbiamo visto come la specie sia direttamente interessata a che gli individui procreino, perché è questo il modo in cui essa sopravvive, perpetuandosi nel tempo. Supponiamo per un attimo che non esista una divisione in sessi, e che la procreazione non richieda l’intervento di entrambi. Nel caso della specie umana questo provocherebbe ripercussioni sociali enormi. Sarebbe infatti necessario che ogni individuo fosse predisposto per avere un figlio e che la riproduzione avvenisse per partenogenesi. Domanda: cosa impedirebbe alla specie umana di avviare il processo di procreazione in un individuo – il quale, lo ricordo ancora, non ha parte in causa alcuna nel processo di procreazione – mettendolo nella situazione di doversi occupare della propria gravidanza, con tutti i problemi che comporta, e dell’allevamento della prole, senza alcuna preparazione? Capite come questo metterebbe l’individuo in una situazione insostenibile? La riproduzione sessuata mette l’individuo nella posizione di avere una ragionevole aspettativa che un figlio entri nella propria vita, e gli dà la possibilità di prepararsi. Non solo, ma tale figlio può essere supportato anche dal partner. Poi non si sa quanti lo facciano veramente, ma la differenza è abissale. Insomma, nella specie umana è possibile una sorta di negoziazione tra l’individuo e la specie che permetta in qualche modo la scelta del momento più opportuno per avere prole, e questo rappresenta una riduzione considerevole dello stress fisico della gravidanza e delle successive cure parentali.
Su questo punto si potrà certamente obiettare come la divisione sessuale sia caratteristica di tutto il regno animale, mentre il problema citato sopra interessa, alla fin fine, la sola specie umana. Perché, quindi, estendere la divisione sessuale anche a creature, come gli insetti, che non condividono certamente i vantaggi che ne trae l’uomo? A questa domanda non posso rispondere in maniera precisa, ma colgo l’occasione per fare una considerazione importante dal punto di vista metafisico. Secondo gli scienziati, la divisione in generi sarebbe sorta in un essere relativamente semplice e poi ulteriormente sviluppata negli esseri più evoluti che da tale essere sarebbero scaturiti nel corso delle ere geologiche fino ad oggi. Partendo dal presupposto che una intelligenza sia coinvolta nella struttura della vita, possiamo tranquillamente ipotizzare che la divisione sessuale sia stata “progettata” fin dall’inizio per consentire all’essere umano una migliore gestione della sua prole, e non ha nessuna importanza che tale “progettazione” sia iniziata anche (per dire) un miliardo di anni fa. In realtà è facile constatare che di intelligenze coinvolte nella vita ce ne siano moltissime, e in questo lavoro io introduco l’idea che vi sia una gerarchia tra esse. Alcune di tali intelligenze sono sconosciute alla mente umana e posso facilmente ipotizzare che esse abbiano un “senso del tempo” molto diverso dal nostro, per il quale un orizzonte temporale di miliardi di anni sia “normale”. Per un batterio, un giorno è un orizzonte temporale immenso: ipotizzando che si divida ogni mezz’ora, si tratterebbe, per esso, di 48 generazioni! Per un essere umano corrisponderebbe ad un orizzonte temporale di 1200 anni, che è al di fuori di qualunque possibilità di pianificazione. D’altra parte, un essere umano può ampiamente pianificare molti anni della sua vita (per esempio facendo un mutuo), e si può anche fare l’esempio di cattedrali la cui costruzione ha coinvolto la popolazione residente per anche un secolo. Insomma, il senso del tempo non è lo stesso per tutti gli esseri viventi.
In definitiva, considerate le problematiche legate alla grande differenza che esiste tra due individui della stessa specie ma di diverso sesso, al meccanismo piuttosto complesso di riproduzione, al fatto che esso abbia un senso se si considera che assolva a determinati scopi, la divisione sessuale è, se proprio non vogliamo considerarla una prova, un indizio che lascia pensare che la struttura degli esseri viventi sia progettata da una o più intelligenze.
Abbiamo visto come esistono delle ragioni molto valide per istituire la divisione sessuale quando l’essere vivente si fa più complesso. Tale divisione crea però il problema di convincere due esseri distinti dalla specie e dotati, ciascuno, di una propria volontà, a unirsi sessualmente per procreare. Nel prossimo capitolo io analizzerò questo aspetto della riproduzione sessuata, ma sempre nell’ottica di mostrare come esista un essere, la specie appunto, che opera su di un’intera popolazione di esseri individuali.
Uno dei tanti misteri della vita che l’evoluzionismo darwiniano non può spiegare è la divisione in due sessi tipica del regno animale. Tale divisione è presente anche in quello vegetale, ma le piante sono molto più disinvolte. Alcune hanno due sessi distinti, come l’ortica, altre hanno fiori in cui la componente maschile e quella femminile convivono allegramente ma in genere la singola pianta evita di impollinarsi da sola. Gli esseri unicellulari, ma anche i funghi, non sono distinti sessualmente.
Non occorre essere un genio per capire l’abisso che separa il regno vegetale e quello animale, che infatti nei moderni alberi della vita non sono assolutamente imparentati; quindi, gli scienziati devono spiegare come si è potuti passare da esseri unicellulari e asessuati a esseri multicellulari e divisi in sessi.
Essi possono affermare senza tema di smentita che, dal punto di vista evolutivo, la divisione sessuale assolve alcune importanti funzioni. Innanzi tutto permette la selezione sessuale, a cui Darwin dedicò un intero libro. Tale selezione è una barriera riproduttiva in se stessa, che facilita la riproduzione del maschio più robusto (riconoscibile da alcuni tratti specifici, oppure dal fatto che esce vittorioso dai combattimenti) con la femmina più robusta, la quale si riconosce dal fatto che riesce a portare a termine la gravidanza, allattare e svezzare le sue creature. Inoltre, oltre un certo livello di complessità della creature, diventa anche biologicamente efficiente. A quel punto l’apparato riproduttivo è ingombrante e biologicamente costoso, come pure la riproduzione: dimezzare gli individui che sono costretti a gestirlo migliora le chance di sopravvivenza della specie.
Io qui sto semplificando mostruosamente, e spero che i più edotti mi perdonino. Ogni specie ha un diverso approccio alla selezione sessuale, privilegiando certi aspetti piuttosto che altri. A queste barriere riproduttive “fenotipiche” si aggiungono barriere “genotipiche” (relative al numero e alla qualità del materiale genetico trasferito), e biologiche (come per esempio la corona radiante attorno all’ovulo da fecondare). Questo non vuole essere un trattato sulla riproduzione. Io voglio solo sottolineare che la divisione sessuale ha principalmente lo scopo di creare delle barriere riproduttive che permettano di ridurre il numero di processi di produzione di cattiva qualità (non portati a termine oppure che generano prole sterile, malata o poco adatta all’ambiente in cui vive). La riproduzione di un animale è, spesso, una questione piuttosto complessa che può richiedere qualche mese, e in Natura è già abbastanza difficile da portare avanti per un individuo forte.
Peraltro la Natura sembra essere consapevole che la funzione di “controllo della salute” di una popolazione da parte della divisione sessuale va a discapito della capacità riproduttiva, che è una potente arma di sopravvivenza della specie. Consideriamo 5 classi di animali, ponendole in ordine di complessità, cioè gli insetti, i pesci, gli anfibi e i rettili, gli uccelli e i mammiferi. Lo so, ce ne sono molte altre, ma qui m’interessa concentrare l’attenzione sull’aumento di complessità che informa l’ordine in cui ho disposto le classi. Gli insetti mostrano divisione sessuale soltanto negli ultimi stadi della loro vita, mentre i pesci e alcuni anfibi possono ancora cambiare sesso, quando necessario, nel corso della loro vita. Qualche specie non troppo complessa può addirittura ancora ricorrere alla partenogenesi. Non mi risulta che uccelli e mammiferi possano farlo, ma è interessante notare come, ancorché il sesso è predeterminato alla nascita e non modificabile, i tratti sessuali si sviluppino solo dopo un certo periodo (dopo alcuni mesi nei polli, ma anni negli esseri umani).Quando gli scienziati considerano i fatti della vita dal punto di vista evolutivo stanno, molto semplicemente, riflettendo sulla loro funzione. La scienza moderna è meccanicista, e per ciò stesso non ammette che un evento naturale possa essere causato da qualcosa che accade nel futuro. Questo si verifica quando un essere compie un’azione in vista di un vantaggio futuro, come per esempio quando immagazzina il cibo. Io ho discusso questo argomento in un altro libro; qui mi preme ricordare che un evento può certamente essere “causato” da un evento che lo segue se la causa è un essere intelligente, che perciò pianifica le sue azioni. Qui non intendo discutere la natura dell’intelligenza, perché non penso di essere all’altezza, ma mi sento di dire che un’entità che pianifichi le proprie azioni deve necessariamente essere intelligente. Gli scienziati hanno enormi difficoltà ad ammettere che esistano esseri intelligenti, a parte l’uomo, e fanno di tutto per evitare di doverne coinvolgere qualcuno. Nel caso della divisione in due generi del regno animale essi sono ancora più in imbarazzo, perché non è difficile intuire che, se un’intelligenza fosse coinvolta, sarebbe necessariamente una in possesso di conoscenze che l’uomo non ha, e perciò dovrebbe essere qualificata senza discussioni come sovrumana. La scienza moderna, spero che lo si sia capito, non è assolutamente disposta ad ammettere l’esistenza di un’intelligenza del genere, perciò gli scienziati, constatando il fatto che la vita animale è indubbiamente divisa in due generi, e non vedendo nessun artefice di tale divisione, concludono che essa si sia prodotta da sola! In particolare mediante un certo numero di mutazioni genetiche casuali, avvenute in un nostro lontano progenitore ancestrale, che si sono perpetuate grazie alla loro indubbia utilità.
Gli evoluzionisti sono indubbiamente soddisfatti di questa spiegazione, e se qualcuno osa contestargliela la loro risposta è che, innanzi tutto, occorre definire scientificamente la parola “intelligenza”. Dopo di ché occorre dimostrare scientificamente che esistano altre intelligenze (oltre quella umana, beninteso), e che tali intelligenze intervengano nella vita. Nessuna delle due cose è fattibile perché la scienza moderna è stata costruita su basi razionaliste, meccaniciste e materialiste. La sua base razionalista impone di considerare come non esistente qualche cosa che non possa essere studiato scientificamente. La sua base meccanicista le impedisce di considerare come scientifici gli effetti che precedono le loro cause, come ho già detto, mentre le sue basi materialiste le impongono di considerare esclusivamente l’esistenza di corpi fisici. Per questo, dal punto di vista scientifico, alcuni di essi si trovano a loro agio nel considerare gli animali intelligenti, in quanto possono indicare il cervello come sede dell’intelligenza. Essi potrebbero anche trovare il modo, nel rispetto dei rigidi limiti imposti dalla loro impostazione filosofica, di ammettere che un singolo essere vivente possa essere intelligente anche se privo di cervello – molti scienziati che studiano piante e microorganismi, i quali non hanno proprio sistema nervoso, sicuramente lo fanno – ma la mia idea che esista un essere intelligente che possa operare su di una popolazione di individui separati, in cui i singoli individui sono dotati d’intelligenza (avendo ogniuno il loro cervello) è allo stato attuale considerata del tutto antiscientifica.
Se uno spende un po’ di tempo a indagare le basi filosofiche della scienza moderna, arriva necessariamente a concludere che essa non potrà mai trovare una spiegazione credibile delle complessità coinvolte nella vita e nella sua storia, incluso l’argomento del capitolo presente, cioè la divisione sessuale. Lo stesso ragionamento potrebbe essere applicato a moltissimi altri fatti, come per esempio l’origine della vita, il passaggio da forme di vita procariote a eucariote, da forme di vita unicellulari a pluricellulari, la complessità della struttura di un qualunque essere vivente e potrei continuare all’infinito. Insomma, per quanto riguarda la vita, i risultati della scienza moderna sono un punto di partenza la cui spiegazione riposa in idee e concetti che trascendono la scienza moderna.
Nel caso della divisione in generi un aspetto importante è la relazione tra la specie, considerata come essere vivente, e il singolo individuo. Abbiamo visto come la specie sia direttamente interessata a che gli individui procreino, perché è questo il modo in cui essa sopravvive, perpetuandosi nel tempo. Supponiamo per un attimo che non esista una divisione in sessi, e che la procreazione non richieda l’intervento di entrambi. Nel caso della specie umana questo provocherebbe ripercussioni sociali enormi. Sarebbe infatti necessario che ogni individuo fosse predisposto per avere un figlio e che la riproduzione avvenisse per partenogenesi. Domanda: cosa impedirebbe alla specie umana di avviare il processo di procreazione in un individuo – il quale, lo ricordo ancora, non ha parte in causa alcuna nel processo di procreazione – mettendolo nella situazione di doversi occupare della propria gravidanza, con tutti i problemi che comporta, e dell’allevamento della prole, senza alcuna preparazione? Capite come questo metterebbe l’individuo in una situazione insostenibile? La riproduzione sessuata mette l’individuo nella posizione di avere una ragionevole aspettativa che un figlio entri nella propria vita, e gli dà la possibilità di prepararsi. Non solo, ma tale figlio può essere supportato anche dal partner. Poi non si sa quanti lo facciano veramente, ma la differenza è abissale. Insomma, nella specie umana è possibile una sorta di negoziazione tra l’individuo e la specie che permetta in qualche modo la scelta del momento più opportuno per avere prole, e questo rappresenta una riduzione considerevole dello stress fisico della gravidanza e delle successive cure parentali.
Su questo punto si potrà certamente obiettare come la divisione sessuale sia caratteristica di tutto il regno animale, mentre il problema citato sopra interessa, alla fin fine, la sola specie umana. Perché, quindi, estendere la divisione sessuale anche a creature, come gli insetti, che non condividono certamente i vantaggi che ne trae l’uomo? A questa domanda non posso rispondere in maniera precisa, ma colgo l’occasione per fare una considerazione importante dal punto di vista metafisico. Secondo gli scienziati, la divisione in generi sarebbe sorta in un essere relativamente semplice e poi ulteriormente sviluppata negli esseri più evoluti che da tale essere sarebbero scaturiti nel corso delle ere geologiche fino ad oggi. Partendo dal presupposto che una intelligenza sia coinvolta nella struttura della vita, possiamo tranquillamente ipotizzare che la divisione sessuale sia stata “progettata” fin dall’inizio per consentire all’essere umano una migliore gestione della sua prole, e non ha nessuna importanza che tale “progettazione” sia iniziata anche (per dire) un miliardo di anni fa. In realtà è facile constatare che di intelligenze coinvolte nella vita ce ne siano moltissime, e in questo lavoro io introduco l’idea che vi sia una gerarchia tra esse. Alcune di tali intelligenze sono sconosciute alla mente umana e posso facilmente ipotizzare che esse abbiano un “senso del tempo” molto diverso dal nostro, per il quale un orizzonte temporale di miliardi di anni sia “normale”. Per un batterio, un giorno è un orizzonte temporale immenso: ipotizzando che si divida ogni mezz’ora, si tratterebbe, per esso, di 48 generazioni! Per un essere umano corrisponderebbe ad un orizzonte temporale di 1200 anni, che è al di fuori di qualunque possibilità di pianificazione. D’altra parte, un essere umano può ampiamente pianificare molti anni della sua vita (per esempio facendo un mutuo), e si può anche fare l’esempio di cattedrali la cui costruzione ha coinvolto la popolazione residente per anche un secolo. Insomma, il senso del tempo non è lo stesso per tutti gli esseri viventi.
In definitiva, considerate le problematiche legate alla grande differenza che esiste tra due individui della stessa specie ma di diverso sesso, al meccanismo piuttosto complesso di riproduzione, al fatto che esso abbia un senso se si considera che assolva a determinati scopi, la divisione sessuale è, se proprio non vogliamo considerarla una prova, un indizio che lascia pensare che la struttura degli esseri viventi sia progettata da una o più intelligenze.
Abbiamo visto come esistono delle ragioni molto valide per istituire la divisione sessuale quando l’essere vivente si fa più complesso. Tale divisione crea però il problema di convincere due esseri distinti dalla specie e dotati, ciascuno, di una propria volontà, a unirsi sessualmente per procreare. Nel prossimo capitolo io analizzerò questo aspetto della riproduzione sessuata, ma sempre nell’ottica di mostrare come esista un essere, la specie appunto, che opera su di un’intera popolazione di esseri individuali.
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da Davide71
Risposta da Davide71 al topic Le specie sono esseri viventi?
Attrazione sessuale e corteggiamento
L’aspetto della riproduzione sessuata che mi ha scatenato l’intuizione che le specie siano esseri viventi è il comportamento di maschi e femmine quando sono attratti l’uno dall’altro. Nel mondo animale (e l’essere umano non fa eccezione) i maschi pongono in essere tutta una serie di rituali che hanno lo scopo di predisporre la femmina al coito. Io non intendo fare un trattato sulla riproduzione sessuata nel mondo animale, che non è la mia specialità, e in questo capitolo entrerò solo nel dettaglio di qualche “caso tipico”, che ritengo essere noto al grande pubblico. Inoltre concentrerò la mia analisi su alcuni fatti specifici:
1) Ad un certo punto della sua vita il maschio è attratto dalla femmina. Dal punto di vista biologico vi è una “tempesta ormonale” e, dal punto di vista psicologico, il maschio cerca la compagnia della femmina;
2) Non necessariamente avviene il contrario, anzi la femmina può essere anche infastidita dalla presenza e dalle attenzioni del maschio. La femmina deve essere “preparata al coito”;
3) Il maschio attua una serie di comportamenti, che possono essere una danza di corteggiamento oppure un combattimento tra maschi, per invogliare la femmina al coito;
4) Il corteggiamento è una dimostrazione di “potenza” da parte del maschio, e se ottiene l’effetto sperato, la femmina viene investita da una “tempesta ormonale”;
5) Una volta che la femmina è predisposta e il maschio ha “via libera” avviene il coito.
Se noi considerassimo il maschio e la femmina di una specie animale due esseri totalmente separati, faremmo un’enorme fatica a spiegare come una dinamica così complessa possa generarsi. Ci sarebbero tutta una serie di domande senza risposta:
1) Che cosa c’è nel cervello del maschio che gli permette di riconoscere una femmina, genera attrazione per essa e il desiderio di unirsi sessualmente?
2) Chi gli ha insegnato a corteggiare la femmina?
3) Cosa c’è nel cervello della femmina che connette il comportamento del maschio ad una modifica della sua inclinazione al coito?
4) Come fanno entrambi a sapere come unirsi sessualmente? Questo richiede un certo coordinamento!
5) Ma soprattutto, cosa ci guadagnano entrambi da tutto questo?
Se invece il maschio e la femmina fossero in qualche modo collegati da qualcosa in grado di operare su entrambi tutto avrebbe molto più senso. La mia idea è che esista un essere vivente, la specie, che è in grado di operare nei corpi di entrambi, per esempio mediante il rilascio di ormoni e neurotrasmettitori, guidandoli o spingendoli verso un comportamento che, dal punto di vista della sopravvivenza individuale, è decisamente controproducente. Il maschio, durante il corteggiamento, non è particolarmente attento alla presenza di predatori, e inoltre spende una notevole quantità di energie nel compierlo. La femmina, poi, come conseguenza dell’atto sessuale viene fertilizzata e spende notevoli energie nella produzione di uova, o di embrioni. A questo si aggiunge il costo biologico delle cure parentali, che da un certo punto di vista sono ancora più difficili da spiegare dell’attrazione sessuale anche se, in definitiva, il problema è analogo.
In un essere umano, il maschio è sessualmente attratto specialmente dai tratti fisici della femmina che lasciano pensare che lei possa portare a termine una gravidanza con successo e allattare con successo. Io non credo che sia necessario farne l’elenco, ma basta fare un poco di autoanalisi e chiedersi perché noi siamo attratti da quei tratti specifici. Qualcuno potrebbe obiettare che vi sono altri tratti che gli uomini possono trovare attraente in una donna che non sono legati alla capacità riproduttiva, come gli occhi, la giovane età, il colore della pelle, la lunghezza dei capelli, la fluidità nei movimenti. Di nuovo, questo non vuole essere un trattato sulla riproduzione e io non ho le competenze per entrare nello specifico di ogniuno dei tratti considerati, ma essi sono in generale segnali che la donna ha una buona costituzione fisica, è robusta e agile. Quindi adatta alla riproduzione. Faccio appena notare che, quando guardiamo una donna, non effettuiamo nessuna analisi razionale dei suoi tratti somatici. L’attrazione sessuale è istintiva e, oserei dire, programmata. Nessuno ci ha insegnato a osservare certi tratti piuttosto che altri, anche se, da giovani, abbiamo “imparato” a invidiare gli uomini che si accompagnano a belle donne e a criticare quelli che si accompagnano a donne che non lo sono abbastanza. Qualcuno potrebbe considerare questo fatto un’interferenza culturale sulla natura dell’uomo, ma io lo considero esattamente il contrario. Io la vedo come un’interferenza della nostra natura animale sulla cultura. Invece, quando ci insegnano ad amare una donna “vergine” (che non ha ancora avuto rapporti) oppure “casta” (che osserva le regole imposte dalla società sulle relazioni sessuali), allora sì che assistiamo ad un’interferenza culturale sulla nostra natura animale.
Nel regno animale esiste una tale varietà di situazioni in termini di corteggiamento che si potrebbe scrivere un’enciclopedia. Già solo questo fatto dovrebbe fare riflettere sul fatto che dietro al comportamento sessuale degli individui di una specie vi sia un’entità che lo gestisce sulla base delle proprie inclinazioni, e che di tali entità ve ne siano diverse. Tuttavia io non credo che ad ogni specie corrisponda un solo rituale di accoppiamento. Ho già spiegato che l’erezione di barriere alla riproduzione sia una strategia di sopravvivenza molto importante, soprattutto quando due specie convivono nello stesso ambiente. Io ho ipotizzato che la specie stessa è in grado di erigere barriere alla riproduzione tra diverse varietà per preservare i caratteri che permettono di sfruttare al meglio una nicchia ecologica, e ne ho spiegato le ragioni. Differenti rituali di corteggiamento possono tranquillamente essere parte di tale strategia, come diverse stagioni dell’amore e quant’altro. Se noi considerassimo la specie una semplice “entità biologica” che raggruppa individui con determinate caratteristiche, ci ritroviamo ad essere incapaci a fornire una spiegazione convincente di tutte le dinamiche connesse al sesso. Le spiegazioni scientifiche, come ho già fatto notare, sono tutte di tipo “evoluzionario”, cioè, mirano a riconoscere che certi fatti svolgono un ruolo importante nella preservazione della specie. Ma questa non è una spiegazione sufficiente, perché non spiega come tali fatti avvengono. Su questo punto gli scienziati si accontentano del fatto che la differenziazione sessuale “emerge” e che è frutto di mutazioni genetiche “casuali”. Nel mio libro sull’evoluzione ho spiegato come una spiegazione convincente deve tenere conto di tutte le quattro cause aristoteliche, e ad esso rimando. Qui ricordo solo che, per loro, “casuale” non significa affatto “privo di causa” (nulla è privo di causa), ma “privo di causa intenzionale”, e questo, loro, non possono provarlo. Non solo, ma loro stessi dovrebbero fare molta fatica a crederlo.
Il corteggiamento, che in genere è portato avanti dal maschio, ha lo scopo di predisporre la femmina al coito. Anche in questo caso dobbiamo chiederci che cosa connette il comportamento del maschio alla eventuale risposta della femmina. Il corteggiamento è certamente una manifestazione di potenza; per fare un esempio cito l’esibizione dello splendido piumaggio dei pavoni oppure i combattimenti tra cervi. Dubito fortemente che la femmina esegua un’analisi razionale di ciò che il maschio sta facendo, ma anche se lo facesse ci sarebbe da chiedersi cosa ci guadagna lei, personalmente, dall’accoppiarsi con il maschio più forte a disposizione? Nulla. Per lei sono comunque solo grattacapi e fastidi, e anzi se le uova non si si schiudono oppure i cuccioli nascono morti per lei sono problemi in meno. Chi è che, invece, potrebbe essere molto interessato al fatto che sia il maschio più forte a fertilizzare la femmina? Di nuovo, se ipotizziamo che esista un essere vivente che occupa i corpi di tutti gli individui che formano il suo “corpo”, possiamo ben immaginare come questo essere, come tutti gli altri esseri viventi, abbia l’istinto di sopravvivenza. Perciò esso è contento quando nascono i cuccioli esattamente come noi siamo contenti quando siamo in buona salute. Per la specie l’assenza di cuccioli, o cuccioli deboli e malaticci, è un’ipoteca sulla sua sopravvivenza, e ha tutto l’interesse a evitare che questo succeda. Quando la femmina osserva due maschi combattere, non è lei che è interessata (per esempio) al combattimento, e al suo esito, ma la specie. Essa osserva l’esibizione di potenza del maschio, e se corrisponde alle sue aspettative, rilascia i neurotrasmettitori che renderanno la femmina disponibile al coito.Un punto molto importante a favore dell’esistenza della specie come essere vivente è il fatto stesso che certi comportamenti siano scatenati sa una “tempesta ormonale”. Qui io sto utilizzando un’espressione popolare; probabilmente sarebbe più corretto parlare di aumento della concentrazione di certi neurotrasmettitori. In questa sede non è importante identificare il termine scientifico più accurato per indicare un certo fenomeno, ma puntualizzare il fatto che il cervello rilasci delle sostanze in un momento specifico. Se ci pensiamo, questo significa che il nostro cervello stia cercando di indirizzare il nostro comportamento in una certa direzione, questo dovrebbe per lo meno indurci a concludere che il nostro cervello sia controllato non solo da noi (quando muoviamo un braccio coinvolgiamo certamente il cervello, come quando mangiamo e in generale quando facciamo qualunque cosa, per quanto ne so, e pure quando pensiamo), ma anche da qualcos’altro. Anche il fatto che l’erezione non sia un atto volontario suggerisce che vi sia un’altra volontà che agisce nel nostro corpo.
Un altro fatto che dà ancora più da pensare è il piacere che proviamo (in genere) durante l’atto sessuale. Nonostante gli ammonimenti della Bibbia, non sono poi tanti quelli che “lo fanno solo per generare figli al Signore”. In ogni caso, io non sto discutendo il caso umano in modo speciale. Lo cito perché ogniuno di noi può riflettere sulla propria esperienza. Possiamo ragionevolmente ipotizzare che l’atto sessuale generi piacere (oppure cessazione di dolore) in tutto il regno animale, e che tale piacere è legato, in particolare l’orgasmo, a modifiche nei livelli di certi neurotrasmettitori. Il punto di partenza è che, se non fosse piacevole, gli animali non lo farebbero, e che, se non lo facessero, si estinguerebbero. Ben venga, quindi, che proviamo piacere nel farlo (anche noi siamo animali, in qualche modo, per cui questo vale anche per noi), anche perché ci ripaga un poco di tutti i fastidi che ne conseguono. Tuttavia rimane il fatto che questo è un piacere in qualche modo indotto, che spinge gli animali a fare qualcosa che, altrimenti, non sarebbe di vantaggio alcuno per loro. Ribadisco, essi non hanno alcun interesse a fare figli. Soltanto nella specie umana (e forse in qualche altro animale sociale) i figli si prendono cura dei genitori (e neanche sempre…), mentre in generale i cuccioli sono dei parassiti dal momento in cui sono concepiti fino al momento in cui sono svezzati. Insomma, io non dico che non siano possibili altre spiegazioni, ma osservando i fatti in profondità l’idea che l’attrazione sessuale, il corteggiamento e il coito stesso siano qualcosa che noi veniamo indotti a fare, e non qualcosa che facciamo di nostra spontanea volontà, sembra per lo meno molto plausibile. Io dubito molto che potrò mai dimostrare scientificamente l’esistenza delle specie, perché questo implicherebbe essere in grado di interagire con esse in modo tangibile e non vedo come possa essere possibile. Tuttavia ritengo che sia possibile mostrare che, come ipotesi di lavoro, sia compatibile con molti fenomeni per i quali, a quanto ne so, non esiste ancora una spiegazione convincente, e che le difficoltà teoriche che indubbiamente esistono nell’accettarla possono essere superate se si abbandonano i dogmi materialistici che attanagliano la scienza moderna.
Io ritengo che esistano almeno tre ragioni che impediscono agli scienziati di accettare l’idea che le specie siano esseri viventi al pari degli esseri individuali. La prima è l’idea, che ci portiamo dietro da Cartesio, che noi siamo i padroni dei nostri pensieri. Ipotizzare l’esistenza di una gerarchia di esseri viventi che agisce nel nostro corpo assieme a noi significa riconoscere che noi non lo siamo. In particolare dobbiamo avere l’umiltà di riconoscere che l’attrazione sessuale sia indotta da un altro essere.
Nei tempi passati gli uomini e le donne che si dedicavano alla vita monacale lamentavano sovente di essere “attaccati dal demone del sesso”. Questa sensazione sarebbe perfettamente spiegabile con l’interferenza della volontà della specie nella volontà individuale, e mostra perfettamente come l’essere individuale possa non avere alcun interesse personale nell’attività sessuale, ma questo contrasta con l’interesse della nostra specie, per il quale la nostra attività sessuale è una questione di sopravvivenza. Essi lo chiamavano “demone”, e questo ha una connotazione negativa molto comprensibile. Tuttavia questo stesso “demone” è quello che il nostro corpo lo ha fabbricato, e che probabilmente ne gestisce molte funzioni, e non possiamo certo farne a meno o liberarcene!In sostanza, riconoscere l’esistenza delle specie è paragonabile al riconoscere l’esistenza dei demoni, e in quest’epoca molti farebbero fatica ad accettarlo.
La seconda ragione è legata alla relazione con gli individui che formano il suo corpo. Tale relazione ne fa un essere eminentemente psichico, in quanto dobbiamo pensare ad un essere singolo che agisca nei cervelli di tutti i suoi individui. In realtà io dubito che agisca solo tramite il cervello, perché esistono specie anche nel regno vegetale e in tutti gli altri, in cui il cervello è assente. Gli scienziati non si trovano affatto a loro agio di fronte ad esseri che non possano inequivocabilmente essere definiti come “corporei”, ma purtroppo per loro ce ne sono, e anche parecchi. La specie, come la intendo io, un corpo ce l’ha, ma è costituito da una popolazione di singoli corpi distinti, che condivide con i singoli esseri che li animano. Questo sicuramente crea problemi di coordinazione e di convivenza tra la specie e i singoli esseri individuali, ma questa non è una ragione sufficiente a pensare che le specie non esistano. La vita ci ha abituato a livelli di complessità straordinari, e l’idea che i suoi vari aspetti siano gestiti da diversi esseri intelligenti che convivono nello stesso corpo potrebbe appunto spiegare tale complessità.
Infine ammetto che, nonostante che quest’idea sia utile per spiegare molti fenomeni, è difficile studiare le specie con il rigore che normalmente la scienza esige. Come facciamo a fare un esperimento che ci possa permettere di capire se un comportamento è dettato dal singolo animale o dalla specie? Considerato poi che, se ammettiamo l’esistenza della specie possiamo pensare anche all’esistenza di esseri viventi il cui corpo comprenda tutti gli individui di una classe o di un regno (cosa di cui sono convinto), quale comportamento (o altro fenomeno fisiologico) attribuiamo ad ogniuno di essi? Inoltre, non saprei dire che vantaggi la ricerca scientifica trarrebbe da tutto ciò in termini di tecniche o tecnologie concretamente utilizzabili, e bisogna purtroppo ricordare che la ricerca scientifica è anche finanziata in vista di possibili sviluppi commerciali. In questo senso non so chi veramente investirebbe in una ricerca del genere.
L’aspetto della riproduzione sessuata che mi ha scatenato l’intuizione che le specie siano esseri viventi è il comportamento di maschi e femmine quando sono attratti l’uno dall’altro. Nel mondo animale (e l’essere umano non fa eccezione) i maschi pongono in essere tutta una serie di rituali che hanno lo scopo di predisporre la femmina al coito. Io non intendo fare un trattato sulla riproduzione sessuata nel mondo animale, che non è la mia specialità, e in questo capitolo entrerò solo nel dettaglio di qualche “caso tipico”, che ritengo essere noto al grande pubblico. Inoltre concentrerò la mia analisi su alcuni fatti specifici:
1) Ad un certo punto della sua vita il maschio è attratto dalla femmina. Dal punto di vista biologico vi è una “tempesta ormonale” e, dal punto di vista psicologico, il maschio cerca la compagnia della femmina;
2) Non necessariamente avviene il contrario, anzi la femmina può essere anche infastidita dalla presenza e dalle attenzioni del maschio. La femmina deve essere “preparata al coito”;
3) Il maschio attua una serie di comportamenti, che possono essere una danza di corteggiamento oppure un combattimento tra maschi, per invogliare la femmina al coito;
4) Il corteggiamento è una dimostrazione di “potenza” da parte del maschio, e se ottiene l’effetto sperato, la femmina viene investita da una “tempesta ormonale”;
5) Una volta che la femmina è predisposta e il maschio ha “via libera” avviene il coito.
Se noi considerassimo il maschio e la femmina di una specie animale due esseri totalmente separati, faremmo un’enorme fatica a spiegare come una dinamica così complessa possa generarsi. Ci sarebbero tutta una serie di domande senza risposta:
1) Che cosa c’è nel cervello del maschio che gli permette di riconoscere una femmina, genera attrazione per essa e il desiderio di unirsi sessualmente?
2) Chi gli ha insegnato a corteggiare la femmina?
3) Cosa c’è nel cervello della femmina che connette il comportamento del maschio ad una modifica della sua inclinazione al coito?
4) Come fanno entrambi a sapere come unirsi sessualmente? Questo richiede un certo coordinamento!
5) Ma soprattutto, cosa ci guadagnano entrambi da tutto questo?
Se invece il maschio e la femmina fossero in qualche modo collegati da qualcosa in grado di operare su entrambi tutto avrebbe molto più senso. La mia idea è che esista un essere vivente, la specie, che è in grado di operare nei corpi di entrambi, per esempio mediante il rilascio di ormoni e neurotrasmettitori, guidandoli o spingendoli verso un comportamento che, dal punto di vista della sopravvivenza individuale, è decisamente controproducente. Il maschio, durante il corteggiamento, non è particolarmente attento alla presenza di predatori, e inoltre spende una notevole quantità di energie nel compierlo. La femmina, poi, come conseguenza dell’atto sessuale viene fertilizzata e spende notevoli energie nella produzione di uova, o di embrioni. A questo si aggiunge il costo biologico delle cure parentali, che da un certo punto di vista sono ancora più difficili da spiegare dell’attrazione sessuale anche se, in definitiva, il problema è analogo.
In un essere umano, il maschio è sessualmente attratto specialmente dai tratti fisici della femmina che lasciano pensare che lei possa portare a termine una gravidanza con successo e allattare con successo. Io non credo che sia necessario farne l’elenco, ma basta fare un poco di autoanalisi e chiedersi perché noi siamo attratti da quei tratti specifici. Qualcuno potrebbe obiettare che vi sono altri tratti che gli uomini possono trovare attraente in una donna che non sono legati alla capacità riproduttiva, come gli occhi, la giovane età, il colore della pelle, la lunghezza dei capelli, la fluidità nei movimenti. Di nuovo, questo non vuole essere un trattato sulla riproduzione e io non ho le competenze per entrare nello specifico di ogniuno dei tratti considerati, ma essi sono in generale segnali che la donna ha una buona costituzione fisica, è robusta e agile. Quindi adatta alla riproduzione. Faccio appena notare che, quando guardiamo una donna, non effettuiamo nessuna analisi razionale dei suoi tratti somatici. L’attrazione sessuale è istintiva e, oserei dire, programmata. Nessuno ci ha insegnato a osservare certi tratti piuttosto che altri, anche se, da giovani, abbiamo “imparato” a invidiare gli uomini che si accompagnano a belle donne e a criticare quelli che si accompagnano a donne che non lo sono abbastanza. Qualcuno potrebbe considerare questo fatto un’interferenza culturale sulla natura dell’uomo, ma io lo considero esattamente il contrario. Io la vedo come un’interferenza della nostra natura animale sulla cultura. Invece, quando ci insegnano ad amare una donna “vergine” (che non ha ancora avuto rapporti) oppure “casta” (che osserva le regole imposte dalla società sulle relazioni sessuali), allora sì che assistiamo ad un’interferenza culturale sulla nostra natura animale.
Nel regno animale esiste una tale varietà di situazioni in termini di corteggiamento che si potrebbe scrivere un’enciclopedia. Già solo questo fatto dovrebbe fare riflettere sul fatto che dietro al comportamento sessuale degli individui di una specie vi sia un’entità che lo gestisce sulla base delle proprie inclinazioni, e che di tali entità ve ne siano diverse. Tuttavia io non credo che ad ogni specie corrisponda un solo rituale di accoppiamento. Ho già spiegato che l’erezione di barriere alla riproduzione sia una strategia di sopravvivenza molto importante, soprattutto quando due specie convivono nello stesso ambiente. Io ho ipotizzato che la specie stessa è in grado di erigere barriere alla riproduzione tra diverse varietà per preservare i caratteri che permettono di sfruttare al meglio una nicchia ecologica, e ne ho spiegato le ragioni. Differenti rituali di corteggiamento possono tranquillamente essere parte di tale strategia, come diverse stagioni dell’amore e quant’altro. Se noi considerassimo la specie una semplice “entità biologica” che raggruppa individui con determinate caratteristiche, ci ritroviamo ad essere incapaci a fornire una spiegazione convincente di tutte le dinamiche connesse al sesso. Le spiegazioni scientifiche, come ho già fatto notare, sono tutte di tipo “evoluzionario”, cioè, mirano a riconoscere che certi fatti svolgono un ruolo importante nella preservazione della specie. Ma questa non è una spiegazione sufficiente, perché non spiega come tali fatti avvengono. Su questo punto gli scienziati si accontentano del fatto che la differenziazione sessuale “emerge” e che è frutto di mutazioni genetiche “casuali”. Nel mio libro sull’evoluzione ho spiegato come una spiegazione convincente deve tenere conto di tutte le quattro cause aristoteliche, e ad esso rimando. Qui ricordo solo che, per loro, “casuale” non significa affatto “privo di causa” (nulla è privo di causa), ma “privo di causa intenzionale”, e questo, loro, non possono provarlo. Non solo, ma loro stessi dovrebbero fare molta fatica a crederlo.
Il corteggiamento, che in genere è portato avanti dal maschio, ha lo scopo di predisporre la femmina al coito. Anche in questo caso dobbiamo chiederci che cosa connette il comportamento del maschio alla eventuale risposta della femmina. Il corteggiamento è certamente una manifestazione di potenza; per fare un esempio cito l’esibizione dello splendido piumaggio dei pavoni oppure i combattimenti tra cervi. Dubito fortemente che la femmina esegua un’analisi razionale di ciò che il maschio sta facendo, ma anche se lo facesse ci sarebbe da chiedersi cosa ci guadagna lei, personalmente, dall’accoppiarsi con il maschio più forte a disposizione? Nulla. Per lei sono comunque solo grattacapi e fastidi, e anzi se le uova non si si schiudono oppure i cuccioli nascono morti per lei sono problemi in meno. Chi è che, invece, potrebbe essere molto interessato al fatto che sia il maschio più forte a fertilizzare la femmina? Di nuovo, se ipotizziamo che esista un essere vivente che occupa i corpi di tutti gli individui che formano il suo “corpo”, possiamo ben immaginare come questo essere, come tutti gli altri esseri viventi, abbia l’istinto di sopravvivenza. Perciò esso è contento quando nascono i cuccioli esattamente come noi siamo contenti quando siamo in buona salute. Per la specie l’assenza di cuccioli, o cuccioli deboli e malaticci, è un’ipoteca sulla sua sopravvivenza, e ha tutto l’interesse a evitare che questo succeda. Quando la femmina osserva due maschi combattere, non è lei che è interessata (per esempio) al combattimento, e al suo esito, ma la specie. Essa osserva l’esibizione di potenza del maschio, e se corrisponde alle sue aspettative, rilascia i neurotrasmettitori che renderanno la femmina disponibile al coito.Un punto molto importante a favore dell’esistenza della specie come essere vivente è il fatto stesso che certi comportamenti siano scatenati sa una “tempesta ormonale”. Qui io sto utilizzando un’espressione popolare; probabilmente sarebbe più corretto parlare di aumento della concentrazione di certi neurotrasmettitori. In questa sede non è importante identificare il termine scientifico più accurato per indicare un certo fenomeno, ma puntualizzare il fatto che il cervello rilasci delle sostanze in un momento specifico. Se ci pensiamo, questo significa che il nostro cervello stia cercando di indirizzare il nostro comportamento in una certa direzione, questo dovrebbe per lo meno indurci a concludere che il nostro cervello sia controllato non solo da noi (quando muoviamo un braccio coinvolgiamo certamente il cervello, come quando mangiamo e in generale quando facciamo qualunque cosa, per quanto ne so, e pure quando pensiamo), ma anche da qualcos’altro. Anche il fatto che l’erezione non sia un atto volontario suggerisce che vi sia un’altra volontà che agisce nel nostro corpo.
Un altro fatto che dà ancora più da pensare è il piacere che proviamo (in genere) durante l’atto sessuale. Nonostante gli ammonimenti della Bibbia, non sono poi tanti quelli che “lo fanno solo per generare figli al Signore”. In ogni caso, io non sto discutendo il caso umano in modo speciale. Lo cito perché ogniuno di noi può riflettere sulla propria esperienza. Possiamo ragionevolmente ipotizzare che l’atto sessuale generi piacere (oppure cessazione di dolore) in tutto il regno animale, e che tale piacere è legato, in particolare l’orgasmo, a modifiche nei livelli di certi neurotrasmettitori. Il punto di partenza è che, se non fosse piacevole, gli animali non lo farebbero, e che, se non lo facessero, si estinguerebbero. Ben venga, quindi, che proviamo piacere nel farlo (anche noi siamo animali, in qualche modo, per cui questo vale anche per noi), anche perché ci ripaga un poco di tutti i fastidi che ne conseguono. Tuttavia rimane il fatto che questo è un piacere in qualche modo indotto, che spinge gli animali a fare qualcosa che, altrimenti, non sarebbe di vantaggio alcuno per loro. Ribadisco, essi non hanno alcun interesse a fare figli. Soltanto nella specie umana (e forse in qualche altro animale sociale) i figli si prendono cura dei genitori (e neanche sempre…), mentre in generale i cuccioli sono dei parassiti dal momento in cui sono concepiti fino al momento in cui sono svezzati. Insomma, io non dico che non siano possibili altre spiegazioni, ma osservando i fatti in profondità l’idea che l’attrazione sessuale, il corteggiamento e il coito stesso siano qualcosa che noi veniamo indotti a fare, e non qualcosa che facciamo di nostra spontanea volontà, sembra per lo meno molto plausibile. Io dubito molto che potrò mai dimostrare scientificamente l’esistenza delle specie, perché questo implicherebbe essere in grado di interagire con esse in modo tangibile e non vedo come possa essere possibile. Tuttavia ritengo che sia possibile mostrare che, come ipotesi di lavoro, sia compatibile con molti fenomeni per i quali, a quanto ne so, non esiste ancora una spiegazione convincente, e che le difficoltà teoriche che indubbiamente esistono nell’accettarla possono essere superate se si abbandonano i dogmi materialistici che attanagliano la scienza moderna.
Io ritengo che esistano almeno tre ragioni che impediscono agli scienziati di accettare l’idea che le specie siano esseri viventi al pari degli esseri individuali. La prima è l’idea, che ci portiamo dietro da Cartesio, che noi siamo i padroni dei nostri pensieri. Ipotizzare l’esistenza di una gerarchia di esseri viventi che agisce nel nostro corpo assieme a noi significa riconoscere che noi non lo siamo. In particolare dobbiamo avere l’umiltà di riconoscere che l’attrazione sessuale sia indotta da un altro essere.
Nei tempi passati gli uomini e le donne che si dedicavano alla vita monacale lamentavano sovente di essere “attaccati dal demone del sesso”. Questa sensazione sarebbe perfettamente spiegabile con l’interferenza della volontà della specie nella volontà individuale, e mostra perfettamente come l’essere individuale possa non avere alcun interesse personale nell’attività sessuale, ma questo contrasta con l’interesse della nostra specie, per il quale la nostra attività sessuale è una questione di sopravvivenza. Essi lo chiamavano “demone”, e questo ha una connotazione negativa molto comprensibile. Tuttavia questo stesso “demone” è quello che il nostro corpo lo ha fabbricato, e che probabilmente ne gestisce molte funzioni, e non possiamo certo farne a meno o liberarcene!In sostanza, riconoscere l’esistenza delle specie è paragonabile al riconoscere l’esistenza dei demoni, e in quest’epoca molti farebbero fatica ad accettarlo.
La seconda ragione è legata alla relazione con gli individui che formano il suo corpo. Tale relazione ne fa un essere eminentemente psichico, in quanto dobbiamo pensare ad un essere singolo che agisca nei cervelli di tutti i suoi individui. In realtà io dubito che agisca solo tramite il cervello, perché esistono specie anche nel regno vegetale e in tutti gli altri, in cui il cervello è assente. Gli scienziati non si trovano affatto a loro agio di fronte ad esseri che non possano inequivocabilmente essere definiti come “corporei”, ma purtroppo per loro ce ne sono, e anche parecchi. La specie, come la intendo io, un corpo ce l’ha, ma è costituito da una popolazione di singoli corpi distinti, che condivide con i singoli esseri che li animano. Questo sicuramente crea problemi di coordinazione e di convivenza tra la specie e i singoli esseri individuali, ma questa non è una ragione sufficiente a pensare che le specie non esistano. La vita ci ha abituato a livelli di complessità straordinari, e l’idea che i suoi vari aspetti siano gestiti da diversi esseri intelligenti che convivono nello stesso corpo potrebbe appunto spiegare tale complessità.
Infine ammetto che, nonostante che quest’idea sia utile per spiegare molti fenomeni, è difficile studiare le specie con il rigore che normalmente la scienza esige. Come facciamo a fare un esperimento che ci possa permettere di capire se un comportamento è dettato dal singolo animale o dalla specie? Considerato poi che, se ammettiamo l’esistenza della specie possiamo pensare anche all’esistenza di esseri viventi il cui corpo comprenda tutti gli individui di una classe o di un regno (cosa di cui sono convinto), quale comportamento (o altro fenomeno fisiologico) attribuiamo ad ogniuno di essi? Inoltre, non saprei dire che vantaggi la ricerca scientifica trarrebbe da tutto ciò in termini di tecniche o tecnologie concretamente utilizzabili, e bisogna purtroppo ricordare che la ricerca scientifica è anche finanziata in vista di possibili sviluppi commerciali. In questo senso non so chi veramente investirebbe in una ricerca del genere.
Ultima Modifica 1 Anno 1 Mese fa da Davide71. Motivo: Non mi piaceva come era impaginato.
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10 Mesi 2 Giorni fa #52957
da Davide71
Risposta da Davide71 al topic Le specie sono esseri viventi?
Ciao a tutti,
ho deciso di condividere l'intero testo sull'idea che le specie siano esseri viventi. Esso è una riorganizzazione di ciò che ho pubblicato qui con qualche paragrafo esplicativo aggiunto.
Le Specie sono esseri viventi di Davide Orlandi
Mi riservo di operare delle modifiche e degli aggiornamenti al testo (penso di mettere una bibliografia, ma vediamo).
Commenti e suggerimenti sono sempre bene accetti.
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