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Le specie sono esseri viventi?
Questo sito ha ospitato alcune discussioni a proposito dell’evoluzionismo. Io ho partecipato principalmente ad una, ospitata nel vecchio sito, dal titolo “ Darwin e l'evoluzionismo. Il dibattito è ancora aperto. ” e che arrivò a 2561 messaggi. Questo potrebbe corrispondere a 2500 pagine di contributi da parte degli utenti, molti dei quali, a mio avviso, caratterizzati da un livello piuttosto elevato di competenza scientifica, oltre che da visioni diametralmente opposte. Successivamente ho partecipato anche ad altre discussioni e in generale posso dire che spesso le critiche alla teoria scientifica ufficiale sono piuttosto azzeccate, ma molto raramente si fa accenno a ipotesi alternative.Nel corso degli ultimi 30 anni, ho elaborato una teoria che ho definito “Teoria delle simbiosi sovrapposte”.
Secondo i canoni della scienza attuale, essa non è una teoria scientifica. Io sostengo che nessuna teoria valida sulla Storia della vita sulla Terra potrà mai vedere la luce se ci si obbliga a rispettare i canoni della scienza attuale. La scienza attuale è razionalista, meccanicista e materialista. Il mondo moderno considera tutte e tre le tendenze filosofiche una conquista del pensiero, ma per me sono soltanto frutto di un lento e progressivo deterioramento delle capacità intellettuali dell’uomo Occidentale, che ha finito per utilizzare la sua mente per giustificare la sua tendenza verso il godimento dei beni terreni. L’effetto di tali tendenze sulla ricerca scientifica è stato quello di orientarla esclusivamente verso la creazione di tecnologie che permettano di far fruttare gli investimenti della ricerca. Agli scienziati non interessa affatto capire come è fatto il mondo. Anzi, essi se ne guardano bene da cercare di farlo. A loro interessa solo sapere come sfruttarlo. Per esempio loro applicano le loro conoscenze sulla fisiologia degli animali per rendere gli allevamenti intensivi più produttivi. Tuttavia dibattono ancora sul fatto che gli animali abbiano dei sentimenti, dei pensieri o “persino” un’anima. Esiste una ragione ben precisa perché questo succede. I loro finanziatori non vogliono che considerazioni di ordine etico si frappongano a ridurre i possibili profitti derivanti dalle applicazioni delle nuove tecnologie.
In sostanza, per elaborare una teoria sulla Storia della Vita sulla Terra occorre introdurre concetti che non rientrano nei canoni molto ristretti di quello che viene definito comunemente “scienza”. Uno dei concetti cardine della mia teoria è che le specie siano esseri viventi. Vi sono ricerche che hanno suggerito che certe comunità di insetti, come gli alveari delle api e oppure i formicai delle formiche, siano un solo essere vivente. Io estendo questa possibilità ad ogni specie, e infatti anche oltre.Io sostengo che, per esempio, non solo i singoli gatti siano esseri viventi, ma anche “il gatto”. Certamente possiamo puntare il dito e indicare “un gatto”, ma questo non lo possiamo fare per “il gatto”. Il corpo della specie “il gatto” è il corpo di tutti i gatti che vivono nel nostro pianeta. Tale specie è nata quando il primo gatto è comparso sulla Terra, e scomparirà (si estinguerà) quando l’ultimo gatto sarà morto. Tale essere vivente convive con i singoli esseri individuali, e il rapporto di convivenza è tutt’altro che facile.
Uno dei campi in cui si manifesta tale rapporto in tutta la sua complessità è quello della riproduzione. Nel mondo animale nessun individuo consegue un vantaggio nel riprodursi, in quanto, come principio generale, i figli non provvedono al mantenimento dei genitori quando essi sono troppo vecchi per procurarsi il cibo autonomamente. Esso, per l’individuo, è solo un costo e un rischio. Perché lo fanno? Gli scienziati cercano nei composti chimici la risposta (vedi la teoria del gene egoista di Dawkins), ma io penso che sia molto più logico ipotizzare la compresenza di un altro essere vivente che, quello sì, consegue un vantaggio dalla riproduzione, cioè non si estingue. Infatti un essere vivente non desidera morire, e qualunque comportamento che lo espone ad un rischio di morte dovrebbe far pensare. In questo caso io ipotizzo che la specie influisca sul comportamento del singolo mediante la produzione di ormoni. Questo spiega anche perché, per esempio, nella specie umana un maschio è in genere attratto dalla femmina che mostra tratti che lasciano pensare che possa partorire o allattare meglio di altre femmine. Tuttavia l’esistenza della specie come essere unitario, vivente e perciò intelligente (questo ricorda il “Cogito ergo sum” cartesiano ma io non amo Cartesio) si può notare anche in altre situazioni, come l’erezione di barriere alla riproduzione. Per esempio Darwin notò che esistevano differenti specie di passeri in una stessa isola. Perché non si riproducevano tra di loro? Anche lì, il singolo individuo non consegue nessun vantaggio dalla riproduzione (anzi, alcuni muoiono! Poveri salmoni…), ma sappiamo bene che, quando siamo in preda al desiderio, anche se non troviamo la femmina perfetta, va anche bene una imperfetta. I cani poi non hanno alcun senso di “razza” quando desiderano riprodursi, quindi la differenza di forma, in sé, non è una barriera alla riproduzione. A quanto pare, i passeri non potevano incrociarsi tra specie tassonomiche diverse, perché, in genere, avevano periodi di riproduzione differenti, ma se avessero potuto, quale sarebbe stato il risultato? Un passero che era una via di mezzo tra, che so io, uno adattato a nutrirsi di semi e uno adattato a nutrirsi di insetti, quindi inadatto ad entrambe le nicchie ecologiche e quindi un “perdente”. Le barriere alla riproduzione sono perciò una strategia efficace per la sopravvivenza della specie.
Io personalmente ritengo che i gatti, i leoni, e tutti i felidi in generale siano una specie sola, che ha creato barriere riproduttive per mantenere i caratteri delle singole specie. Quindi il mio concetto di specie corrisponde grosso modo al concetto tassonomico di “famiglia”.Domanda. È veramente necessario considerare l’esistenza di un essere vivente oltre all’essere individuale oppure possiamo farne a meno? Il rasoio di Occam raccomanda di non creare più esseri (o enti) di quelli strettamente necessari. Quale utilità avrebbe introdurre il concetto di un essere vivente che sia al di sopra dei singoli esseri viventi? Io ho indicato alcune delle ragioni che mi suggeriscono che tale essere effettivamente esiste. Io ne posso fornire altre, ma penso che le esporrò in post successivi.
Certamente sorge il problema di come fa la specie a coordinare le azioni degli esseri individuali per conseguire il suo scopo, considerato che, almeno nel mondo animale, gli esseri individuali perseguono i loro fini, e che possono essere in contrasto con quelli della specie. Gli ormoni sono una risposta, ma ce ne sono altre (io penso ai virus, ma non vorrei appesantire troppo il discorso). Tuttavia rimane comunque una possibile fonte di controversie. In un essere individuale il cervello controlla le singole cellule, ma esso è in grado di raggiungerle fisicamente, mentre la specie deve in qualche modo essere in grado di usare altri sistemi, e la scienza moderna fa molta fatica ad ammettere l’esistenza di qualcosa che non sia materiale.
L’idea che la specie sia un essere vivente a se stante e in simbiosi con i singoli individui è uno dei capisaldi della mia teoria. Una volta ammessa, le conclusioni che se ne possono logicamente trarre sono straordinarie:
1) Per esempio potrebbero esserci esseri viventi anche nelle classificazioni superiori (per esempio tutti i pesci possono essere un’unica forma di vita che convive con differenti specie e individui), fino ad arrivare all’idea che tutta la vita sulla Terra sia un unico essere vivente (concetto per nulla nuovo, anche nella scienza, vedi Gaia);
2) Tali esseri potrebbero essere in grado di comunicare l’uno con l’altro, e quindi cooperare, e questo potrebbe spiegare molte forme di simbiosi;3) Se possono convivere diversi esseri viventi in un medesimo corpo, si può ipotizzare che un essere operi su di un corpo fisico per un certo periodo di tempo e un altro subentri successivamente.
Questo potrebbe essere quello che succede quando un girino diventa rana e quando un bruco diventa farfalla. Questa è, propriamente, l’evoluzione.Tuttavia, prima di esplorare le possibili conseguenze, mi piacerebbe concentrarmi sull’idea base. Esistono poi altri concetti molto importanti nella mia teoria, oltre a quelli elencati, come l’esistenza di periodi catastrofici nella storia della Vita sulla Terra, e altri, che però appesantirebbero enormemente la discussione. Potrebbe essere che, se noto un interesse profondo per la mia teoria, chiederò di aprire altri post per approfondirli.In calce a questo post troverete il link ad una sintesi di tutta la mia teoria. Essa è tratta da un’opera molto più voluminosa, che la spiega in maniera approfondita, disponibile su Amazon.
Rispetto all’opera originale ho omesso tutta la discussione filosofica, che ha lo scopo di dimostrare come la scienza moderna non sia in grado di fornire una teoria sensata dell’evoluzione della vita sulla Terra a causa del paradigma materialistico che la caratterizza. Ho anche omesso l’analisi critica delle prove scientifiche, che ha lo scopo di mostrare come esse siano compatibili con la mia teoria molto di più che con la loro. Queste parti, ancorché necessarie per rispondere alle obiezioni e per spiegare gli altri concetti che utilizzo, possono essere tralasciate se uno ha comunque un occhio critico verso la scienza ufficiale e ha già una conoscenza abbastanza approfondita dei presupposti scientifici dell’evoluzionismo darwiniano.L’idea che le specie siano esseri viventi, e le sue conseguenze, è un’idea che potrebbe portare molto lontano, secondo me, in campi che sono anche molto lontani da quello della biologia, e il fatto che possa spiegare gran parte dell’Evoluzione dovrebbe essere visto come una prova della sua portata esplicativa perché, da un certo punto di vista, non è poi così interessante sapere come sia nata e sviluppata la vita sulla Terra, ma come è strutturata e come questa struttura ci influenzi psicologicamente e spiritualmente. Sintesi della teoria delle simbiosi in formato PDF
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Non entro nello specifico dei contenuti commentando passo per passo i tuoi scritti (ho letto a grandi linee anche il pdf che hai linkato).
tuttavia volevo farti i complimenti. Una persona che crede fermamente nelle sue intuizioni ed ha il coraggio di condividerle con tanto di nome e cognome è sempre ammirevole.
Giudico le tue idee molto interessanti ed a tratti intuitive e condivisibili. Ma anche se non avessi condiviso un "h", ti avrei comunque fatto i complimenti.
La stragrande maggioranza delle scoperte in ambito fisico (ad esempio) derivano proprio da intuito e metodo matematico.
Per quanto concerne il cosiddetto "super-organismo" (quando parli di api in un'alveare e delle formiche in un formicaio) esso sta trovando sempre più conferme in ambito biologico, solo che la prova madre è ancora lontana.
In sostanza le formiche di un formicaio non si comporterebbero da "individui" (ovvero in modo autonomo), ma come se fossero migliaia di "arti/appendici" al comando e sotto la regia (unica) del super-organismo di specie.
Osservandole infatti "ognuna" sa cosa fare in funzione dell'altra. Si muovono in simbiosi ed in perfetta sincronia, quasi all'unisono. Le api idem. Ma se andiamo oltre ci accorgiamo che anche uno stormo di uccelli si comporta alla stessa maniera, come anche le sardine.
Questo meccanismo non è ancora molto chiaro. Diciamo fin da subito che la "lelepatia" non c'entra un fico secco.
Uno ricercatore indipendente in ambito di biologia quantistica (vidi un documentario su RaiScuola mi sembra) suggerì che alla base del super-organismo potrebbe esserci l'entanglement quantistico (uno dei fenomeni più contro-intuitivi della meccanica quantistica, confermato da innumerevoli esperimenti sempre più sofisticati). Può darsi, ma attualmente ancora non vi è alcuna certezza.
Ciao
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Un saluto a te e a Davide
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A scanso di equivoci io intendevo dire che la telepatia "con il super-organismo non c'entra un fico secco".
Non mi riferivo alla telepatia in generale, anche perché NON SO nulla di telepatia.
Ciao
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In sostanza le formiche di un formicaio non si comporterebbero da "individui" (ovvero in modo autonomo), ma come se fossero migliaia di "arti/appendici" al comando e sotto la regia (unica) del super-organismo di specie.
Osservandole infatti "ognuna" sa cosa fare in funzione dell'altra. Si muovono in simbiosi ed in perfetta sincronia, quasi all'unisono. Le api idem. Ma se andiamo oltre ci accorgiamo che anche uno stormo di uccelli si comporta alla stessa maniera, come anche le sardine."---
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Ciao Sam, perdona la nuova intrusione, ma è solo per capirci e specificare il mio pensiero che, appunto, fa il paio con ciò che tu, tra virgolette, chiami "super-organismo" e che io definisco "telepatia-universale". Esistono casi macroscopici di telepatia animale, soprattutto tra cani, gatti e cavalli, ma si evidenzia anche nelle comunità di pesci e di insetti, incluse le piante. In queste ultime si evidenziarono vere e proprie emotività, con la possibilità di captare a distanza gli stati emotivi di altri viventi e addirittura il pensiero umano. Siamo in sostanza una infinitesimale parte di un TUTTO, di una Matrice unica, che per quanto ne sappiamo resta ancora difficile da definire.
Un saluto
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grazie per i contributi.
Certamente uno dei più grossi problemi che l'idea che le specie, o altre popolazioni di individui, siano un unico essere vivente, è proprio il fatto che si dovrebbe provvedere ad una spiegazione scientifica di come le singole parti dell'organismo interagiscono per portare avanti la volontà dell'essere collettivo. Il problema con la telepatia è che noi non sappiamo come agisce, e questo rende difficile, per gli scienziati, annoverarla come possibile strumento di comunicazione. Un altro grosso ostacolo è l'idea stessa che due esseri viventi convivano in uno stesso corpo e ne condividano le risorse. Questo genera sicuramente dei conflitti, ma noi non abbiamo certo l'impressione di esser e "controllati" da qualcosa nella nostra vita quotidiana, lasciando da parte i problemi psichiatrici. In realtà il conflitto interiore c'è, ed è molto reale, soltanto che noi Occidentali non siamo molto abituati a fare autoanalisi e il nostro approccio materialistico alla realtà ci rende abbastanza difficile comprendere qualunque cosa non faccia parte del dominio corporeo.
Sicuramene l'essere collettivo ha dei problemi di comunicazione con i singoli individui, altrimenti un ape non avrebbe bisogno di danzare per segnalare alle altre api la direzione da seguire per trovare cibo e altre cose utili.
La scienza moderna fa molta fatica a prendere in considerazione cose che non sa come funzionano. Questo è un effetto del razionalismo che la pervade. Secondo me questo atteggiamento preclude la reale comprensione di molto di ciò che ci accade intorno, e va superato. Tuttavia non possiamo neanche cadere nel problema opposto, cioè utilizzare una spiegazione al di fuori del suo ambito di validità appunto perché non sappiamo come agisce. Peraltro facciamo anche questo, quando per esempio attribuiamo al cervello facoltà che non ha assolutamente (come l'intelligenza, che è caratteristica di tutti gli esseri viventi) oppure ai geni la capacità di modificare la struttura di un corpo (come fanno gli evoluzionisti darwiniani).
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Il post originale è in inglese (ma l'ho scritto sempre io). Grazie Google Translate!
Come ho detto nel mio primo post, una componente chiave della mia teoria dell'evoluzione è che le specie sono esseri viventi. Per spiegare cosa intendo con questo e perché è importante devo partire da molto lontano.
L'idea che un singolo vivente sia formato da una comunità di esseri non deve sorprendere, perché ogni essere vivente di una certa complessità è fatto di cellule, che sono esseri viventi. Nel nostro corpo le cellule non sono libere di fare tutto ciò che vogliono, ma devono seguire istruzioni che arrivano sotto forma di composti chimici. Quando smettono di farlo diventano cancerose e mostrano un comportamento interessante. Uno dei problemi nella lotta contro il cancro è proprio che le cellule cancerose diventano “intelligenti”: ad esempio inibiscono il meccanismo stile bomba a orologeria che le uccide dopo un po' di tempo (apoptosi).
Anche se non possiamo fare a meno di meravigliarci di quanto sia ben organizzato il nostro corpo, considerata la sua complessità, ci viene facile pensare che le cellule possano essere dirette per mezzo di sostanze chimiche e che siano tutte interconnesse da una rete di vasi sanguigni, nervi e vasi linfatici. Per noi ha senso. Quando invece pensiamo che un essere sia composto da altri esseri completamente separati gli uni dagli altri e indipendenti non riusciamo davvero a capire come ciò sia possibile.
Esistono studi scientifici che dimostrano che alveari e formicai si comportano come se fossero singoli esseri viventi. Basta vedere da vicino come sono organizzati per rendersene conto. Sono chiamati "superorganismi" perché gli scienziati sono riluttanti a dare lo status di "essere vivente" all'intera colonia. Scientificamente, è molto difficile dimostrare che un alveare è una creatura e allo stesso tempo una moltitudine di creature. Qualcuno deve dimostrare che c'è un'intelligenza nell'alveare, che è separata e allo stesso tempo connessa con l'intelligenza di ogni individuo. Questo compito è chiaramente al di fuori dell'ambito della scienza perché l'intelligenza è immateriale (tanto che la sua esistenza è contestata) e resiste a qualsiasi tentativo di essere misurata (spero che nessuno non prenda sul serio i quozienti d’intelligenza).
Ci sono certamente varie opzioni se vogliamo spiegare il comportamento delle formiche o delle api:
1) Forse ognuna di loro è così intelligente e così collaborativa da poter trovare il proprio posto nell'alveare e adempiere ai propri doveri indipendentemente l'una dall'altra, e non c'è bisogno di una gerarchia o di un'intelligenza unificante;
2) Gli alveari sono organizzati gerarchicamente, come società umane, con una catena di comando che parte dalla regina e passa attraverso esemplari selezionati fino agli insetti lavoratori.
3) L'alveare è un unico essere vivente, e i singoli individui (la cui natura di unico essere vivente non è in discussione) sono in qualche modo costretti o spinti a cooperare con esso.
Queste sono le opzioni che mi vengono in mente, ma potrebbero essercene altre. Credo che, con uno sguardo più attento a come funzionano le colonie e magari qualche esperimento ben progettato, possiamo individuare l'opzione più probabile, ma, scientificamente parlando, non ne saremo mai sicuri.Per quanto mi riguarda, la terza è l'opzione più semplice, soddisfacendo quindi il requisito del rasoio di Occam, e io, ovviamente, la ritengo quella corretta.
Come ho detto, non posso esserne sicuro, ma non posso nemmeno escluderlo, e il modo migliore per vedere se questa idea è corretta è controllare cosa può spiegare e cosa non può spiegare. Per quanto riguarda le altre opzioni, ipotizzare che le api siano molto cooperative e intelligenti non basta a far funzionare un alveare, secondo me. Ogni ape, per svolgere il suo lavoro, dovrebbe avere anche una visione d’insieme di tutto il lavoro che deve essere svolto, e per farlo deve avere accesso alla mente delle altre api. Praticamente è la stessa cosa che ipotizzare un singolo essere vivente che le supervisioni tutte. Per quanto riguarda l’ipotesi gerarchica essa avrebbe senso se esiste una burocrazia, un flusso d’informazioni dal basso verso l’alto e di direttive dall’alto verso il basso, e non mi risulta che nulla di tutto ciò esista nelle colonie d’insetti.
La mia idea di specie è derivata da studi che hi fatto al di fuori del campo scientifico, però dal punto di vista scientifico è modellata, con qualche ulteriore generalizzazione, sul modello del superorganismo delle colonie di api e formiche. Ogni specie (definiamola, per ora, come una popolazione in cui è possibile la riproduzione tra i suoi membri) sia un unico essere vivente che convive con ogni singolo esemplare della specie. Io sostengo che, ad esempio, non solo i singoli gatti sono esseri viventi, ma anche "il gatto". Ovviamente possiamo puntare il dito e indicare "un gatto", ma non possiamo farlo per "il gatto". Il corpo della specie "il gatto" è il corpo di tutti i gatti che vivono sul nostro pianeta. Questa specie è nata quando il primo gatto è apparso sulla Terra e scomparirà (si estinguerà) quando l'ultimo gatto sarà morto. Questo essere vivente convive con i singoli esseri individuali, e il rapporto di convivenza non è sicuramente così lineare come quello tra corpi fisici e singole cellule.
Oltre a tutte le domande che possono sorgere, e che mi farebbe molto piacere se me le poneste, ce n'è una molto interessante. Dov'è la specie? Se guardiamo un alveare e lo vediamo come un superorganismo, ci viene facile supporre che il centro di tutte le decisioni prese nella colonia sia la regina. Questo non significa necessariamente che sia vero, ma nella nostra mente, se qualcosa esiste, deve essere da qualche parte! Se pensiamo alla specie come qualcosa di unitario, pensiamo anche che debba esistere qualcosa che svolga il ruolo di “centro decisionale” nei confronti di tutti i singoli individui. La mia conclusione è che certamente ce n'è uno, ma non si trova sul piano fisico.
Per quanto difficile possa essere da capire, vi ricordo che solo gli animali hanno un cervello, come dire qualcosa che può essere considerato il centro decisionale per tutto l'essere (anche se non credo lo sia, ma questa è un'altra questione). E pure un cuore, che per molti svolge la funzione unificatrice di tutte le facoltà fisiche e psichiche. Le piante non hanno né cervello né cuore, ma sono singoli esseri viventi in cui diversi insiemi di cellule specializzate cooperano per il bene della pianta. È possibile che le singole cellule siano indipendenti e non ci sia nessuna entità che coordini il loro lavoro? Non credo, ma allora tale entità unificatrice e coordinatrice, quello che potremmo chiamare “il cuore della pianta”, dov'è? Potrebbe benissimo esserci, ma gli scienziati non se ne sono mai accorti della sua presenza, oppure c’è ma non sul piano corporeo.
Nel prossimo post parlerò delle prove scientifiche a favore dell’idea che le specie siano esseri viventi.
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Il rasoio di Occam è un famoso criterio metodologico in filosofia che afferma che non dovremmo moltiplicare le entità oltre quanto necessario. Ha senso, allora, affermare l'esistenza di esseri viventi in aggiunta a tutti quelli che già abbiamo, che sono miliardi? Inoltre, se immaginiamo un'intelligenza globale che opera su di un'intera popolazione, dobbiamo capire dov'è, come funziona, come controlla i suoi esemplari, soprattutto perché, a prima vista, sembrano fare praticamente quello che vogliono! In questo caso credo che il costo, in termini di nuovi misteri, valga la sua portata esplicativa. Qui non posso mostrare alcuna ricerca scientifica a sostegno di questa idea, ma posso dimostrare che spiega in modo sensato diversi fenomeni che, fino ad ora, sono stati spiegati in modo incoerente.
Cominciamo con quella che credo sia la più incoerente di tutte, la teoria del Gene Egoista. Ogni argomento a sostegno della teoria del gene egoista sostiene l'idea che una specie sia un essere vivente. Infatti, è più sensato credere che una popolazione di esseri viventi sia anche un unico organismo piuttosto che credere che un composto chimico abbia sentimenti e intelligenza. Ovviamente Richard Dawkins non credeva che i geni avessero sentimenti e intelligenza, ma ha sicuramente usato quell'espressione per dire che "la natura si comporta così". Sapeva che è impossibile che i geni siano egoisti. Ma spero ci si renda conto che non è impossibile che le specie esistano, abbiano intelligenza e possano spiegare tutte le prove utilizzate per supportare la teoria del gene egoista.
Ad esempio, ci sono prove dell'esistenza di una strategia di sopravvivenza di una popolazione chiamata "selezione parentale". In sostanza, essa afferma che gli esseri viventi tendono a prendersi cura del loro gruppo familiare perché portatore dei loro stessi geni. Questo atteggiamento può portare all'“altruismo”, in cui un esemplare mette a repentaglio la propria vita per il bene di un altro (caso tipico: le cure parentali). Se si ha familiarità con gli studi evoluzionistici, molto spesso trovano leggi naturali che funzionano perfettamente nel mondo reale, ma per le quali non possono fornire alcuna spiegazione causale significativa (questo è un problema sollevato anche da Karl Popper). Nella teoria del gene egoista, la legge è che "la selezione naturale favorisce il miglior gene, non il miglior individuo, non il miglior gruppo". Posso benissimo crederci, ma perché succede? Se assumiamo che le specie esistano e abbiano a cuore la propria sopravvivenza, ha perfettamente senso che facciano del loro meglio per far riprodurre l'esemplare che mostra maggiore capacità di sopravvivere, e per far sopravvivere la sua prole. La selezione parentale è una strategia possibile, ma nulla impedisce a specie diverse di favorire strategie diverse.
Peraltro, nella letteratura dei biologi evoluzionisti, compaiono spesso espressioni che, se prese alla lettera, sono semplicemente l’opposto di quanto insegna la scienza. Tali espressioni vengono definite “metaforiche”. In questo caso I geni non sono affatto egoisti, ma gli individui si comportano come se lo fossero. Questo atteggiamento abbastanza disinvolto nei confronti della logica deriva dall’idea che non vi sia alcuna necessità di collegare una legge naturale alla sua causa effettiva. È sufficiente affermarne l’esistenza e definirla una “legge descrittiva di comportamenti osservabili” invece di una “legge prescrittiva” che colleghi gli effetti alle cause che li hanno generati. Faccio appena notare come la “metafora” sia quanto più lontano dalla mentalità scientifica, che è meccanicista. A parte questo, l’uso della parola “legge” richiama sempre alla mente una norma prescrittiva, ed è esattamente così che gli scienziati applicano le “leggi naturali” che loro “scoprono” (e alle volte inventano). In questo modo essi si esimono dall’obbligo di giustificare delle affermazioni che sono semplicemente ridicole.
Sappiamo che la teoria dell’evoluzione considerata più accettabile si basa sul fatto che nelle popolazioni avvengono mutazioni genetiche casuali e che questo processo porta ad adattamenti fenotipici all'ambiente che vengono filtrati attraverso il processo di selezione naturale. I biologi evoluzionisti chiamano l'intero processo "micro-evoluzione". Tuttavia, quando dicono la parola "casuale", in pratica dicono che non ne conoscono la causa, giusto? Se assumiamo che le specie esistano, possiamo colmare questa lacuna. Possiamo dire che la specie muta i geni nei suoi esemplari per creare specifici adattamenti fenotipici al loro ambiente. Ora, a questo proposito è importante fare una distinzione. Premetto che il processo attraverso il quale si creano mutazioni genetiche casuali non è casuale, nel senso che le specie creano quelle mutazioni. Tuttavia la mutazione stessa può benissimo essere casuale, nel senso che la specie si limita a provare una mutazione e verifica tramite selezione naturale se è buona. Esistono convincenti riscontri scientifici che, almeno in certi casi, le mutazioni sono effettivamente casuali, nel senso che non esiste una relazione causale tra la mutazione e la sfida ambientale che si intende affrontare. Questo accade specialmente quando la specie affronta tale sfida per la prima volta. La specie, quando crea la mutazione, non sa con certezza se funziona o meno, e fino a che punto. Considerato che l'ambiente stesso cambia, nello spazio e nel tempo, e non esiste una mutazione “perfetta” che risolva ogni problema della specie, è perfettamente sensato che una specie “cerchi” una soluzione e la perfezioni nel corso delle generazioni.
Un esempio di questo processo è costituito dai batteri. Gli esperimenti condotti su di essi mostrano che, quando si trovano di fronte a sostanze sconosciute e potenzialmente pericolose, essi creano enzimi mutati per cercare di distruggerli. Quelli che funzionano permetteranno al batterio di sopravvivere e saranno trasmessi alle generazioni future, ma saranno comunque perfezionati. Posso benissimo supporre che faccia parte dell'intelligenza dei batteri creare quelle mutazioni, e questo è supportato dal fatto che, se un batterio si trova di fronte a una sostanza che già conosce, sceglie la sostanza chimica giusta per disintegrarla (questo fatto è legato a ciò per cui Jacques Monod ha vinto il premio Nobel).Poiché ogni altra cellula è un'evoluzione di un batterio (o qualcosa di simile), ha perfettamente senso che questa capacità sia stata ereditata dal resto degli esseri viventi sulla Terra, e ci sono molte prove a riguardo, dalla resistenza degli insetti alle sostanze chimiche a tratti specifici in popolazioni umane localizzate.
Per la ricerca scientifica, non c'è differenza tra affermare che le mutazioni genetiche siano semplicemente casuali e affermare che siano generate casualmente da un'intelligenza. Da un punto di vista scientifico e matematico è la stessa cosa perché essi non possono interagire con quell'intelligenza e chiederle come sceglie le mutazioni. Ha perfettamente senso che essi non considerino l'intelligenza nella loro ricerca, perché il singolo esito di una mutazione è imprevedibile in entrambi i casi, mentre l'esito di una mutazione in una popolazione è prevedibile con gli strumenti forniti dal calcolo delle probabilità. Tuttavia, se vogliamo dare un senso a ciò che accade nel nostro mondo, dobbiamo considerare che ci sono esseri intelligenti e che fanno delle scelte. Gli scienziati (e gli investitori nelle loro ricerche) sono interessati a comprendere il nostro mondo solo nella misura in cui è utile per sfruttarlo. Non a tutti piace sentirselo dire, ma è vero.
Se le specie esistono, allora dobbiamo concludere che hanno una volontà di sopravvivenza e che hanno i mezzi per ottenerla. Una specie rimane in vita fintanto che ha un corpo, quindi il suo meccanismo chiave di sopravvivenza è la riproduzione. Infatti, quando un animale si riproduce, non fa alcun favore a se stesso, anzi. Egli mette a repentaglio le sue possibilità di sopravvivere e alcuni animali muoiono regolarmente nel processo. Tuttavia, la specie sopravvive! Se ci si pensa, tutto ciò che riguarda il sesso ha veramente senso se è qualcosa che la specie spinge gli individui a fare invece di essere qualcosa che essi fanno per se stessi.Basti pensare a tutte le complessità legate al corteggiamento, al sesso, alla gestazione, alle cure parentali e al fatto che nulla in esse aumenta le possibilità di sopravvivenza di nessun individuo, con pochissime eccezioni. Ci sono specie sociali per le quali i giovani esemplari si prendono cura dei più anziani quando non possono più provvedere da soli al cibo, ma sono davvero poche! Per oltre il 99% della natura questo è solo uno spreco di energia, se si guarda solo dal punto di vista del singolo esemplare. Preferisco non entrare nei dettagli sul comportamento sessuale, e mi limito a una sola considerazione. Il piacere che si prova durante il sesso assomiglia molto di più a qualche cosa di chimico, piuttosto che alla gioia che si prova quando si supera un esame difficile; inoltre il desiderio sessuale insoddisfatto è un sentimento persino doloroso, e in alcuni porta anche ad azioni inconsulte. Tutto questo per dire che, se uno si guarda dentro, l’impressione che qualcuno ci stia forzando la mano è palpabile, e una volta parlavano appunto di “demone del sesso”.
In poche parole, la mia idea è che quando gli animali cacciano, o fuggono da un pericolo, o giocano tra loro, agiscono di propria volontà. Invece, quando cercano un compagno/a, si corteggiano, fanno sesso, partoriscono prole e forniscono cure parentali, sono sotto il controllo della volontà della specie. Come può prendere il controllo dell’individuo? Io ritengo che il metodo principale sia mediante la produzione di sostanze chimiche (ormoni), le quali vengono trasportate attraverso il flusso sanguigno dove è necessario.Io ritengo in ogni caso che il processo nel quale si assiste in maniera lampante all’operare della specie è la gestazione. Ora, la scienza moderna vuole farmi credere che tutto il processo di gestazione, dall'ovulo fecondato al parto del neonato, sia gestito solo per mezzo di reazioni chimiche dirette dal DNA cellulare ma, mi spiace dirvelo, solo anni e anni di lavaggio del cervello materialistico a scuola e in TV possono forse permettere di giungere a questa conclusione. Ci deve essere un'intelligenza generale che sovrintende a tutto il processo, e non mi pare di andare troppo lontano se penso sia quella più interessata ai suoi risultati, perché da essi dipende la sua stessa sopravvivenza!
A questo si aggiunge il fatto che la specie è costruita attorno agli archetipi, di cui parlerò più avanti, ma posso anticipare che è in essi che sono custoditi i “progetti” per la fabbricazione di un individuo. In definitiva, la specie:1) Spinge gli animali maschi e femmine ad accoppiarsi mediante l'iniezione di ormoni nel loro flusso sanguigno;2) Costruisce la prole;3) Spinge i genitori (di alcune specie) a prendersi cura di loro.
Ci sono specie anche nel regno vegetale, in cui il processo riproduttivo è diverso. Lì vediamo che vengono prodotti i fiori, che poi vengono fecondati e poi i semi sparsi. I semi poi germinano e così via. Ancora, che vantaggio ha l'albero nel generare fiori, frutti, semi? Non è solo uno spreco di energia dal suo punto di vista? Tuttavia, se consideriamo che in tutti questi processi è coinvolto un altro essere, per cui tutti quegli elementi sono processi chiave alla sua sopravvivenza, tutto acquista un senso.Anche nei batteri, in cui la duplicazione della cellula sostanzialmente o uccide la cellula madre o la priva della metà dei suoi nutrienti, tutto diventa logico se c'è un altro essere che effettivamente ci guadagna qualcosa dalla meiosi! A proposito, logicamente parlando, l'autoreplicazione è impossibile. Ciò significa che le cellule non si autoreplicano, ma deve esserci l'intervento di un altro essere. L'idea che l'autoreplicazione sia impossibile non viene presa bene dalla scienza moderna e il silenzio che la circonda è più esplicativo di un milione di parole. Le macchine autoreplicanti sono ugualmente impossibili. Tuttavia ci vorrebbe un altro post per spiegare questo punto, e per ora non è nei miei programmi.Personalmente credo che l'idea che la specie esista sia un'idea potente, che ha conseguenze di vasta portata in psicologia, nelle altre scienze sociali e in biologia. Nel prossimo post spiegherò perché è importante nella mia teoria dell'evoluzione della vita sulla Terra.
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Proverò a seguire anche se le mie basi di fisica chimica biologia filosofia sono quello che sono...
Un piccolo contributo e/o spunto che (forse) posso dare è che questa idea è già stata presa in considerazione relativamente ai funghi, per esempio.
Ho visto recentemente un documentario (ahimé credo sia una produzione Netflix) "Fantastic Fungi", dove viene messa in campo l'ipotesi (immagino peraltro non nuovissima) che il micelio costituisca una specie di rete neurale che permette alle piante del bosco (altro "essere" vivente?) di comunicare tra di loro; senza sconfinare nel mondo "sciamanico" (che comunque offrirebbe numerosi spunti di riflessione) qualcuno arriva a sostenere per esempio che gli effetti dei funghi cosiddetti "magici" non siano altro che il modo che la creatura "fungo" utilizza per comunicare con noi.
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Le specie sono l’oggetto dell’evoluzione. Non sono solo i singoli esemplari ad evolversi, ma l'intera specie. Se così non fosse, penso che dovrebbe capitare che, quando un animale partorisce un certo numero di cuccioli, questi siano in diversi stadi di evoluzione, e non sembra che ciò accada normalmente. Pertanto, uno sguardo ravvicinato alla natura delle specie è un passo fondamentale prima di parlare di come si evolvono. La moderna biologia evolutiva certamente non è d'accordo con me, perché i biologi evoluzionisti neodarwiniani non credono che le specie esistano. Esse sono solo nodi nel filo che lega il primissimo essere vivente sulla Terra, chiamato LUCA (acrostico inglese per indicare il primo essere vivente che abbia popolato la Terra). Questi nodi sono stati creati dalla Selezione Naturale, che tende a favorire certe mutazioni genetiche rispetto ad altre.Tuttavia, se le specie esistono davvero come descritte in precedenza, la loro posizione diventa insostenibile.
Nella mia teoria io accetto che le mutazioni genetiche svolgano un ruolo nell'adattamento delle specie al loro ambiente, ma rifiuto l'idea che abbiano un ruolo nella creazione di nuove specie dalle precedenti, come ho già accennato nella sezione precedente. Non intendo dartne prova in questo lavoro, perché ne ho già parlato nel mio libro, a cui il mio lettore può fare riferimento, se lo desidera. Nella mia teoria, l'evoluzione è spiegata in un modo completamente diverso.Ho già accennato ad alcune conseguenze del considerare le specie esseri viventi separati dagli esemplari che ne formano il “corpo”. Tra la specie e ciascun esemplare vi è un rapporto gerarchico, anche se l’osservazione di ciò che accade in Natura suggerisce che, procedendo dagli animali inferiori a quelli superiori, la volontà del singolo esemplare possa a volte contrastare la volontà della specie, rendendo la relazione conflittuale. Considero animali “superiori” gli uccelli e i mammiferi, ma è un punto che mi riservo di approfondire.Mi sembra anche che, nel regno vegetale (e nelle forme di vita unicellulari), i singoli esemplari non esistano realmente, e sebbene io possa considerare una pianta un unico essere vivente, non la vedo dotata di una volontà di per sé, ma è paragonabile a un organo della specie. Almeno questa è la mia impressione in generale. Se ci sono prove che le cellule cancerose del nostro corpo agiscano “di propria volontà” e sicuramente contro la volontà del nostro corpo, nulla impedisce, in linea di principio, che ciò avvenga in esseri più complessi, e recenti studi sul comportamento delle piante lasciano pensare che sia proprio così. Sebbene questa sia una questione interessante, non mi sento sicuro della mia risposta e in questa fase può essere lasciata in sospeso per ricerche future.Tuttavia, nessuna delle conseguenze a cui ho accennato è legata all'evoluzione. Parliamo di quello allora.
La prima idea che devo discutere riguardo all'evoluzione è che vi siano esseri viventi che controllano le popolazioni. I superorganismi controllano le colonie (non c'è nulla che impedisca di credere che siano ristrette ad alveari e formicai), e le specie controllano i loro esemplari. Io credo che ci siano altri esseri che "supervisionano" un gruppo di specie. Ad esempio, insetti, uccelli, mammiferi e pesci sono tutti gruppi di specie per i quali penso che esista un tale essere. Non sono sicuro per i rettili, perché vedo molta differenza tra serpenti, tartarughe, lucertole e rane, ma forse sono solo distratto dal loro aspetto esteriore.Tuttavia, per ora, li considero tutti come specie supervisionate da un unico essere. Chiamo gli esseri a questi livelli “classi”, seguendo la tassonomia classica, anche se nel mio lavoro la semplifico. Se mi riferisco a uno di loro in particolare, userò qualcosa come "L’Uccello". Credo anche che i regni siano esseri singoli. Credo che ci siano solo tre regni, quello minerale, quello vegetale e quello animale. Il regno minerale comprende tutte le forme di vita unicellulari e le loro colonie (nel mio lavoro non considero i minerali perché non sono, scientificamente parlando, esseri viventi). Il passo successivo è considerare l'esistenza di un unico essere vivente che sovrintenda a tutta la vita sulla Terra. Ho sviluppato questa parte in profondità nel mio libro. Qui voglio approfondire alcuni punti che nel libro ho trascurato (magari ho sbagliato).
Penso che, da un punto di vista scientifico, sia interessante considerare l'esistenza di superorganismi e specie, perché questi sono concetti con una forte portata esplicativa. Credo anche che non sia un grande salto nel vuoto per la scienza accogliere questi nuovi concetti, perché c'è un intero gruppo di scienze per le quali il suo rigoroso approccio materialistico non funziona e deve essere sostituito da un approccio più morbido. Secondo me il gioco vale la candela.Tuttavia, non sono sicuro che, scientificamente parlando, sia profittevole esplorare l'idea che classi e regni siano un unico essere. Non solo non riesco a pensare a una linea di indagine o esperimenti di laboratorio per provare o smentire la loro esistenza, ma non vedo alcun modo tramite il quale tutte le risorse che dovranno essere coinvolte in esso possano produrre alcun risultato pratico. Sfortunatamente, quelli sono gli esseri che, per quanto ho capito, sono coinvolti nell'evoluzione delle specie.
Come ho detto, mi sembra che le specie subiscano l'evoluzione senza avere alcun potere decisionale nel processo, e poiché l'evoluzione è qualcosa che ha sicuramente bisogno di un'intelligenza per portare a termine il processo, il primo posto dove cercarne una è all'interno delle classi e dei regni. Le specie nelle stesse classi condividono organi simili. Ad esempio, quasi tutti gli uccelli hanno piume, ali e becco, quasi tutti i pesci hanno squame e pinne e così via. Tuttavia, diverse specie di uccelli hanno penne e ali diverse come pure l'anatomia generale del corpo, e lo stesso accade in ogni classe.Se devo puntare verso un'intelligenza che "progetta" ali, e piume, le ossa cave, e tutte le altre componenti dell'anatomia degli uccelli che sono essenziali per il volo, penserò sicuramente all'Uccello come all’ essere di classe. Esso progetta le piume, quindi tutte le specie le adattano al loro ambiente e l'uccello riceve feedback da tutte loro, creando quindi piume di maggior successo in futuro. Per quanto sbalorditivo possa essere, è certamente più razionale che lasciare l'intero processo a “mutazioni genetiche casuali” che, devo ripeterlo, non sono in grado di ottenere un tale risultato. Non esiste una cosa come "il gene dell'ala". Nessuno scienziato è mai riuscito a estrarre il "gene dell'ala" da un uccello, impiantarlo in un altro essere e fargli crescere le ali. I geni non portano queste informazioni. Gli scienziati sono molto riluttanti ad ammetterlo, ma questa è la verità. I geni portano informazioni sulle modifiche negli organi, ma non su come costruire l'organo stesso. Queste modifiche possono fare la differenza in termini di sopravvivenza e sono fondamentali per spiegare il ruolo della riproduzione sessuata come mezzo per propagare tratti vantaggiosi, ma ci sono dei limiti alla loro portata.
Il problema nell'esplorare scientificamente l'evoluzione (ciò che i biologi evoluzionisti chiamano macro-evoluzione) è che gli scienziati non potranno mai intervenire nel processo, perché la nostra scienza non può accedere a quel tipo di conoscenza. Essa si trova nel "cuore" di esseri intelligenti con i quali non c'è alcuna possibilità per noi di interagire, e non credo ci sarà mai. Punto. Pertanto, tutte le risorse coinvolte nel tentativo di "trovare la chiave dell’evoluzione" non produrranno alcun risultato pratico.Perché lo fanno, allora? Perché, da un lato, credono ancora (dopo cinquant'anni dalla scoperta della genetica) il contrario, e dall'altro si aggrappano disperatamente al loro approccio materialista che gioca un ruolo enorme nell'autorità che ha la scienza. Finora gli scienziati hanno esplorato molto il campo dell'adattamento (quella che loro chiamano micro-evoluzione), e con buoni risultati in diversi campi, il più importante, a mio avviso, è l'applicazione degli algoritmi genetici all'ingegneria e intelligenza artificiale. Ma quella non è "evoluzione", checché ne dicano.In termini di (macro)evoluzione non hanno ottenuto nulla. Semplicemente niente, e Dio solo sa quanto hanno provato usando soldi pubblici e privati. La conclusione è che, sebbene filosoficamente parlando sarebbe estremamente interessante condurre un'esplorazione scientifica dell'idea che esista una catena di esseri che sovrintenda a tutta la vita sulla Terra, per gli stessi scienziati e la maggior parte dei loro finanziatori, sarebbe economicamente controproducente, e quindi non credo che verrà mai effettuata su larga scala.
Se ritengo che un'entità sia un essere vivente, devo attribuirle un corpo, un'anima (deve avere sentimenti, sensazioni, una volontà, magari una mente, dei ricordi, l’immaginazione e così via), ma anche qualcosa che non muta affatto, per cui quell'essere vivente resta tale da quando appare a quando scompare. Sono Davide Orlandi da quando sono nato, e sarò Davide Orlandi fino alla mia morte, ma subirò molte modificazioni nel mio corpo e dentro di me. Ci deve essere qualcosa in me che non cambia mai, e che mi permette di riconoscermi fin dalla nascita. Questa cosa ha nomi diversi nelle diverse Tradizioni, ma nel mio lavoro mi piace usare il termine platonico “Archetipo”.Qui siamo chiaramente al di fuori del regno della scienza moderna, ma avevo già anticipato che sarebbe successo. Ogni essere individuale ha il suo archetipo, e ogni specie ha il suo, e non cambiano mai. Lo ripeto, non cambiano mai. Mai. L'archetipo contiene le istruzioni per fabbricare l'essere, che è un processo che non si ferma alla nascita, ma continua sicuramente per tutta la fase di crescita, e anche oltre, dimostrando che l'archetipo opera nel corpo dell'esemplare per tutta la sua vita.Se l'archetipo non cambia mai, come avviene allora che le specie si evolvono? Per quanto incredibile possa essere, l'archetipo della specie evoluta è la fusione di due archetipi. Uno è quello della creatura che era già sulla Terra, il secondo è una nuova creatura che viene dal “Mondo degli archetipi”.
Questo è esattamente ciò che accade durante la metamorfosi. Quando si vede un bruco diventare farfalla si vede un archetipo (il bruco) che costruisce e fa funzionare il corpo del bruco; ad un certo punto interviene un secondo archetipo, l'archetipo della farfalla, che “trasforma” il bruco in farfalla. L'archetipo del bruco non cambia, e non cambia nemmeno l'archetipo della farfalla, ma a un certo punto della storia della vita sulla Terra hanno semplicemente “unito le forze”. La stessa cosa accade tra il Girino, che in origine era un pesce, e la Rana. L'archetipo del girino costruisce il corpo del girino finché non arriva il momento in cui quello della rana continua a costruirci sopra. Perché questo succede è una questione che discuterò più avanti. Per ora voglio solo concentrarmi sul processo.
All'inizio di una nuova era geologica (non saprei dire quale) un pesce che viveva nel mondo entra in simbiosi con una rana che viene da un altro mondo (il mondo degli archetipi, in cui tutti gli archetipi attendono di essere chiamati ad esprimersi nel nostro mondo), e per la prima volta avviene una trasmutazione del pesce, che diventa una rana. D'ora in poi, tutti i suoi discendenti saranno una fusione di due archetipi, e il processo della loro formazione sarà praticamente lo stesso del primo. In tutte le forme di metamorfosi i singoli archetipi sono spesso chiaramente riconoscibili come fasi del processo, mentre nella gestazione essi non lo sono più. Ma è lo stesso processo. Poiché l'evoluzione è il processo centrale della mia teoria, ci tornerò dopo aver introdotto altri concetti che aiutano a dare più senso a ciò che sto dicendo.
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Un punto su cui ammetto di non essere stato molto chiaro è la la differenza tra la specie come essere vivente e la specie in senso tassonomico. Questo crea parecchia confusione presso coloro che hanno una formazione scientifica, in quanto io affermo a più riprese che le mutazioni genetiche non determinano alcuna speciazione, e che non vi sia alcuna prova scientifica che lo faccia, mentre la ricerca scientifica ha evidenziato numerose istanze di speciazione provocate dalle mutazioni genetiche. La confusione deriva dal fatto che io uso il termine specie in un’accezione un po’ diversa da quella che usano gli scienziati. Chi ha una formazione scientifica troverà questo modo di fare contorto e fuorviante, perché la specie è un termine scientifico e va utilizzato nell’accezione che la scienza gli dà. Io ammetto che avrei dovuto essere più chiaro nella mia distinzione fin dall’inizio; tuttavia, anche la scienza lo usa in modo confuso e fuorviante, e vedremo perché.In generale, la specie in senso scientifico è una popolazione che è in grado di riprodursi nel proprio ambiente naturale e che non è in grado di riprodursi, beninteso nel proprio ambiente naturale, con membri di altre specie (appartenenti alla stessa famiglia, o “strettamente imparentate”). Un caso emblematico è appunto quello dei fringuelli di Darwin, che con ogni probabilità provenivano da una medesima popolazione iniziale, e che, pur vivendo nella stessa isola, si erano adattati a diverse nicchie ecologiche al punto da aver creato specie differenti che non potevano riprodursi con i membri delle specie che avevano intorno, ancorché provenienti dallo stesso ceppo.
Darwin era convinto che le specie abbiano questa capacità, e che sia “innata”. Poiché io considero la specie un essere vivente, che quindi ha un’intelligenza, una volontà di sopravvivenza e delle capacità che le permettono di sopravvivere, io sono in qualche modo d’accordo con lui. Secondo me le specie potrebbero benissimo avere la capacità di modificare il proprio aspetto fisico per venire incontro alle sfide dell’ambiente, e posso bene immaginare che esse memorizzino queste modifiche nel codice genetico per metterle a disposizione della discendenza, cosa che il singolo individuo non è in grado di fare. Tuttavia in questa fase del mio studio io non sono sicuro che sia la specie che si occupi di queste modifiche. Se vi ricordate ho accennato al fatto che esistono esseri viventi che sono, per le specie, ciò che le specie sono per i singoli individui. Io ho utilizzato il termine “classe” per definirli, e sono abbastanza convinto che questa sia una loro prerogativa, mentre le specie “subiscono” le modifiche alla loro forma in maniera passiva. Per fare un paragone, una donna è capace di fare un figlio, ma non è veramente lei che lo fa, ma il suo corpo. Nella mia teoria la procreazione è gestita dalla specie di appartenenza (in tal caso quella umana), che utilizza il corpo femminile in maniera del tutto indifferente alle eventuali proteste della donna!
Quello che io contesto a Darwin è che questa capacità non consente assolutamente alla specie di creare una specie diversa da quella di appartenenza, ma in questo caso io parlo dell’essere vivente, non della specie in senso scientifico. Lo ripeto, per me la specie è un essere vivente, e nessun essere vivente è in grado di procreare un altro essere vivente che non appartenga alla sua stessa specie. Insomma, questa capacità non permette di spiegare come si siano formati gli anfibi a partire da un’antica specie di pesci, o come si sono formati gli uccelli a partire da un’antica specie di rettili, o come si siano formati gli insetti a partire da un’antica specie di vermi. Uno scienziato potrebbe contestarmi l’uso dei termini “pesci”, “rettili” e “vermi” per esseri vissuti molti milioni di anni fa, ma qui il punto non è capire da quali specie gli uccelli si sono formati, ma attraverso quale processo.
Ritornando ai fringuelli di Darwin, tutte le specie (in senso tassonomico) di fringuelli che lui studiò, dal mio punto di vista appartengono alla stessa specie, che è “il Fringuello”. Nella mia teoria Il Fringuello (se non la sua classe di appartenenza, cioè l’Uccello) genera varietà diverse di se stesso per colonizzare diverse nicchie ecologiche, e crea barriere riproduttive (se quelle naturali non bastano) per impedire che i tratti che hanno avuto successo vengano diluiti per ibridazione e perciò si perdano. Questo ha a che fare con il metodo con cui le specie (o le classi) modificano i tratti fisici per adattarli all’ambiente, metodo di cui discuterò in seguito. Da un punto di vista tassonomico, la specie per come la intendo io corrisponde, almeno per il regno animale, nella maggior parte dei casi alla famiglia. Per esempio, io non penso che il gatto sia una specie nel senso di essere vivente, ma che l’intera famiglia dei felidi lo sia. Nel regno vegetale, il singolo essere vivente potrebbe essere corrispondere ad una classificazione ancora più elevata. Per esempio l’intera famiglia delle ombrellifere potrebbe essere un singolo essere vivente, e quindi anche in questo caso la corrispondenza tra specie nel senso in cui la vedo io e la famiglia tassonomica è confermata, ma potrebbe benissimo non essere così, perché le piante hanno possibilità di ibridazione piuttosto sconcertanti dal mio punto di vista e devo ammettere che le conosco poco.In ogni caso io sto cercando di portare avanti una teoria la cui importanza sta nel fatto di considerare l’esistenza di esseri viventi al di fuori della sfera del singolo essere individuale. Capire poi quali sono i confini del singolo essere viventi in termini di specie tassonomiche è, in questo momento, meno importante.
Capisco che gli scienziati usano le classificazioni come strumento di lavoro, e capisco anche che, per loro, definire una specie significa definire una popolazione che, nel suo ambiente naturale, si riproduce solo al suo interno, e questo è importante nel loro lavoro. D’altra parte, io non credo che questo gli dia il diritto di copyright sul termine, esattamente come non ce l’hanno sul termine “famiglia”. Quando ho iniziato a elaborare la mia teoria, ho usato il termine “specie” perché si adatta molto bene al concetto che voglio esprimere, e non intendo cambiarlo. Quando farò riferimento alle specie in senso scientifico parlerò di “specie tassonomiche”; in caso contrario la specie, nei miei lavori sulla Teoria dell’Evoluzione, è sempre un essere vivente. Ricordo inoltre che, poiché gli scienziati usano solo criteri materialistici per definire i loro concetti, molto spesso si ritrovano ad affrontare complicazioni di ogni genere. Le classificazioni scientifiche sono invero estremamente complicate, e io non ho alcun bisogno di comprenderle nel dettaglio, perché non le uso per lavoro. Se mai dovesse succedere che gli scienziati accettino la mia idea di specie come essere vivente, capiranno che essa corrisponde il più delle volte alla famiglia tassonomica.
Come ben sappiamo, Darwin non sapeva dell’esistenza del DNA. Dopo la sua scoperta negli Anni Cinquanta e la comprensione (secondo me ancora piuttosto vaga e per certi versi inesatta) del suo ruolo biologico, gli evoluzionisti hanno elaborato la teoria che per la quale una nuova specie nasce quando gli esemplari accumulano mutazioni genetiche sufficienti per essere in grado di riprodursi solo tra loro e non sono in grado di riprodursi con le specie da cui provengono.Essi credono anche che l'accumulo di mutazioni genetiche alla fine porterà una popolazione talmente lontano da quella di origine da diventare qualche cosa di diverso, cioè un’altra specie. Dal punto di vista scientifico tale popolazione cambia famiglia. Essi, al contrario di me, vedono le famiglie come gruppi di specie strettamente imparentate che condividono la somiglianza nella forma; i membri di una stessa famiglia hanno sicuramente un’origine comune, ma non vedono nella somiglianza di forma la comunanza di struttura che ci vedo io. Questo lo capisco, ma allo stesso tempo loro devono capire che tale somiglianza di forma è un indizio di qualche cosa di molto più profondo. Io affermo senza mezzi termini che non vi è alcuna possibilità che una sequenza di mutazioni genetiche sia in grado di creare una specie che oltrepassi il confine della famiglia. Questo accade perché la mutazione genetica che codifica un tratto è, per l’appunto, un codice, e ogni specie (che è un essere vivente con la sua propria personalità, non solo un’accozzaglia di geni) interpreta il codice genetico sulla base della propria natura. Insomma, le specie usano le stesse lettere (le basi) ma parlano ognuno la propria lingua (diciamo dialetto); usando un altro simbolismo ognuna di esse ha un proprio linguaggio di programmazione. C'è una barriera che le mutazioni genetiche non possono attraversare, che è appunto quella del linguaggio con cui sono state “compilate”. Poiché sappiamo che, durante le ere geologiche, questa barriera è stata superata (ad esempio, i vermi si sono evoluti in insetti, i pesci si sono evoluti in anfibi, i rettili si sono evoluti in uccelli) dobbiamo trovare un processo che permetta di superare questa barriera, ed è qui che entra in gioco la mia teoria. Per ora, penso che non ci sia alcun problema dal punto di vista scientifico se chiamo questo processo “evoluzione”.
Se guardiamo alle prove scientifiche, troviamo sicuramente casi di speciazione in senso scientifico. Su Internet si possono trovare facilmente studi relativi a casi di speciazione nelle piante, ma sono sicuro che ci sono casi anche negli animali. Nel caso delle piante, un esempio interessante è quello di alcune specie ottenute per ibridazione naturale che, possedendo un numero dispari di cromosomi, non possono dividere il loro DNA in due per generare un gamete, risultando perciò sterili. In alcuni casi si è notato che la specie raddoppia il numero di cromosomi creando una copia del corredo che possiede, diventando così fertile. Così facendo essa diventa una nuova specie tassonomica, ma certamente non crea una nuova famiglia. Non solo, ma il processo di moltiplicazione del corredo cromosomico (poliploidia) è troppo diffuso per essere “una mutazione genetica casuale”. Sarebbe molto più logico considerarlo una strategia di superamento di una barriera riproduttiva. Un numero dispari di cromosomi è una barriera riproduttiva che si genera facilmente quando una specie (che ha un numero pari di cromosomi) s’incrocia con una specie affine che ha un numero di cromosomi che differisce di 2; per esempio vi sono trifogli con 14 e 16 cromosomi. Un ibrido tra queste due specie avrebbe facilmente 15 cromosomi, e non sarebbe fertile (ma alle volte lo è). Questa è una barriera riproduttiva, e chiaramente gli scienziati la ritengono casuale, ma allo stesso tempo vantaggiosa in termini evolutivi. Secondo me è molto più logico considerare tale barriera riproduttiva parte delle strategie di sopravvivenza della specie, e il superamento di tale barriera per poliploidia un’altra strategia della specie per diffondere ibridi che si sono dimostrati vantaggiosi. Tuttavia un tale punto di vista può essere sostenuto solo a patto di considerare la specie un essere reale, vivente e intelligente, e per quanto ne so, la comunità scientifica non ha mai neanche considerato tale possibilità.
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Mi rifaccio solo a questa tua riga, nel considerare la NON casualità delle cose, richiamando una precisazione che presenta il problema perenne della modalità e del tipo dell'emanazione divina, una volta, ovviamente, abbandonata (sarebbe ora...) la puerile idea di un Dio personalizzato e antropomorfico.
Un saluto
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scusami, ma la tua risposta é criptica.
In ogni caso io non metto in ballo Dio in questo segmento della mia teoria.
Le uniche intelligenze che considero sono quelle degli esseri viventi, ma non solo quelli individuali, ma anche quelli "collettivi".
Vi sono altri segmenti in cui considero l'azione di un'intelligenza che potremmo tranquillamente definire "divina" se non ché non credo sia teologicamente corretto definire Dio un essere.
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Il nome "Dio!, come già detto, altro non è che una convenzione. Ma non è certo questo il problema. Il vero problema è quello della COMPRENSIONE seppur limitata di questa "emanazione", ovvero quando si deraglia e si immagina tutta la creazione, e la stessa presenza di Dio, sempre realmente condizionati da idee, concetti, così come vengono espressi dalle potenzialità intellettive dell'uomo. L'uomo non può, nonostante la superbia innata, che pensare che per modalità e tempi finiti. In realtà qualunque nostra affermazione, anche quella che riteniamo più elevata ed evoluta, deve necessariamente sottostare ad una sequenza fisica-temporale, sia nel linguaggio sia per la definizione stessa, la quale per essere affermabile, necessita che sia riferibile a tutto il resto della realtà che ci circonda. Realtà come la scienza insegna, spesso esterna ai nostri tanto declamati sensi.
Scusa l'ot Davide
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la trascendenza divina non é affatto OT. Una delle critiche che muovo al creazionismo nel mio libro, é che esso sostiene che Dio sia intervenuto direttamente provocando la comparsa della vita sulla Terra. Dal punto di vista religioso l'affermazione avrebbe anche un senso, perché in quel caso nessuno é veramente interessato al fatto storico, ma soltanto a constatare la presenza divina nel creato. Tuttavia anche in quel caso l'affermazione sarebbe errata nel senso che lascia pensare che Dio sia intervenuto una tantum e poi la Natura avrebbe seguito il suo corso. Dal punto di vista religioso non é così. La presenza divina è costante in ogni momento della creazione e Dio non interviene sulla vita in questo momento meno di quanto sia intervenuto con la sua comparsa, solo in modo diverso. Peraltro anche la Chiesa appoggia questa idea, almeno a sentire quel papa che disse che Dio provocò il Big Bang, e dopo di ché le leggi della fisica fecero il loro corso.
Tuttavia dal punto di vista scientifico l'idea che Dio possa essere intervenuto direttamente nel mondo è inaccettabile, perché Dio non è una causa. Le cause sono separate dai loro "effetti", ma Dio non può esserlo dalle sue creature, perché altrimenti cesserebbero di essere. Insomma non ha senso.
Tuttavia io, nel mio lavoro, ipotizzo che, in certe situazioni, Dio abbia avuto la necessità di "intervenire personalmente" perché io ritengo che, almeno in certi momenti della storia dell'universo, le cosiddette "leggi della fisica", che non sono affatto immutabili (nulla lo è) abbiano creato uno squilibrio tale da provocare lo sterminio di ogni forma di vita sulla Terra. In tali momenti Dio (o qualche cosa di molto vicino a Lui), ha trasferito la vita in un "luogo sicuro" fino a quando non si genera un nuovo equilibrio. Questi fenomeni, che secondo me sono verificabili geologicamente, sono ciclici, e a breve se ne verificherà un altro. A questo fa riferimento "la Fine dei Tempi", "Il Giorno del Giudizio" e anche la storia dell'Arca di Noé.
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Intendi la specie come planetaria e universale o c'è un passaggio intermedio localizzato nel territorio?
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Facciamo il caso di un gatto.
Il gatto è un essere vivente, e su questo nessuno discute.
Io tuttavia ritengo che tutti i felini (gatti, leoni, tigri, etc.) siano "parti del corpo" di un unico essere vivente, la sua specie , che in questo caso potrei chiamare "il Felino", il quale ha, come principale prerogativa (ma niente affatto unica), quella di spingere gli esseri individuali a riprodursi e operare il processo di procreazione nei ventri delle femmine di ciascuna specie tassonomica (io uso lo stesso termine che usano gli scienziati, ma con un significato leggermente diverso). Analogamente c'è un essere vivente che unisce tutti i fringuelli, un altro tutte le scimmie, e via discorrendo: tutte le popolazioni animali, vegetali e minerali (io raggruppo in questa denominazione batteri, funghi e tutti gli altri microorganismi) appartengono ad una specie.
Al di sopra di esso (la specie felina) c'è un essere vivente che "gestisce" tutti i mammiferi; tale essere ha come prerogativa di "costruire" gli elementi costitutivi dei mammiferi (zampe, peli, tutto insomma) differenziandoli nelle varie specie. Esso è il responsabile degli adattamenti di cui parla Darwin. Esso si chiama "classe" in generale, e ve ne sono altre 4 per gli animali, cioè quella degli uccelli, dei rettili, dei pesci e degli insetti. Vi sono classi anche per i vegetali e i microorganismi, esattamente come le specie.
Al di sopra dei mammiferi c'è il Regno Animale, che è quello che si occupa di evolvere le specie, come per esempio il passaggio dai rettili agli uccelli e dagli uccelli ai mammiferi (anche se non sono sicuro che i mammiferi derivino dagli uccelli; potrebbero derivare dai rettili o da una forma intermedia tra rettili e uccelli).
Io di Regni ne individuo altri 2, quello Vegetale e quello Minerale, che sono tutti esseri viventi, come lo sono le classi e le specie.
Al di sopra di tutti io credo esista un essere che si occupa di tutta la vita sulla Terra.
Tutti questi esseri convivono nel corpo di ogni essere individuale, con qualche conflitto.
Questa è la mia idea.
Nei post qui sopra ne ho riportato alcuni aspetti, tutti relativi all'idea che le specie siano esseri viventi, e nel primo post vi è un estratto della Teoria dell'evoluzione per simbiosi che io sostengo.
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Le tartarughe delle Galapagos piuttosto che i cani della Corsica hanno i requisiti relazionali sufficienti a farli considerare essere viventi secondo la tua definizione?
Il fatto di condividere un territorio può essere sufficiente a stabilire un legame di carattere superiore come per api e formiche oppure è ininfluente?
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Alcuni scienziati di altissimo livello come Fred Hoyle e Carl Sagan, per citarne due, ammisero che la vita su altri pianeti potrebbe benissimo basarsi sul silicio e non sul carbonio come la nostra, ovvero, potrebbe non essere di natura biologica, ma pur sempre di vita si tratterebbe. Ideuzza da non sottovalutare, se consideriamo che al concetto di "vita" non si è ancora riusciti a dare una definizione completa. Da sempre la scienza accantona o "dimentica" ciò che non spiega, come ad esempio la crescita di alcuni cristalli in ambienti privi di acqua, quasi a considerare un'intima energia di vita cristallizzata.
Parlando di energia si va a considerare tutto ciò che permea l'intero universo, comprese le sue infinintesimali particelle, robetta che non si disgiunge dai minerali, specie i cristalli di quarzo, di cui sono ben note le proprietà elettriche, sottoforma di triboelettricità, piroelettricità, piezoelettricità, verin e propri accumulatori di energia, che può scaricarsi nell'ambiente o con le opportune procedure, a scopi terapeutici per rimuovere blocchi energetici, che causano malattie.
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la mia idea di specie è un essere vivente che convive con l'essere individuale. Perciò dovunque sia l'essere individuale là vi è anche la specie. Perciò, in teoria, non è nessuna necessità di "requisiti relazionali" perché la specie operi nell'individuo. Tuttavia la realtà è più complessa. Innanzi tutto gli esseri individuali si accoppiano, e questo implica che la specie ha bisogno, per portare avanti il suo "programma di sopravvivenza", che le specie, almeno saltuariamente, si aggreghino. Molte specie lo fanno, e se ci pensi, dal punto di vista evolutivo non è del tutto chiaro perché lo facciano, soprattutto perché la loro aggregazione sembra abbastanza caotica. Vi sono specie solitarie per natura (più spesso i grandi carnivori lo sono), ma curiosamente le specie viventi amano la compagnia dei loro simili.
Io ho il sospetto che, quando un individuo acquisisce un tratto genetico che la specie considera vantaggioso, la specie cerca di "diffondere l'informazione". Spesso l'accoppiamento va benissimo come sistema, ma io penso che, quando il tratto genetico implica la modifica di un gene, la specie abbia dei sistemi più rapidi per "trasmettere l'informazione". Io ho la convinzione che questo sia lo scopo dei virus. Il fatto che diventino mortali è un "effetto collaterale", che magari alla specie non dispiace affatto, perché libera risorse consumate individui deboli geneticamente ma non fisicamente con altri forti geneticamente ma ancora cuccioli. Vi sono specie che usano i virus come arma; per esempio lo scoiattolo grigio (alieno) si impone nelle Isole britanniche perché portatore sano di un virus che uccide quello rosso (autoctono). Tuttavia ammetto che sulla questione "virus" non ho le idee del tutto chiare. Certamente non credo che siano lì per caso, dall'alba dei tempi, con lo scopo di farci fuori senza neanche una ragione perché non sono neanche vivi. Tieni presente che i virus sono altamente specifici, nel senso che attaccano solo alcune cellule e non altre, e non è vero che si limitano a riprodursi al loro interno, ma modificano il loro corredo cromosomico.
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nel io lavoro io considero tutti gli organismi unicellulari come appartenenti al regno minerale. Io ritengo che siano essi a dargli il requisito della vita. A quanto pare, sulla Terra, hanno continuato a trovare batteri e anche forme di vita più complesse a qualunque profondità scavassero. Certamente il loro numero si riduce e la loro attività rallenta, ma se pensi alle dimensioni della Terra, essi formano una massa biologica considerevole, che secondo me è in grado di rendere l'intera Terra "un essere vivente".
Per quanto riguarda l'idea di vita, dal punto di vista scientifico un essere è vivo se respira, si nutre e si riproduce. Io non credo che sia opportuno estendere la nozione di "essere vivente" al di là di questo, almeno dal punto di vista scientifico. Perciò, in tal senso, i minerali non sono esseri viventi
Tuttavia, se per "vivente" si intende "dotato di intelligenza", allora la questione cambia completamente. In tal caso vi sono esseri del mondo minerale che io considero sicuramente intelligenti, come le stelle e i pianeti (ma nulla vieta che ve ne siano altri, anzi!). Sicuramente essi manifestano la loro intelligenza con azioni molto lente, che si sviluppano in migliaia e magari milioni di anni, ma questo significa solo che hanno un senso del tempo diverso dal nostro. Anche gli angeli, che sono esseri privi di corpo, sono intelligenti, e quindi viventi in questa accezione ma non in senso scientifico.
Tuttavia, in un lavoro scientifico, cerco di evitare quanto possibile di usare termini in maniera ambigua. Purtroppo in alcuni casi non ne posso fare a meno: per esempio io uso il termine "specie" in un'accezione più estesa di quella degli scienziati, ma purtroppo io, quando ho iniziato a elaborare la teoria, ho usato quel termine e solo più tardi mi sono accorto che corrispondeva al concetto tassonomico di "famiglia". Inoltre io uso il termine "evoluzione" in un'accezione più restrittiva rispetto agli scienziati, ma in questo caso sono loro che hanno esteso abusivamente il significato etimologico del termine. Cerco però di limitarmi quanto possibile nel creare ambiguità.
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Per quanto riguarda l'idea di vita, dal punto di vista scientifico un essere è vivo se respira, si nutre e si riproduce. Io non credo che sia opportuno estendere la nozione di "essere vivente" al di là di questo, almeno dal punto di vista scientifico. Perciò, in tal senso, i minerali non sono esseri viventi..."
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Che la Terra sia un "essere", una forma di vita che calpestiamo tutti i giorni, viene ormai definita una realtà da molti, soprattutto da persone più sensibili di altre. Menzioni la scienza, ma non possiamo basarci solamente sulle sue "verità" troppo spesso smentite dai fatti. L'elenco su queste toppate è veramente lungo. I minerali, soprattutto i cristalli, evidenziano le particolarità di veri e propri "esseri viventi", basta osservarne le insolite mutazioni cristalline spiegate dalle discipline alternative, dalla crescita che si riscontra nei vari geodi di ametista o negli agglomerati di quarzo ialino. In breve, a mio parere s'intende, andrebbe considerato che il regno minerale, ricco com'è di energia, sia "vivo", sia pure NON sul piano biologico, ma su quello chimico-fisico, il che è pur sempre "vita". Gli antichi sapevano meglio di noi come utilizzare le forze sottili di pietre e cristalli, non dobbiamo dimenticare, ma considerare le emissioni energetiche dei cristalli, specialmente i quarzi, che ci hanno consentito di compiere tanti "miracoli" in elettronica.
Dicevo degli antichi che annettevano un'importanza rilevantissima, quasi vitale a gemme, cristalli e pietre dure, ed entravano a far parte di importanti riti religiosi, in quanto considerate doni delle divinità. Nel V. T. (Esodo 28) viene descritto il Pettorale del Giudizio, un pettorale quadrato con 12 pietre incastonate in oro e disposte su 4 file da 3. Le pietre descritte erano : sardonice, topazio, smeraldo, rubino, zaffiro, diamante, opale, crisolito, onice e berillo. Su ogni pietra era inciso il nome delle 12 tribù d'Israele. Questo è per far notare l'importanza che si attribuiva all'energia di questi minerali.
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In questo forum, io propugno l’idea che la specie sia un essere vivente. Tuttavia, non ho mai parlato espressamente del ruolo svolto dalla specie in ognuno dei suoi esemplari. In altre parole, non ho mai affrontato il tema di ciò che un individuo fa per propria volontà e ciò che fa per volontà della sua specie.
Cominciamo col dire che tutto ciò che fa un animale, nel senso che è un'azione che compie, non può che essere di sua volontà. Ho già detto che le specie intervengono in tutto ciò che riguarda il sesso, dall'estro, al corteggiamento, all'atto stesso e alle cure parentali. Tutte le azioni compiute dagli animali in quelle situazioni sono “ispirate” dalla specie, nel senso che la specie produce ormoni e probabilmente altre sostanze per costringere l'individuo ad agire in un certo modo. È come mangiare. Tutti noi decidiamo quando mangiare e cosa mangiare, ma è il nostro corpo che ci dice che abbiamo bisogno di cibo, e non possiamo proprio trascurare i segnali che ci dà perché sennò diventano sempre più insistenti e dolorosi. In questo caso, è il nostro corpo che ci costringe ad "agire". Qualcosa di simile accade in relazione al sesso, a parte il fatto che trascurarlo non ci uccide, e anche se può essere doloroso, non è impossibile resistere alla tentazione del sesso. Tuttavia, può influire sulla nostra salute mentale e quindi non è qualcosa che possiamo semplicemente ignorare. Tutti gli altri animali funzionano allo stesso modo. Essi possono, in teoria, resistere all'impulso di mangiare (e lo fanno anche, quando non si sentono al sicuro) e all'impulso del sesso, ma l'impulso diventa sempre più doloroso, costringendoli quindi progressivamente ad agire nel modo "ispirato" dalla specie.
Quando abbiamo fame, ho appena detto che “il nostro corpo ci dice che abbiamo bisogno di cibo”, ma cos’è che ce lo dice esattamente, provocando crampi che diventano più tanto dolorosi quanto più stiamo senza cibo? Gli scienziati direbbero "il cervello" e, a modo loro, potrebbero avere perfettamente ragione nel senso che il cervello produce le molecole che segnalano che il nostro corpo sta esaurendo le scorte di energia. Non si chiedono, però, chi dice al cervello di farlo. Se questo avviene di sua propria iniziativa, allora il nostro cervello deve avere una volontà sua propria, distinta dalla nostra volontà. Tuttavia, può darsi che il cervello non abbia una volontà propria, ma esegua la volontà di un certo numero di esseri, uno dei quali è la nostra anima individuale, mentre gli altri sono le creature che ci precedono nella catena degli esseri che ci collega al vertice della Vita. In particolare, la nostra specie, la nostra classe, il nostro regno. Tutti loro possono avere la capacità di operare nel nostro cervello per svolgere le loro funzioni. Ad essere onesti questo è un punto che mi rende confuso. In questo momento non posso essere sicuro che il cervello abbia una propria volontà (sembra di sì), o che agisca da interfaccia per tutte le volontà che operano nel nostro corpo (inclusa la nostra volontà individuale). Per questo motivo, non posso essere sicuro che avere fame sia un segnale dato autonomamente dal nostro cervello o da qualsiasi altro essere che agisce sul nostro corpo individuale, in particolare la nostra specie.
Io sono convinto che la specie sia direttamente coinvolta nello spingere gli animali a svolgere le attività connesse alla riproduzione, e anche nello sviluppo dei tratti sessuali. Tuttavia, l'evento che, secondo me, mostra davvero la sua presenza e il suo potere su di noi è il processo di procreazione. Si prega di notare che una donna, durante la gestazione, potrebbe anche non accorgersi di ciò che accade nel suo corpo fino a quando le modifiche anatomiche e fisiologiche non diventano evidenti (sebbene ci siano stati casi in cui una donna non ha "unito i puntini" e ha partorito un bambino con sua grande sorpresa!). Ciò indica chiaramente che la sua volontà non è affatto coinvolta e qualcos'altro interviene. Perché credo che sia (principalmente) la specie? Come ho detto in precedenza, la riproduzione non è qualcosa che aumenta le possibilità di sopravvivenza di un animale, come pure di una pianta o di un microrganismo. Per loro è solo uno spreco di risorse e spesso qualcosa per cui mettono a rischio la propria vita o semplicemente la perdono. Se consideriamo invece che esista un essere, che sopravvive finché ci sono esemplari viventi, possiamo facilmente indicarlo come l'essere interessato a riprodurre gli individui.
Come individui, sappiamo che vogliamo vivere e che non vogliamo morire. Gli animali non sono diversi da noi, a parte il fatto che non hanno un'idea complessa come la nostra della morte. Possiamo estendere lo stesso principio a qualsiasi altro essere vivente e dire con certezza che le specie vogliono vivere, non vogliono morire e vogliono fare ciò che è in loro potere per vivere il più possibile. Non solo, ma sono anche sicuro che a loro piaccia essere più “grossi” possibile, nel senso che più esemplari hanno meglio è (anche se alla lunga può essere controproducente), esattamente come a noi piace avere corpi imponenti. Non so esattamente come pensano le specie (ne parlerò però in un altro post), e in questo traggo una ragionevole deduzione basata sulla mia esperienza di essere vivente.
Da un altro punto di vista, la specie è l'incarnazione dell'archetipo di ogni singolo esemplare. Gli archetipi sono trattati nel mio libro e li introdurrò in futuro se avrò tempo. Qui posso dire che l'archetipo contiene la “forma” di una specie, ovvero il progetto completo. Gli archetipi sanno costruire un esemplare della specie corrispondente, nel senso che hanno tutte le istruzioni e sanno far funzionare tutti gli strumenti biochimici che i corpi offrono per costruirli. A mio avviso, il DNA è solo uno di questi strumenti e, sebbene sia importante, è solo una parte di un processo estremamente complesso che solo un profondo lavaggio del cervello può far credere che sia solo un "meccanismo", come una linea di produzione in una fabbrica completamente automatizzata che, tra l'altro, è un'innovazione tecnologica estremamente recente.
A mio avviso, la gestazione è un processo completamente in mano alla specie, dal momento in cui l'ovulo viene fecondato al momento in cui viene partorito il nascituro. In questo processo, l'individuo non ha alcun mezzo per intervenire. Può favorirla o intralciarla fino al punto d’interromperla, ma certamente non ci opera. Le possibilità che la scienza moderna in tempi molto recenti ci ha dato devono essere considerate una forma di interferenza, anche se, in alcuni casi, intervengono a riparare un difetto di processo. Trovo perfettamente logico, dal mio punto di vista, assegnare alla specie il “compito” di compiere la procreazione perché questo è il suo modo di sopravvivere, perché il singolo esemplare non è coinvolto attivamente, e perché il risultato della procreazione non è una copia di uno qualsiasi dei suoi genitori, ma un'altra manifestazione dell'archetipo. Tuttavia, non posso dire di essere sicuro che il responsabile non sia uno degli esseri al di sopra della specie. A questo punto del mio studio, non credo sia così importante. È più importante stabilire con sicurezza (o confutare...) l'esistenza delle specie (e degli esseri al di sopra di esse); poi possiamo dedicare del tempo ad ulteriori ricerche per definire il ruolo di ciascuno di essi.
Io trovo che un’analisi di certi aspetti della riproduzione possa fornire contributi interessanti al dibattito, e intendo parlarne nella prossima sezione. In teoria sarebbe meglio parlare degli aspetti relativi alla divisione degli esseri viventi in generi e di tutte le problematiche coinvolte con esso, come l’eccitazione sessuale, il corteggiamento e l’atto sessuale stesso. Tuttavia mi è capitato di sviluppare prima l’argomento della gestazione, per cui parto con quello.
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