La formula del latte è Vacca2O

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7 Anni 3 Settimane fa #10414 da doktorenko
Mi permetto di riportare la citazione nell`originale tedesco, con una mia traduzione:

"Die Anschauungen über Raum und Zeit, die ich Ihnen entwickeln möchte, sind auf experimentell-physikalischem Boden erwachsen. Darin liegt ihre Stärke. Ihre Tendenz ist eine radikale. Von Stund′ an sollen Raum für sich und Zeit für sich völlig zu Schatten herabsinken und nur noch eine Art Union der beiden soll Selbständigkeit bewahren."

"Le visioni di spazio e tempo che di seguito vorrei esporre sono portate a compimento partendo da una base empirico-fisica: la loro forza sta proprio in questo. L`esito e` drastico: d`ora in poi dovra` sprofondare completamente nell`oscurita` lo spazio di-per-se` e il tempo di-per-se`; unicamente una speciale unione tra i due dovra` mantenere autosussistenza."

Aggiungo un giudizio di E. su M.:

"Das Studium von Minkowski wuerde Dir nichts helfen. Seine Arbeiten sind unnuetz kompliziert."
"[Caro Besso], lo studio [delle opere originali] di M. non ti sarebbe di nessun aiuto: i suoi lavori sono inutilmente complicati."

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7 Anni 3 Settimane fa - 7 Anni 3 Settimane fa #10422 da Pavillion
Franzeta e dopo i... Pavillion: Purtroppo è morto poco dopo aver scritto il saggio da cui è tratta la citazione... già... è stato bastante a rendermelo vivo ,ma, non solo questo. Acquisterò quel saggio.
Ultima Modifica 7 Anni 3 Settimane fa da Pavillion. Motivo: Saggio

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7 Anni 3 Settimane fa #10424 da FranZeta

doktorenko ha scritto: Mi permetto di riportare la citazione nell`originale tedesco, con una mia traduzione...

Grazie per l'apporto, in effetti mi è sempre dispiaciuto non poter leggere gli originali in tedesco. Per esempio possiedo l'opera omnia di Riemann...in francese!

Aggiungo un giudizio di E. su M.:

"Das Studium von Minkowski wuerde Dir nichts helfen. Seine Arbeiten sind unnuetz kompliziert."
"[Caro Besso], lo studio [delle opere originali] di M. non ti sarebbe di nessun aiuto: i suoi lavori sono inutilmente complicati."


Non è chiaro a quali opere si riferisca, Minkowski ha dato anche importanti contributi nel campo della matematica pura, non credo che possa riferirsi al suo lavoro sulla relatività per il semplice motivo che non è per nulla complicato, anzi, è alla portata di chiunque abbia fatto le scuole superiori, saltando qualche formula magari. Inoltre la teoria di Minkowski risulta essere un caso particolare, e molto semplice, della relatività generale di Einstein, come dire: se avesse giudicato inutilmente complicata l'opera di Minkowski avrebbe dovuto avere un'idea molto peggiore della propria.

Pare d'altronde che Minkowski, che era stato insegnante di Einstein al Politecnico di Zurigo, una volta letto il suo famoso articolo del 1905 abbia detto:
"Non mi sarei mai aspettato una roba del genere da quello là..."

FranZη

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6 Anni 11 Mesi fa #10628 da FranZeta
La formula magica

Qualche commento addietro ho citato, anche forse un po' a sproposito, una certa formula magica. La definizione non è affatto mia, la prima volta che la incontrai fu al primo anno di università, negli appunti del prof. Philippe Ellia di Geometria I (testo vivamente sconsigliato a chi non voglia sostenere il relativo esame, che tra l'altro non esiste più essendo sopravvenuta la riforma universitaria), per la precisione a pagina 282, che rileggo con una punta di commozione a causa di un commento a matita lasciato da mio nonno, che non frequenta questo mondo ormai da molti anni...
...ma bando ai sentimentalismi, ecco il freddo estratto della dispensa universitaria:

Osservare la formula "magica" che collega i quattro numeri e, i, π e 1:

e=-1


Ora, volendo proprio essere pignoli, ai quattro numeri appena citati se ne potrebbe aggiungere un altro, per nulla ininfluente, riscrivendo la formula come segue:

e+1=0 ...................... (formula magica)

ed è proprio quest'ultima la forma che preferisco, e alla quale mi riferirò d'ora innanzi come *formula magica*. Cos'ha di magico? Beh, se non è ancora chiaro, lega in modo sorprendente i cinque numeri più importanti della matematica: che 0 e 1 siano piuttosto fondamentali credo non necessiti di ulteriori spiegazioni, π dovremmo sapere tutti che numero sia e come rappresenti una sorta di collegamento tra ciò che è retto e ciò che è curvo, o per essere più precisi come sia la soluzione della famosa "quadratura del cerchio". Nel commento già citato avevo introdotto il numero immaginario "i", ossia la radice quadrata di -1, e avevo accennato a come a partire da questo numero si definiscano i numeri complessi aventi forma z=x+iy, e in effetti la formula magica ha senso proprio nel campo dei numeri complessi. Resta da definire il numero "e", detto anche costante di Nepero. Iniziamo a vedere quali sono le prime cifre del suo sviluppo decimale:

e=2,718281828459...

Questo è uno di quei casi (si veda il primo post di questo thread) in cui i tre puntini sono fondamentali, dato che le cifre proseguono all'infinito senza alcuna periodicità. Inoltre, proprio come π, si tratta di un numero trascendente, cioè non è esprimibile usando radici, come invece è possibile per altri numeri il cui sviluppo decimale sia infinito non periodico (per esempio radice di 2, o la sezione aurea Φ). Per vedere da dove saltino fuori queste cifre bisogna prima introdurre un semplice concetto: quello di fattoriale. Dato un numero naturale n, il fattoriale di n, indicato con "n!", è il prodotto di tutti i numeri naturali da 1 a n:

n!=1*2*3*...*(n-1)*n

Se n=0 si pone per definizione 0!=1 (!!! Il perchè di questa "strana" convenzione sarà chiarito presto). Il fattoriale di n ha una interpretazione pratica immediata: è il numero di tutte le permutazioni di n oggetti, per esempio con tre oggetti abbiamo le sei permutazioni:

123 132 213 231 312 321

e in effetti 3!=1*2*3=6. Ora che abbiamo a disposizione il concetto di fattoriale ecco come si definisce il numero "e":

e=ΣN 1/n!

dove ΣN indica la sommatoria da 0 a ∞ (cioè sull'insieme dei numeri naturali N), quindi scrivendo per esteso alcuni termini:

e=1+1+1/2+1/6+1/24+1/120+...

ed ecco quindi perchè si pone 0!=1, che è il primo termine della sommatoria.

Il numero "e" è di importanza capitale in molti ambiti matematici, non solo perchè è la base della funzione esponenziale e della sua inversa, il logaritmo naturale , ma anche per tutta una serie di proprietà che non possiamo trattare qui. Così come d'altronde gli altri quattro numeri della formula magica, la quale in sostanza ci dice che se eleviamo "e" alla "iπ" e aggiungiamo 1 otteniamo 0...voglio dire, se non è magia questa...

...pensiamo solo al fatto dell'elevamento a potenza: elevare un numero alla "n" significa moltiplicare quel numero per sè stesso n volte, ma se n non è un numero naturale come si fa? Se n è un numero intero negativo ce la caviamo abbastanza facilmente: a-n=1/an, riusciamo a svangarla anche se l'esponente è un numero razionale m/n: am/n è uguale alla radice n-esima di am, ma se l'esponente è un qualunque numero reale non possiamo più inventarci escamotage. E infatti nel caso generale si usa appunto la funzione esponenziale, dalla quale tra l'altro derivano le proprietà che permettono le generalizzazioni ad esponenti razionali appena descritte. Ma nella formula magica compare anche la fatidica "i", quindi l'elevamento a potenza riguarda un esponente immaginario!!!

Come accidenti si fa? Nel solito modo! Generalizzando in modo naturale una regola già nota in un caso particolare. Nel nostro caso partiamo dalla definizione di funzione esponenziale:

exN xn/n!

(si noti come per x=1 si ottenga la definizione del numero "e" data sopra, cioè e1=e, cosa buona e giusta)
Ora se vogliamo dare un senso agli esponenti immaginari prendiamo la formula sopra e al posto del generico numero reale x ci mettiamo dentro il generico numero complesso z=x+iy:

ezN zn/n!

Cala il silenzio e inizia a sentirsi il ronzio di un tarlo nella testa di chi sta leggendo, lo so, e pian piano si fa chiara l'esclamazione...

...ma che cagata!!!

Questo momento è ormai un classico del thread, non riuscirei più a rinunciarci. Sì, è vero, sembra una cagata, ma in realtà è un salto concettuale di una profondità tale che solo la messe pressochè infinita di risultati utili e sorprendenti che comporta ha fatto sì che sia accettato da tutti senza compromessi. Ecco ad esempio come sono legate le funzioni trigonometriche con l'esponenziale, se accettiamo il balzo di cui sopra:

eiz=cos z + i sin z

Non esiste nulla di vagamente simile nel campo dei numeri reali, relazioni di questo tipo si esplicano solo tuffandosi nei numeri complessi. Facendo un balzo all'indietro rispetto al precedente possiamo riscrivere la relazione qui sopra nel caso particolare in cui z=x (cioè y=0 e z diventa un numero reale):

eix=cos x + i sin x ...........................(formula magica generalizzata)

e a questo punto basta prendere il valore particolare x=π per ottenere la nostra formula magica, dato che cos π=-1 e sin π=0. Se ci fossero ancora dubbi che trattasi di vera magia, ecco al volo un altro colpo di bacchetta: poniamo x=α+β e sostituiamolo nella formula sopra:

ei(α+β)=cos (α+β) + i sin (α+β)

ora usando le proprietà della funzione esponenziale quest'ultima è equivalente a:

ee=cos (α+β) + i sin (α+β)

a sua volta equivalente, sfruttando la formula magica generalizzata relativa a e ed e, a:

(cos α + i sin α)(cos β + i sin β)=cos (α+β) + i sin (α+β)

svolgendo il prodotto delle parentesi:

(cos α)(cos β)-(sin α)(sin β)+i(cos α)(sin β)+i(sin α)(cos β)=cos (α+β) + i sin (α+β)

e infine, uguagliando i termini senza "i" a sinistra e destra dell'uguale, e facendo lo stesso con quelli con la "i", otteniamo le due formule:

cos (α+β)=(cos α)(cos β)-(sin α)(sin β)
sin (α+β)=(cos α)(sin β)+(sin α)(cos β)

che chi ha studiato trigonometria alle superiori è stato costretto ad imparare a memoria, eventualmente insieme ad una noiosa dimostrazione geometrica. Noi invece abbiamo usato solo una proprietà della funzione esponenziale e un po' di algebra spicciola. E la formula magica, of course.

FranZη

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6 Anni 11 Mesi fa #10629 da Pavillion
Si dovrebbe pure ammettere che quando Costanza è costante ... vi deve essere qualcosa di diabolico in lei.
Trovo che i tuoi numeri siano come le note poste sulla scala di violino, da l'idea di chissà che rivolgendosi al sottostante pentagramma, non lo capirò mai fin quando non lo si inizi a suonarlo, così armato di santa attitudine ti attendo, so che lo suonerai.

Ho copiato le tue "trascendenti" reminescenze, non capirò i numeri, non li capirò mai fin quando non li si inizi a leggerli nelle note che essi lasciano.

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6 Anni 11 Mesi fa #10635 da FranZeta

Pavillion ha scritto: non lo capirò mai fin quando non lo si inizi a suonarlo, così armato di santa attitudine ti attendo, so che lo suonerai.

Eh beh l'attitudine aiuta, ma scrivere di proprio pugno qualche passaggio aiuta ancora di più. Se sei interessato all'argomento ti consiglierei per esempio di rifare per conto tuo l'ultimo calcolo che ho postato, magari sbirciando ogni tanto se necessario. Buona comunque la metafora musicale, io ne aggiungerei una culinaria: un conto è imparare le ricette a memoria, altro conto è mettersi ai fornelli e realizzarle, magari non proprio perfettamente, però insomma, ci si prova.

FranZη

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6 Anni 11 Mesi fa #10637 da Pavillion
Penso di aver già fornito la spiegazione. Il matematico sei tu, i tuoi "pensieri in libertà" la insegnano, ti ringrazio di questo. Lo si può notare dall'aver utilizzato, come citazione, la chiave di violino e non la magica formula dei numeri.

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6 Anni 11 Mesi fa #10658 da FranZeta
Ancora un altro infinito: ai confini del piano e oltre

Si è già parlato, nel post infiniti infiniti , del concetto di infinito in relazione ai numeri, o più precisamente rispetto alla cardinalità degli insiemi. Già in quella circostanza abbiamo constatato come ammettere che esista almeno un insieme infinito comporta che esista un'infinità di insiemi infiniti, ciascuno "più grande" dell'altro. Lungi dall'aver esaurito le declinazioni matematiche del termine "infinito" ecco che ne propongo un'altra, questa volta di natura geometrica. Ci avvieremo verso l'infinito non più spingendoci alla ricerca di numeri esageratamente grandi, ma muovendoci verso i confini del piano cartesiano, o euclideo, che però se permettete da matematico preferisco chiamare R2.

Ora, che il piano euclideo non abbia limiti è cosa piuttosto nota, nessuno ci vieta di prolungare una retta fin dove vogliamo, tanto per dirne una, ma una delle conseguenze sorprendenti della nostra precedente incursione nell'infinito è che l'intera retta dei numeri reali contiene tanti punti quanti un qualunque intervallo aperto di numeri su di essa. Esprimendo la cosa nei termini più corretti la retta può essere messa in relazione biunivoca con un suo intervallo finito. Non solo, e questo non ve l'avevo ancora detto, fra le tante relazioni biunivoche che potremmo trovare ce ne sono anche alcune continue, cosa che in ambito geometrico ha conseguenze rilevanti: in sostanza ci permette di dire che un intervallo limitato, per esempio (-1,1), può essere considerato come un modello geometrico fedele dell'intera retta. Motivare tecnicamente questa affermazione richiederebbe un'introduzione alla topologia che in questa sede non ha molto senso, quindi prendetela per buona così come è.

Se l'intervallo (-1,1) può essere preso a modello della retta, allora il quadrato (-1,1)x(-1,1) si presta a modello dell'intero piano cartesiano ("x" indica qui il prodotto cartesiano, si tratta in questo caso del quadrato avente vertici nei quattro punti (±1,±1)). Quindi "l'infinità" del piano R2 sta tutta in una scatola quadrata di lato 2!!! La cosa, a prima vista sorprendente, giustifica il fatto che nelle questioni geometriche più che alla contrapposizione finito/infinito ci si riferisca a quella, più tecnica, di compatto /non compatto, anche se una volta chiarito il contesto i termini possono essere considerati pressochè sinonimi. Comunque torniamo alla nostra scatola quadrata che contiene l'intero piano, cosa possiamo dire dei suoi confini?

Che non ci sono!

Fate attenzione, usare le parentesi tonde per gli intervalli significa che stiamo escludendo gli estremi (per includerli si usano le parentesi quadre), quindi il nostro quadrato è privo del bordo. La cosa è fondamentale perchè attaccandogli il bordo non avremmo più un modello di R2, in particolare avremmo uno spazio compatto (= finito). Altro paradosso: uno spazio "più piccolo" -il quadrato senza bordo- è equivalente a uno spazio infinito, mentre aggiungendogli il bordo otteniamo uno spazio inevitabilmente finito! Capisco che messa giù così la questione può sembrare logicamente consistente come la trama di Alice nel paese delle meraviglie, però di fronte a delle conseguenze concrete forse cambierete idea.

Torniamo un momento al nostro piano cartesiano. Si sa che un'equazione nelle variabili x e y rappresenta un luogo geometrico (eventualmente vuoto) nel piano: per esempio y=0 e x=0 sono le equazioni che definiscono rispettivamente l'asse x e l'asse y, oppure x2+y2=1 è la circonferenza unitaria centrata nell'origine. O ancora la seguente equazione:

y2=x3+ax+b

rappresenta una generica curva ellittica . Adesso serve un trucchetto algebrico. L'equazione sopra è di terzo grado non omogenea, cioè c'è un temine di terzo grado e altri di grado inferiore, trasformiamola in un'equazione omogenea nel modo seguente: innanzitutto riscriviamo le vecchie incognite x e y in maiuscolo, per non confonderci in seguito, e poi moltiplichiamo tutti i termini che non hanno grado 3 per la nuova incognita T elevata all'esponente opportuno in modo che tutti i termini risultino di grado 3, si fa prima a fare che a spiegare:

Y2T=X3+aXT2+bT3

ecco, questa è la nuova equazione, l'operazione di riscrittura appena fatta prende il nome di omogeneizzazione e la sua utilità sarà chiara fra breve. Si noti subito che, se poniamo T ǂ 0, le vecchie incognite sono legate alle nuove dalle semplici relazioni:

x=X/T
y=Y/T

e come appare chiaro più T diventa piccolo più x e y diventano grandi. E quando T=0? Beh, x e y diventano infinite! Il trucchetto dell'omogeneizzazione serve a catturare il comportamento all'infinito dei luoghi geometrici del piano euclideo. Finchè T è diverso da zero possiamo ricondurci alle equazioni classiche in virtù delle relazioni sopra, quando T=0 basta sostituire nell'equazione omogenea e vedere cosa succede, nel nostro caso si ottiene:

Y2*0=X3+aX*02+b*03

---> X3=0
---> X=0

che ci dice che la curva ellittica interseca l'infinito in un punto di ascissa zero. Tutto ciò trova una interpretazione rigorosa all'interno dello spazio geometrico noto come piano proiettivo , che consiste in un normale piano euclideo al quale abbiamo aggiunto una circonferenza di raggio infinito, i cosiddetti "punti all'infinito". Per dirla tutta questa circonferenza non è proprio canonica, al di là del raggio infinito ha anche l'ulteriore proprietà che due punti antipodali sono da considerarsi lo stesso punto, e in effetti è topologicamente uguale a una circonferenza ma geometricamente bisogna parlare di retta proiettiva. In ogni caso, usando le nostre coordinate omogenee X, Y e T, l'equazione di tale retta, cioè "l'equazione dell'infinito", è semplicemente T=0, nè più e nè meno come le equazioni degli assi cartesiani classici visti sopra.

Solo un piccolo appunto sul funzionamento delle coordinate omogenee e poi passiamo alla parte magica, che non manca certo. A differenza delle coordinate cartesiane (x,y) le coordinate omogenee non sono univocamente determinate, ma la terna (X,Y,T) può essere moltiplicata per un qualunque fattore diverso da zero e continuerà comunque a indicare lo stesso punto del piano proiettivo, si usa quindi una notazione diversa per indicarla e al posto della virgola si mettono i due punti: (X:Y:T) (esistono anche altre notazioni equivalenti). Inoltre (0:0:0) non rappresenta alcun punto del piano proiettivo. Per esempio (1:2:3) e (π:2π:3π) sono le coordinate dello stesso punto, mentre i punti all'infinito hanno coordinate (X:Y:0) senza però che X e Y possano essere contemporaneamente zero. Nel caso di prima avevamo trovato che l'intersezione fra la curva ellittica e la retta all'infinito aveva ascissa zero, cioè era del tipo (0:Y:0) con Y indeterminato (ma necessariamente diverso da zero), ma dato che moltiplicando le coordinate omogenee per un fattore diverso da zero otteniamo sempre lo stesso punto, possiamo scrivere (0:Y:0)=Y*(0:1:0)=(0:1:0) e l'ultima uguaglianza ci dà le esatte coordinate dell'intersezione fra la curva e l'infinito. E scusate se è poco!

Veniamo dunque ad una applicazione pratica di tanta teoria: le coniche. Le coniche sono la circonferenza, caso particolare delle ellissi, le iperboli e le parabole. Ci sono poi le coniche degeneri, ossia le coppie di rette e le "rette doppie" (sono le normali rette la cui equazione è stata elevata al quadrato, per esempio y2=0 nel caso dell'asse delle x). In generale una conica è il luogo geometrico di un'equazione di secondo grado nelle incognite x e y. Chi ha fatto geometria analitica alle superiori forse se le ricorderà, magari non proprio con piacere, per via dell'armamentario di formule ad esse legate. Bene, nel piano proiettivo esistono solo due tipi di coniche: le coniche degeneri e quelle non degeneri, e la cosa è una semplificazione non da poco. Sto dicendovi che ellissi, iperboli e parabole sono la stessa cosa, e possono essere tutte ricondotte alla circonferenza unitaria x2+y2=1.

Ecco come si fa. Bisogna solo tenere a mente che, così come nel piano cartesiano nessuno ci vieta di utilizzare nuove incognite x',y' che siano legate a quelle vecchie da opportune trasformazioni, lo stesso vale nel proiettivo. A seconda dell'ambito possono essere usate trasformazioni differenti come le traslazioni, le rotazioni, le isometrie (= traslazioni+rotazioni+riflessioni) eccetera, nel caso più generale si parla di trasformazioni affini per lo spazio euclideo e trasformazioni proiettive nello spazio proiettivo. Queste ultime ci consentono di trasformare qualunque retta nella retta speciale che rappresenta l'infinito del piano cartesiano, dato che effettivamente questa retta è speciale solo in ambito euclideo, mentre in quello proiettivo di speciale non ha nulla (così come le incognite x e y sono sostanzialmente interscambiabili, lo stesso vale per X, Y e T). Partiamo dunque da una rappresentazione della circonferenza unitaria e della retta all'infinito T=0:



Questa situazione è sostanzialmente la stessa sia che la vediamo nel piano euclideo, sia nel proiettivo, l'unica discriminante è che la retta all'infinito sarebbe fuori dalla nostra visuale nel piano cartesiano.
Se ora spostiamo la retta all'infinito fino a farla coincidere con la retta y=1 (Y=T in coordinate omogenee) otteniamo, nel piano proiettivo, questo:



che corrisponde nel piano cartesiano a questa curva:



...una parabola!

Spostiamo ancora la retta all'infinito e facciamola coincidere con l'asse delle x:



la corrispondente situazione in R2 è questa:



...toh, un'iperbole!

Ovviamente mi sono guardato bene dal riportare i passaggi algebrici che giustificano le figure qui sopra, ma intuitivamente il concetto è molto semplice: la linea rossa è l'infinito e la blu la curva, ogni punto di contatto fra le due rappresenta nient'altro che un punto all'infinito della conica. Come promesso siamo giunti a toccare l'infinito (geometrico) e siamo andati pure oltre!

FranZη

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6 Anni 10 Mesi fa - 6 Anni 10 Mesi fa #10948 da FranZeta
Mi è uscito π alla roulette

Nel documentario La macchina venuta dal futuro, recentemente pubblicato in home, ho trovato un passaggio che mi ha incuriosito. Anticipo subito che non intendo affrontare la questione specifica della macchina, ma solo una piccola curiosità matematica che si trova in questo passaggio. A parlare è un anonimo matematico/informatico svizzero che dice di aver analizzato una lista di numeri (116000 dice), legati alla misteriosa macchina protagonista del video. Prosegue dicendo di aver analizzato questi numeri usando una formula di E. Fermi legata al metodo cosidetto "Montecarlo" (metodo di cui parliamo fra breve), e di aver trovato un risultato stupefacente. Infatti, sempre stando a quello che ci dice, mentre per una serie di numeri casuali la formula dovrebbe restituire un valore vicino a π (in realtà letteralmente dice "3 e 14"), con la lista di numeri in suo possesso otteneva sorprendentemente il numero "e" (sempre letteralmente parla di "2 e 71", cosa che mi induce a pensare che sia più informatico che matematico, perchè, volendolo arrotondare, il numero "e" sarebbe 2,72: le sue prime cifre sono 2,718281828459...).

Ammetto di non sapere a quale formula specifica si stesse riferendo, però avendo parlato di metodo Montecarlo posso provare a ricostruire il discorso matematico sottostante. Innanzitutto con "Montecarlo" ci si riferisce ad una tipologia di risoluzione empirico-probabilistica di problemi matematici altrimenti troppo complicati o troppo laboriosi da risolvere. Tutto parte dall' ago di Buffon , che non è il portiere della Juve e della Nazionale, ma lo scienziato francese del '700. Il problema è questo: lasciamo cadere un ago di lunghezza "l" su un pavimento fatto a strisce, ciascuna di larghezza "t" (rubo l'immagine a wikipedia):



Qual è la probabilità che l'ago cada a cavallo fra due di queste strisce (situazione "a")? Se t > l, cioè le strisce sono più larghe dell'ago, risulta che la probabilità cercata è:

p=2l/πt

ed è quindi legata, oltre ovviamente ai due parametri l e t, anche a π. Ma invertendo la formula qui sopra possiamo anche ottenere:

π=2l/pt

...cioè possiamo calcolare il valore di π lanciando un ago per terra! A livello pratico si farebbe così: inizio a lanciare l'ago sul pavimento a strisce, tenendo conto del numero dei lanci e del numero di volte che l'ago cade a cavallo di due strisce, se indico con n il numero totale dei lanci e con m il numero di quelli andati a buon fine, la probabilità cercata sarà il rapporto m/n. In realtà la probabilità p è il limite per n che tende a infinito di questo rapporto, però se faccio un numero sufficientemente grande di prove otterrò una buona approssimazione di π. Questo è sostanzialmente un calcolo di π usando il metodo Montecarlo (in riferimento al noto casinò e all'aleatorietà del procedimento).

Altro modo per calcolare π con un metodo Montecarlo: dalla formula dell'area del cerchio A=πr2, se poniamo r=1, abbiamo che il rapporto tra l'area del cerchio unitario e quella del quadrato unitario è proprio π. Oppure equivalentemente che l'area del primo quadrante del cerchio unitario è π/4 (è un quarto di cerchio), questo significa che se pensiamo al quadrato unitario come un bersaglio su cui spariamo numeri casuali, il numero di quelli che cadono all'interno del quadrante rispetto al totale tenderà ad approssimare π/4 tanto meglio quanti più "spari" facciamo. Una figura aiuterà a capire meglio:



Qui ho sparato cento coppie di numeri a caso (coppie perchè servono due coordinate per individuare un punto nel quadrato), di queste 86 sono cadute dentro al quadrante del cerchio, quindi la stima risultante di π che otteniamo è 4*86/100=3,44. Si, non è un granchè, ma se aumentassimo il numero di punti casuali ci avvicineremmo sempre più al fatidico 3,14...(coi tre puntini!!!).

Tornando al nostro informatico e alla sua lista di 116000 numeri, mi verrebbe da supporre che la formula di cui parla, quella che dovrebbe restituire π qualora si inseriscano numeri casuali, sia una qualche variante dell'esempio precedente per la stima di π tramite bersaglio e "fucile" numerico. Non avendo altre informazioni, nemmeno sul tipo di numeri con cui aveva a che fare, in quanto segue non potrò far altro che tirare ad indovinare. L'unica certezza è che invece di π ha ottenuto il numero "e", cosa che suggerisce che non si tratta di una lista di numeri casuali. Ma prima di tutto dovremmo capire come si potrebbe usare una lista di numeri casuali per ottenerne dei punti casuali nel quadrato unitario, ossia nell'intervallo [0,1]x[0,1], dato che questi punti casuali potrebbero a priori essere distribuiti da -infinito a + infinito. Supponiamo per semplicità che la lista contenga solo numeri positivi (se così non fosse potremmo semplicemente ignorare il segno meno), supponiamo anche che non ci siano altre limitazioni: abbiamo dei numeri positivi in virgola mobile con un certo numero di cifre. Per intenderci sono i numeri che potete visualizzare su una calcolatrice.

Per ottenere dei numeri compresi fra 0 e 1, che è quello che serve a noi, potremmo senza tante storie mettere uno "0," davanti alle cifre del numero (eliminando ovviamente l'eventuale virgola già presente). Ma non sarebbe una buona soluzione perchè in questo modo scarteremmo artificialmente tutti i numeri del tipo "0,0xxxx", dato che nessun numero comincia per "0". Potremmo fare una piccola deroga alla regola qui sopra: mettiamo "0," davanti alle cifre a meno che il numero non sia già del tipo 0,0xxxx ma, credo lo abbiate già intuito, sarebbe un misero palliativo poichè la probabilità che un numero casuale tra 0 e infinito sia di questo tipo è praticamente zero. Faccio notare che se la nostra lista contenesse solo numeri naturali, cioè senza virgola, un modo veloce e pratico per ottenerne una lista di punti casuali nel quadrato unitario sarebbe quello di mettere uno "0," davanti alle cifre del numero scritte al contrario, poi basterebbe organizzare questi numeri in coppie e avremmo la nostra lista casuale di punti del quadrato unitario. 58000 punti, per la precisione, che in caso di numeri realmente casuali sarebbero più che sufficienti per approssimare almeno le prime due cifre di π.

Come ho già detto non ho la minima idea di quale procedimento Montecarlo abbia applicato l'anonimo informatico, però prima di concludere vorrei mostrare quale sarebbe il risultato del metodo sopra esposto se "sbagliassimo di brutto" mettendo semplicemente uno "0," davanti alle cifre del numero, cosa che comporta l'esclusione dal bersaglio di due striscioline di spessore 0,1 in basso e alla sinistra del quadrato:



Come si può ben vedere escluderemmo 16 dei 100 punti casuali sparati in precedenza, ottenedo la nuova stima 4*70/86=3.33. Solo che stavolta non stiamo più stimando π, che richiederebbe numeri casuali su tutto il quadrato, ma il numero 2,84...*(sempre coi tre puntini!). Ecco che allora potrebbe esserci una spiegazione abbastanza semplice del perchè invece di π saltava fuori "e" (2,84 è certamente più vicino a 2.718 che a 3,14 e stavolta non metto i puntini perchè sto parlando di approssimazioni). Resterebbe comunque un'anomalia nell'ordine del 3,7% che su un campione di 58000 punti è piuttosto alta, si potrebbe però spiegare ipotizzando che ci sia una certa percentuale di numeri simili o che differiscono solo per l'ordine di grandezza, così che invece di essere distribuiti casualmente nel quadrato -privato delle due striscioline- ci sia una certa tendenza ad addensarsi sulla diagonale.

*La formula da cui ricavo 2.84... è la seguente:

(π-4*(arcsin(0.1)+cos(0.1)/10+0.01))/0.81

EDIT: Mi sono accorto di aver usato a volte la virgola e a volte il punto prima delle cifre decimali, il fatto è che normalmente userei il punto, ma per chiarezza avevo pensato di usare la virgola in questo post. Il risultato è che ho usato un po' entrambi, spero di non aver confuso nessuno.

FranZη
Ultima Modifica 6 Anni 10 Mesi fa da FranZeta.

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6 Anni 10 Mesi fa #10955 da gino sighicelli
Citazione “Nota a margine alla nota a margine: di Odifreddi poi magari ne parleremo un giorno...”

Non è ancora venuta l'ora di parlarne? (non vedo l'ora (anche a me non sta simpatico))

Altrimenti, se ancora tu non ne avessi voglia (se non ti sentissi ancora pronto? (è corretto l'uso che sto facendo di “sentissi”? - mi sta mettendo in difficoltà) ... in alternativa propongo discussione sui due tipi di probabilità: dall'alto verso il basso (deduttiva (razionale)) e dal basso verso l'alto (induttiva (empirica)). A mio parere, oltre ad essere importante - la nostra possibilità di ben distinguere (e discernere) le due probabilità - ancora più importante è forse consapevolezza del fatto che la probabilità induttiva a tutt'oggi normalmente (in molte circostanze) viene male interpretata. In tal senso credo sarai d'accordo con me, avendo io già constato (leggendoti) che come me anche tu nutri sentimento di rispetto e stima per l'opinione che fu di Bertrand Russell.


avessi saputo che in LC esistono forum su argomenti specifici e che già ne esisteva uno aperto e in corso sulla matematica, non sarei andato OT (in altre occasioni (nei primi giorni della mia frequentazione di LC (quando ancora in LC fui totalmente novizio)))

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6 Anni 10 Mesi fa #10956 da FranZeta
Direi che per rispondere è meglio cominciare dalla fine:

gino sighicelli ha scritto: avessi saputo che in LC esistono forum su argomenti specifici e che già ne esisteva uno aperto e in corso sulla matematica, non sarei andato OT (in altre occasioni (nei primi giorni della mia frequentazione di LC (quando ancora in LC fui totalmente novizio)))

La sezione "Forum" del sito è libera e funziona grossomodo così: chiunque può aprire un proprio forum posizionandolo nella categoria che ritiene più opportuna e spiegando la tematica che intende trattare con un post introduttivo. A quel punto ogni utente può intervenire e chi ha aperto il thread si assume la responsabilità della moderazione, entro certi limiti oltre i quali può intervenire @Redazione. Questo in generale.

Per quanto riguarda questo thread, da me aperto, noterai che è inserito nella categoria "cose frivole" poichè, per quanto ritenga la matematica un argomento serissimo, in questo spazio cerco di parlare di aspetti particolari in modo piuttosto scherzoso, con la pretesa di rendere la lettura accessibile a chiunque, o almeno ci si prova. Tranne una parentesi di alcuni scambi con @kamiokande su una questione tecnica, che per non aprire una discussione apposita abbiamo fatto qui, preferisco mantenere intatto lo spirito iniziale del forum. Detto questo, posso rispondere al resto:

Non è ancora venuta l'ora di parlarne? (non vedo l'ora (anche a me non sta simpatico))

Per ora non ho voglia di scrivere un post dedicato a Odifreddi, comunque possiamo portarci avanti con questi due link, in linea con lo spirito del thread già spiegato:
Odd Odifreddi (Uriel Fanelli su Odifreddi)
Piergiorgio Odifreddi (pagina di nonciclopedia)

in alternativa propongo discussione sui due tipi di probabilità: dall'alto verso il basso (deduttiva (razionale)) e dal basso verso l'alto (induttiva (empirica)).

Immagino ti stia riferendo all'inferenza bayesiana rispetto a quella classica. Ecco, questo è un esempio di argomento che preferisco evitare in questo thread, perchè si risolverebbe in una disquisizione epistemologica tutt'altro che "frivola". Puoi affrontarlo in un tuo forum però. Brevissimamente, e ricollegandomi a quanto detto nel post precedente sulle probabilità, la probabilità astratta matematica è solo frequentista, classica, dato che non c'è alcun problema ad analizzare un campione infinito, purchè si resti in ambito astratto. L'inferenza bayesiana ha un ambito statistico, è legata cioè allo studio di fenomeni reali ( e per lo più complessi), quindi non ha molto a che fare col mio post precedente. Per esempio se la lista di numeri di cui si parlava fosse ricavata da dati casuali ma reali, avrei dovuto fare un discorso del tutto diverso tenendo conto della legge di Benford (e questo potrebbe essere un altro futuro argomento del thread).

FranZη
I seguenti utenti hanno detto grazie : gino sighicelli

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6 Anni 9 Mesi fa - 6 Anni 9 Mesi fa #11304 da FranZeta
TT VS TC

In uno dei primi interventi di questo thread si parlava di lotterie, avevo inserito in uno spoiler la dimostrazione del fatto che il numero medio di estrazioni in una lotteria per ottenerne due consecutive identiche è uguale al numero delle combinazioni più uno. Avendo copiato pari pari da un'altra discussione, a un certo punto nello spoiler compariva un'affermazione che poteva apparire enigmatica (la riporto già tradotta):

Così se p=q=1/2 e k=2 otteniamo il numero medio di lanci per ottenere TT: 4*2-2=6

Credo che valga la pena spiegare un po' meglio a cosa mi riferissi, dato che è una curiosità che a suo tempo mi aveva dato parecchio da pensare. Sto parlando del lancio di una moneta. Come noto la probabilità di ottenere testa (T) è p=1/2, almeno nel caso ideale di moneta equa, così come ovviamente anche la probabilità di ottenere croce (C). Questo in un singolo lancio. Se lanciamo la moneta due volte abbiamo le quattro possibilità TT CC TC CT, ognuna con probabilità 1/4. Ma se ci chiediamo quanti lanci in media bisogna fare per ottenere due volte consecutive T le cose si fanno interessanti, infatti come anticipato dalla citazione servono sei lanci. La cosa sorprendente non è tanto questa, ma il fatto che per ottenere invece la sequenza TC bastano mediamente quattro lanci, sebbene TT e TC abbiano la stessa probabilità di uscita (attenzione, con TC si intende la sequenza ordinata e quindi distinta da CT).

Per quelli che stanno già pensando "esticazzi non ce li mettiamo?" un avvertimento: le cose non sono così banali come potrebbero esservi sembrate. Innanzitutto si sta parlando di un numero che, sebbene nella realtà si possa ottenere solo lanciando infinite volte una moneta ideale (quindi in effetti nella realtà non può esistere), può però essere calcolato esattamente, e lo faremo tra breve, ma c'è di più: ogni esperimento reale, per quanto intrinsecamente limitato, tenderà tanto più a questo numero quante più prove facciamo. Sto dicendo che se iniziamo a lanciare una moneta, quando otteniamo TT ci fermiamo e segniamo quanti lanci abbiamo fatto, ripetiamo il tutto più e più volte e infine facciamo la media di tutti i numeri che abbiamo annotato, il risultato sarà tanto più vicino a 6 quante più prove abbiamo ripetuto.

Altra cosa da sottolineare: non sto dicendo che se scommettete con qualcuno che in 5 lanci non riuscirà a fare uscire TT avete più probabilità di vincere, perchè in effetti è il contrario. Ecco le possibili sequenze di quattro lanci:
Code:
TTTT TTTC TTCT TCTT CTTT TTCC CCTT TCCT CTTC TCTC CTCT CCCT CCTC CTCC TCCC CCCC

(NOTA A MARGINE: le sequenze distinte di n lanci di moneta sono in numero di 2n, mentre le sottosequenze contenenti 0,1,...,k "teste" - o "croci" è lo stesso - sono date dai coefficienti binomiali C(n;k). Questi ultimi, che si possono calcolare tramite formula o col cosiddetto "triangolo di Tartaglia"*, sono i coefficienti che compaiono nell'espansione del binomio (x+y)n=xn+nxn-1y+...+C(n;k)xn-kyk+...+yn. Nel caso qui sopra, essendo n=4, si ottengono i coefficienti del binomio di quarto grado: (x+y)4=x4+4x3y+6x2y2+4xy3+y4)

Se contate quante sequenze fra le sedici totali contengono la sequenza TT vedrete che sono esattamente la metà, quindi c'è una probabilità p=1/2 che dopo quattro lanci sia uscita testa due volte consecutive, e se scommettete su un numero di lanci superiore perderete. Vabbeh, magari vincerete per un breve periodo, ma nel medio state certi che perderete (nel lungo periodo invece siamo tutti morti). La scommessa equa fra due giocatori sarebbe questa: se ci vogliono sei lanci per ottenere TT il gioco finisce pari, altrimenti uno dei due paga un euro per ogni lancio in meno e l'altro per ogni lancio in più che serve per avere TT. Detto per inciso sulle 64 possibili sequenze di sei lanci sono solo 14 quelle che non contengono TT, quindi in media dovrà pagare più spesso il giocatore che punta al rialzo, ma questo può potenzialmente vincere qualsiasi cifra mentre chi punta al ribasso può al massimo vincere 4 euro alla volta.

Veniamo ora al calcolo del numero di cui parliamo dall'inizio. Nella discussione originale avevo usato una formula già bella e pronta che fornisce il numero medio di prove per ottenere due successi consecutivi in un processo di Bernoulli :

E(X)=(p-k/(1-p))-1/(1-p)

Nella formula sopra p è la probabilità di successo, nel caso della moneta quindi p=1/2 (la probabilità di fallimento, 1-p, si indica in genere con q ed ecco spiegata la seconda lettera che compariva nella citazione iniziale). E' il caso di spiegare anche perchè il numero dato dalla formula si indica con E(X). Nel calcolo delle probabilità con "X" si denota una generica variabile aleatoria (o casuale), che al di là della definizione formale, piuttosto complicata, può essere definita come una funzione che ha come output un numero e come input un evento che ha una certa probabilità di verificarsi, preso fra un insieme di altri eventi. Nel nostro caso è X="numero di lanci per ottenere la sequenza TT", gli eventi sono le possibili sequenze di lanci di una moneta e i valori della funzione X sono 2,3,4, eccetera. Per esempio ad ogni sequenza CTT... la funzione assegna il valore 3, a TCTCCTT... il valore 7 e così via. La scrittura E(X) indica invece la media della variabile casuale X.

C'è anche un modo più diretto, e a mio parere elegante, per calcolare questo numero. Si basa su un teorema noto come "legge delle alternative per la media", che in sostanza afferma che per calcolare la media E(X) si può scomporre il calcolo come segue:

E(X)=p(A)*E(X/A)+p(B)*E(X/B) (1)

dove A e B sono due eventi complementari e p(A), p(B) le relative probabilità di realizzarsi. E(X/A) e E(X/B) è invece una notazione standard che indica la media condizionata (X/A (B) si legge: "X dato A (B)"), cioè la media di X una volta noto che si è verificato l'evento A (B). L'esempio pratico chiarirà tutto, se poniamo:

A="al primo lancio esce T"
B="al primo lancio esce C"

essendo chiaramente p(A)=p(B)=1/2 la (1) diventa:

E(X)=1/2*E(X/T)+1/2*E(X/C) (2)

Ora attenzione al trucchetto che segue che è tanto semplice quanto efficace. Applichiamo nuovamente la legge delle alternative alle nuove medie E(X/T) e E(X/C) sulla base dell'esito del secondo lancio:

E(X/T)=1/2*E(X/TT)+1/2*E(X/TC)
(3)
E(X/C)=1/2*E(X/CT)+1/2*E(X/CC)

Il trucchetto sta in questo: le medie che compaiono nei membri di destra si possono calcolare direttamente. Infatti:

E(X/TT)=2 (sono uscite due teste consecutive e abbiamo finito)
E(X/TC)=2+E(X) (dobbiamo ricominciare da capo ma abbiamo già fatto due lanci)
E(X/CC)=2+E(X) (idem come sopra)
E(X/CT)=1+E(X/T) (siamo nella situazione della prima delle equazioni (3), ma con un lancio in più)

Sostituendo nelle (3) abbiamo allora le nuove equazioni:

E(X/T)=2+1/2*E(X)
(4)
E(X/C)=3/2+1/2*E(X)+1/2*E(X/T)

Ecco allora che la (2) e le (4) messe insieme forniscono un sistema lineare di tre equazioni nelle tre incognite E(X), E(X/T), E(X/C), la prima delle quali è quella che ci interessa e risulta per l'appunto E(TT)=6. Ripetendo il procedimento con la sequenza TC si ottiene invece il risultato E(TC)=4. Dunque finora abbiamo risposto al come si ottengano i valori 6 e 4 per le due sequenze, manca ancora una risposta all'interrogativo più profondo: come mai? Ricordo che la profondità del quesito deriva dal fatto che le due sequenze sono equiprobabili. La risposta epistemologica a essere franchi non ce l'ho (la risposta matematica potrebbe semplicemente essere: guarda il sistema sopra, sono giusti i calcoli? Bene, allora è così perchè è così che deve essere).

Però ho qualche indicazione da fornire. Pare che abbia a che fare con una forma di "disordine" della sequenza, una sorta di entropia nel senso della Teoria dell'informazione di Shannon. Per "entropia" Shannon intende la quantità di informazione codificabile in una stringa, facendo un parallelo inaspettato ma più che mai calzante con l'analogo termine usato in termodinamica. Nel nostro ambito per capire cosa possa c'entrare il disordine occorre analizzare stringhe di T e C più lunghe di quelle viste finora. per esempio calcolando il numero medio di lanci necessario per ottenere TTT rispetto a TTC o TCT. Risultano essere rispettivamente 14, 8 e 10. Per stringhe di lunghezza 4 risulta E(TTTT)=30, E(TTTC)=16, E(TCTC)=20. Inizia ad essere chiaro che, al netto di un fattore 2n legato alla lunghezza della stringa, quella che richiede il numero maggiore di lanci è sempre quella TTT...T, quella che ne richiede meno è la TTT...C mentre la stringa alternata TCTC...TC ne richiede un numero intermedio. Ovviamente il tutto è simmetrico rispetto ad uno scambio dei simboli T e C.

Ecco dunque una motivazione in linea con la teoria dell'informazione: la stringa con solo "teste" è totalmente ordinata, nel senso che dati i primi n simboli non c'è alcun dubbio su cosa potrebbe venire dopo, nel caso fosse allungata. Quella alternata è un po' meno ordinata (si potrebbe obiettare che in effetti neanche questa lascia spazio all'immaginazione, ma perlomeno contiene due simboli e non solo uno). Si tenga sempre presente che non sono considerazioni matematiche, ma filosofiche, e pure molto speculative... La stringa invece che contiene solo T tranne una C alla fine non ci permette in alcun modo di prevedere quale potrebbe essere un ulteriore simbolo. E' pur vero che quest'ultima sequenza era fino al penultimo lancio una stringa di sole teste, e quindi sembrava fosse definitivamente determinata...Mah, con le speculazioni mi fermo qui, se qualcuno è curioso e ha del tempo da buttare chiudo il post riportando uno script per MATLAB che consente di fare tutte le prove che volete. Un'avvertenza: i simboli T e C sono sostituiti da 1 e 0, per il resto c'è la spiegazione del funzionamento che potete visualizzare in qualunque momento utilizzando il comando >help monetaequa (una volta salvato il file.m nella cartella apposita, chi utilizza MATLAB non dovrebbe avere problemi a capire).
Code:
function [E,detB]=monetaequa(x,p) %monetaequa(x,p) %inserito il vettore x tale che x(1)=1;x(i)=0 o 1 e p=prob(1) la funzione %calcola il numero medio di lanci di moneta equa E per ottenere la sequenza x %e il numero det(B) compreso tra 1 e 1/(1-p) che rappresenta la casualità della %sequenza, se p=0.5 a 1 corrispondono le sequenze più casuali %esempio: %input %x=[1 1 1 0 1 1 1 0 1 1 1 0] %p=0.5 %output %detB=1.0664 questo numero rappresenta la casualità %ans=4.3680e+003 questo è il numero medio di lanci n=length(x); for k=1:n y(k)=p*x(k)-((1-p)*(x(k)-1)); end A(3:2:2*n+1,:)=0; for k=1:n-2 A(2*k,2*k+2)=-y(k); A(2*k,2*k+3)=-(1-y(k)); A(2*k,2*k+4:2*n+1)=0; A(2*k+1,1:2*k+1)=0; end A(2*n-2,2*n)=-y(n); A(2*n-2,2*n+1)=-(1-y(n)); A(2*n,:)=0; for k=1:n A(2*k,2*k)=1; A(2*k+1,2*k+1)=1; end A(1,1)=1; A(1,2)=-y(1); A(1,3)=-(1-y(1)); A(3,1)=-1; A(1,4:2*n+1)=0; for k=1:n A(2*k+1,3:2:2*k-1)=0; A(2*k+1,2*k)=0; end for k=2:n h=2; while h<=k X(1:k-1)=x(1:k-1); X(k)=-(x(k)-1); if x(1:k-h+1)==X(h:k) A(2*k+1,2*k-2*h+2)=-1; else A(2*k+1,2*k-2*h+2)=0; end if A(2*k+1,2*k-2*h+2)==-1 break; end h=h+1; end end for k=2:n if A(2*k+1,2:2*k)==0 A(2*k+1,1)=-1; else A(2*k+1,1)=0; end end b(1:2)=0; b(3)=1; b(4:2:2*n)=0; for k=2:n c=k-1:-0.5:1; if sum(A(2*k+1,2:2*k-2).*c)==0 b(2*k+1)=k; else b(2*k+1)=-sum(A(2*k+1,2:2*k-2).*c); end end b(2*n)=n; B(:,1)=b'; B(:,2:2*n+1)=A(:,2:2*n+1); E=det(B)/det(A); detB=det(B)

*Il triangolo di Tartaglia andrebbe più correttamente chiamato "triangolo di x", dove x è una variabile che dipende dalla nazione in cui ci si trova nel modo seguente:

Francia: x=Pascal
Germania: x=Leibniz
Regno Unito: x=Newton
Italia: x=Tartaglia
Spagna: x=Non Pervenuto (non si ricorda un solo matematico di valore di madrelingua spagnola...)

FranZη
Ultima Modifica 6 Anni 9 Mesi fa da FranZeta. Motivo: Corretti alcuni errori di ortografia. PS Ma solo a me non funziona più l'editor del forum?

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6 Anni 9 Mesi fa - 6 Anni 9 Mesi fa #11353 da FranZeta
MESSAGGIO DI SERVIZIO: da un paio di giorni è scomparsa la barra degli strumenti dall'editor della sezione forum, anche l'anteprima non funziona più:
PROVA1
Code:
PROVA
https://screenshots.firefox.com/ZgZ7IgJGjdx6andy/luogocomune.net

FranZη
Ultima Modifica 6 Anni 9 Mesi fa da FranZeta.

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6 Anni 8 Mesi fa - 6 Anni 7 Mesi fa #11961 da FranZeta
Isaac & Jacob

In un precedente intervento sono state introdotte quelle particolari coordinate chiamate omogenee, che rappresentano il sistema di coordinate idoneo per definire luoghi geometrici nel piano proiettivo, così come le usuali coordinate cartesiane svolgono lo stesso ruolo ruolo nel piano euclideo. Come visto il passaggio dalle une alle altre, cioè l'omogeneizzazione/deomogeneizzazione, è semplice al limite del banale, e tuttavia consente un ampliamento della visione geometrica notevole. Per esempio tramite coordinate omogenee è facile vedere che due rette s'incontrano sempre in un punto del piano proiettivo. Infatti, se le due rette non sono parallele nel piano euclideo, il loro punto d'intersezione continuerà ad essere tale nel piano proiettivo (che ricordiamolo altro non è che un piano euclideo al quale viene aggiunta una retta all'infinito, perciò tutto quello che non è all'infinito coincide nei due piani). Supponiamo invece che le due rette siano parallele, poniamo ad esempio che siano le due rette di equazioni:

x=0
x=1

La prima retta altro non è che l'asse delle y mentre la seconda è la sua parallela spostata verso destra di una unità. Appare chiaro anche algebricamente che le due rette non possono avere intersezione perchè x non può essere contemporaneamente uguale a zero e a uno. Omogeneizzando le due equazioni otteniamo le corrispondenti rette proiettive:

X=0
X=T

Messe insieme ci dicono che tanto X quanto T sono uguali a zero, perciò la loro intersezione è il punto (all'infinito) di coordinate proiettive (0:1:0). La dimostrazione, pur riguardando un caso particolare, è sufficiente a concludere che ogni coppia di rette parallele nel piano affine ( = cartesiano = euclideo) si incontra in un punto all'infinito qualora il piano sia ampliato in uno proiettivo, e con ciò si può affermare che due rette del piano proiettivo si incontrano sempre in un (solo) punto.

Nel già citato commento avevamo visto come le coniche affini possano essere ricondotte tutte alla circonferenza nello spazio proiettivo, e il tipo affine della conica, ellisse parabola o iperbole, in quest'ottica è solo il numero di punti in cui la circonferenza interseca la retta all'infinito. I due signori Isaac e Jacob del titolo hanno a che fare proprio con circonferenze e intersezioni. Intanto iniziamo col notare che l'intersezione di una retta con una conica può essere data da zero, uno o al massimo due punti (escludendo i casi degeneri in cui la conica è una coppia di rette). L'intersezione fra due coniche invece può essere un insieme composto da zero fino a quattro punti, ecco qualche esempio:



Questo vale tanto nell'affine quanto nel proiettivo. Per quanto riguarda le circonferenze succede che due di queste possono avere o nessuna oppure due intersezioni:



Si noti che anche se il cerchio rosso e quello blu hanno un solo punto di intersezione, questo è un punto doppio perchè le due circonferenze sono tangenti in quel punto, algebricamente dunque va considerato come due punti coincidenti. Quindi le circonferenze rappresentano una sorta di eccezione nel mondo delle coniche, da questo punto di vista, perchè per le altre coniche è sempre possibile trovarne una coppia che abbia quattro punti di intersezione, con le circonferenze invece due di questi punti sembrano sempre sparire nel nulla. In realtà non è proprio così: questi due punti evanescenti esistono, si chiamano Isaac e Jacob e sono gli stessi per tutte le circonferenze! Si potrebbe in effetti ridefinire le circonferenze non come il luogo dei punti equidistanti da un punto dato (il centro), ma proprio come le coniche passanti per Isaac e Jacob, d'ora in poi detti I e J per brevità*.

Prima di definirli tramite coordinate occorre fare una precisazione. In effetti per dare un senso al discorso appena fatto bisogna ampliare ulteriormente il nostro orizzonte e metterci in uno spazio proiettivo, sì, ma complesso. In realtà la cosa non è così traumatica come potrebbe sembrare, perchè algebricamente funziona tutto come prima, possiamo riscrivere tranquillamente tutte le equazioni senza cambiare una virgola, solo che dobbiamo ricordarci che ora le nostre incognite X, Y, T non possono assumere come valori solo numeri reali, ma anche numeri complessi. I numeri complessi li avevamo già incontrati qui e poi qui . Veniamo ora a I e J. Proviamo a intersecare due circonferenze, la prima delle quali sarà la circonferenza unitaria centrata nell'origine, la seconda sarà invece la generica circonferenza di centro c=(xc,yc) e raggio r. Le loro equazioni cartesiane sono rispettivamente:

x2+y2=1
(x-xc)2+(y-yc)2=r2

...che omogeneizziamo subito dato che vogliamo metterci in ambiente proiettivo:

X2+Y2=T2
(X-xcT)2+(Y-ycT)2=r2T2

Ora trovare le intersezioni significa risolvere il sistema delle due equazioni. La prima ci fornisce già l'incognita T in funzione delle altre due, quindi basta sostituire nella seconda e raggruppare un po' di termini per ottenere:

(xc2+yc2+1-r2)T2-2(xcX+ycY)T=0

Appare evidente che se T=0 l'equazione è verificata indipendentemente da quale sia il centro c e il raggio r della seconda circonferenza, cioè qualsiasi sia la circonferenza che consideriamo questa passerà sempre per i punti che soddisfano il sistema:

T=0
X2+Y2=0

Abbiamo già visto che T=0 è proprio l'equazione della retta all'infinito del piano proiettivo, il problema però è che la seconda equazione, X2+Y2=0, nel campo reale ha l'unica soluzione X=0 e Y=0, da cui otterremmo come soluzione l'unico punto di coordinate omogenee (0:0:0) che come già sappiamo non è un punto del piano proiettivo reale, perchè le tre coordinate non possono annullarsi contemporaneamente. Noi però ci siamo messi apposta nel campo complesso così da avere a disposizione le soluzioni complesse dell'equazione qui sopra, che risultano essere:

Y=iX
Y=-iX

...e che ci portano dritte alle coordinate proiettive complesse I=(1:i:0) e J=(1:-i:0), e con ciò vi ho presentato Isaac e Jacob.


*Come forse qualcuno avrà intuito in effetti i due punti vennero in origine designati con I e J, ma erano due punti talmente speciali -per via del fatto che tutte le circonferenze vi passassero- che qualcuno decise di dargli dei nomi propri, con un senso dell'umorismo difficile da cogliere ma che diverte molto i matematici.

FranZη
Ultima Modifica 6 Anni 7 Mesi fa da FranZeta. Motivo: Ripristinate le immagini scomparse

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6 Anni 8 Mesi fa #11977 da FranZeta
Se qualcuno volesse approfondire mi sono dimenticato di dire che Isaac e Jacob sono anche chiamati più formalmente punti ciclici, talvolta possono essere scritti nella forma (i:1:0) e (-i:1:0) equivalente a quella data sopra.

FranZη

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6 Anni 8 Mesi fa #11983 da Protagora
si sta come sugli alberi le foglie.. d'autunno :-)

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6 Anni 8 Mesi fa #11988 da FranZeta
D'autunno
come le foglie
si sta
sugli alberi...

...cosa c'entra? Niente, stavo seguendo il filo del tuo ragionamento!

FranZη

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6 Anni 7 Mesi fa #12487 da FranZeta
Odifreddi o di fedi

Per la gioia dell’amico @gino (che però è da un po' che non bazzica da queste parti...tutto ok, Gino?) pensavo giunto il tempo di affrontare l'argomento Odifreddi. Tuttavia la trattazione non sarà matematica, anche solo per il fatto che il prof. Odifreddi non ha dato contributi significativi alla materia, dunque ci sarebbe ben poco di cui parlare. D'altronde non sono certo le sue conquiste nel campo della logica formale ad averlo reso celebre. Deve la sua fama - relativa, ma assoluta se limitata alla cerchia dei matematici italiani - in parte per via della sua attività editoriale, come autore di libri, pregevoli a mio avviso, così come di articoli per alcuni quotidiani e a una sua rubrica fissa sulle pagine de Le Scienze. Ma il personaggio pubblico Odifreddi è sostanzialmente figlio delle ospitate da Vespa in qualità di rappresentante del pensiero scientifico-razionale, chissà poi in seguito a quale investitura, da contrapporre ad un analogo e opposto stereotipo del pensiero religioso-cattolico.

Dunque intendo in qualche modo parlare di Dio, oppure del Nulla, dato che nell'Odifreddi-pensiero - d'ora in poi O-pensiero - i due concetti sono logicamente equivalenti ed interscambiabili. Prima di arrivare a discutere dell'O-pensiero credo sia opportuna una nota personale, per mettere nella giusta prospettiva quanto seguirà. Appena nato sono già cattolicamente compromesso, per uno strano scherzo del destino. In breve accade questo. Siamo nel 1980, i miei genitori, molto giovani e altrettanto atei, nonchè freschi reduci degli anni '70, pensano che sarebbe meglio non battezzarmi e lasciare che sia io a decidere, una volta raggiunta l'età della ragione. Ma le rispettive madri, le mie nonne insomma, si dà il caso che siano estremamente cattoliche, osservanti e decise ad operarsi affinchè anche io abbia il mio personale angioletto custode. Qui arriva il colpo di genio: con la complicità di uno di quei cosiddetti "preti operai" che mi dicono esistessero a quei tempi vengo sì battezzato, con cerimonia e tutto quanto, ma il certificato di battesimo non viene mai inoltrato nelle (sante) sedi opportune. Praticamente sono un battezzato abusivo, e altrettanto abusivo è il mio eventuale angelo custode.

Tolto il fatto che non frequento nè oratorio nè ora di religione (e in quegli anni dalle mie parti ero uno dei pochi) ho un'infanzia normale, cresco sano e raggiunta l'età della ragione, come assolutamente ovvio, dei sacramenti non me ne può fregare di meno. E cresco perfettamente ateo, quel grado di perfezione dato da un pensiero tanto semplice quanto (apparentemente) definitivo: l'uomo è, con ogni probabilità, l'unico animale in grado di prefigurarsi chiaramente la fine della propria esistenza, dunque è costretto ad inventarsi Dio, un qualunque dio, per sfuggire al terrore del Nulla. Si noti che già a questo punto risulterebbe un'antinomia nell'O-pensiero, dato che considera Dio un archetipo della non-esistenza, ma casomai ci torniamo dopo. In ogni caso non mi do al materialismo più sfrenato, resto comunque affascinato dal mondo esoterico e dal mistero, per esempio fin dalla più tenera età non nutro alcun dubbio nell'esistenza di esseri alieni e nella loro presenza, più o meno invadente, e più o meno da sempre, nelle vicende umane. Infine non ho mai ritenuto credibile la spiegazione neodarwinista della genesi umana, dai tempi in cui me la spiegavano a scuola, forse proprio a causa della mia impostazione eccessivamente razionalista (di razionale nel neodarwinismo non c'è proprio nulla, ma non voglio divagare). Dato il background testè riassunto, ai tempi ritenevo di gran lunga più accettabile una spiegazione che contemplasse la "panspermia", con la vita che giunge chissà da dove, ma già programmata ad arrivare dove poi è arrivata.

Poi nel periodo fra i 20 e i 30 anni il cambio di prospettiva. Un po' per via del fatto che si era fatta strada la consapevolezza che la panspermia come origine della vita terrestre spostava solo il problema altrove, e aggiungeva solo un ordine di grandezza alla quantità di tempo che avrebbe avuto il caso per creare tutto ciò. Ne sarebbero serviti decine o centinaia di migliaia, di ordini di grandezza. Da qui la realizzazione che in effetti stavo credendo nel Caso, il più inutile degli dei di invenzione umana, dato che amava far asserire ai suoi adepti di non essere affatto una divinità. Ma la vera svolta avviene grazie agli studi matematici, e qui finalmente iniziamo ad avvicinarci all'O-pensiero, dopo questo lungo preambolo.

Contrariamente a quanto si può immaginare, la maggior parte dei matematici che ho conosciuto (per lo più professori universitari e compagni di studi) non assomiglia affatto a un Odifreddi, o una Margherita Hack. Non che li voglia mettere sullo stesso piano, ma tutto sommato è ciò che hanno fatto loro stessi accettando il ruolo di rappresentanti del pensiero scientifico-razionale davanti alle masse televisive, anche se con sfumature un po' diverse fra loro. In ogni caso fra i matematici ritengo sia poco diffuso l'ateismo (“ritengo” perchè non ho fatto nessun tipo di sondaggio), anche solo per il fatto che senza una certa dose di spiritualismo la nostra materia si avvicina pericolosamente al concetto cosmico di aria fritta. Frittura di alto livello magari, ma con la consistenza dell'odore che esce da un ristorante cinese qualunque. C'è anche da considerare la messe di prove empiriche che legano i risultati matematici astratti a fenomeni reali del nostro mondo fisico, simili corrispondenze andrebbero nuovamente interpretate invocando il Caso, seguendo l'O-pensiero. Anzi, più nello specifico l'O-pensiero parla di "natura" e "leggi della natura", come se queste entità astratte di derivazione greca avessero un grado di esistenza oggettiva maggiore delle divinità che vorrebbero sostituire.

Pensiamo un momento al grado più estremo di materialismo: credere solo in ciò che si vede-sente-tocca. Questo ancora oggi potrebbe essere considerato da molti come l'a-b-c del pensiero ultra-razionale. In realtà è definitivamente dimostrato che nulla di ciò che ci restituiscono i nostri sensi costituisce una realtà oggettiva e indipendente da chi osserva. Questo senza scomodare fenomeni quantistici. Ciò che noi vediamo è solo una rielaborazione del cervello di un segnale elettrico codificato dagli occhi, che a loro volta interpretano certe lunghezze d'onda della radiazione elettromagnetica riflessa dagli oggetti. Ciò che tocchiamo in realtà non entra mai in contatto con gli atomi che compongono le cellule che compongono i nostri polpastrelli, e anche il più solido granito è in effetti un reticolo di atomi distanti fra loro come le stelle della nostra galassia, se rapportati in scala. Insomma il materialista perfetto crede in una illusione scientificamente riconosciuta come tale. L'O-pensiero non può raggiungere - suo malgrado - tali vette perchè sa piuttosto bene che il mondo fisico non è affatto come appare ai nostri sensi, dunque sposta la sua fede negli apparati da laboratorio che consentono, a differenza dei nostri soggettivi sensi, di investigare qualità oggettive dell'universo. Insomma rivolge la propria fede a delle macchine: il deus ex machina crea la "machina ex deo", e in ciò ripone la propria (inconsapevole) fede.

Già dovrebbe apparire chiaro che questo punto di vista presenta molteplici problemi dirompenti. Il primo che dovrebbe saltare all'occhio è che non spiega nulla, si limita ad osservare. Se così fosse davvero non sarebbe nemmeno un problema, il fatto è che l'O-pensiero ha anche la pretesa di spiegare, pur non essendone in grado in linea di principio, e secondo gli stessi principi che si è voluto dare. Ecco allora che ritorna sempre l'invocazione del Caso, talvolta tramite il suo avatar Principio Antropico, colui che tutto spiega nel più semplice (banale? inutile?) dei modi: perchè-di-sì! Esattamente come si fa coi bambini che esagerano con le domande, in genere in corrispondenza di quelle alle quali il genitore non saprebbe dare una risposta sensata.

Altro problema evidente dell'O-pensiero è che dovrebbe ammettere che la sua comprensione del cosmo è assai confinata, dato il limite, autoimposto, di accettare come esistente solo ciò che può essere rilevato-rivelato da una qualche apparecchiatura. Forse che nel '700 non esistevano radiazioni elettromagnetiche al di fuori dello spettro visibile? Trapiantando a quel tempo l'O-pensiero questo ci avrebbe dovuto rispondere che no, non esistono. Va da sè che il valore di verità del termine "esistere" diventa una funzione del tempo, anche se il soggetto è atemporale, come le leggi dell’universo. Come se il significato di esistenza non fosse già abbastanza ambiguo e complicato di per sè...

Ma il più grave problema dell'O-pensiero è quello strisciante, che si palesa solo nell'atto del dibattere (consumato con un perfetto stereotipo di credente, ça va sans dire, come copione esige), quello che rivela l’aspetto più gretto dell’O-pensiero - e anche del personaggio che dà il nome al pensiero, diciamolo. Sto parlando del definitivo razzismo verso coloro che non sposano la dottrina ateista, considerati a prescindere esseri inferiori, dato che credono nella verginità della madonna (sic! Questa è la summa dell'atto di fede, secondo l'O-pensiero). Si fa qualche piccola deroga per gli agnostici, considerati per lo più degli atei codardi, e per le menti davvero brillanti (quelle che superano di diverse spanne il nostro eroe, per intenderci), che vengono coattamente incluse nella categoria degli "atei a loro insaputa". Non oso immaginare come potrebbe accogliere il pensiero, se mai dovesse frullargli per la testa, che tutto sommato questo branco di pecoroni ancorati al medioevo ha dal punto di vista intellettuale un innegabile vantaggio su di lui: quello di essere consapevoli di aver compiuto un atto di fede, nel momento esatto in cui accettavano di credere nel loro dio. Come già esposto sopra invece la confraternita dell’O-pensiero crede nel dio Caso, lo invoca spesso, ne decanta le doti sovrannaturali, ma al tempo stesso ne nega con fermezza l'esistenza. Una posizione scomoda per un logico matematico, che tra l'altro è costretto a convivere con l'eredità di personaggi tipo Gödel, uno che passò l'ultima parte della sua vita ad elaborare la dimostrazione dell'esistenza di Dio (riuscendoci!!! entro i limiti della logica formale, s'intende). Il nostro fa quel che può:

Tra le critiche nei suoi confronti invece, il matematico Piergiorgio Odifreddi, sostenendo che il Dio di Gödel sarebbe immanente e non trascendente, gli ha contestato come i cinque assiomi sarebbero molto vicini alla tesi da dimostrare, per cui «non è difficile dimostrare un risultato assumendolo (quasi) come ipotesi»

( cit. wikipedia )

Capito? Gödel, cazzo mi combini? Se ipotizzi che Dio "quasi" esiste, è facile dimostrare che Dio esiste, firmato Piergiorgio.

Non intendo dilungarmi sull'argomento, vorrei solo far notare la commovente difesa dalla bordata gödeliana: Dio sarebbe immanente e non trascendente (embè? Ma soprattutto, perchè?), e poi gli assiomi che "sono vicini" (notare il rigore matematico del linguaggio), il risultato è assunto "quasi" per ipotesi. Per inciso, qui trovate gli assiomi incriminati scritti formalmente, quello che non si trova è la confutazione formale di Odifreddi. Sì amici miei, questo signore è proprio un logico matematico, non fatevi ingannare da quello che dice e da come lo dice. Voglio dire...terrà pure dei corsi universitari in cui dimostra di conoscere la propria materia... Comunque anche Gödel andrebbe inserito nella categoria degli "atei a loro insaputa", che ricordo è popolata da individui molto più intelligenti di Odifreddi, per definizione. Per come la vedo io, prova ontologica a parte, se esiste un dio della logica, deve chiamarsi per forza GOD-EL.

Ora è probabile che quanto scritto possa urtare la suscettibilità di un ateo, la lunga nota personale introduttiva aveva proprio lo scopo di evitare giudizi affrettati: essendolo stato io stesso sono ben conscio del senso di superiorità che si tende a provare verso i credenti – tutti i credenti – forti di una presunta consapevolezza logico-razionale. Non è così. E in ogni caso non fate di Odifreddi il vostro campione di ateismo, non è un grande affare. Io proprio non mi farei rappresentare da lui, se fossi e intendessi rimanere ateo.

Sia chiaro che ogni volta che ho scritto Dio, con la maiuscola, non mi riferivo al dio che Odifreddi ha imparato a conoscere, credo a forza di bacchettate, dai salesiani. Mi riferisco all'intelligenza che tutto origina e alla quale tutto tende a tornare, qualcuno la identifica col dio dei salesiani, ma quelli sono gusti personali. Per quanto mi riguarda ne ho un'idea più vicina a quella delle religioni orientali, ma non do molta importanza a questo aspetto. Quello che secondo me ha importanza, e l'ho ribadito più volte, è la consapevolezza dell'atto di fede: sì, ho scelto di credere a qualcosa che nessuno mi può dimostrare (nemmeno Gödel). Chi l'ha fatto per un episodio particolare, o forse solo perchè ha iniziato a sentire che la verità era in quella direzione, o perchè non sopportava l'idea di dover svanire nel meno-che-niente della non esistenza, comunque sia andata l'ha fatto consapevolmente.

Nel mio caso, dicevo, la "conversione" è avvenuta gradualmente, ma c'è stato un episodio che ha segnato una discontinuità, diciamo la mia personale (e non trasferibile) prova ontologica. Stavo lavorando per la mia Tesi su una particolare superficie che era stata costruita da un matematico agli inizi del '900, sulla base di certe proprietà topologiche che non è il caso di approfondire qui. Quando dico "costruita" intendo proprio con colla e cartoncino, dato che non erano state trovate delle equazioni che la definissero formalmente. Poi negli anni '80, grazie anche all'aiuto del computer, queste equazioni erano state trovate, anche se erano piuttosto complicate e "innaturali". Tutto ciò era chiaramente una costruzione umana. Io ero alla ricerca di una superficie equivalente, che avesse cioè le stesse proprietà, ma che fosse definita per mezzo di equazioni semplici e simmetriche, naturali insomma. Più cercavo queste equazioni più una strana idea aveva iniziato a farsi avanti: se questa superficie esiste solo come creazione umana, pensavo, non c'è nessuna ragione per cui le equazioni che cerco debbano esistere. Ma se la superficie è già stata pensata da Dio (con la maiuscola, nel senso già precisato sopra), allora mi basterà provare tutte le diverse combinazioni di coefficienti, che sono in numero di qualche centinaia, finchè a un certo punto la vedrò apparire sullo schermo del computer, e la riconoscerò. Ammetto che non è proprio un metodo standard di ricerca matematica - sempre meglio di colla e cartone però!

Comunque sia, alla fine è andata proprio così: un giorno, anzi una notte, a ora tarda, dopo aver inserito l'ennesima combinazione di coefficienti e schiacciato invio, la superficie era lì. E in quel momento era come se mi stesse dicendo: "Ecco, è così che mi ha pensato Dio. Contento?". Sì, la cosa mi ha reso contento e, soprattutto, con una nuova consapevolezza. So che a voi non dirà assolutamente nulla, ma la superficie di cui parlo è l'immagine del mio avatar.

FranZη
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6 Anni 7 Mesi fa #12490 da Shavo
Risposta da Shavo al topic La formula del latte è Vacca2O
Bravo FranZη :clap:


posso lasciare una lettura consigliata?

www.istitutocintamani.org/libri/Geometri...rithmon_Arrethos.pdf

La geometria ha una portata propriamente spirituale, poiché il suo compito più alto
è quello di orientare lo sguardo verso la contemplazione degli equilibri cosmici
risultanti dai contrari, educando alla loro imitazione realizzativa, evitando la
prepotenza disarmonica.

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6 Anni 7 Mesi fa #12506 da FranZeta
Grazie Shavo, anche per il link. Me lo guarderò con calma e poi magari ne parliamo.

FranZη

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6 Anni 6 Mesi fa #13362 da FranZeta
@Shavo

Ho letto la prima parte del saggio che hai linkato, più un'occhiata qua e là. Devo dire che alcune cose mi lasciano un po' interdetto. Nell'insieme non ho molta familiarità con la cosmologia pitagorica, la geometria sacra e argomenti simili, quindi quando l'aspetto filosofico-metafisico prende il sopravvento avrei poco da commentare. Però poi, alla fine del pdf, trovo questa tabella:



che traduce i periodi orbitali del sistema solare in esponenti della sezione aurea phi, e mi insospettisco, perchè una cosa del genere non l'ho mai sentita. Vado a controllare e trovo:
Code:
Pianeta periodo siderale (anni) Mercurio 0.241 Venere 0.615 Marte 1.88 Asteroidi (Cerere) 4.6 Giove 11.864 Saturno 29.45 Urano 84.07 Nettuno 164.88

Mi pare quindi che l'accordo sia solo approssimato, diciamo che si tratta più di una curiosità che di qualcosa di scientificamente rilevante. I dati sui periodi sinodici non li ho riportati perchè in quel caso non ho riscontrato nemmeno una vaga corrispondenza. Occorrerebbe magari sapere qualcosa di più sull'autore e sul contesto nel quale propone il saggio, per valutare meglio quanto si legge.

Altro esempio di passaggio che genera perplessità, per motivi diversi dal precedente, qui siamo all'inizio del pdf:



Qui non si capisce bene per chi il cerchio rappresenti lo Zero Assoluto eccetera. Non certo per i pitagorici che non concepivano il nulla in termini di numero, ossia non conoscevano le zero. Nessuno l'avrebbe conosciuto in occidente fino al ritorno di Fibonacci (in qualche modo la sezione aurea fa comunque sempre capolino...) dai paesi arabi, che a loro volta lo importarono dall'India.

Il Cerchio è anche il Non Numero, l'indeterminato, lo Zero20

vado a vedere la nota 20 (che non ci stava nello screenshot) e leggo:

20 Lo Zero, in matematica è il risultato della somma di tutti i numeri positivi e negativi, reali e immaginari, cioè il Tutto.

Embè, qui ci sarebbe parecchio da discutere, perchè quanto affermato nella nota è semplicemente falso. Senza scomodare i numeri immaginari, e nemmeno quelli reali, già la semplice serie (=somma infinita):

S=1-1+1-1+...

ha generato ogni tipo di congettura. Ancora all'inizio del '700 Guido Grandi si scriveva lettere con Leibniz per stabilire se questa serie valesse o meno 1/2! L'idea non è così assurda come potrebbe apparire, infatti il valore di una serie è per definizione il limite delle somme parziali, cioè le somme troncate dopo un certo numero n di termini. Dato che per la serie S queste somme parziali oscillano fra 0 e 1, 1/2 sarebbe la media aritmetica di questi due valori. Potrebbe sembrare un argomento deboluccio, ma si ottiene lo stesso risultato con quest'altro, più convincente: si parte dalla funzione f(x)=1/(1+x), svolgendo la divisione polinomiale in questo modo:
Code:
1 | 1 + x -1 - x | 1 - x + x^2 -... -------------------| - x | + x + x^2 | ------------------| + x^2 | ...

si ottiene l'uguaglianza:

f(x)=1-x+x2-x3+x4-...

perciò se x=1:

f(1)=1-1+1-1+1-...=S

e dunque S = f(1) = 1/(1+1) = 1/2

A questo punto raggruppando i termini a coppie possiamo anche scrivere:

(1-1)+(1-1)+...=0+0+...=1/2

e abbiamo una dimostrazione della creazione del mondo dal nulla. Inutile dire che tutto ciò deriva dalla mancanza di rigore nella trattazione delle serie, infatti nell'800 Riemann stabilì un noto teorema che afferma che le serie del tipo della S discussa fin qui, che oggi chiamiamo convergenti-ma-non-assolutamente-convergenti, possono essere fatte convergere a qualsiasi numero reale (e non solo 1/2 dunque) a seconda di come riarrangiamo i termini, per esempio messi giù così S converge a 1:

(1+1-1)+(1+1+1-1-1)+...=1

Tutto questo per dire che l'affermazione iniziale sulla somma di tutti i numeri -complessi per di più- che dovrebbe essere uguale a zero non sta nè in cielo, nè in terra, nè men che meno nell'universo pitagorico che nemmeno conosceva lo zero. Ma più che altro è proprio il concetto di somma di tutti i numeri che non ha molto senso.

Comunque, come dicevo prima, conoscere il contesto e magari il proposito del saggio può aiutare ad inquadrarlo meglio.

FranZη

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6 Anni 6 Mesi fa #13373 da Shavo
Risposta da Shavo al topic La formula del latte è Vacca2O
Ciao FranZ

Ovviamente le tue puntualizzazioni sui periodi orbitali sono corrette. Ti dico come la vedo io per risolvere l'inghippo che hai evidenziato, in una lettura che era già difficile di per sè :laugh:


Ti faccio un altro esempio, prendi lui:




a suo tempo verificai io stesso le proporzioni, poichè mi sembrava interessante.. Beh feci una scoperta curiosa: in famiglia rispettavano tutti molto bene le proporzioni, con una precisione al centimetro, e io risultai "sballato" di circa 10 cm :omg:

La giustificazione che mi son dato io è che, nonostante il fisico gracilino, le spalle da nuotatore e le "manone" mi allungavano di 5 cm per lato...mica poco.
Ma torniamo a noi, cosa voglio dire? che se riprendiamo quella citazione che ho riportato nell'ultimo post, che di proposito è anche la prefazione del testo, tenute conto le approssimazioni vedo quanto la mia famiglia sia concorde all'uomo vitruviano, e questo nonostante la mia.. emh, mostrusità..
il va sans dire, non voglio farne una questione statistica.. l'interesse è nella possibilità di vedere ciò che non è visibile ne misurabile coi numeri.

Poi, che ciò che è misurabile sia necessariamente soggetto ad un'approssimazione, per il solo fatto di esistere, potrebbe essere inevitabile, non saprei....

Qui non si capisce bene per chi il cerchio rappresenti lo Zero Assoluto eccetera. Non certo per i pitagorici che non concepivano il nulla in termini di numero, ossia non conoscevano le zero. Nessuno l'avrebbe conosciuto in occidente fino al ritorno di Fibonacci (in qualche modo la sezione aurea fa comunque sempre capolino...) dai paesi arabi, che a loro volta lo importarono dall'India.

FranZ, il Cerchio che rappresenta lo "Zero", il Non Numero, il Nulla. sto usando le loro parole, non si parla di zero matematico.

credo tu abbia frainteso il passaggio.

Tutto questo per dire che l'affermazione iniziale sulla somma di tutti i numeri -complessi per di più- che dovrebbe essere uguale a zero non sta nè in cielo, nè in terra, nè men che meno nell'universo pitagorico che nemmeno conosceva lo zero. Ma più che altro è proprio il concetto di somma di tutti i numeri che non ha molto senso.

Ok, non è in discussione l'utilizzo dello zero matematico da parte dei pitagorici, ma il concetto di Nulla, che è alla portata di pitagorici e non.


Riguardo alla somma di tutti i numeri, quella su Grandi e Leibniz mi ha fatto morire, davvero.... :laugh:
Che la somma di tutti i numeri non abbia senso, certo, hai ragione... non si può sommare qualcosa di in-finito.. non ha senso, ci manca. Eppure il senso della frase per me è chiarissimo. Ciò non toglie che non saprei mai esprimerlo tramite una funzione.. ma quello è un limite mio :wave:

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6 Anni 6 Mesi fa #13385 da FranZeta

Shavo ha scritto: FranZ, il Cerchio che rappresenta lo "Zero", il Non Numero, il Nulla. sto usando le loro parole, non si parla di zero matematico.
credo tu abbia frainteso il passaggio.

Mah, non voglio intestardirmi sul fatto che Zero, con la maiuscola per di più, è il nome proprio di un numero, però anche ammettendo che nella prima frase sia utilizzato come sinonimo di Nulla, quello della successiva nota è sicuramente lo zero inteso come numero:

20 Lo Zero, in matematica è il risultato della somma di tutti i numeri positivi e negativi, reali e immaginari, cioè il Tutto.

Da qui la mia perplessità, perchè in senso metafisico possiamo dare all'affermazione i più svariati significati, se però abbiamo cura di eliminare la precisazione "in matematica", perchè in matematica la somma di tutti i numeri può essere zero come un qualunque altro numero a piacere. Non perchè si ha a che fare con la somma di infiniti numeri, per esempio la serie geometrica 1+x+x2+x3+... , ovviamente con infiniti termini, è uguale a 1/(1-x) per qualunque numero x strettamente compreso tra -1 e 1. Oppure, se ti aveva divertito l'aneddoto di Leibniz, ce n'è uno che riguarda i due matematici Ramanujan e Hardy dove il primo scriveva al secondo che:

1+1+1+...= -1/2

1+2+3+...= -1/12

e Hardy, invece di mandarlo a cagare, lo invitò seduta stante a trasferirsi dall'India in Ingilterra per poter lavorare insieme. Le due scritture apparentemente assurde sono in realtà, una volta epurate dalla notazione ingenua, due solide uguaglianze che coinvolgono la funzione zeta di Riemann (Riemann è come la sezione aurea, salta sempre fuori...).

Il problema dicevo non sono gli infiniti, è proprio una questione tecnica legata alla forma particolare di queste somme infinite. Comunque capisco che dal tuo punto di vista siano più interessanti le questioni filosofiche che si trovano nel pdf piuttosto che i dettagli tecnici. Io dal canto mio invece preferisco concentrarmi sulla metafisica che può scaturire dalle questioni tecniche, ma sono punti di vista.

FranZη

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6 Anni 6 Mesi fa #13388 da Shavo
Risposta da Shavo al topic La formula del latte è Vacca2O

Il problema dicevo non sono gli infiniti, è proprio una questione tecnica legata alla forma particolare di queste somme infinite.

Capisco che non capisco. Non ho le basi per tradurre il tuo linguaggio. Ma capisco questo:

Io dal canto mio invece preferisco concentrarmi sulla metafisica che può scaturire dalle questioni tecniche, ma sono punti di vista.

tienici aggiornati :popcorn:

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6 Anni 6 Mesi fa #13511 da FranZeta

Shavo ha scritto: Capisco che non capisco. Non ho le basi per tradurre il tuo linguaggio.

Eh, allora è colpa mia perchè nelle mie intenzioni dovrei farmi capire anche da chi non ha alle spalle solidi studi matematici. Ci riprovo: le somme di infiniti numeri, che come già detto si chiamano serie, sono il pane quotidiano dell'analisi matematica, dato che ogni funzione analitica può essere scritta in forma di serie. Ne avevo già riportato un esempio qui sopra , quando parlavo della formula magica, in quel post compare la serie associata alla funzione esponenziale. La discriminante tecnica di cui parlavo sta qui: le serie si dividono in "assolutamente convergenti" e non. Assolutamente convergente significa che la serie non ha valore infinito anche se al posto dei termini originali consideriamo il valore assoluto di questi termini (da qui l'avverbio "assolutamente"). Per esempio la serie S=1-1+1-1+... di cui parlavo prima non è assolutamente convergente perchè se la riscriviamo con i valori assoluti dei termini diventa 1+1+1+1+... che diverge a infinito (il valore assoluto è il numero senza segno, cioè è lo stesso numero se questo è positivo, oppure il numero senza meno se è negativo, per cui +1 resta 1 e -1 diventa 1).

Ora la differenza fra i due tipi di serie, assolutamente convergenti e non, è che le prime possono essere trattate come delle somme finite, quindi scambiando l'ordine dei termini non cambia il valore della serie, le seconde invece no, anzi, come già visto a seconda di come rimescoliamo i termini possiamo farle convergere a qualunque numero. Ecco allora che anche volendo dare un senso preciso alla "somma di tutti i numeri" (cosa che si potrebbe anche fare), questa somma infinita sarebbe giocoforza non-assolutamente-convergente e quindi il suo valore dipenderebbe dall'ordine particolare in cui scriviamo i termini.

Visto che la somma 1+1+1+1... l'avevo già buttata lì, e adesso è ritornata, spiego un momento la storia delle due serie dell'aneddoto di Hardy-Ramanujan. Ovviamente 1+1+1+... fa infinito, e lo stesso dicasi di 1+2+3+..., perciò le due scritture:

1+1+1+...=-1/2 ....................... (1)
1+2+3+...=-1/12 .....................

sono due bestialità, prese così alla lettera. In realtà hanno ragione di esistere, e questa ragione è simile a quella che legava la somma 1-1+1-... alla funzione 1/(1+x) dell'aneddoto di Leibniz. In questo caso la funzione da considerare, come già detto, è la zeta di Riemann, così definita:

ζ(x)=Σ n-x ................. (2)

dove la sommatoria Σ è estesa a tutti gli interi positivi 1,2,3,... (un'altra funzione definita tramite una somma infinita...). Scrivendola per esteso i primi termini sarebbero:

ζ(x)=1+1/2x+1/3x+1/4x+...

Si può in effetti dimostrare che ζ(0)=-1/2 e ζ(-1)=-1/12, perciò sostituendo questi particolari valori di x nella (2) otteniamo proprio le "uguaglianze" (1). Per non lasciare nulla all'immaginazione ecco come funziona con x=-1:

ζ(x)=1+1/2-1+1/3-1+1/4-1+...=1+2+3+4+...

L'inghippo sta nel fatto che la funzione ζ può essere scritta nella forma (2) solo se x è maggiore di 1. Per tutti gli altri valori di x bisogna trovare altri modi di definire la funzione, nessuno dei quali conduce ai paradossi delle (1). Lo stesso valeva per la funzione 1/(1+x) della serie di Leibniz, questa definizione era valida solo se -1<x<1, dunque il valore x=1 che avevamo usato era al di fuori (per un pelo!) dal campo di definizione. Niente dimostrazione della creazione del mondo dal nulla quindi.

FranZη

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