Nonostante le brutture a cui abbiamo assistito dalla Val Susa - e non li giustifico in nessun modo, sia chiaro - io non credo esista un solo poliziotto italiano che riuscirebbe a fare quello che ha fatto ieri, con tutta tranquillità, l'agente della security all'aeroporto di Miami: sparare alla schiena di un uomo che scappa.
Noi siamo diversi. Fetenti finchè vuoi, venduti finchè vuoi, ma noi (intendo la cultura europea, in genere, contrapposta a quella americana) non procediamo mai per blocchi di azioni preordinate, senza integrarle in qualche modo con un giudizio sulla situazione specifica. Il poliziotto che ha deciso di picchiare in Val di Susa si sarà fatto il suo bel ragionamento - distorto finche vuoi, non ci piove - ma non agisce mai in maniera del tutto meccanica. Non è comunque un manichino a comando, e lì l'essere umano, per quanto magari da revisionare, c'è sempre tutto.
L'agente di Miami invece non ha agito, ma ha reagito, meccanicamente, ad un set preordinato di situazioni, per ciascuna delle quali è prevista una specifica reazione. E nel caso in questione, ... ... la regola dell'americano semplicemente dice: prima spara, poi chiedi come ti chiami. Tanto, siccome l'altro è morto, avrai comunque sempre ragione tu. Se a questo aggiungi il fatto che questi pistoleros passano la vita a sognare il giorno in cui potranno piantare legalmente quattro pallottole in corpo a qualcuno, hai già risolto la tua equazione ancora prima che la scena abbia inizio. Finirà sempre e soltanto in quel modo, garantito e confermato.
Risulta però che nel caso specifico, invece di un "terrorista", la vittima fosse semplicemente un malato mentale, affetto da cosiddetto bipolarismo. Una sindrome di tipo schizoide, dicono, con improvvisi mutamenti di umore.
Pare infatti che Roberto Alpizar si sia alzato di colpo dal suo sedile di coda, durante la sosta a Miami, e si sia messo a correre verso la parte anteriore dell'aereo, sbaracciandosi e urlando "c'è una bomba nel bagaglio a mano". Non si capiva bene se parlasse del suo, che si portava dietro, o di quello di qualcun altro (anche se si dedurrebbe, visto che scappa, che non se la stia portando dietro lui, la bomba). Alpizar era inseguito a pochi metri dalla moglie, che urlava "è mio marito, è malato, non ha preso la medicina!", e questo già spiegava alcune cose. Ma l'uomo riusciva comunque ad arrivare ad un portello aperto, e si infilava di corsa nel tunnel che porta al terminal. Qui l'addetto alla sicurezza - non si capisce bene sbucato da dove - dice di avergli prima intimato di fermarsi, e poi di avergli sparato, mentre lui "allungava la mano per cercare qualcosa nel borsone che portava con sè".
E' qui che sta la chiave della vigliaccata. E' qui che il poliziotto, che avrebbe avuto ragione da vendere, passa di colpo dalla parte del torto: è altamente improbabile che uno che sta scappando tutto agitato - schizoide o meno che sia - decida di "infilare una mano nel borsone" proprio quando gli viene intimato l'alt alle spalle. Fra l'altro, quello è già mezz'ora che corre, con la gente che gli urla dietro, sai che differenza gli può fare un alt in più o in meno. Nè risulta che tale reazione faccia parte dei riflessi condizionati dell'essere umano. Ma tant'è, questo basta all'agente come scusa per sparargli, e naturalmente lo fa alla schiena già che c'è. Cosi ora Alpizar è morto - come dicevamo - e se la mano nella borsa non ce l'ha mai messa, non potrà certo più raccontarcelo lui.
Vediamo di essere chiari: qui nessuno sostiene che non ci voglia del personale di sicurezza armato, che l'agente non dovesse sparare del tutto, nè che Alpizar - al di là di quanto cosciente fosse delle sue azioni - avesse alcun diritto di cavarsela con un semplice buffetto sulla nuca. O al manicomio, o in galera, da qualche parte ci doveva finire comunque, dopo quel gesto. Specialmente in tempi come questi, dove un qualunque starnuto rischia di essere scambiato per un attacco di bin Laden (che fine ha fatto, fra l'altro, il nostro dializzato "dead or alive"?).
Ma è proprio perchè siamo "in tempi come questi", che chi porta il cinturone - glielo affidiamo sempre noi, non dimentichiamolo - deve saper ragionare al momento giusto, invece di farsi prendere dalla sindrome di Pecos Bill.
Quante ore hai passato al poligono, col tuo bel paraorecchi calato sul cappellino da baseball, a sognare un momento come questo? Tu e la tua pistola da una parte, la sicurezza dell'intera nazione dall'altra. Ma non dirmi che nel frattempo non hai anche imparato a distinguere un polpaccio da un polmone, però!
Dì la verità, tu hai voluto ucciderlo, quell'uomo, non fermarlo. Perchè se lo hai preso alla schiena, vuol dire che un grande "pericolo imminente" per te non poteva rappresentrarlo, nemmeno se avesse avuto tutte e due le braccia infilate nel borsone fino all'ascella.
Finchè il fuggitivo non si gira, e non ti punta chiaramente un'arma contro, hai tutto il tempo di tenerlo nel mirino, e di sparargli casomai nelle gambe, per fermarlo. Stai tranquillo che con un femore spezzato, o con un proiettile piantato nel tallone, gli passa subito la voglia di "cercare nel borsone". Solo nei film la gente non sente male, con una pallottola in corpo. E se proprio insiste, a quel punto piantagliene un'altra in testa, e hai ragione tu.
Se invece vuoi raccontarmi che temevi che tirasse fuori una "bomba" dal quel borsone, ti licenzio in tronco e ti mando a fare il lavapiatti in Indonesia, perchè tu sei molto più pericoloso di lui: solo un imbecille spara, in un aeroporto specialmente, rischiando di colpire una bomba inesplosa.
E' veramente difficile colpire un uomo alle spalle, mentre scappa, e sostenere di aver avuto il pieno diritto di farlo. Gli unici altri al mondo che se lo possono permettere sono i poliziotti "antiterrorismo" di Tony Blair. Se poi hai lo zainetto sulle spalle, e porti magari il cappotto in piena estate, loro non capiscono più niente, e cercano addirittura di aggirarti, se ti presenti di fronte, per poterti colpire da dietro.
Lo vedi, caro il mio pistolero, che in un modo o nell'altro hai sbagliato? O hai esagerato, o hai mentito, o probabilmente tutte e due le cose.
Di la verità, a questo punto: perchè hai voluto uccidere a tutti i costi? Perchè non ce la facevi più dalla voglia di far fuori qualcuno "legalmente"? O perchè te lo hanno ordinato, ti hanno condizionato? Forse non si fidano di te, della tua capacità di giudizio, e allora ti hanno insegnato sempre prima a sparare, e poi casomai a fare le domande?
E' questo il valore che danno alla tua intelligenza, alla tua persona? Ed è questo, soprattutto, il valore che si dà alla vita altrui? Davvero la si può affidare così, alla roulette della fortuna? Rosso vivi, nero muori, se ho sbagliato scusa, un'altra volta magari non correre così veloce?
Fra una società che arriva ad autorizzarti a uccidere senza nemmeno ragionare, ed una che ti obbliga a farlo con un addestramento specifico, condizionante, davvero non saprei quale sia più grave. Ma di certo qui di "luce" se ne vede poca in ogni direzione.
Massimo Mazzucco