di Nicoletta Forcheri
Dopo la notizia sulla stampa il 20 giugno scorso della concessione di permessi di ricerca di idrocarburi nei più bei paesaggi della Toscana e del mondo, è calato il silenzio, provocato ad arte dalle dichiarazioni falsamente rassicuranti del presidente della Regione Toscana, Martini (“non ci saranno mai trivelle nel Chianti”) e dell’assessore all’Ambiente Artusa, che ha dichiarato la sua intenzione di annullare i permessi con una delibera della giunta regionale.
A parte che la regione Toscana se è guardata bene dall'annullare checchessia, tra le altre reazioni degne di nota, spiccano quelle sibilline di Rutelli e di Pecoraro Scanio: il primo ha affermato di non saperne niente, ma normalmente era stato avvertito qualche giorno prima. Il secondo si è limitato a preoccuparsi unicamente delle zone protette, già salvaguardate nei permessi. Numerosi sono gli altri punti torbidi, per l’ambiente, e non solo di cui si dovrebbe preoccupare....
Primo, chiunque conosca quelle zone o vi abiti, sa che da Montalcino ad Asciano, Buonconvento, passando da Siena fino a Monteriggioni e San Gimignano, e diradando verso Castellina in Chianti e Calstelnuovo di Berardenga, ma anche il volterrano e la maremma, è tutto un insieme di paesaggi eccezionali, miracolosamente preservati intatti nei millenni, che sarebbero da tutelare in toto per il futuro, ... ... come modello di sviluppo culturale/economico, favorito dal genius loci. Secondo, dopo aver verificato le dimensioni delle zone protette, si scopre con sgomento che in quella parte della Toscana sembrano più estese le aree industriali che non le aree protette. Quando si pensa che i permessi riguardano una zona di oltre 1500 km2 (1800 secondo la società, poco più di 1500 secondo i decreti) e se si conoscono quei paesaggi, quelle mulattiere, quelle realtà economico-sociali, ci si chiede sconcertati: dove ci stanno 1500 km2 da esplorare per l’industria degli idrocarburi?
Il punto quindi non sono le zone protette, il punto è l’attacco economico-ambientale che l’Italia sta subendo con la complicità del governo. Un tale attacco, che obbedisce ad altre logiche e ad altri programmi che non quelli ufficiali, rappresenta già di per sé un abuso, una violazione dei diritti delle popolazioni locali e del paese. Non solo per i contenuti, ma anche nella forma.
Le reazioni degli esponenti - ambigue e contraddittorie - della regione stanno ad indicare come minimo pressioni subite quando Martini, presidente della Regione, afferma che non ci saranno mai “trivellazioni” e Artusa, assessore all’Ambiente, dice che annullerà con una delibera i decreti. Se i decreti fossero così innocui come sembra dichiarare Martini, o approvati secondo tutte le regole, allora perché Artusa si è affrettato a dichiarare di volerli annullare? D’altro canto Mauro Grassi, dirigente responsabile delle delibere, ed altri dirigenti regionali, non smentiscono niente e vanno avanti. Anzi trapela dalle loro parole un certo entusiasmo ammirativo per il modello di accordo Regione Basilicata/Exxon/Total/Shell, concluso durante il governo Berlusconi, quando Bubbico era presidente della Regione Basilicata. Grazie a quel modello la Regione Basilicata e i comuni interessati hanno potuto incassare una parte, anticipata, delle aliquote di produzione.
Le dichiarazioni sulle “trivelle” del presidente Martini, poi, sono solo sofismi, poiché se nel decreto mai è citata la parola infausta, al suo posto compaiono i “sondaggi stratigrafici superficiali di profondità totale circa mille metri” (…) “che, inclusa la cantierizzazione, presentano elementi di criticità genericamente legati al sito specifico”: e questi già al secondo anno senza foglio di Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA). Martini ci vorrebbe forse anche far credere, con un’altra arguzia, che pozzi di mille metri, nelle crete senesi, non siano dannosi solo perché “esplorativi”?
Oltre tutto nello stesso permesso, che dura sei anni, è già prevista la seconda fase di esplorazioni più profonde in aree più delimitate con “perforazioni” e "significativi impatti critici negativi”, anche se subordinata a studio di VIA. E prove di produzione. Il problema non sono le “trivellazioni”, anche pozzi e perforazioni sono dannosi. Soprattutto in quei paesaggi. Il problema sono anche i modi, di dubbia legittimità.
Perché nei decreti non si richiede neanche lo studio di valutazione d’impatto ambientale (VIA) per permessi che prevedono pozzi di mille metri in regioni come la Val d’Orcia - patrimonio dell’Unesco - le Crete senesi, il Chianti, la Val d’Elsa o il Volterrano: siamo proprio sicuri che secondo le direttive europee non ci voglia uno studio di V.I.A.?. E se la Regione proprio non volesse mai rischiare le trivelle, come dichiara, allora perché il suo diligente dirigente, Fabio Zita, si è spinto fino a includere, negli stessi permessi, una seconda fase più invasiva per arrivare fino a prove di produzione? Prove di produzione che equivalgono a produzione vera e propria solo che ai sensi della legge esonerano la società destinataria dal pagamento di qualsiasi canone e royalties…
Comunque sia, il programma prosegue approfittando del silenzio della stampa visto che ci sarà una conferenza di servizi con il ministero, tra pochi giorni, durante la quale tutti hanno l’intenzione di confermare i permessi ma ribadendo e iscrivendo di escludere nel modo più assoluto le zone protette/vincolate e patrimonio dell'Unesco. Come detto sopra, il punto non è questo, visto che da quel punto di vista le tutele sono già iscritte nei permessi. Il punto o i punti sono la forma e la sostanza, che fanno acqua da tutte le parti.
La cronistoria.
*L'8 aprile 2004, governo Berlusconi, quando Ministro alle Attività Produttive era Marzano - quello della multa a chi NON fa pagare l’acqua del rubinetto negli esercizi pubblici, per intenderci - la Società Heritage Petroleum Plc presentava a quest’ultimo un’istanza per il rilascio dei tre permessi di ricerca di idrocarburi in toscana.
*Il Ministero con nota del 13 dicembre 2005 n.0020484, ossia un anno e 7 mesi dopo, chiedeva l'intesa alla Regione ai sensi dell'accordo Stato/Regione del 24 aprile 2001 (nel frattempo il Ministro Att. Produttive era stato cambiato con Scajola, anche se sul sito del governo risulta Marzano, “invariato”).
*Il 26 giugno 2006, più di sei mesi dopo, la Società introduceva l'istanza alla Regione, con relazione tecnico descrittiva per la richiesta di VIA (documenti non visionabili per “questioni di privacy”), mentre nel frattempo era diventato Ministro dello Sviluppo Economico Bersani, Sottosegretari Bubbico, Gianni e Stradiotto, e Vice Ministro Sergio D’Antoni, che cumula con la carica di deputato
*Il 15 dicembre 2006, la stessa società comunicava, sei mesi dopo, documenti integrativi dell'istanza di VIA.
* Fabio Zita, dirigente regionale, firmava i decreti dei permessi il 26 aprile 2007, come semplice atto burocratico, determinando che per la prima fase la Valutazione ambientale non era necessaria.
* La Giunta regionale dava l'intesa con le tre delibere del 14 maggio 2007 (tre delibere per tre permessi) all'unanimità, DOPO che i decreti dei permessi erano già stati accordati, da un semplice dirigente....
* Tali decreti venivano pubblicati sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana il 6 giugno scorso.
Vizi di forma e confusione procedurale?
Martini ha affermato che la Regione ha dato “solo” un’intesa in seguito a una richiesta del Ministero Attività Produttive, nel quadro di una procedura d’intesa Stato/Regioni per i permessi di ricerca di idrocarburi.
Ed effettivamente con la delibera del 14 maggio scorso, posteriore ai decreti dei permessi, la giunta regionale dava un parere positivo per l'intesa al Ministero dello Sviluppo Economico (ex Attivittà Produttive) all'unanimità1. Tale delibera, proposta dall’assessore Artusa, rispondeva a una richiesta d'intesa del 20 dicembre 2005 da parte del ministero Attività produttive, Ministro Scajola, dell’allora governo Berlusconi.
Domanda: è normale che la giunta regionale approvi le delibere d’intesa al Ministero dopo la firma dei decreti dei permessi da parte di un semplice dirigente della Regione? Come minimo qua appare esserci un vizio di forma.
Altra domanda: quali sono i termini di prescrizione? Qua sono passati oltre due anni. La richiesta d’intesa del 20 dicembre 2005 infatti si basa sulla legge n. 239 del 23 agosto 2004, che afferma che (comma 80, art. 1) "nel caso dei permessi di ricerca, l'istruttoria si conclude entro il termine di sei mesi dalla data di conclusione del procedimento”: dalla richiesta della società al Ministero alla richiesta d’intesa alla Regione i mesi trascorsi sono più di sei. E passa un anno e mezzo da quest’ultima alla risposta della Regione al ministero il 26 maggio scorso. E se i tempi di risposta della Regione sono definiti dalla LR 79/98, che disciplina la valutazione d’impatto ambientale, e parla di un termine massimo di sessanta giorni per rispondere alle società, essa prevede anche che la richiesta d’integrazione di documenti, com’è il caso nostro, "interrompe i termini del procedimento”….Strana legge regionale che impone delle scadenze unicamente alla Regione e non parla di quelle della Società…
Per il procedimento, poi, non si capisce che cosa sia esattamente “l’intesa” Stato/Regioni? Nelle delibere del 26 maggio della giunta regionale è citato come base giuridica dell’intesa, l'Accordo "Stato/Regioni del 24 aprile 2001". Peccato che nell’accordo l’intesa non sia definita.
E infatti nell’accordo Stato/Regioni 2001 si legge: "visto l'art 29, comma 2, lettera 1) del ricordato decreto legislativo del 31 marzo 1998 n. 112 come modificato dall'articolo 3, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n 443 che dispone che le funzioni amministrative relative a prospezione ricerca e coltivazione di idrocarburi in terraferma ivi comprese quelle di polizia mineraria siano svolte dallo Stato d'intesa con la regione interessata, secondo modalità procedimentali da emanare entro sei mesi dalla entrata in vigore del presente decreto legislativo". Nulla di più.
Le modalità di tale procedimento dovevano essere definite dalla Regione ma nessun rimando giuridico pertinente appare sulle delibere d’intesa. La competenza in materia di ricerca e coltivazione degli idrocarburi è rimasta al governo, “d’intesa” con la Regione, mentre la Regione, o anche i ministeri pertinenti, possono opporre un rifiuto “tecnico” motivato ai sensi della legge 241/90.
E infatti la 241/90, che disciplina le conferenze di servizi, prevede che se alla conferenza di servizi un’amministrazione “preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità” esprime il dissenso, “la decisione è rimessa dall'amministrazione procedente, entro dieci giorni: a) al Consiglio dei Ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni statali; b) alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata "Conferenza Stato-regioni", in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; c) alla Conferenza unificata, (…) in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Piccolo spiraglio? Pecoraro Scanio e Rutelli possono quindi dissentire. Vedremo se lo faranno.
Le delibere d'intesa della Giunta regionale Toscana del 14 maggio 2007 si richiamano quindi al procedimento definito nell'Accordo Stato/Regioni del 24 aprile 2001, ma quest’ultimo non definisce ulteriormente “l’intesa”. Né sono più precisi nel merito gli altri rimandi legislativi contenuti nelle delibere, a parte la definizione delle conferenze di servizi2.
Vizi di forma potrebbero essere contenuti nelle delibere d’intesa tali da poterne prevedere direttamente l’annullamento: come il citato Art. 3, c, 1, lett. B dell’Accordo Stato/Regioni del 27/4/2001, che è irreperibile, come anche la lettera b) dell’articolo 3, comma 1 della legge 443/99, sempre citata sulle delibere. Anche le basi giuridiche dell’intesa delle delibere appaiono insufficienti al semplice cittadino, che poi dovrebbe essere il destinatario ultimo della democrazia.
Alla ricerca estenuante della definizione giuridica d'intesa, alla fine mi sono arresa all’evidenza: che “intesa” significhi semplicemente “intesa”, un accomodamento tra le parti, una pacca sulle spalle e via? Tutto sta ad indicarlo, soprattutto la rapidità con la quale Artusa, il proponente assessore all’Ambiente, ha dichiarato che avrebbe annullato il decreto, quando è uscita la notizia sulla stampa, e l’unanimità con cui la giunta ha votato la delibera d’intesa, tranne i tre assenti. Intesa assumerebbe allora il senso di “intesa” sì, ma “coatta”…
Come mai neanche un voto contrario per un argomento così delicato? Artusa, è stato costretto? Forse si, visto che i decreti erano già stati firmati; passati come semplice atto burocratico, come alcuni hanno detto, o probabilmente le costrizioni venivano da molto in alto. A noi cittadini il calice amaro della democrazia. Solo con un lavoro da certosini, o della magistratura, si possono forse riordinare le carte. Ma nel frattempo le procedure continuano e le “agende” anche.
Agende definite chiaramente anche da Bersani quando afferma nei suoi programmi, sulla scia programmatica dei suoi predecessori, cose che affermano tutti come pappagalli, in Europa come negli USA, ossia la preoccupazione per la “dipendenza crescente dalla Russia in materia di gas” nonostante l’accordo Eni/Gazprom; le preoccupazioni di “sicurezza dell’approvvigionamento energetico” del paese, frase tradotta tale e quale dall’inglese di altri paesi, e tale da giustificare le guerre preventive; il calo della produzione in Italia, e la necessità di produrvi più gas e carbone. Si, si, qualche misura incentivante per i privati nel fotovoltaico, ma le fette grosse del paese ai trafficanti di idrocarburi.
Il paese intero è del resto dichiarato dal 1996, con la modifica d’un articolo di una legge precedente “disponibile in maniera permanente alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi” (625/1996, art. 3, comma1). In barba alle energie rinnovabili, alle emissioni di CO2, alle decisioni da prendere consultando il paese, allo sviluppo sostenibile. E alla nostra ricchezza di sole. Qua vige il principio della svendita “collegiale” che assomiglia stranamente all’omertà, e l’obiettivo della valorizzazione degli idrocarburi, in particolare del gas. E l’Italia, secondo questa agenda “discreta”, dovrebbe divenire leader nel settore…
E mentre la Regione Toscana si aggroviglia nella contraddizione di accordare dei permessi per esplorare il sottosuolo “solo per motivi conoscitivi”, a una società quotata sulla borsa australiana, formata da 3 azionisti/amministratori, 20 fondi di investimento (60%) e nessun dipendente, stride con i principi di sussidiarietà e di “rispetto delle volontà degli enti locali”, il fatto che l’intesa sia stata data senza l'acquisizione del parere di 24 comuni3, con il parere decisamente contrario di 44 di essi per "sostanziale incompatibilità”.5 e il parere positivo di 4 province e di 4 comunità montane e 5 comuni. Così il fronte che i comuni volevano formare per il no, appare già incrinato.
E anche se in materia vige il silenzio-assenso degli enti locali, qualcosa dev’essere sfuggito ai Comuni se hanno dichiarato di volere formare un fronte del “no”, mentre la maggior parte di essi non ha dato ancora il parere, rischiando l'assenso. O è sfuggito a noi cittadini?
Oltretutto, gli appigli per rifiutare tali permessi esistono sia a livello regionale che a livello del governo: la Regione poteva imporre una valutazione d’impatto ambientale anche per la prima fase – o qualcuno vieta alla Regione di applicare le legislazioni comunitarie in maniera più “restrittiva”? - mentre il Ministero, in virtù del decreto legislativo 625 del 25 nov. 1996, poteva impiegare “la facoltà di negare, per motivi di sicurezza nazionale, l'autorizzazione all'accesso o all'esercizio delle attività (…) a qualsiasi ente effettivamente controllato da Stati o cittadini non appartenenti alla Unione europea". Se l’articolo non è stato modificato, sicuramente potrebbe applicarsi in questo caso. A meno di obbedire ad altre logiche.6
A quali logiche obbedisca questo governo, in una continuità d'intenti troppo imbarazzante, che sia per la base di Vicenza, i permessi in Val di Noto, o le trivelle in Val d’Orcia?
La società destinataria e sospetti di aggiotaggio
La Heritage Petroleum plc dei decreti, nel frattempo non esiste più – altro vizio di forma?- uscita dalla Borsa australiana il 2 febbraio scorso e scomparsa acquisita dall’australiana European Gas Limited (EGL) ex Kimberley Oil, costituita da tre azionisti, definiti da alcuni del settore degli “avventurieri”, e 20 fondi/banche di investimento. Adesso è stata ridimensionata a una quota dello 0,92 (“azionista dissenziente”). Uno dei tre soci/amministratori della Kimberley era anche socio amministratore della Heritage che, come in un caso italiano reso famoso da Beppe Grillo, si è comprato e venduto da solo. Nel mondo della finanza speculativa, ormai, tutto il mondo è paese.
Non è stato facile individuare i tre azionisti, perché la Heritage non esisteva più, e il sito della EGL (European Gas Limited), società quotata sulla borsa australiana, sul suo sito mette un falso indirizzo a Nizza. Dopo essere risalita all’indirizzo di Parigi, risponde una segretaria non autorizzata a dare il numero degli impiegati. A parte che non sembra una domanda indiscreta, la ragione è semplice: zero impiegati, il tutto avvolto da una riservatezza ossessiva.
In cambio la società ha - o bisogna forse dire “è”? - 20 fondi di investimento, che possiedono insieme il 60% delle quote, e tra cui figura nientemeno che la Citicorp, la Merril Lynch, la Nefco, la Anz, la National Nominees e tanti altri dai nomi poco noti a noi pubblico ignaro..
Però una cosa è certa: che il 15 dicembre 2006, lo stesso giorno in cui la Heritage Petroleum comunicava alla Regione i documenti integrativi per il V.i.a., facendo saltare i termini come visto sopra, la EGL annunciava l’intenzione di acquisirne il controllo. L’acquisizione si concludeva a febbraio di quest’anno.
E così mentre sul sito della società i permessi figurano come pendenti, in alcuni siti borsistici apparivano come già acquisiti “offered”, e in altri si legge che la società “possiede attualmente 7 permessi esplorativi di idrocarburi di gas, 3 in Francia, su 1753 km2 e 4 in Italia su 2168 km2. (uno a Sulcis) i cui studi esplorativi sono stati oggetto di joint venture”. Nel suo sito erano già segnalati come “conditional licences”. Così mentre alla Regione affermano che niente ancora è confermato, gli australiani sembravano disporre di informazioni più dettagliate tali da smentire la Regione.
A tal punto che la Borsa australiana (ASX) insospettita dall’impennata nel valore delle azioni e dall’aumento di transazioni dall’inizio di quest’anno inviava un fax alla società, il 28 maggio, di richiesta di chiarimenti, se fosse per caso “al corrente di una qualsiasi informazione riguardante la società, non annunciata, tale da spiegare le recenti transazioni nei valori”. La risposta è un laconico No, per poi spiegare tali cambiamenti con l’acquisizione della Heritage Petroleum, “riconosciuta e apprezzata dal mercato”.
La scelta della destinataria dei permessi solleva più di un interrogativo, a guardarci bene. Il fatto ad esempio che la società abbia l’obbligo per statuto di operare tutte le transazioni in dollari australiani. Al cambio, è intuitivo capire chi ci guadagna. I petrodollari. E chi ci perde. Oppure il fatto che la società vanti una tecnica brevettata di estrazione del gas ma nessun dipendente.
La domanda che sorge istintiva è: come vengono verificate le “credenziali” dal Ministero?. La propaganda di governo risponde “noi siamo aperti al mondo” (contrapposti ai “retrogradi”, ”protezionisti”, “no global”). Ma di nuovo il punto non è la contrapposizione tra nazionalisti e globalisti. Il punto è il metodo e l’opportunità di mettere la nostra industria di estrazione degli idrocarburi, in un territorio delicato come i più bei paesaggi e sistemi socioeconomici toscani, mondialmente noti, nelle mani di 20 fondi d’investimento, di creare a nostro svantaggio riserve in petrodollari, e magari di rimetterci anche per il fatto che la società ha il brevetto della tecnica. Tecnica nota a tutti i professionisti del settore, italiani come australiani, ma loro “possiedono” il brevetto (e ce lo faranno pagare…).
Oltretutto questa è una materia che dovrebbe rispondere a principi di “interesse pubblico” e come abbiamo visto esiste l’articolo di legge valido per rifiutare i permessi. Una risposta è stata che la società EGL ha sede a Londra. Oltre al fatto che non è reperibile l’indirizzo a Londra, essa ha una segreteria telefonica “di facciata” a Parigi ed è quotata sulla Borsa australiana, registrata presso la Camera di Commercio in Australia, costituita da tre australiani e 20 fondi d’investimento, quasi tutti angloamericani. Quanto basta per far scattare l’articolo. Ma nessuno ci pensa. E anche se i fondi avessero sede a Londra (nel limite della possibilità per i fondi di avere una sede effettiva) e gli amministratori avessero la doppia cittadinanza, anche un bambino capirebbe che si tratta di trucchetti.
Le condizioni di concessione dei permessi: immutate dal 1996
Difficile vedere come la nostra regione, e il nostro paese possano guadagnarci da uno scambio siffatto. Perché qualsiasi somma risarcitoria che la società dovesse pagare in seguito agli enti comunali, regionali e statali, sarebbero sempre e comunque briciole rispetto al danno enorme arrecato a territori come la Val d’Orcia e il Chianti. E rispetto alle condizioni regali con cui sono dati questi permessi.
Tali condizioni regali sono anche annoverate in uno studio di consulenti della società (Resource Investor), dove figurano l’elevato prezzo del gas, tre o quattro volte quello australiano, la domanda di gas destinata ad aumentare in Europa, e l’opportunità di commercializzare l’acqua, “aperta” al mercato.
Si legge infatti che uno dei grossi inconvenienti della tecnica di estrazione di gas Coal Bed Methane, è l’enorme spreco di acqua. Si ricordi che nelle trivellazioni, ma anche nei semplici pozzi, si vanno a toccare e spesso a inquinare le falde acquifere. Per non sprecare l’acqua, la società si propone di commercializzarla: “nella migliore delle ipotesi potremo commercializzare e vendere l’acqua, sia per l’agricoltura sia per i locali. Nella peggiore delle ipotesi, potremo riutilizzarla nel ciclo”. Oltretutto c’è molta acqua termale da quelle parti ma nessuno ne parla sebbene sia l’aspetto più devastante: oro nero e oro blu, le poste in gioco più ambite come beni rifugio per un sistema finanziario internazionale rapace e traballante.
Ma le condizioni regali sono soprattutto quelle che il nostro generoso governo/Stato offre a fondi/banche esteri per la ricerca di idrocarburi, condizioni da fare indignare il cittadino normale, il cui lavoro è tartassato, precario, non tutelato, e i cui risparmi, quando ci sono, sono derubati, e la propria pensione sequestrata da quegli stessi fondi d’investimento che vengono a trivellargli il bene più prezioso che ha: il paesaggio e le sue risorse.
Nel sito della Northern Petroleum si leggeva – nel frattempo hanno soppresso la pagina - che le condizioni italiane sono meravigliose perché:
I canoni annui per le licenze sono solo di 5 Euro per km²;
I permessi si possono introdurre per qualsiasi area e ad ogni momento, non vi sono turni e le candidature possono portare su aree grandi fino a 750 km2;
I permessi sono concessi per un periodo iniziale di sei anni, e possono passare cinque anni prima che una società abbia l’obbligo di trivellare (la frase inglese presta ad ambiguità: “and it can be five years before a firm obligation to drill is required”).
Le banche dati sono accessibili;
Le royalties sono limitate fino a un massimo di solo il 7% (4% per il petrolio offshore), tuttavia non sono richieste royalties per i primi 20 milioni annui di metri cubici di gas e 20000 barili di petrolio prodotti da ogni singolo accumulatore;
L’aliquota massima sul reddito sia per le tasse regionali che per gli utili delle società è del 35% massimo.
Più che condizioni regali, sono regali. In cambio di che cosa? E niente è stato fatto per aumentarle, anzi, nella legislazione vigente vi è persino spazio per ulteriori sconti. Nella legge 625/1996, i canoni annui per le licenze erano già 10000 Lit per km2 per il permesso di ricerca. In pratica i canoni annui per le licenze non sono aumentati di un centesimo dal 1996, anno in cui vigeva ancora la Lira mentre nel frattempo siamo passati all'euro e gli idrocarburi sono come minimo raddoppiati (quintuplicato il gas). E i nostri stipendi dimezzati, gli affitti raddoppiati.
Stesso discorso per il pagamento delle royalties, che è rimasto lo stesso dal 1996: al 7% della quantità di idrocarburi gassosi; esenzione di royalties per le produzioni disperse, bruciate, impiegate in operazioni di cantiere o di campo o reimmesse in giacimento. Nessuna aliquota neanche per le prove di produzione (previste nei permessi in oggetto). Stesse esenzioni dal 1996 per i primi 20 milioni annui di gas e per le prime 20000 tonnellate di olio prodotti annualmente in terraferma..
Una domanda sorge spontanea sull'opportunità di mantenere condizioni così "regali", le stesse di dieci anni fa, considerando che nel frattempo sarebbero dovuti diventare prioritari gli obiettivi di energie rinnovabili. Come mai il nostro governo, in fedele ottemperanza all’agenda del governo precedente, gioca al ribasso per gli idrocarburi, mentre dice di puntare tutto sulle energie rinnovabili? Stiamo forse aspettando EDF, multinazionale a maggioranza statale francese (90%) o non so quale altra multinazionale che si appropri del nostro sole e della nostra acqua e che ce le faccia pagare care???
Il permesso di Sulcis, Sardegna, di tre anni, non sarebbe stato prorogato, anche se i soliti siti borsistici ottimistici non ne parlano e il sito della società parla di complicazioni burocratiche. Sarebbe interessante chiedere alla Regione Sardegna, perché. Ma soprattutto preoccupa il commento della società: “Vista la bassa priorità del progetto, la Heritage Petroleum ha deciso di non ricorrere in appello contro la decisione”. Che la Toscana abbia una priorità più elevata? E c’era lo spazio per ricorrere in appello e contestare una decisione legittima e sovrana? Con i fondi finanziari non si scherza!
Il governo Prodi e i mille conflitti d’interessi
Queste condizioni ci riportano invariabilmente a Bersani e al suo Ministero. Del resto Bersani ce lo ritroviamo sulla prima pagina dell’OMC, Offshore Mediterranean Conference (www.omc.it) che, creata sotto l’egida del Primo ministro e del Ministro dello Sviluppo Economico, è sponsorizzata dai colossi del petrolio/gas come la tristemente nota Halliburton di Cheney, la non meglio amata Exxon Mobil, la Shell, IBM e tante altre. Inoltre la stessa “Conferenza”, dallo statuto non meglio definito, vanta tra i membri del suo Comitato d’onore, Romano PRODI, Pierluigi BERSANI, assieme al presidente dell’ENI, Roberto POLI, e a Piero Gnudi, presidente dell’Observatoire Méditerranéen de l’Energie, opportunamente sito in Francia.
E dovremmo stupirci che più nessuno voglia risolvere il conflitto d’interessi? Ma il baco ha ormai bacato tutto, pervaso com’è dal conflitto d’interessi, dai cumuli di cariche, politico-politiche, eco-economiche e politico-economiche. Si potrebbe dire “indebita commistione”, espressione usata da Bersani stesso in una interrogazione firmata assieme a Visco nel 2000, per denunciare una pratica di “colateralismo” a proposito di un articolo firmato a due mani dall’allora presidente della Conf. Antonio D’Amato e l’allora Ministro delle Finanze, Giulio Tremonti.
L’interrogazione viene messa in bella mostra sul sito dell’associazione creata da Visco, Bersani e Farina, “la New Economy New Society” (www.nens.it ), il cui nome riecheggia sinistramente altre casse di risonanza/propaganda, come la sempre più tristemente nota PNAC,( www.newamericancentury.org ) per il verbo che diffonde guerrafondaio e per i loschi figuri che la compongono. Dell’associazione del resto non si capisce: è pubblica? privata? Quali contributi riceve esattamente? Basti pensare che nei link figurano i siti di società al cento per cento private come la Banca d’Italia e l’FMI, o l’OCSE e relativi loro articoli/documenti propagandistici, che nello statuto l’associazione si prefigge non meglio precisati studi e ricerche e il “patrimonio” (parola adatta alle società inglesi) è costituito anche da “contributi di enti pubblici e privati, nazionali ed esteri”, imprese e persone fisiche e da ogni altro “provento derivante dall'esercizio dell'attività sociale”. Che cos’è:, un gruppo di lobby? Pagato da chi? Un’associazione di che tipo?
La vicenda diventa tanto più attuale se si considera che tra i responsabili al ministero Sviluppo economico, competenti nella materia, oltre a Bersani, che era già ministro all’Industria all’epoca dell’accordo Basilicata/Eni, figura anche il Sottosegretario Bubbico7, o meglio il Sen. Filippo Bubbico, sebbene si sia dimesso dalla carica di senatore il 25 ottobre scorso, il cui indirizzo mail è ancora con il dominio @attivitaproduttive.gov.it, dal nome del vecchio ministero sotto Berlusconi, sito che non esiste più e che riconduce all’opera iniziata da Marzano e Scajola, ex ministri delle Attività produttive. Poi, coincidenza, perchè Bubbico è stato presidente della Regione Basilicata dal 2000 al 2005 al momento dei negoziati con Shell/Total/Esso per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio, portato ad esempio dai dirigenti della Regione Toscana. Che sia questo il disegno che hanno in mente? E poi anche perché sarebbe indagato, notizia del 6 giugno scorso, dalla magistratura di Potenza e Catanzaro, per la presunta implicazione nella vicenda "toghe lucane", indagato per abuso d'ufficio, associazione per delinquere e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, e sarebbe stato coinvolto in un "vero e proprio centro di affari occulto" tra politici, magistrati, funzionari e uomini d’affari, per tutelare interessi personali e di gruppi, in una "logica trasversale negli schieramenti", con il "collante degli affari".
Nel regno di Pulcinella, mi richiama personalmente la segretaria di Bubbico per precisare che la delega all’Energia sarebbe rimasta a Bersani il quale gli ha subito rinnovato la fiducia, dichiarando di essere certo che "verrà chiarita l'assoluta trasparenza dei suoi comportamenti e voglio ribadire la piena fiducia verso Bubbico, di cui tutti hanno potuto valutare correttezza e capacità nello svolgimento di funzioni amministrative e di governo". Colpisce del resto come niente sia specificato sul sito dello Sviluppo economico, dove vige in materia di deleghe a Ministri, Vice Ministri, e Sottosegretari le flou artistique. Colpisce anche la notizia, che proprio qualche giorno dopo avere ricevuto la telefonata della segretaria Bubbico partecipava, il 4 luglio, a un Convegno della Assogasliquidi Federchimica intitolata “Politiche fiscali e finanziarie a favore della mobilità ecologica: i carburanti gassosi, stato dell’arte e prospettive future”.
L’agenda “riservata” sarebbe quindi la nuova macchina metà a gas e metà a benzina, e in attesa dell’esaurimento completo del petrolio, le grandi sorelle si stanno riorientando verso il gas, in qualunque parte dell’universo che volente o nolente dovrà sottostare alla “pax americana” per il bene della “sicurezza degli approvvigionamenti energetici”? E pazienza se si sfregiano paesaggi mondialmente conosciuti in Occidente, con grande desolazione di petrolieri che mi hanno augurato tutto il successo in questa battaglia. D’altronde che cosa volete che sia un paesaggio, quando in nome della stessa ideologia si centrano innumerevoli bersagli civili negli incidenti “collaterali”, in quei paesi, ricchi di gas e di petrolio, che non hanno la fortuna di far parte dell’Occidente?
In due settimane di esame della questione, sono balzati chiari e nitidi numerosi interrogativi sulla legalità delle procedure impiegate, oltre che sull’opportunità delle decisioni stesse. Un filo discreto sembra legare Bersani, Bubbico, Scajola – gli idrocarburi – a Prodi, Gnutti, Poli, Visco, evidenziato dall’OMC.it, dal Nens, dall’accordo Eni/Basilicata (Bersani ministro dell’Industria), Basilicata/Shell/Total/Exxon (Bubbico/Scajola), e adesso il futuro accordo Toscana/fondi…
Si evidenziano anche chiaramente grosse incrinature nel rapporto Stato/regioni, da una parte e regioni/enti locali dall’altra, vuoti giuridici e punti oscuri a livello legislativo. Gli atti in materia, sempre più farciti di rimandi, sempre meno leggibili nel loro insieme, sono sempre più come bambole russe. Al riguardo, la tendenza si è andata peggiorando a tal punto che si è creato un abisso tra un regio decreto del 1927 e un decreto legislativo del 2007: il primo è chiaro e lineare e il secondo sempre più illeggibile, sempre più carta straccia. Carta straccia che dovrebbe avere valore di legge.
L’Italia intera è al centro di uno sforzo programmatico per divenire un centro di produzione, stoccaggio e trasporto di gas nel Mediterraneo, supportato da numerose affermazioni di previsioni di aumento della domanda di gas, e dai numerosi progetti di gasdotti provenienti dal Mediterraneo e di rigassificatori, e ciò nonostante i timidi sforzi di conversione all’energia geotermica e foto voltaica, troppo poco pubblicizzata né sostenuta per tutte le fasce della popolazione. Rimane in aumento esponenziale anche l’attività di ricerca di petrolio off-shore e in terraferma come conseguenza della prevista chiusura e/o esaurimento dei giacimenti nel Mare del Nord: al 31 maggio 2007 erano quasi duecento istanze di ricerca e di coltivazione di idrocarburi in terraferma e in mare presso il ministero Sviluppo economico8.
Questo sforzo programmatico è in totale contraddizione con i proclami elettorali e le potenzialità economiche tipiche del nostro paese, più adatte al Made in Quality, al turismo non di massa, ai prodotti agricoli biologici, al design e alla moda, e alle imprese aziendali di piccole dimensioni, con energia prodotta dal basso, dal sole, dall’acqua, dal vento, e dai flussi di calore geotermici.
Purtroppo le “agende internazionali/riservate” sottoscritte dai nostri politici, sono diverse da quelle dei proclami elettorali e hanno a che fare con le banche d'investimento e i petrolieri. Poco importa se il popolo italiano la pensa in un altro modo. La loro idea di progresso ci verrà imposta nella migliore delle ipotesi con quel tono paternalista degno dei migliori fascismi, nella peggiore, mandando l'esercito come a Serre per imporre la discarica...
Nicoletta Forcheri
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Toscana, U.S.A.