di Stefano Castellaneta
Negli ultimi anni, il modello imperante sui media a grande diffusione è quello dell'infotainment, ovvero dell'informazione mista ad intrattenimento, che spesso finisce per non essere nè l'una nè l'altro, ma un insipido miscuglio di entrambe, il cui fine sembra essere quello di diluire il minimo di contenuto nel massimo del tempo disponibile.
Nemmeno l'informazione scientifica sfugge purtroppo a questo metodo di presentare i fatti insieme ad opinioni che sono spesso poco articolate logicamente, ma di forte presa emotiva. L'effetto è, se possibile, ancora peggiore di quello dell'informazione comune, che dispone se non altro di canali alternativi, come Internet, per chi desidera verificare o approfondire.
In Italia questo effetto è ben visibile su tutti i canali nazionali: le principali trasmissioni scientifiche ... ... rimangono ad un livello molto basso, occupandosi spesso anche di altro (storia,"costume") in maniera dispersiva e scarsamente rigorosa, spesso puntando esclusivamente sull'"effetto" mediatico delle scoperte più clamorose o delle teorie che più cozzano con le conoscenze comuni.
Eppure l'interesse è crescente, alle giornate scientifiche partecipano sempre più persone, i ricercatori che affrontano il difficilissimo mestiere di divulgatore (che deve semplificare senza banalizzare) sono molti. Ma i documentari di qualità latitano (vedi:http://jekyll.sissa.it/index.php?document=362 ) e la ricerca scientifica è in condizioni pessime, con materiale arretrato, fondi quasi inesistenti e pochissime imprese del settore che investono in attività di ricerca (una buona sintesi dei problemi si trova nell'intervista a Giulio Giorello in http://www.societalibera.org/nostreinterviste/intervista_20050406.shtml).
Non mancano, è vero, le eccellenze: i laureati italiani nelle materie scientifiche sono fra i più richiesti nel mondo. Ma questo si ritorce, ironicamente, contro la stessa società italiana: visto che da noi gli spazi non ci sono - causa i pochi fondi, i clientelismi e i noti privilegi nel mondo accademico - ovviamente i migliori vanno all'estero.
Quella che tutti chiamano la "fuga dei cervelli", in realtà non sarebbe patologica di per sè, e la libera circolazione degli scienziati è uno dei fondamenti della ricerca. Ma non quando funziona a senso unico: le proporzioni che il fenomeno ha invece raggiunto da noi evidenziano in maniera stridente come siamo arretrati a livello scientifico. Con il rischio, una volta esaurita la "vena" dei sessantenni in cattedra, di trovarsi senza un ricambio generazionale nei docenti, e con la ricerca bloccata, o "polarizzata" in pochi piccoli centri.
Senza dubbio in Italia si scontano le passate dominazioni culturali cattolica e comunista, entrambe ostili alla cultura scientifica, vuoi per motivi religiosi vuoi per una ideologia particolarmente condizionata dalla rigidità dogmatica del marxismo. C'è anche da considerare la pesante influenza dello sciagurato sistema scolastico italiano, improntato per anni a una filosofia crociana anacronistica e infeconda, che nessuno si è mai preoccupato di aggiornare. Non c'è quindi da meravigliarsi se in Italia la conoscenza scientifica è carente, tanto da meritarsi l'ultimo posto in Europa.
Poco male, potrebbe dire una persona poco informata. Ci sono i tecnici che risolvono i problemi.
Sfortunatamente, in questo modo il cittadino viene tenuto nell'ignoranza totale dei meccanismi di funzionamento di tutto ciò che utilizza, delle dinamiche di progresso scientifico, e delle nuove tecnologie, facilitando enormemente il compito dei cosiddetti "tecnocrati", ovvero i manipolatori che approfittano della scarsissima informazione scientifica per occultare - o quantomeno misconoscere - tecnologie promettenti, e osannare invece strade senza uscita, come avviene con la manipolazione dei dati climatici, per scopi che di scientifico hanno ben poco.
Una società più libera passa anche attraverso una maggiore diffusione delle conoscenze scientifiche. Nel suo capolavoro, "1984", Orwell rappresentava una società dominata dall'ignoranza e dallla mancanza totale di una conoscenza oggettiva, dove tutto veniva fidentemente rimesso al "bipensiero" del partito e affidato, in maniera parcellizzata, a vari "tecnici minori". Come ben sintetizza questa frase del libro (dal "Vocabolario C", in appendice), "un operaio specializzato poteva trovare tutte le parole che gli erano necessarie nella lista dedicata alla sua specializzazione, ma dava di rado più che una fuggevole occhiata alle parole che componevano le altre liste".
Stiamo andando verso un futuro di ignoranti specializzati?
Stefano Castellaneta (Kirbmarc)
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