(26/7/2008) Parte il calcio di punizione. Il portiere vede il pallone che spunta sopra la testa dei suoi difensori, fa due passi verso sinistra, si lancia verso l’alto, e riesce a deviare il tiro sul fondo, prima che la palla si infili sotto l’incrocio dei pali. Il portiere si accartoccia a terra, e si rialza fra gli applausi della folla.
Rivedendo il tutto “al rallentatore”, è accaduto questo:
I raggi di luce riflessi dal pallone in movimento sono stati catturati dagli occhi del portiere, la loro retina li ha trasformati in immagini, e queste sono state spedite al cervello tramite i nervi ottici.
Immediatamente il cervello ha computato altezza, velocità, angolazione, distanza, parabola e forza di rotazione del pallone, e ne ha calcolato la traiettoria che lo portava verso l’incrocio dei pali, alla sua sinistra. Il cervello ha quindi trasmesso centinaia di comandi contemporanei ai diversi muscoli del corpo, che ha iniziato a muoversi in quella direzione.
Mentre il portiere si muoveva verso sinistra, il cervello computava la distanza fra le mani e il sette, e concludeva che prima di lanciarsi era necessario avvicinarsi di più al palo della porta. Mentre partivano gli ordini alle gambe, che compivano il primo passo, gli occhi del portiere seguivano il pallone, e il cervello ri-computava la traiettoria con maggiore precisione. Dopo il primo passo, il cervello stabiliva che la distanza dall’incrocio dei pali era ancora troppo alta per lanciarsi, e partiva l’ordine per le gambe di compiere un secondo passo.
Durante il secondo passo subentrava il fattore emergenza, e il cervello entrava momentaneamente in conflitto: da una parte, la distanza dal sette era ancora eccessiva per arrivarci con le mani, dall’altra la palla era ormai troppo vicina al bersaglio per permettere un terzo passo. In un milionesimo di secondo il cervello decideva che era indispensabile lanciarsi comunque, ... ... e centinaia di muscoli di ogni parte del corpo ricevevano un preciso ordine, mentre il portiere spiccava il balzo verso l’alto.
Durante il salto, gli occhi seguivano costantemente la palla in arrivo, e il cervello ri-computava per infinite volte la traiettoria, mentre partivano i relativi comandi per i muscoli delle braccia, che si allungavano verso l’angolo della porta.
Un instante prima che la palla arrivasse a destinazione, il portiere si rendeva conto che non sarebbe arrivato in tempo per deviarla. A quel punto partiva un comando supplementare ai muscoli lombari, che producevano un “colpo di reni” sufficiente a permettergli di deviare la palla prima che entrasse in porta.
Nel momento in cui la mano del portiere trasmetteva al cervello il segnale di avvenuto contatto col pallone, gli occhi catturavano l’immagine del pallone che deviava la traiettoria oltre la traversa. A quel punto il cervello archiviava l’emergenza “tiro di punizione”, e riorganizzava istantaneamente la gerarchia delle priorità: il corpo si trovava in volo, e diventava necessario atterrare con il minor danno possibile.
Mentre gli occhi esploravano il terreno sottostante, il cervello computava il tempo e l’arco di caduta, e faceva partire centinaia di ordini ai relativi muscoli di tutto il corpo, che permettevano al portiere di raggomitolarsi su se stesso, cadendo a terra senza farsi male.
Tutto questo è avvenuti nell’arco di un paio di secondi circa.
Nulla di tutto ciò è avvenuto a livello razionale.
Quella descritta, inoltre, è solo la parte più visibile di una serie di operazioni, compiute dalla macchina-uomo in quell’arco di tempo, che richiederebbero centinaia di pagine per essere descritte ciascuna nel dovuto dettaglio.
Basti pensare, ad esempio, al “calcolo della traiettoria” fatto dal portiere in poche frazioni di secondo: mentre giungevano ad una zona del cervello le immagini del pallone in movimento, una parte diversa di quel cervello accedeva alla banca dati della memoria, e tutti gli elementi disponibili sul tiro in arrivo – velocità, angolazione, distanza, rotazione del pallone, ecc.. – venivano confrontati in tempo reale con le esperienze passate. Questo permetteva al portiere di prevedere il percorso del pallone con sufficiente precisione da poterne intercettare la traiettoria con successo.
A questo proposito, bisogna tener presente che il cervello “lavora” soprattutto quando noi riposiamo. Dopo una intensa giornata di allenamento, il cervello utilizza le ore di sonno per “rivedere” tutte le azioni della giornata, e sviluppa nuove connessioni sinaptiche, intese a permettere una migliore esecuzione di quelle azioni. In altre parole, il cervello “ripassa”, ad esempio, una sequenza di palleggio intentata dal giocatore, e sviluppa nuove sinapsi - con i muscoli della gamba, con i nervi del piede che riportano al cervello la sensazione del pallone, il suo peso, la sua angolazione, ecc. - intese a migliorare il controllo della palla durante un palleggio. Ecco a cosa serve “allenarsi”: oltre che abituare il corpo ad un rendimento fisico superiore alla norma, il cervello memorizza ed elabora certi gesti particolari, che non vengono compiuti nella vita normale, migliorando l’efficienza della loro esecuzione grazie allo sviluppo di nuovi collegamenti sinaptici
ad hoc.
Il processo di apprendimento quindi non avviene, come si potrebbe pensare, sul campo: l’esercizio fatto durante l’allenamento serve solo a raccogliere informazioni (esperienza), che poi il cervello rielabora durante il sonno, sviluppando le nuove capacità esecutive.
La cosa curiosa è che la meraviglia che noi proviamo di fronte a questa stupefacente raffinatezza e complessità operativa, si registra nel cervello stesso. Ovvero, lo stesso cervello che è capace di tali meraviglie non riesce a capacitarsi delle proprie possibilità.
A rigor di logica, bisognerebbe dedurre che il “caso” che ci ha creato sia infinitamente più intelligente della creazione stessa.
Massimo Mazzucco
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