In questi giorni che precedono il voto parlamentare per il rifinanziamento delle missioni militari all’estero stiamo assistendo a ciò che era ampiamente prevedibile e scontato. E cioè che il movimento pacifista avrebbe alzato la posta in gioco chiedendo al governo e alla sua maggioranza di ritirare le truppe italiane anche dall’Afghanistan, dopo aver incassato il ritiro dall’Iraq.
Tempo fa, in un altro articolo, ci eravamo augurati che il nuovo governo italiano riflettesse seriamente su ciò che sta avvenendo in Afghanistan, soprattutto alla luce dell’intensificarsi degli scontri armati e della sempre più evidente impotenza del governo di Karzai nel controllare Kabul, per non parlare del resto del Paese, e in vista quindi dell’ovvio maggior coinvolgimento nei combattimenti della NATO, il cui segretario infatti ha chiesto un maggior impegno italiano sul campo.
Naturalmente ci auguriamo che il governo italiano non invii nuove truppe, né i caccia Amx, a differenza invece di Zapatero, ... ... che dopo aver ritirato le truppe dall’Iraq le ha subito spedite in Afghanistan, dove già c'era un contingente spagnolo.
La questione però è che, nonostante anche questa guerra sbagliata sia stata voluta dagli USA in risposta all’11 Settembre e anch’essa come quella in Iraq abbia provocato molte perdite tra i civili, l’Italia è presente in Afghanistan all’interno di una missione NATO autorizzata dall’ONU e votata dal Parlamento italiano anche con i voti di gran parte del centrosinistra. E ciò era ben noto a tutti gli elettori del centrosinistra, pacifisti inclusi.
Perciò lo scenario afghano va inquadrato in modo ben diverso da quello iracheno e va visto da un’altra prospettiva, proprio per il fatto che l’Italia è lì in quanto fa parte della NATO di cui è membro da quasi 60 anni.
La realtà dei fatti perciò dovrebbe essere considerata seriamente non solo dal governo e dalla sua maggioranza, per quanto riguarda gli sviluppi negativi che stanno prendendo forma in Afghanistan, ma anche dal movimento pacifista, che dovrebbe sforzarsi di essere onesto intellettualmente e non dovrebbe trincerarsi dietro stereotipati schemi ideologici precostituiti che non tengono conto di tutta una serie di interessi in gioco a 360 gradi, che non sono solo quelli più strettamente economici.
Mi chiedo allora: ce ne dobbiamo andare tout court anche dall’Afghanistan – e a questo punto anche da tutti i Paesi in cui ci sono soldati italiani – con la sicura conseguenza di una marginalizzazione e isolamento dell’Italia nella comunità internazionale senza quindi più la possibilità di ritagliarsi alcun ruolo, per quello che può, di valido interlocutore e mediatore con i Paesi di tutta l’area che va dal Medioriente al Caucaso, Iran compreso?
Purtroppo la storia insegna che le probabilità di inserirsi in difficili negoziati e trattative diplomatiche finalizzate proprio a far tacere le armi sono accresciute anche da assunzioni di responsabilità che in alcuni casi comportano l’impiego di missioni militari, il che non vuol dire affatto essere in guerra o dover compiere per forza azioni offensive di guerra. Nello specifico caso afghano poi si aggiunge il “piccolo” fatto che l’Italia fa’ parte di una missione NATO e tutti sanno che essere membri NATO comporta oneri e assunzioni di responsabilità.
Certo tutti poreferiremmo un mondo senza guerre, senza soldati, senza NATO, senza basi militari NATO e USA in territorio italiano, poi però al risveglio ci ritroviamo in questo mondo.
Se l’Italia uscisse dalla NATO, dall’UE e magari anche dalle Nazioni Unite quali sarebbero le conseguenze dirette per il nostro Paese? Saremmo di colpo al centro dell’iniziativa politico-diplomatica mondiale, con voce in capitolo per influenzare e cercare di condizionare certe decisioni con l’obiettivo di raggiungere situazioni di pace e prosperità? Difficile che accada.
O piuttosto, non ci ritroveremmo totalmente soli e anche i Paesi del sud del mondo ci considererebbero ininfluenti e inutili anche per loro, snobbandoci e non chiedendoci più alcun tipo di sostegno ben sapendo che non potremmo darglielo? Molto più probabile.
Queste sono questioni che meritano di essere affrontate con onestà intellettuale, pragmatismo e senza dogmi precostituiti da parte di tutti, nessuno escluso.
Tutti se ne devono assumere la responsabilità, ciascuno per quanto gli compete. In anni molto difficili come quelli che stiamo vivendo e che vivremo, l’Italia a tutti i livelli deve fare la sua parte e non può permettersi il lusso di tirarsi fuori; e se vuole inserirsi in azioni incisive volte al raggiungimento della pace deve essere presente in tutte le sedi appropriate e garantirsi un certo “potere” d’influenza, altrimenti si lascerebbero ad altri tutte le eventuali opzioni, magari ben peggiori di quelle che abbiamo sotto gli occhi oggi e che ci ritroveremmo poi sulla testa senza poter neanche fiatare.
Enrico Sabatino