Perché l’Occidente merita di morire


Si apprende che l’occupante americano ha finanziato nell’Iraq occupato una campagna anti-fumo (1).
Pubblicità televisiva e pacchetti con le note scritte «Il fumo uccide», «Fumare in gravidanza nuoce al bambino»: nel Paese che gli americani hanno coperto di uranio impoverito, che fa nascere feti mostruosi, e ammalare di cancri plurimi famiglie intere.
E dove la truppaglia americana ammazza a casaccio ai posti di blocco, violenta ragazzine in casa, incarcera e tortura in massa, arbitrariamente; dove migliaia di esseri umani vengono trucidati da indecifrabili attentati e milizie private, da una violenza che l’occupante avrebbe il dovere di sedare, e che non vuole controllare affatto.
La notizia non vuole far ridere; al contrario, segnala il parodistico, il grottesco -ossia  il satanico - che reca con sé la civiltà occidentale terminale.
Nessun Oriente è stato mai pari a questo Occidente in ipocrisia omicida.

L’orda di Gengis Khan e Tamerlano massacrò a milioni, ma senza pretendere di preoccuparsi della salute delle sue vittime.
L’America ha speso per la «ricostruzione» dell’Iraq 22 miliardi di dollari: senza riuscire a garantire nemmeno l’elettricità.
I soldi sono finiti nelle tasche dei profittatori amici del regime statunitense, Halliburton in prima fila.
I guerrieri della civiltà superiore hanno lasciato saccheggiare il Museo Nazionale di Baghdad nel 2003, partecipando al saccheggio: «Cose che capitano», commentò Rumsfeld.
Mancano tuttora 14 mila opere d’arte.
In compenso, soldi venivano dati a «consulenti» americani per esperimenti demenziali e falliti: come fornire l’Iraq, che affondava nel sangue, di una Borsa-valori moderna, tipo Wall Street, ovviamente mai aperta.

Milioni di dollari sono stati pagati alle più celebri agenzie di PR per «conquistare i cuorie le menti» degli oppressi, avvelenati e senza luce: tutta una serie di video pubblicitari dove «testimonials» musulmani dicevano il loro amore per l’America, e «testimonials» americani il loro amore per l’Islam.

Ha presieduto a lungo questa operazione-simpatia il giornalista (del Reader’s Digest)  Kenneth Tomlinson, un raccomandato di Karl Rove (lo «spin doctor» di Bush) che lo ha messo a dirigere la Voice of America.
Fino al 30 agosto 2006, quando il raccomandato è finito sotto inchiesta per essersi intascato i fondi stanziati alla bisogna; si è scoperto che questo individuo aveva messo su, dal suo ufficio al Dipartimento di Stato, un business di cavalli da corsa.
Ora a presiedere alla propaganda verso l’Iraq è Karen Hughes, figlia dell’ultimo gestore americano del Canale di Panama, adulatrice di Bush in articoli e video, ciò che le ha valso la carica ministeriale di sottosegretario per la «Public Diplomacy and Public Affaire»: in questa veste, nel 2005, la signora ha intrapreso un giro nel Medio Oriente dove ha impartito lezioni sui diritti delle donne conculcati dalle società arabe maschiliste.
Suscitando più che derisione, sgomento.
I risultati di questi sforzi di relazioni pubbliche sono davanti agli occhi: nel 2003, solo 14 iracheni su 100 sostenevano i ribelli; oggi, 75 su cento.
Ciò risulta da un sondaggio confidenziale del Pentagono.
Perché gli occupanti non hanno mancato di portare agli iracheni anche questa gioia preziosa della modernità occidentale: i sondaggi delle loro opinioni, mentre sono massacrati.
E proprio sulla base di uno di questi sondaggi David Brooks, neocon ed ebreo, editorialista del New York Times, rimprovera gli iracheni per la loro «chiusura mentale». (2)
Il 93 % degli iracheni ritengono che è meglio avere per leader degli uomini anziché delle donne: «La più alta proporzione nel mondo», deplora Brooks, «gli iracheni resistono visceralmente alle riforme sociali».

Vi disturberebbe avere un vicino di casa straniero?, hanno chiesto ineffabili i sondaggisti: chissà perchè, il 90% degli iracheni ha risposto sì, contro solo il 9 % degli americani e il 16 % di ogni altra nazione.

Gli iracheni sono xenofobi, dice Brooks.
E quali sono i valori che vorreste trasmettere ai vostri figli (beninteso se sopravvivono all’uranio impoverito)?
Ebbene: gli iracheni rispondono «l’obbedienza» e «la fede religiosa» in proporzione maggiore rispetto alle altre 80 nazioni sondate.
Lamenta Brooks: troppo pochi iracheni indicano «l’indipendenza» come utile ai loro figli.
Il sondaggio rivela anche che gli iracheni tendono a fidarsi solo dei membri del loro gruppo etnico-religioso - gli sciiti degli sciiti, i curdi dei curdi, i sunniti dei sunniti.
«Questa solidarietà interna al gruppo sociale è senza precedenti, si vede qui l’effetto corrosivo della dittatura di Saddam», commenta Brooks.
Aggiunge il giudeo-con: scandalosamente dopo la «liberazione» gli iracheni, anziché più secolarizzati, sono diventati «più religiosi, in modo sorprendente».
Conclusione di Brooks: «Gli iracheni sono come tartarughe ritiratesi nella loro corazza. Sospettosi verso gli estranei, intolleranti, attaccati ferocemente alla famiglia e alla tradizione».
Questa tirata moralista ovviamente serve a preparare lo scarico di coscienza inevitabile, e radicalmente americano: il disastro è colpa degli iracheni.
Non sono aperti al nuovo

E’ un vero peccato che Benedetto XVI legga più Manuele Paleologo che le notizie d’attualità come queste, che i suoi servizi interni potrebbero fornirgli: sentirebbe l’alito dell’Anticristo dei nostri tempi, che oggi si riconosce meglio sull’informazione quotidiana.
E potrebbe constatare che questo alito ha un odore «cristiano»: vi si sente l’ipocrisia dei devoti protestanti USA, quella dei devoti lettori della Bibbia che vendettero coperte infettate di vaiolo ai pellerossa.
E’ uno stato della coscienza che è quasi impossibile tradurre - self-righteousness, «il sentirsi dalla parte della ragione» - che oggi continua ancor più velenoso nei seguaci dei telepredicatori, nei milioni di «cristiani rinati» che seguono Bush gioiosi nell’Armageddon.
A loro, a questi estremi occidentali che parlano di «Jesus» e agitano la Torah, il Papa potrebbe applicare la parte migliore della sua lezione di Regensburg,e che ha in qualche modo diretto ai musulmani: «Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio».
E’ a loro, ai cristiani rinati, che va diretto il rimprovero.
A questi occidentali che lanciano campagne anti-fumo nel Paese che hanno condannato alla morte radioattiva, che allestiscono la Borsa sulla loro rovine.
E questo Occidente idiota è inemendabile. Un generale americano di cui non ricordo il nome, quando gli Usa entrarono in Vietnam, rifiutò il consiglio di studiare le strategie militari dei francesi in Indocina: adducendo che i francesi avendo perso, non avevano niente da insegnare agli americani.
Il risultato è agli atti della storia.

Questo Occidente irrazionale, stupido e malvagio merita di morire.

Lo dico a quei lettori che ancora e ancora - offensivamente, infine -mi tacciano di filo-islamismo. Ripercorro alcune delle loro offensive obiezioni.
C’è un piano dell’Islam per convertirci in massa, noi occidentali, e «con la spada».
Non può esserci un «piano», perché non c’è una guida unitaria dell’Islam che lo abbia concepito, anzi non c’è «un» Islam ma tanti, nazionali, in lotta tra loro.
Ma se anche fosse - e certo gli immigrati quando saranno molti e troppi proveranno, loro credenti, a convertire alla loro fede noi kafir - «da che cosa» ci convertiranno?
Non «dal» cristianesimo, non dalla vera fede.
Pretenderanno di convertirci dalle discoteche dove i nostri ragazzi bevono in una sera 300 euro di vodka e le nostre figlie sedicenni «fanno gare di sesso orale» nei cessi (come ha rivelato un’inchiesta de La Padania, giustamente titolata «I nostri figli sono dei mostri»), senza contare le «paste» (pasticche di ecstasys) consumate, e l’Lsd. 
Uno dei «nostri ragazzi» spiega come avviene: una ragazza sconosciuta, nel buio, ti bacia in bocca e ti mette in bocca una «pasta»; la sera dopo la cerchi, e lei non ti bacia più, ti porta dal suo ragazzo spacciatore.
Da questo ci convertiranno gli islamici?
Perderemo queste vette della nostra civiltà?
Ci vieteranno «L’isola dei famosi», la pubblicità sporca e ignobile, la strumentalizzazione sessuale delle donne?
No, per Gesù, dobbiamo lottare: andiamo a morire per la globalizzazione, il Fondo Monetario, il livello dei consumi edonistici da quattro soldi!
E il telefonino, non dimentichiamo!

Ma sento l’altra domanda offensiva di quei miei lettori: Blondet non ammette che l’Islam sia una religione falsa.

Blondet non è cristiano.
Provo, offeso, a rispondere ancora una volta.
Falsa è una religione che chiude i canali della grazia: in questo senso, è radicalmente falso il protestantesimo, il luterano «Sola Scriptura» e «sola fide», fede (self-righteous) senza le opere: pecca fortiter sed crede fortius, come predicava Lutero.
Ancor più falsa la sua ultima incarnazione, il protestantesimo americanista demente e feroce.
Queste sì chiudono i canali di grazia, perdono l’uomo e la sua anima.
E questa religione falsa e omicida, satanica, è «nostra», è «occidentale», si proclama perfino cristiana.
E ne abbiamo anche un’altra, di falsa: la religione pubblica della Shoah, a cui anche il Papa ha bruciato il grano d’incenso.

Quanto all’Islam, non riconosce la divinità di Cristo, né la sua resurrezione.

Come non la riconosce né conosce il buddhismo.
Esiterei a concluderne che per questo chiudano i canali della grazia, vista la testimonianza millenaria di asceti e santi uomini - la cui assenza brilla invece nelle pseudoreligioni luterane, che produce solo ipocriti e Rockefeller.
Sarebbe come dire che Gesù, il Salvatore, inganna e condanna persone che onestamente obbediscono alla fede che hanno conosciuto dai genitori - persone che digiunano, che fanno l’elemosina, che vivono la rinuncia e la generosità.
Ne ho conosciuti.
Non posso credere che la Misericordia li abbia tratti in una trappola eterna.
L’Islam, del resto, non considera la fede cristiana né quella ebraica false: le considera incomplete e corrotte, fedele alla comune radice di Abramo.
Per questo ebrei e cristiani hanno potuto vivere nelle società islamiche per secoli, indisturbati, prima della presente polarizzazione di cui noi occidentali siamo responsabili.
Stranamente, l’Islam è in questo meno «integralista» di molti miei lettori cattolici: cattolici schematici, che estraggono una precettistica di pronto intervento anzichè la ragione consigliata da Papa Benedetto a Regensburg.
A mio parere, questi cattolici con lo shema in testa sorvolano su (ha detto il Papa) «quel Dio che si è mostrato come logos, e come logos ha agito ed agisce pieno di amore in nostro favore».
In quanto credenti nel Dio-logos, siamo obbligati a «pensare», e a pensare anche l’Islam - ora che lo abbiamo a contatto - in modo non schematico.
Come lo ha pensato Dio.

Perché Dio l’ha pensato.

E’ nella Scrittura, nell’episodio in cui Abramo scaccia nel deserto Ismaele, suo figlio legittimo e primogenito, con la sua madre, Agar la schiava.
Un angelo appare ai due, che stanno morendo di sete, e promette a nome di Dio: «Anche di te farò un grande popolo, perché anche tu sei seme di Abramo».
Molti secoli dovevano passare, ma la promessa è stata mantenuta: Maometto e il suo Corano hanno fatto dei discendenti di Ismaele, gli arabi, un grande popolo.
«Tu sarai come onagro nella steppa, le mani tue contro tutti i tuoi fratelli, le mani dei fratelli contro di te».
Destino di guerra perpetua, ostinata, un popolo di testa dura ed ossa forti come l’onagro, l’asino selvatico, che morde.
«A voi è prescritta la guerra, sia che vi piaccia, sia che vi dispiaccia», ripetè Maometto.
Ecco, l’hai detto: la guerra santa è il nucleo dell’Islam, l’Islam ci aggredisce…
Ma questo è cedere alla propaganda, alla «guerra di percezione», che hanno scatenato contro di noi i malvagi occidentali: la propaganda di cui siamo vittime in parte volontarie, perché non ci chiude così totalmente da impedirci di vedere la realtà.
E la realtà è che l’Islam è aggredito.
In questo momento storico, è la sola religione che sia sotto attacco bellico «in quanto religione», da parte delle sataniche armi americane.
Due nazioni sono sotto occupazione militare, una terza - il Libano - è distrutta, altre due - Siria e Iran - sono minacciati ogni giorno, dalla Casa Bianca e da Israele, di bombardamento atomico.
«Ma l’Indonesia ha condannato a morte tre cattolici, nonostante l’appello del Papa».

Vogliamo provare, con la ragione, a metterci per un attimo nei loro panni?

Facciamo un esperimento mentale, come il logos consente: poniamo che un regno cristiano condanni tre musulmani per aver partecipato a disordini e omicidi inter-religiosi; e immaginiamo che il Gran Muftì, o l’ayatollah Kathami (3), ne chieda, ne esiga l’assoluzione non in quanto «innocenti» (non lo sono) ma in quanto «musulmani».
Non protesteremmo?
Non diremmo che questi musulmani integralisti si impicciano degli affari nostri?
Che pretendono di essere esentati dalle nostre leggi? (4)
Gli esercizi mentali potrebbero continuare.
Non so se fino al punto di pensare dell’Islam quel che ogni islamico - se non è in malafede - è tenuto a pensare di noi cristiani: non idolatri, ma popolo del Libro, aderente a una fede forse imperfetta, solo parzialmente vera, ma non falsa.
Forse è troppo, lo so, ma sarebbe un passo avanti.
La storia di Agar e Ismaele però sembra suggerirmi che Dio ha voluto l’Islam, che gli abbia dato una missione.
Che ci sia in questa faccenda di sangue un compito misterioso - tre religioni, ciascuna delle quali ha al centro una pietra sacramentale (la nostra è di carne); ciascuna discendente da Abramo e dalla rivelazione che ricevette - e storicamente nemiche.
C’è qui una volontà di Dio, misteriosa, da comprendere?
Non so.
Ma forse, troppo facilmente pensiamo che Cristo sia cristiano.
Una cosa è certa: che non lo è al modo di Bush e dei suoi pentecostali rinati, self-righteous, che diffondono il vaiolo vendendo coperte a coloro che perseguitano, che dedicano campagne anti-fumo a coloro che sterminano.

Solo il sospetto che i musulmani stiano soffrendo oggi per un compito affidato loro da Dio, che versino il sangue per impedire che la prima «roccia» - la roccia di Abramo, protetta dalla Moschea d’Oro in Gerusalemme - venga profanata dal rinnovato rito ebraico dell’agnello (l’ultimo Agnello è stato sacrificato, per noi) dovrebbe almeno farci esitare nei giudizi di condanna.

Ma anche se rifiutiamo l’idea che i musulmani abbiano un compito - spina e mistero nella storia - non ci basta, come cattolici, che i loro bambini siano ammazzati?
Bruciati col fosforo, senza alcuna pietà, in quanto credenti alla loro fede, da un potere invincibilmente superiore in armi, insensato e stupido e senza scrupoli?
Non ci pare un segnale abbastanza evidente?
Negare loro solidarietà e aiuto, siamo sicuri che sia ciò che Cristo ci ha imposto?

Maurizio Blondet


Note
1) Frank Rich, «Stuff happens again in Baghdad», Herald Tribune, 25 settembre 2005.
2) David Brooks, «The closing of a nation», New York times, 25 settembre 2006.
3) A proposito: pochi sanno, nella civiltà superiore dell’Occidente, che l’ayatollah Kathami è uno studioso di Alexis de Tocqueville, ed ha tradotto in pharsi «La democrazia in America». non si sa perchè non si deve sapere. Israele ci ha addestrato a vedere in ogni musulmano un bruto ignorante e irrazionale, che capisce solo il bastone.
4) Il problema dell’Indonesia non è l’Islam. E’ il problema di un arcipelago di 18 mila isole, abitate da 210 milioni di uomini di centinaia di etnie, religioni e razze diverse, che parlano 300 lingue e che non sono una nazione; tenute insieme con la forza da una casta militare senza scrupoli, che utilizza gli odii razziali e religiosi per mantenere il potere di Giakarta. Così, almeno, dovrebbe riflettere un cattolico se ascoltasse il Papa e usasse la ragione, anziché i clichè della propaganda chiamata giornalismo.