Condanna all’ergastolo per 5 militari argentini responsabili dell’omicidio di tre cittadini italo - argentini durante la dittatura.
Di Silvia Agogeri
Il 14 marzo 2007, nell’aula bunker della Corte d’Assise di Roma, è stata pronunciata la sentenza di 5 ergastoli agli ex ufficiali della marina argentina accusati dell’omicidio di tre cittadini di origine italiana “desaparecidos” durante la dittatura militare che governò Buenos Aires tra il 1976 e il 1983.
Una sentenza di portata storica non indifferente se consideriamo che a quasi 31 anni di distanza dal golpe militare, è la seconda volta che alcuni dei responsabili vengono condannati. La prima nel 2000, anche se il Governo italiano non ha ancora chiesto l’estradizione dei responsabili; nel frattempo uno è morto e gli altri sono liberi per l’Argentina. In realtà sembra che poco alla volta qualcosa si stia muovendo, basta pensare che nel giugno dell’anno scorso è stata abolita in Argentina la legge che prevedeva l’immunità per i militari e oggi è possibile condannare i responsabili nel loro paese. Tuttavia le cose non sono semplici come dovrebbero, poiché gli autori del massacro continuano a nascondersi all’interno del sistema giudiziario. Altri processi sono in corso in Francia, Spagna, Svezia e Stati Uniti, ma resta il problema dell’estradizione.
Il processo che si è concluso a Roma il 14 marzo era iniziato con la denuncia presentata nel 1999 da Inocencia Luca, vedova dell’imprenditore veneto … … Giovanni Pegoraro e madre di Susanna Pegoraro, desaparecidos nel 1976; la denuncia riguardava anche il caso di Angela Maria Aieta Gullo, madre del dirigente della Juventud Peronista Juan Carlos Dante Gullo; una madre che lottava per la liberazione del figlio, in carcere dal 1975, anche lei scomparsa nel 1976.
I tre erano stati visti vivi per l’ultima volta all’ESMA (Escuela Superior de Mecanica de la Armada), una struttura militare in centro a Buenos Aires adibita alle torture dei civili sequestrati.
Dall’ESMA passarono circa 5.500 persone delle quali 4.400 furono uccise e gettate in mare con i voli della morte. Queste tre persone alle quali è stata resa giustizia il 14 marzo, sono solo tre dei
30.000 “desaparecidos” che sono scomparsi, appunto, nel nulla tra il 1976 e il 1983.
I militari presero il potere il 24 marzo 1976 e adottarono una tecnica di repressione insolita e astuta. Visti i risultati del caos provocato in Cile dai militari qualche anno prima (con il golpe dell’11 settembre 1973), optarono per una repressione “di nascosto”. Si inventarono la tecnica della “desaparicion” (sparizione) e cosi, senza che nessuno se ne accorgesse, un’intera generazione di giovani argentini sparì, nelle notti della dittatura, sena lasciare traccia e senza tornare mai più. Morti senza cadaveri.
Che fine facevano? Venivano sequestrati, portati nelle strutture militari, torturati a volte fino alla morte, a volte invece gettati vivi in mare con i voli della morte.
Oltre a subire questo indegno trattamento, molte delle ragazze sequestrate che aspettavano bambini e che partorirono durante la prigionia hanno visto, poco prima di essere uccise, i loro figli neonati finire nelle mani dei militari. Questi bambini sono oggi l’oggetto della lotta delle Madri e delle Nonne di Plaza de Mayo, donne che dal 30 Aprile 1976 marciano ogni giovedì davanti al palazzo presidenziale di Buenos Aires sfidando qualunque tipo di violenza e governo. I bambini tolti alle donne sequestrate vivono oggi con gli assassini dei loro genitori, e solo un test del Dna può rivelare la verità. Sempre che i diretti interessati siano disposti a farlo. Pochi giorni fa la notizia dell’ottantunesimo figlio di sequestrati ritrovato, mentre conduceva una vita normale nella sua famiglia illecita.
Estela Carlotto (anche lei di origini italiane) è la presidentessa delle Abuelas (Nonne) di Plaza de Mayo, ed era presente alla Corte d’Assise il 14 marzo per ascoltare la sentenza ai militari della marina argentina. Alla fine della seduta Estela ringrazia l’Italia per aver dato l’esempio e dimostrato che una giustizia è ancora possibile.
Afferma anche che tra Argentina e Italia non esiste distanza nel festeggiare questa vittoria.
Ha ragione. L’Italia è coinvolta fino in fondo in questa tragica storia, basta sfogliare i nomi dei desaparecidos che appaiono sul sito a loro dedicato e i nomi, purtroppo, dei componenti della Giunta Militare. Le radici italiane sono evidenti, e non è una novità, dal momento che il 40 per cento degli argentini discende dagli immigrati italiani che hanno attraversato l’Oceano Atlantico negli anni della Seconda Guerra Mondiale ed in seguito.
Verrebbe da chiedersi allora, come mai il governo italiano non fece nulla per i desaparecidos di origine italiana in Argentina? Il presidente dell’associazione “Il ponte della Memoria” Giovanni Miglioli sostiene che tra il 1976 e il 1978 le denunce pervenute all’Ambasciata Italiana di Buenos Aires riguardanti persone scomparse con passaporto italiano, furono circa 1.600. Tuttavia Roma non si mosse. Nessuno si mosse. E non fu un caso, anzi, c’erano delle ragioni ben precise che portavano l’Italia a un silenzio complice. C’era un motivo se l’ambasciatore italiano a Buenos Aires, Enrico Carrara, amico dei militari e informato in anticipo del golpe del 24 marzo, aveva subito provveduto a blindare le porte dell'ambasciata. I profughi e gli esiliati non trovarono sostegno né dall’Ambasciata italiana a Buenos Aires, né tanto meno ebbero in Italia lo status di rifugiati politici.
Sulla tragedia argentina era sceso il silenzio perché ciò che pesava davvero erano gli interessi economici italiani in quel paese - Fiat, Pirelli, Eni, Magneti Marelli, Techint, Banco di Napoli, Bnl, il Banco ambrosiano di Calvi, il Corsera che si era appropriata dell'editoriale Civitas. Per non parlare delle trame della P2 di Gelli, la potentissima associazione massonica cui i militari golpisti argentini erano in gran parte iscritti, oltre a un numero considerevole di ministri, parlamentari e magistrati italiani. Non poteva essere altrimenti considerando che Gelli proveniva da una onorata carriera fascista.
I nomi dei partecipanti alla P2 furono resi noti nel 1981, e tra di loro apparve anche il nome del nostro ex presidente del Consiglio. Chissà che non sia un semplice ritardo burocratico il fatto che non sia ancora stata chiesta l’estradizione per i criminali condannati nel 2000 a Roma, nonostante le numerose richieste delle Madri e Nonne della Plaza de Mayo. Inoltre le vittime delle torture erano, per i governi occidentali, solo poveri e sospetti guerriglieri guevaristi. Dalla loro parte c’era poi il vantaggio del massacro silenzioso e, ovviamente, lontano dagli occhi dei media.
Oggi, a 31 anni dal golpe, è arrivato il momento di fare la nostra parte e rendere giustizia ai desaparecidos di origine italiana. La lotta è ancora in corso e il vizio della memoria non è stato perso.
Il 24 marzo 2007 si celebra il trentunesimo anniversario del golpe militare e, da un anno, la giornata è stata trasformata dalla Camera dei Deputati argentina in Dia Nacional de la Memoria por la Verdad y la Justicia (Giornata Nazionale della Memoria per la Verità e la Giustizia); perché il silenzio deve finire, perchè nessuno deve dimenticare e soprattutto perché non si può archiviare un caso senza che i colpevoli vengano puniti.
Silvia Agogeri (La Maga)