di Carlo Brevi
Oggi vorrei proporre un quesito ai lettori del blog.
Immaginiamo uno scenario altamente improbabile, se non quasi impossibile, che servirà unicamente quale pretesto per poter esprimere la propria idea sulla natura degli uomini e il loro rapporto con la comunità.
Lo scenario è questo:
in seguito ad uno sconvolgente movimento tellurico, nel cuore dell’oceano Atlantico emerge un lembo di terra, un’isola grande pressapoco quanto due volte la Sicilia.
La morfologia dell’isola è caratterizzata da ampie pianure e morbide colline, è attraversata da fiumi ed è ricca di acque dolci. Dopo la sua incredibile comparsa, diversi stati ne rivendicano la proprietà, ognuno esponendo le sue motivazioni: Stati Uniti, Argentina, Brasile, Messico, Cuba, Portogallo, Spagna, Marocco, e perfino la Russia.
La situazione è singolare, ed ovviamente un accordo non si trova: si discute anche di una eventuale spartizione, ma anche qui le difficoltà da superare sono troppo grandi per giungere ad un compromesso che accontenti tutte le parti.
Nel frattempo gli anni passano, le colline si popolano di alberi, sull’isola si stabiliscono delle colonie di uccelli, mentre alcune spedizioni scientifiche autorizzate dalle Nazioni Unite giunte sul posto scoprono che la terra del luogo è molto fertile, e dopo accurate ricerche si giunge alla conclusione che opportunamente coltivata, e con l’importazione di animali da allevamento, l’isola potrebbe ospitare e sostenere fino a dieci milioni persone.
Infine, le grandi potenze decidono di ritirare ogni pretesa sull’isola: ... ... essa viene dichiarata terra franca, estranea a qualunque giurisdizione.
Nel frattempo, iniziano a giungere sull’isola i primi abitanti.
Si tratta principalmente di persone che nelle loro terre di origine non avevano nulla da perdere, attratte dall’idea di ricominciare la propria vita in una sorta di paradiso terrestre; ci sono tra loro giovani idealisti, eremiti, religiosi, ma anche comuni delinquenti perseguitati dalla giustizia nei loro paesi e desiderosi di trovare la libertà in una terra franca.
Ed arrivano sull’isola anche gruppi organizzati, spesso guidati da una forte ideologia, spinti dal sogno di creare da zero una società ideale in un mondo nuovo.
Gli stati nazionali discutono su quale debba essere il loro approccio nei confronti di queste persone: c’è chi sostiene che l’afflusso vada regolamentato, chi denuncia la possibilità che cellule di terroristi possano trovarvi la loro base operativa, chi immagina scenari ancora peggiori.
Ma, ancora una volta, nessun accordo viene raggiunto sul chi debba assumersi il ruolo di “poliziotto” internazionale, dal momento che persino le Nazioni Unite vengono ritenute da diversi stati inadeguate a svolgere tale compito.
Così, l’isola rimane del tutto libera.
Questa quindi la premessa, ed ecco il quesito:
in uno scenario del genere, come si evolverebbe la situazione nell’isola?
Cosa succederebbe nell’arco di 10, di 30, di 100 anni?
Qualcuno potrebbe vedere delle analogie con la storia degli Stati Uniti d’America e della costruzione di una nazione da parte di coloni che abbandonavano tutto per fondare un nuovo mondo lontano dalle loro terre natie.
Ma in quel caso i coloni rispondevano comunque a dei poteri statali, e colonnizavano le nuove terre nel nome dei loro governanti oltreoceano.
Nelle americhe, quindi, si venivano da subito a formare forme di governo che emanavano direttamente dal potere centrale delle madrepatrie.
Nel caso della nostra isola, invece, non succede nulla di tutto questo.
La terra è a tutti gli effetti una terra franca, e chi vi giunge non deve rispondere a nessuno; non vi sono nemmeno popolazioni autoctone con cui scontrarsi.
Cosa succederebbe, quindi, nell’isola?
La parola ai lettori.
Carlo Brevi (Santaruina)
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