LA VECCHIA EUROPA E LA NUOVA AMERICA

di Truman Burbank

La vecchia Europa ha visto millenni di guerre, stragi, imperi e dominazioni. Di tutto ciò ha cercato di mantenere memoria storica.

Non è però alla memoria scritta nei libri di storia che mi riferisco, ma alla memoria popolare, interiorizzata tramite arte e letteratura, sin dai tempi della Lisistrata di Aristofane, fino a Brecht, passando per Tolstoj e per mille altri.

La memoria storica che dice che la guerra è ingiusta, che non è voluta dal popolo, ...

B. Brecht

Quando chi sta in alto
parla di pace
la gente comune sa
che ci sarà la guerra.

Quando chi sta in alto
maledice la guerra
le cartoline precetto
sono già compilate.

(...)



...che porta solo sangue e disperazione. “Se questa guerra si deve proprio fare, fa che non la faccia la gente” diceva De Gregori.

La giovane America è invece ancora schiava dell’istinto primordiale del potere e del sottomettere gli altri, il che porta ad ammassare armi e ricchezze nella convinzione che non ci sia niente di meglio nella vita.

La nostra memoria storica la pensa diversamente.

***

AMERICA: SEMPRE PIÙ LONTANA, MAI COSÌ VICINA

di Massimo Mazzucco

Noi italiani abbiamo avuto da sempre un rapporto di amore-odio con gli Stati Uniti. Anzi, di entusiasmo-disprezzo, per essere più precisi. Da una parte, dice la battuta, l’America è il paese dove una pizza ti arriva addirittura prima di un ambulanza, dall’altra è il paese dove la pizza ti arriva appunto prima dell’ambulanza. Dipende da dove la guardi.

Certo non è facile farsi un’opinione bilanciata sugli Stati Uniti, la cui realtà è estremamente complessa, e la cui storia è decisamente diversa da quella di tutte le altre nazioni: questo è infatti l’unico paese al mondo che è stato creato dall’oggi al domani, esattamente come una società sportiva, una fabbrica di confetture, o un sito internet: ieri non c’era, oggi c’è.

Sono arrivati dei pellegrini in nave, hanno piantato i loro bei “paletti”, (hanno sterminato tutti quelli che ci vivevano in mezzo), e hanno detto: fino a qui si chiama New England...

..., da qui a lì New Hampshire, da lì a là New Jersey, eccetera eccetera. Tutto new, tutto loro.

Ma l’unica cosa che avevano con sè, per costruire questa New Nation che tanto sognavano, era la Bibbia nel nome della quale avevano abbandonato l’odiata Inghilterra. Anzi, due erano i tipi di persone che emigravano oltremare: chi, appunto, voleva rifondarsi la sua chiesa come la voleva lui, e chi era obbligato a farlo per non finire nelle patrie galere.

Ovvero, dogmatici, e criminali. Storicamente, sono questi i veri “padri fondatori” degli Stati Uniti.

Ecco infatti nascere a grappoli comunità di avventisti, di luterani, di metodisti, di presbiteriani, di battisti, ..... tutte a darsi da fare per gettare le basi di quello che oggi è un vero e proprio supermercato del paradiso: la moderna chiesa americana. E mentre tutti questi dogmatismi si irrigidivano ancor di più l’uno contro l’altro, la seconda “categoria” di emigranti, zitta zitta, si dava da fare per razziare e conquistare tutto quello che trovavano, senza troppo preoccuparsi di una legge che non c’era, e che loro stessi confezionavano, a proprio uso e consumo, man mano che serviva.

Diventa forse più facile, in questo modo, capire come il percorso storico americano possa essersi concretizzato oggi in un presidente come George W. Bush.

A lui infatti non manca nulla rispetto alle “radici” e alle “tradizioni” di cui ogni paese dovrebbe andare fiero: se si occupa lui di fare al mondo discorsi iper-dogmatici, del tipo “tutti i buoni da questa parte, tutti i cattivi dall’altra,” ci pensano i suoi soci, fra Pentagono e vicepresidenza, a razziare tutto quello che capita sottomano.

Sarà come sarà, ma Clinton ha consegnato agli americani una nazione con tre miliardi di dollari di surplus, e siamo oggi, ad appena tre anni dall’insediamento di Bush, a quasi quattro di deficit nazionale.

Sono tranquillamente spariti, cioè, sette miliardi di dollari, mentre la dissoccupazione è quadruplicata, ed il costo della vita è arrivato ad erodere anche la tranquillità di uno strato sociale, quello medio, che fino a ieri si riteneva al riparo da preoccupazioni di questo tipo.

Ma dove sono finiti tutti quei soldi?

Grazie alla fortunata “coincidenza” dell’ undici settembre - che ha permesso all’amministrazione di scatenare una guerra già pronta da mesi - l’esercito e le industrie ad esso connesse (sicurezza, armi, sorveglianza) si sono portati via fette incommensurabili di quel disavanzo, sotto il naso di un’America tutta intenta a riprendersi dallo shock delle Torri. E quel poco che restava è finito praticamente tutto nelle tasche delle compagnie petrolifere, incaricate dallo stesso Pentagono di “ripagare” i danni di guerra provocati ai paesi invasi. Ripagarli come? Investendo, “per conto di quei popoli” ovviamente, in oleodotti e gasdotti a destra e manca, sulle loro terre desolate ma molto fruttifere. E già che c’erano poi, non gli è sembrato nemmeno tanto sbagliato restare loro a gestire il tutto, almeno finchè quelli si civilizzano un pochino. Per giocare, nel frattempo, gli hanno regalato la parola “democrazia”, ma non gli hanno nemmeno spiegato da che parte si apre l’involucro.

La cruda realtà americana, oggi, è che una banda di industriali, ai massimi livelli del potere mondiale, si è impadronita della Casa Bianca, ed ha distrutto tutte le riserve, fisiche e morali, che questa nazione aveva accumulato in tanti anni di sofferenze, di lotte sociali, di fatiche, di contrasti di sforzi e di conflitti di ogni tipo.

Noi però, da lontano, continuiamo a vedere solo i paradossi più macroscopici. E ci viene facile, dall’alto della nostra cultura millenaria, deridere un paese come gli USA, che come massima espressione della propria può esibire un hot-dog o un forno a microonde; ma è molto più difficile accordare duecento milioni di persone, di almeno novanta etnìe diverse, verso un obbiettivo comune, che non farlo su nazioni, come la nostra, che veleggiano già da secoli sulla scia della propria storia.

E per quanto li prendiamo in giro, noi purtroppo stiamo seguendo, in piccolo, la stessa loro strada: anche noi ci siamo fatti ipnotizzare da un imbonitore da baraccone, anche noi gli abbiamo concesso i pieni poteri, anche noi gli stiamo permettendo di distruggere quel poco di civile che a nostra volta eravamo riusciti ad aggregare, nonostante i decenni di predominio democristiano su tutto ciò che avveniva in casa nostra.

I nostri governanti di oggi, inoltre, non avendo trovato nessun disavanzo in cui affondare i denti, stanno svendendo direttamente il paese alle industrie private dei loro amici, ovvero di loro stessi. (Berlusconi “non è” più presidente di Mediaset, per fare un esempio, esattamente come Dick Cheney ”non è” più presidente della Halliburton, la società petrolifera che si è accaparrata tutte le commesse dall’Uzbekistan al Mar Rosso). I nostri svendono all’ingrosso i pubblici servizi, svendono le aziende di stato, e svendono persino palazzi e terreni, tutti di proprietà del demanio, che grazie a leggi particolarissime vengono regalati al costo di una Golìa all’interno del loro club di privilegiati.

Se rimane una consolazione è che, completato il giro di chiglia, Italia e America si ritroveranno ancora dallo stesso lato del campo. Il problema, almeno da noi, è se ci sarà ancora la lucidità per rimettere in piedi i giocatori, molti dei quali solo allora si accorgeranno delle condizioni miserevoli in cui sono stati relegati per anni

E a quel punto rischiamo davvero di provare una profonda nostalgia per quei giorni lontani, in cui si scherzava allegramente sugli americani con le loro pizze e le loro ambulanze.


La guerra che verra' non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell'ultima
c'erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame.
Fra vincitori faceva la fame
la povera gente ugualmente.


Chi sta in alto dice: pace e guerra
sono di essenza diversa.
La loro pace e la loro guerra
son come vento e tempesta.

La guerra cresce dalla loro pace
come il figlio dalla madre.
Ha in faccia
i suoi lineamenti orridi.

La loro guerra uccide
quel che alla loro pace
è sopravvissuto.


Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.
La voce che li comanda
è la voce del loro nemico.
E chi parla del nemico
è lui stesso il nemico.


Quando dagli altoparlanti l'imbianchino
parla di pace, i terrazzieri guardano
le autostradee vedono cemento
fino a mezzo metro
per carri armati pesanti.

L' Imbianchino parla di pace.
Rialzando le schine doloranti,
le mani grandi appoggiate ai cannoni,
i fonditori lo ascoltano.

I piloti dei bombardieri rallentano i motori
e ascoltano l' Imbianchino parlare di pace.

I tagliaboschi stanno in ascolto
nelle foreste silenziose
i contadini lasciano gli artri
e portano la mano all'orecchio
le donne, che recano da mangiare
nei campi, si fermano.
Sul campo arato c'è un' auto
con altoparlanti. Di lì si sente
l' Imbianchino esigere la pace.

Quando la guerra comincia
Forse i vostri fratelli si trasformeranno
e i loro volti saranno irriconoscibili.
Ma voi dovete rimanere eguali.

Andranno in guerra, non come
ad un massacro, ad un serio lavoro.
Tutto avranno dimenticato .
Ma voi nulla dovete dimenticare.

Vi verseranno grappa nella gola
come a tutti gli altri.
Ma voi dovete rimanere lucidi.

Chi sta in alto dice:
si va verso la gloria.
Chi sta in basso dice:
si va verso la fossa.

B.Brecht