Barack Obama ha avuto un primo assaggio di quali possano essere i limiti reali di un presidente americano, specialmente se è stato eletto con una guerra di vaste dimensioni già in corso da molti anni.
In campagna elettorale Obama aveva promesso di riportare a casa le truppe dall’Iraq entro 16 mesi dal suo insediamento, e su questo ha dovuto cedere di soltanto due mesi, riconfigurando il periodo a 18 mesi.
In realtà però si scopre che ben 50.000 soldati americani resteranno in Iraq per altri 12 mesi, con il compito ufficiale ”di addestrare gli iracheni”.
Ora, 50.000 soldati potrebbero forse servire per addestrare un esercito come quello cinese, ma non certo una sgangherata marmaglia di sconvolti come gli iracheni, per i quali potrebbero bastare venti dei nostri sergenti, pronti a dispensargli qualche razione di elementari calci nel culo.
La cifra di 50.000 è talmente sproporzionata alla bugia, che può solo dare la misura della sconfitta politica che Obama deve aver subito … … nel cercare di dare seguito alla sua promessa elettorale.
Inoltre, se è vero che 70.000 americani torneranno a casa in 18 mesi, almeno 20.000 di loro verranno reindirizzati in Afghanistan, dove la situazione è ancora più contorta di quella irachena.
In realtà, le due situazioni sono molto più legate fra loro di quanto possa apparire, poichè l’Iraq rimane per ora l’unica “testa di ponte” utilizzabile per le operazioni in Afghanistan, dopo la recente chiusura del passaggio da sud, e quella annunciata del passaggio da nord. Ma l’utilizzo di questa nuova “via della seta” prevede una aperta collaborazione da parte dell’Iran, e il tutto affoga immediatamente in una prospettiva politica di tale complessità che i tempi per la sua soluzione si allungano automaticamente di mesi, se non di anni.
E’ anche possibile che Obama abbia una strategia recondita in mente, che conti proprio sul logorio di una situazione impossibile per poter finalmente forzare la mano su un ritiro definitivo dall’Asia Centrale, ma di certo il primo round è stato vinto dai generali, e dagli ingenti interessi economici che essi rappresentano sul campo.
Anche sul fronte interno certe scelte di Obama sono apparse poco chiare, soprattutto per quel che riguarda il famoso “intervento di soccorso” agli istituti finanziari. E’ vero che Obama ha ripetutamente dichiarato che “da oggi ogni singolo dollaro speso dal governo verrà istantaneamente elencato e tracciato su un apposito sito internet”, ma sappiamo bene come ci siano poche cose meno tracciabili del vil denaro: esce per comperare le sigarette, e torna a casa con un paio di mitragliatrici, senza che tu possa capire davvero dove sono finiti quei soldi.
Anche la promessa di dimezzare il debito nazionale entro la fine del suo mandato ha sollevato un certo stupore, visto che nel frattempo Obama ha dichiarato di non voler minimamente postporre la riforma sanitaria, che è forse la voce più sostanziosa del suo intero programma. E’ vero che lui sostiene di poter recuperare migliaia di milioni di dollari ripulendo il budget nazionale da tutte le operazioni perdenti o inutili, ma il debito nazionale americano oggi è costituito da biliardi di dollari, non da miliardi.
E se per caso Obama pensa – come sostengono in molti - di andare a toccare il budget militare pur di riuscirci, ora sa bene con che tipo di ostacolo dovrà scontrarsi.
Di certo le buone intenzioni di Obama si sono viste: dalla chiusura di Guantanamo alla legge di equiparazione del salario femminile, dalla rimozione del divieto sull’utilizzo delle staminali alle restrizioni burocratiche nelle pratiche FOIA, la sua evidente anima liberal si fa strada dove può, e lo fa in modo tutt’altro che ambiguo.
Ma i grandi nemici che lo aspettano – petrolio, industria farmaceutica e complesso militare- industriale – per ora non hanno nemmeno iniziato a scaldarsi, in vista di una battaglia che non avverrà di certo sotto gli occhi delle telecamere, ma che dovremo cercare in qualche modo di decodificare dai pochi segnali isolati che riusciranno a trapelare.
Welcome to the real world, Mr. Obama.
Massimo Mazzucco
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