E’ durata 24 ore la candidatura di Rudy Giuliani alla presidenza degli Stati Uniti d’America.
Come avevamo scritto pochi giorni fa, a meno di una sua sonante vittoria su John McCain, nella consultazione tenutasi ieri in Florida, l’ex-sindaco di New York avrebbe potuto tranquillamente fare le valigie e tornare a godersi la dorata pensione dalle parti di casa sua.
E ieri Giuliani non solo non ha vinto su McCain, ma ha anche preso un tale distacco dal secondo arrivato, Mitt Romney, che la sua mancata vittoria si trasforma in una delle più brucianti sconfitte di tutta la sua carriera.
Talmente bruciante che l’astuto Rudy ha cercato di evitare l’umiliante momento della “concession” (il tradizionale discorso in cui si riconosce pubblicamente la vittoria dell’avversario), per passare direttamente all’“endorsement”, cioè il generoso trasferimento dei propri voti futuri ... ... sulle spalle di uno dei candidati rimasti in corsa. (In questo caso Giuliani ha scelto proprio John McCain, nella probabile speranza di vedersi ripagare con l’offerta di una vicepresidenza. Ma McCain questa vicepresidenza deve averla già promessa a Huckabee, il quale rimane in corsa, nonostante le possibilità ormai ridotte al minimo, con l’evidente scopo di toglere voti a Mitt Romney sul fronte religioso, favorendo così lo stesso McCain).
Partito come grande favorito, grazie alla popolarità acquisita durante i giorni dell’11 settembre, Rudy Giuliani ha commesso l’errore fondamentale di puntare tutto su quella, dimenticandosi che una candidatura alla presidenza non è un Oscar alla Carriera, dove si incassano i frutti del lavoro svolto in passato, ma una promessa basata su una visione del futuro.
Non basta dire “vi saprò assistere e proteggere, come già feci in passato a casa mia”, perchè sulla porta dell’Ufficio Ovale non c’è scritto “cercasi esperto nel settore della protezione civile”, ma c’è scritto ”cercasi mago illusionista, in grado di incantare 300 milioni di persone con la promessa di trasformare i loro sogni in realtà”.
E Rudy, come tale, non si è mai nemmeno proposto, preferendo restare ancorato alla popolarità del passato.
A quel punto John McCain ha capito che per sconfiggerlo bastava erodere di un poco il piedestallo di argilla della “sicurezza nazionale” su cui Giuliani era salito, e si è messo a urlare ai quattro venti che “il maggior pericolo nel mondo è il fanatismo islamico”, e che combatterlo sarebbe stata la sua assoluta priorità, appena messo piede alla Casa Bianca.
E’ infatti il terreno sotto i piedi di Giuliani è venuto a mancare in misura tale da vederlo superato nettamente anche dall’outsider Mitt Romney.
Torna quindi a casa, bastonato e infelice, l’uomo che si era cinicamente prestato a fare da “manovratore“ durante gli attentati dell’11 settembre, convinto di incassare poi la ricompensa della destra repubblicana in forma di nomination. Non aveva invece capito che era proprio lui il capro espiatorio destinato ad affondare con la barca, se mai il dibattito sull’undici settembre fosse emerso a livello nazionale.
Nel giugno dello scorso anno, quando Giuliani era il grande favorito,
avevamo scritto: “A questo punto ci conviene metterci a pregare che Rudy Giuliani vinca la nomination del partito repubblicano. Se Giuliani diventasse il candidato repubblicano alla Casa Bianca, è molto difficile che non salti fuori qualcuno, in zona democratica, che non sappia resistere alla tentazione di far sapere al mondo quello che ora sanno solo i ricercatori e gli esperti di undici settembre”. E questo avrebbe probabilmente aperto il Vaso di Pandora che avrebbe portato a conoscenza del mondo intero il mare di bugie, complicità e connivenze che stanno dietro agli attentati dell’undici settembre.
“Volete come presidente un uomo - avrei chiesto io, se mi fossi trovato di fronte a Giuliani nella gara per la presidenza – che viene a sapere che il World Trade Center sta per crollare, ma si preoccupa solo di mettersi in salvo, senza nemmeno avvisare i suoi pompieri, che stanno combattendo le fiamme al suo interno?”
Oppure avrei chiesto: “Vorreste come presidente una persona che ha palesemente mentito ai suoi concittadini, dicendo loro che l’aria di Downtown era respirabile, quando sapeva benissimo che avrebbe condannato migliaia di loro ad una lenta morte per malattia, come infatti sta accadendo?”
Oppure ancora: “Vorreste come presidente una persona che ha raccomandato alla dirigenza della Homeland Security il suo ex-capo della polizia, amico e protégé
Bernard Kerik, quando quest’ultimo è risultato talmente legato al mondo della malavita da rendere difficile che lo stesso Giuliani potesse non saperlo?”
Insomma, c’era solo da scegliere: Rudy a questo punto era diventato un “walking target”, un bersaglio ambulante, di tali dimensioni che sarebbe bastato un qualunque iscritto a luogocomune, con un minimo di conoscenza dei fatti sull’11 settembre, per centrarlo al primo colpo da cento metri di distanza.
Ma di questa sua debolezza devono essersi accorti anche i poteri forti della destra repubblicana, ed ecco che un candidato che passa più di un mese a propagandare in uno stato come la Florida, e vi spende la maggior parte del suo budget elettorale, finisce per portare a casa una ridicola manciata di voti soltanto.
Ora quindi se ne torna a casa, e con lui se ne vanno purtroppo le speranze di sentir discutere di WTC7 e di Torri Gemelle su tutti i network americani.
Hello Rudy, addio Rudy: che i fantasmi dei morti sotto quelle macerie ti tengano sempre in buona compagnia, e che a questo punto sia qualcun altro, là dove si puote ciò che si vuole, a stabilire la giusta pena per delle colpe che noi possiamo soltanto sospettare, ma che tu conosci molto bene da vicino.
Massimo Mazzucco