Di Giorgio Mattiuzzo
La produzione narrativa di George Orwell ha magistralmente sintetizzato quale sia il mezzo attraverso cui il potere mantiene se stesso: la conoscenza. In 1984 echeggia senza sosta il motto del Partito – ignorance is strenght, l'ignoranza è forza. Ma tutto il libro si basa su questo assioma. Lo stesso impiego del protagonista al Ministero altro non è che lo sforzo di mantenere lo stato di ignoranza sempre alto; non solo sulle questioni politiche (il nemico di oggi era l'amico di ieri e nessuno lo deve sapere) ma su ogni singolo aspetto della vita. Anche su ciò che apparentemente è sotto il controllo di tutti; anche le razioni di cioccolata diventano parte attiva del processo di creazione dell'ignoranza. E così tutte le persone che Winston vede intorno a se.... .... non sono altro che esseri plasmati da questa ignoranza, ai quali non è necessario mettere le catene. Solo su di lui, alla fine del libro, il Partito interverrà con la violenza. Ma Winston era uscito dallo stato di prostrazione in cui versavano i suoi simili. La violenza è l'espediente ultimo contro i pochi che ignoranti più non sono.
Anche ne La fattoria degli animali, sia pure con toni meno cupi, il tema dell'ignoranza come forma massima di controllo è dominante. Il nuovo potere rivoluzionario (i maiali) legittima se stesso scrivendo i Sette Comandamenti, ma gli animali non sanno leggerli, e quindi essi vengono cambiati di volta in volta a seconda delle esigenze e, poiché nessuno – a causa della propria ignoranza – può dire niente, se non limitarsi ad accettare il fatto che le regole sono rispettate, il potere dei maiali diviene uguale a quello degli odiati uomini.
Entrambi i romanzi individuano nell'ignoranza della storia, cioè dei fatti avvenuti, il fulcro su cui agisce la leva del potere. Mentre, è bene ricordarlo, il potere descritto non è quello “reazionario”, bensì quello “rivoluzionario”. Contro ogni retorica rivoluzionaria, potremmo dire. Per Orwell l'impulso a scrivere era storico, è infatti “il desiderio di vedere le cose così come sono, di scoprire la verità dei fatti e di registrarla ad uso dei posteri”*. E' un anelito alla conoscenza, più che un moto di rivoluzione.
La lezione di Orwell, nel lungo periodo, si è rivelata molto più che corretta. E' stata profetica: per lo scrittore inglese non poteva esistere rivoluzione di sorta che potesse cambiare le condizioni dell'uomo, se l'ignoranza di chi vuole liberarsi dal giogo non viene eliminata. L'esperienza della guerra civile spagnola, descritta in Omaggio alla Catalogna, è il punto di partenza della produzione orwelliana. Che il potere sia reazionario o rivoluzionario poco importa. Se esso si fonda sull'ignoranza del popolo, sarà sempre un potere violento che nega la libertà degli individui. La storia ha dovuto dargli ragione.
E chi oggi decide di affrontare il potere, non ha più – nella maggioranza dei casi – alcuna velleità rivoluzionaria. All'inizio del secondo millennio, in pochi sventolano la bandiera della sovversione sociale volta ad instaurare una nuova giustizia sociale. Il fine oggi è la conoscenza, per tutti e fuori da ogni controllo politico ed economico.
Chi, decine di anni dopo, vuole registrare la realtà per sottrarla al controllo del potere, non può non vedere in Orwell un lucido precursore. E così avviene infatti. Soltanto che nel 2006 non è necessario chiamarsi George Orwell e scrivere un capolavoro della letteratura per raggiungere questo obiettivo. Chiunque può sfidare la forza dei teleschermi di 1984 avendo a disposizione il novello muro de La fattoria degli animali: internet.
Il più grande spettacolo messo in onda sui teleschermi di tutto il mondo, l'attacco al World Trade Center di Manhattan è stato smontato, osteggiato, deriso sulla grande parete mondiale dove innumerevoli animali della fattoria hanno tracciato il loro segno.
Questo evento non ha paragoni nella storia dell'uomo. Certamente ci sono stati attentati di cui ora si conosce la vera matrice, ma il parallelo non può essere fatto.
Prendiamo l'11 settembre italiano: la bomba alla Banca dell'Agricoltura a Milano, archetipo di innumerevoli altri omicidi di massa perpetrati dal potere per riaffermare se stesso. Da subito vi furono inchieste indipendenti e persone che non accettavano la realtà scodellata dal Ministro di turno. E dopo infiniti processi è accertato che non “sono stati gli anarchici” (la vecchia versione del terrorista islamico). Tuttavia il processo è stato lungo, complesso e non ha influenzato più di tanto la politica italiana. Anche perché, 37 anni dopo, dire che lo Stato era il responsabile, non fa certo crollare i governi.
Con l'11/9 tutto è diverso. La contestazione è iniziata subito e coinvolge un pubblico enorme, non necessariamente politicizzato, certamente disinteressato. E, all'interno della rete, ha già raggiunto una massa critica tale che non può essere ignorato né dai media “ufficiali” né dagli apparati di potere.
La molla che ha messo in moto tante persone più o meno è stata questa: “non ne parla la tv, non ne parlano i giornali, allora ne parlo io”. E quegli “io” erano i più diversi, dal fisico all'operaio, dall'ingegnere allo studente. Tutti insieme hanno dato vita ad una sinergia vincente, che è riuscita forse oltre ogni aspettativa.
Ha anche conosciuto delle fasi alterne e, a fronte dell'iniziale spinta dovuta ad ardite teorie che prospettavano la creazione di una menzogna di dimensioni epiche, si è arrivati ora al necessario momento di riflessione.
Uno dei punti certamente più controversi è quello di stabilire in che modo ottenere di farsi sentire da un pubblico quanto più largo possibile. In Italia, forse da tempo, si sente l'esigenza di fare il salto di qualità e passare alla televisione, perché si riconosce alla televisione la possibilità di raggiungere tutti.
Il rischio a questo punto è quello di dividersi fra “riformisti” e “radicali”. Da un lato chi ritiene di dover scendere a patti con la televisione, dall'altro chi la rifiuta a priori. Da un lato il pubblico televisivo di massa, dall'altro quello di nicchia della rete.
La prima questione da risolvere è quella apparentemente più banale: è vero che la televisione raggiunge più persone? Apparentemente la risposta è un “sì” netto. O forse è un “ni”? Magari un “dipende”. Le potenzialità della rete sono enormi. Anche quella di raggiungere la massa delle persone. Ad esempio la pornografia in rete ha volumi enormemente maggiori che in qualsiasi altro medium. Arriva cioè ad un pubblico sterminato, molto più che televisione, riviste e dvd. Qualcuno sorriderà a questo paragone. Ma, a prescindere dal piacere o meno che si prova verso la pornografia, non si può dimenticare che è un'industria straordinaria, che muove un fatturato enorme e che influenza le nostre vite più di quanto pensiamo.
E' quindi la dimostrazione che la rete può essere senza alcun dubbio un medium di massa come e più di qualsiasi altro. L'ovvia obiezione è che la pornografia ha tutt'altra attrattiva nei confronti degli utenti, rispetto all'informazione “alternativa”. Questo è vero. Ma dimostra al contempo come non sia la rete di per se un ghetto o un ritrovo di nicchia; sono solo i contenuti ad esserlo.
Perché allora, riguardo all'11 settembre, la televisione dovrebbe essere “di massa” mentre internet “di nicchia”? Per un motivo molto semplice: perché la tv è come il teleschermo orwelliano, entra nelle case senza permesso e diffonde il suo messaggio anche tra chi non lo cerca e non lo vuole. Internet invece, più modestamente, esiste ed è aperto a tutti, ma è necessario che il singolo voglia ricevere il messaggio. Insomma, la televisione rappresenta la passività, internet l'attività. Internet e televisione rappresentano due disposizioni mentali totalmente antitetiche.
Chi viene a conoscenza dell'altra verità in rete, normalmente ci arriva per caso o per curiosità. Di lì inizia un percorso euristico che ha bisogno di una costante volontà da parte dell'utente per proseguire. Gli esiti sono diversi: ad esclusione di chi avversa in toto qualsiasi spiegazione non allineata, le posizioni di chi prende visione dei vari aspetti della “questione 11/9” sono le più disparate; da chi crede che gli aerei ripresi dalle telecamere siano degli ologrammi a chi è convinto che la dinamica sostanzialmente sia quella ufficiale ma che alcuni punti non siano chiari, passando per una varietà intermedia tra questi due estremi; ma tutti coloro che seguono la vicenda con serenità di spirito non possono non concordare sul fatto che la versione ufficiale, così com'è, spiega poco è insufficiente a dare ragione di due guerre, di un Patriot Act, della progressiva limitazione dei diritti civili (per i non musulmani) e umani (per i musulmani sbattuti a Guantanamo, Abu Grahib e in chissà quanti altri luoghi del mondo).
Immaginiamo ora che la teoria alternativa, per una qualche strana alchimia, divenisse la nuova versione ufficiale. Che tutte le televisioni cambino registro e avallino le idee cospirazioniste. Cosa accadrebbe? Una enorme rivoluzione? Nient'affatto. Tutto sarebbe come prima. Alla vecchia versione ufficiale se ne sostituirebbe una nuova. Ma, da un punto di vista sostanziale, la situazione sarebbe uguale a quella di prima: passività mentale all'ennesima potenza. Nulla cambierebbe. Nessuno imparerebbe a dubitare dell'autorità magica della tv. Anzi, non si saprebbe nemmeno che la televisione ha occultato per anni la verità. E forse, ironicamente, la televisione vedrebbe riconfermata la propria aura di sacralità: “noi siamo i cani da guardia del potere, vedete come abbiamo scoperto le trame dei politici”.
Scomparirebbe dai teleschermi il Fratello Maggiore, e comparirebbe Emmanuel Goldstein. A dire le stesse cose. Mentre tutti si lasciano andare ai minuti di odio voluti da chi sta dietro il teleschermo.
Il cosiddetto “movimento per la verità sull'11/9” ha un pregio forse più grande di quello di aver svelato i lati oscuri di quella vicenda. Ha la responsabilità di aver iniziato molte persone ad una consapevolezza che prima non esisteva, la consapevolezza che la conoscenza non è opera di un maestro, ma che è un percorso che va compiuto sulle proprie gambe. Il “movimento” ha segnato il passo, dice a tutti “smettila di chiedere un'informazione seria. Cercala da te! E fattela da te!”
Non è più tempo di pensare a cosa dice il singolo giornalista o il singolo telegiornale. E' tempo di osare e cercare di vedere al di là del solo 11 settembre. E' tempo di guardare oltre ai vecchi metodi, perché oggi una moltitudine di anonimi sta dando vita ad un meccanismo nuovo.
Davvero vogliamo continuare ad augurarci che la soluzione di tutto sia la televisione? Davvero vogliamo che la verità nuova soppianti quella vecchia, in attesa di essere soppiantata dalla nuovissima? Davvero ci auguriamo di far parte dell'inverecondo meccanismo televisivo, grazie al quale per anni si è perseguito l'infinito addormentamento degli spiriti?
Se questo risveglio è stato possibile senza e contro la televisione, per quale motivo dovremmo credere che quella stessa televisione sarà l'arma finale contro l'ignoranza?
Se davvero la maggioranza degli spettatori è all'oscuro di quanto accade perché subisce passivamente le notizie della tv, vogliamo far diventare anche il “movimento per la verità sull'11/9” una di quelle notizie? Se il teleutente accetta come verità indiscutibile ciò che passa in tv, perché mai dovremmo volere che la “nostra verità” sia anch'essa solo un fiume di parole? A cosa saranno serviti questi cinque anni di lotta contro le notizie confezionate e pronte all'uso, se anche la “questione 11/9” diverrà una notizia confezionata e pronta all'uso?
Forse dovremmo pensare che si sta facendo molto di più che cercare la verità sull'attentato. Si sta creando un nuovo modo di costruire la realtà, si sta costruendo un muro con i Sette Comandamenti ed insieme si sta dando a tutti la possibilità di saper leggere quei Comandamenti.
Davvero vogliamo affidare i Comandamenti ancora una volta al teleschermo del Fratello Maggiore?
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G. Orwell, ”Nel ventre della balena” e altri saggi, Bompiani 2002 (2^ ed.) p. 101.
Giorgio Mattiuzzo (Pausania)
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